Martedì 9 ottobre 2007

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
09 ottobre 2007
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 6 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  

1 – L’Unione Sarda
Esteri Pagina 109
Medicina, il Nobel è di un italiano
Mario Capecchi vince per gli studi sulle cellule staminali
 
L’italoamericano Mario Capecchi ha vinto il Nobel per la Medicina insieme all’inglese Evans e all’americano Smithies.
ROMA Si chiamano Mario Capecchi, Oliver Smithies e Martin Evans i vincitori del Nobel per la Medicina 2007 e hanno il merito di avere aperto la via a un settore della medicina completamente nuovo. Possono essere infatti considerati gli ingegneri del Dna perché sono riusciti a modificare il materiale genetico delle cellule germinali, prima nei topi e poi direttamente sulle staminali. Il risultato è stato avere a disposizione topi da laboratorio che permettono di studiare malattie e sperimentare farmaci. E già si lavora per riuscire, con la stessa tecnica, a modificare le cellule staminali in quella che, per molti esperti in tutto il mondo, potrebbe diventare la medicina del futuro, con una terapia genica sicura e fatta direttamente sulle cellule staminali.
Nato a Verona nel 1937, Capecchi è stato il pioniere di queste ricerche. Ha lasciato l’Italia prestissimo per studiare e lavorare negli Stati Uniti. Tanto che oggi è cittadino americano, proprio come il fisico Riccardo Giacconi, che ha vinto il Nobel nel 2002. L’annuncio del prestigioso riconoscimento gli è arrivato in piena notte: «Erano le tre del mattino, il telefono era vicino a mia moglie e squillava in modo molto strano, “deve essere qualcosa di allarmante”, ha detto mia moglie», racconta Capecchi. La chiamata da Stoccolma veniva dal segretario del comitato Nobel: «Mi ha annunciato il premio e mi ha detto di non dirlo a nessuno, ma ho resistito appena mezzora». Tra le emozioni, la prima è stata la sorpresa: «Il Nobel - ha detto - di solito premia argomenti diversi di anno in anno, e l’anno scorso era già stato premiato uno studio di genetica molecolare». Il Nobel a Capecchi era comunque nell’aria, lo dice un suo allievo, l’italiano Eugenio Sangiorgi che lavora con lui nel laboratorio dell’università dello Utah. Dove il primo comandamento è porsi nuove sfide. «Adesso - spiega Sangiorgi - la nuova sfida è scoprire i meccanismi alla base di malattie complesse, i tumori innanzitutto (negli ultimi due anni il laboratorio ha ottenuto i primi due modelli di un sarcoma), ma anche diabete e malattie cerebrali». Se Capecchi ha trovato il modo di modificare il Dna del topo per creare i primi topi con un solo gene disattivato (un trucco per capire la funzione del singolo gene quando ancora non esisteva la mappa del Dna), Smithies ed Evans hanno applicato la stessa tecnica per fare un passo in avanti ulteriore, modificando le cellule staminali embrionali allo scopo di correggere sul nascere geni difettosi, come quelli all’origine di malattie ereditarie, come la fibrosi cistica. 
 
Esteri Pagina 109
la scheda
Formazione e cultura in America
Nato a Verona nel ’37, negli Usa a nove anni
 
ROMA È nato a Verona nel 1937 Mario Renato Capecchi, uno dei vincitori del premio Nobel per la Medicina 2007. I primi anni della sua vita in Italia sono stati resi drammatici dalla guerra, e all’età di 9 anni Capecchi si è trasferito negli Stati Uniti dove ha studiato e ha sempre lavorato.
Il ricercatore rimase presto orfano di padre, morto in guerra come pilota d’aviazione. Sua madre, Lucy Ramberg, figlia di una nota pittrice americana e di un archeologo tedesco venne arrestata nel 1941 dalle SS mentre viveva in Alto Adige e venne deportata a Dachau come prigioniera politica. Prima della partenza la donna affidò il bambino, che aveva tre anni e mezzo ad una famiglia di contadini sudtirolesi. Ma un anno dopo il piccolo venne allontanato dalla casa e a cinque anni di età cominciò a vagabondare verso sud. Liberata dagli americani nel 1945, la madre lo ritrovò un anno dopo in un ospedale a Reggio Emilia, ammalato e completamente denutrito.
Madre e figlio si imbarcarono quindi nel 1946 a Napoli per gli Stati Uniti, dove vennero accolti in una comunità quacchera vicino a Filadelfia da un fratello della donna, Edward Ramberg, docente di fisica. All’università il giovane Capecchi seguì dapprima i corsi di scienze politiche, che abbandonò per dedicarsi alla biologia molecolare dapprima alla Mit di Boston e poi ad Harvard, con il prof. James Watson, il padre del Dna. Si trasferì poi all’ università dello Utah dove lavora tutt’ora e ha compiuto le ultime scoperte.
Oggi vive con la moglie Martine, con la quale condivide l’ impegno di ricerca e di attività clinica, e la figlia Misha in uno sperduto cottage vicino a un canyon, dove si è fatto installare una stazione computerizzata per seguire costantemente il lavoro dei suoi collaboratori.
 
 Esteri Pagina 109
Conferenza stampa del vincitore
Cure per l’uomo grazie ai topi
 
ROMA Un archivio vivente per studiare le malattie umane: per il Nobel Mario Capecchi sono questo i topi geneticamente modificati, creati oggi nei laboratori di tutto il mondo grazie alle sue ricerche. Sorridente ed emozionato, Capecchi ha parlato oggi in una conferenza stampa organizzata dall’università dello Utah, nella quale lavora, e trasmessa in tutto il mondo via internet.
«Ogni malattia umana può essere studiata sui topi», ha detto. Un’impresa che all’inizio sembrava impossibile, ma che adesso è assolutamente realistica, «considerando che il patrimonio genetico dell’uomo e quello del topo sono uguali per il 99%». Oggi, ha proseguito, è chiaro che «è possibile individuare i geni responsabili di una malattia e possiamo studiare e classificare le malattie sulla base della funzione svolta dai geni che le scatenano. E di conseguenza diventa possibile mettere a punto nuove terapie». Le cose non sono certamente facili, ha proseguito, considerando che «migliaia di geni differenti possono esprimersi in modo diverso». Ma la sfida è mettere ordine in questa rete di eventi e capire, per esempio, come è possibile che si sviluppano malattie come il cancro. Proprio i tumori sono la sfida che Capecchi considera la più interessante e nella quale il suo laboratorio si sta concentrando negli ultimi anni.
«L’obiettivo - ha osservato - è individuare bersagli per future terapie». Capecchi sa che è un obiettivo ambizioso: «La strada per raggiungerlo è ancora molto lunga, ma un primo passo è già stato fatto perché adesso siamo in grado di controllare dove e quando entrano in funzione i geni responsabili delle malattie». Mentre parla del futuro, Capecchi ripensa al suo passato. «Preparate i fazzoletti», dice scherzando a chi gli ha chiesto di parlare della sua infanzia dolorosa, di bambino di strada in un’Italia sconvolta dalla guerra. Poi gli anni più sereni dello studio negli Stati Uniti. Un esordio all’insegna delle scienze politiche, ma seguito immediatamente da una decisa preferenza per le materie scientifiche: la fisica e poi la biologia. «Era stato mio zio, il fratello di mio padre, a iniziarmi al’uso del microscopio». E da allora il microscopio non lo ha più abbandonato, in una carriera non priva di tensioni e difficoltà, ma anche segnata da quello che Capecchi ricorda come «un ambiente decisamente stimolante, entusiasmante». Gli anni di Harvard sono stati indimenticabili: «Lavorare insieme era divertente e utile, si collaborava molto e per questo ringrazio tutti coloro con quali ho lavorato». Un grazie particolare non poteva naturalmente mancare per James Watson, papà della doppia elica del Dna insieme a Francis Crick, e con il quale Capecchi si è laureato. 
 
Esteri Pagina 109
Polemiche dietro il Premio
Ma in Italia solo tagli alla ricerca
 
ROMA Un Nobel giusto ad uno scienziato che ha aperto nuove vie alla ricerca. Sono tutti felici per il prestigioso riconoscimento vinto da Mario Capecchio. Ma non mancano le riflessioni amare (e un po’ forzate): se fosse rimasto in Italia, non avrebbe mai vinto nulla. E forse non avrebbe neppure fatto il ricercatore. Concetto che lo stesso Capecchio puntualizza: «Credo che sia più difficile in Italia fare ricerca, perché un vantaggio degli Stati Uniti è che danno una possibilità ai giovani». Puntualizza Fabio Mussi, ministro per l’Università e la Ricerca: «Mi fa molto piacere che ci sia un nome italiano, ma non voglio intestare il merito semplicemente all’Italia, se non per le origini di Capecchi, visto che a sette anni andò in America. Quello dell’Italia è in un certo senso un merito genetico. Spero che entro qualche anno ci sia non solo un cognome italiano, ma un qualche scienziato che abbia compiuto tutto il suo percorso in Italia». Parole che alcuni prendono al balzo per infilare il coltello nella piaga. «In Italia Capecchi non avrebbe potuto fare niente per due motivi: la ricerca sulle staminali embrionali è culturalmente e politicamente emarginata; non avrebbe avuto soldi» dice. Donatella Poretti (Rnp) mentre Maurizio Ronconi (Udc) sentenzia che «per vincere il Nobel, gli scienziati italiani debbono lavorare all’estero».
La polemica sulla fuga dei cervelli all’estero e sull’esigiutà dei fondi per la ricerca in Italia ormai è ciclica e il Nobel a Capecchi non farà altro che amplificarla. Il ministro della Salute Livia Turco ha commentato la notizia della vittoria annunciando che ha deciso di «riservare il 5% del fondo per la ricerca sanitaria del Ministero della Salute ai progetti proposti dai ricercatori italiani under 40, che saranno selezionati con un apposito bando pubblico di prossima emanazione».
Ieri comunque era il giorno degli auguri e il mondo politico, col presidente Napolitano in testa, s’è complimentato con il ricercatore veronese. A ruota il mondo scientifico. Silvio Garattini, farmacologo, direttore dell’Istituto Mario Negri, spiega che «è molto importante aver avuto a disposizione in questi anni un metodo (topi geneticamente modificati, che Capecchi ha realizzato per primo in base alle ricerche di Evans e Snmithies, ndr.) che ha permesso di ottenere nuovi i farmaci».E in questo senso va la decisione che abbiamo assunto di Lo afferma il ministro della salute Livia Turco commentando l’annuncio del premio Nobel per la medicina. Intanto il sindaco di Verona, Flavio Tosi, ha detto che gli saranno consegnate le chiavi della città. 
 
 2 – L’Unione Sarda
Provincia di Sassari Pagina 7046
Sassari
Radiografia sulle nuove Province: al via uno studio dell’Università
 
Provincia e Università di Sassari disegnano insieme il futuro delle otto Province della Sardegna. Con il benestare della Regione l’amministrazione provinciale di Sassari ha avviato uno studio ad hoc con le facoltà di Giurisprudenza e di Scienze politiche per stabilire con estrema chiarezza quale dovrà essere l’organizzazione delle Province in virtù delle nuove funzioni che saranno trasferite loro in base alla legge regionale 9.
Lo studio, che dovrebbe essere pronto fra un paio di mesi, sarà valutato ed eventualmente adottato da tutte le Province sarde, secondo una proposta avanzata nei giorni scorsi a Nuoro, in occasione del vertice dell’Unione Province sarde. Scopo del programma è quello di chiarire, assieme alla Regione, tempi e modi di un passaggio di funzioni che rivoluzionerà la Provincia e impone perciò di sapere precisamente su quali risorse finanziarie, strumentali e umane si fonderà. «Il progetto avviato con l’Università e il confronto intrapreso con la Regione non sono questioni astratte, ma il tentativo di rispondere ai problemi che l’amministrazione, nell’esercizio delle proprie funzioni, è chiamata a risolvere», spiega l’assessore Pinuccio Vacca.
«Fa piacere che la Regione deleghi sempre più decisamente il governo del territorio, smentendo ogni ipotesi di azzeramento degli enti intermedi e sconfessando chi accusa le Province di essere inutili», spiega il presidente della Provincia, Alessandra Giudici. A maggior ragione, «siamo pronti ad assumere nuove funzioni amministrative, facendoci carico delle nostre responsabilità ma non intendiamo accettare tutto a scatola chiusa». Proprio per questo motivo, «abbiamo chiesto e ottenuto dalla Regione che la decorrenza della legge 9 venga subordinata all’accertamento della congruità tra le risorse trasferite assieme alle funzioni e gli oneri derivanti dalle stesse funzioni». (v. g.) 
 
 3 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari Pagina 1022
Accordo crediti vigili-università
 
Rapporto diretto fra il mondo del lavoro e quello accademico. Domani mattina sarà formalizzato l’accordo di collaborazione tra il corpo della Polizia municipale e la facoltà di Giurisprudenza per il riconoscimento dei crediti formativi e lo svolgimento di attività didattiche speciali.
L’accordo, che costituisce un importante punto di partenza per la crescita professionale dei vigili urbani, sarà sottoscritto dal preside della facoltà cagliaritana di Giurisprudenza, Massimo Deiana, e dal comandante della Polizia municipale di Cagliari, Mario Delogu, alle 9.30 nell’aula B della facoltà di Giurisprudenza (nella foto), in viale Sant’ Ignazio 76.
L’accordo ufficiale fra le parti verrà siglato alla presenza del sindaco Emilio Floris e del magnifico rettore dell’Università Pasquale Mistretta.

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 14 - Attualità
Mario Renato Capecchi è nato a Verona ma vive negli States. Fa ricerche sulle staminali 
Italo americano vince Nobel per la medicina 
Un riconoscimento ex aequo con i colleghi Smithies e Evans 
 
E’ italo-americano uno dei vincitori del Nobel 2007 per la medicina. Si chiama Mario Renato Capecchi, 70 anni, di origine veronese ed è il padre dei topi geneticamente modificati. Insieme allo statunitense Oliver Smithies e al britannico Martin J. Evans, è stato premiato per le ricerche sulle cellule staminali embrionali dei topi che permettono oggi di studiare malattie e sperimentare farmaci.
 L’annuncio da Stoccolma è arrivato con una telefonata alle 3 del mattino del segretario del comitato Nobel: «Mi ha annunciato - ha raccontato Capecchi ancora commosso - il premio e mi ha detto di non dirlo a nessuno, ma ho resistito appena mezz’ora». La prima reazione è stata la sorpresa: «Il Nobel di solito premia argomenti diversi di anno in anno, e l’anno scorso era già stato premiato uno studio di genetica molecolare - ha spiegato - E’ un grande onore, davvero inaspettato. Un grande onore per il nostro laboratorio, la nostra università e anche per l’Italia. E’ un tributo ai nostri sforzi collettivi: abbiamo cominciato a lavorare più di 20 anni fa, e ci sono voluti più di dieci anni di sviluppo».
 Considerato dalla comunità scientifica internazionale un candidato naturale al Nobel, Capecchi è nato a Verona nel 1937, ma vive e lavora negli Usa dove emigrò a 9 anni e dove oggi insegna nella facoltà di medicina dell’Università dello Utah. Dopo il dottorato ad Harvard, nella sua eccezionale carriera ha ottenuto i più importanti riconoscimenti scientifici tra cui la Laurea honoris causa in Biotecnologie mediche ricevuta a Bologna lo scorso maggio.
 Si è guadagnato il Nobel per il suo lavoro pionieristico sullo sviluppo del «gene targeting» nelle cellule staminali di embrioni di topo: in sostanza è stato il primo a creare i topi geneticamente modificati, oggi utilizzati nei laboratori di tutto il mondo e cruciali per riprodurre malattie umane in modo da analizzarle nel dettaglio o ancora per sperimentare nuovi farmaci. La motivazione ufficiale di Stoccolma parla infatti di «scoperte del principio per introdurre specifici geni nei topi tramite cellule staminali embrionali» grazie alle quali, oggi almeno 25 milioni di topi da laboratorio aiutano tutti i giorni i ricercatori a condurre i loro studi sulla cura di numerose malattie mortali come tumori, patologie cardiovascolari, Aids e malaria. Gli studi che hanno permesso a Capecchi di modificare il patrimonio genetico del topo, in modo da ottenere mutazioni in ogni gene desiderato, hanno destato all’inizio grandi perplessità. Quando li presentò, una ventina di anni fa, ricevette forti critiche. Ma con il tempo si è visto che avere a disposizione topi geneticamente modificati era un acceleratore senza precedenti per la ricerca biomedica. La grande potenzialità della tecnologia messa a punto da Capecchi è nella possibilità, per il ricercatore, di scegliere liberamente, quale gene mutare. Questo permette di identificare esattamente la funzione svolta da un particolare gene, in ogni fase dello sviluppo.
 Se Capecchi ha trovato il modo di modificare il Dna del topo, Smithies ed Evans hanno applicato la stessa tecnica per modificare le cellule staminali embrionali allo scopo di correggere sul nascere geni difettosi, come quelli all’origine di malattie ereditarie, come la fibrosi cistica. Il premio, di 1,54 milioni di dollari, sarà diviso fra i tre ricercatori che già pensano al futuro.
Monica Viviani
 
Pagina 14 - Attualità
Dall’Italia felicitazioni per la vittoria e anche la consapevolezza della costante «fuga di cervelli» 
«Ma da noi non avrebbe fatto niente» 
Montalcini: «Un premio strameritato a uno scienziato straordinario» 
 
«LE sue ricerche sulle cellule embrionali investono un problema essenziale per la medicina del futuro» ed è del «più alto valore» aprire la strada «a nuovi approcci alla terapia delle malattie genetiche». Il messaggio inviato a Capecchi dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è il primo di un lungo elenco di congratulazioni che la comunità scientifica e il mondo politico italiano hanno rivolto allo scienziato. Non manca però una punta di rammarico e di consapevolezza, che è stata espressa tra gli altri dal ministro Mussi: «L’italia ha solo un merito genetico».
 La conferma che si trattasse di un premio atteso dal mondo scientifico arriva dalle parole di Rita Levi Montalcini, Nobel nel 1986: «Un premio strameritato a uno scienziato straordinario». Silvio Garattini, farmacologo di fama mondiale parla poi di «scoperte fondamentali per la preclinica». Il genetista Antonio Iavarone della «più grande scoperta degli ultimi 30 anni».
 Glauco Tocchini Valentini, direttore dell’Istituto di Biologia Molecolare del Cnr, di «punto di partenza per una grande rivoluzione». Per Giuseppe Novelli, genetista dell’Università di Torvergata, Capecchi «ha aperto la strada alla medicina del futuro». Mentre il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Enrico Garaci, sottolinea come per l’Italia «il gap rispetto agli Stati Uniti e ad altri paesi resta alto».
 Sul fronte politico, insieme alle congratulazioni di Napolitano sono arrivate anche quelle dei Presidenti della Camera e del Senato Bertinotti e Marini, per il quale gli studi di Capecchi «aprono scenari di speranza nella cura delle malattie più gravi».
 Il ministro dell’Università e della Ricerca Fabio Mussi si augura invece che «entro qualche anno ci sia non solo un cognome italiano, ma uno scienziato che abbia compiuto tutto il suo percorso in Italia». Sulla stessa linea il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta: «Spero che sia uno stimolo a riconsiderare la ricerca come un tema chiave. Dobbiamo aiutare la ricerca». Il ministro della Salute Livia Turco parla poi di «stimolo a investire sui nostri giovani ricercatori».
 E per la senatrice dell’Ulivo Paola Binetti «il governo deve investire seriamente sulla ricerca italiana già con la Finanziaria 2008». Anche Ignazio Marino, presidente della Commissione Sanità del Senato, nota che «purtroppo tutti i nostri premi Nobel della medicina e della fisica degli ultimi cento anni hanno svolto i loro studi all’estero». Per Donatella Poretti, parlamentare della Rosa nel Pugno, poi «se fosse rimasto in Italia, Capecchi non sarebbe mai diventato un Nobel» perchè «la ricerca sulle staminali è emarginata e mancano i fondi». E pure per Pietro Folena (Prc) la storia di Capecchi ci dice «che in Italia ci sono tanti cervelli ma mancano le opportunità». (m.v.)
 
Pagina 14 - Attualità
LA VITA 
Fame e paura prima della fuga 
 
  ROMA. E’ nato a Verona nel 1937 Mario Renato Capecchi, uno dei vincitori del premio Nobel per la Medicina 2007. I primi anni della sua vita in Italia sono stati resi drammatici dalla guerra, e all’età di 9 anni Capecchi si è trasferito negli Stati Uniti dove ha studiato e ha sempre lavorato. Il ricercatore rimase presto orfano di padre, morto in guerra come pilota d’aviazione. Sua madre, Lucy Ramberg, figlia di una nota pittrice americana e di un archeologo tedesco venne arrestata nel 1941 dalle SS mentre viveva in Alto Adige e venne deportata a Dachau come prigioniera politica. Prima della partenza la donna affidò il bambino, che aveva tre anni e mezzo ad una famiglia di contadini sudtirolesi. Ma un anno dopo il piccolo venne allontanato dalla casa e a cinque anni di età cominciò a vagabondare verso sud. Liberata dagli americani nel 1945, la madre lo ritrovò un anno dopo in un ospedale a Reggio Emilia, ammalato e completamente denutrito. Madre e figlio si imbarcarono quindi nel 1946 a Napoli per gli Stati Uniti. Dopo gli studi Capecchi si trasferì all’ università dello Utah dove lavora tutt’ora e ha compiuto le ultime scoperte.
 
Pagina 14 - Attualità
Intervista con lo studioso che parla del suo lavoro 
«I topi, archivio vivente per le malattie umane» 
 
  ROMA. Un archivio vivente per studiare le malattie umane: per il Nobel Mario Capecchi sono questo i topi geneticamente modificati, creati oggi nei laboratori di tutto il mondo grazie alle sue ricerche. Sorridente ed emozionato, Capecchi ha parlato ieri in una conferenza stampa organizzata dall’università dello Utah, nella quale lavora, e trasmessa in tutto il mondo via internet. «Ogni malattia umana puo’ essere studiata sui topi», ha detto felice lo scienziato soto gli occhi dei media internazionali.
 Un’impresa che all’inizio sembrava impossibile, ma che adesso è assolutamente realistica, «considerando che il patrimonio genetico dell’uomo e quello del topo sono uguali per il 99%». Oggi, ha proseguito, è chiaro che «è possibile individuare i geni responsabili di una malattia e possiamo studiare e classificare le malattie sulla base della funzione svolta dai geni che le scatenano. E di conseguenza diventa possibile mettere a punto nuove terapie». Le cose non sono certamente facili, ha proseguito, considerando che «migliaia di geni differenti possono esprimersi in modo diverso». Ma la sfida è mettere ordine in questa rete di eventi e capire, per esempio, come è possibile che si sviluppano malattie come il cancro. Proprio i tumori sono la sfida che Capecchi considera la più interessante e nella quale il suo laboratorio si sta concentrando negli ultimi anni. «L’obiettivo - ha osservato - è individuare bersagli per future terapie». Capecchi sa che è un obiettivo ambizioso: «la strada per raggiungerlo è ancora molto lunga, ma un primo passo è già stato fatto perchè adesso siamo in grado di controllare dove e quando entrano in funzione i geni responsabile delle malattie». Mentre parla del futuro, Capecchi ripensa con serenità al suo passato: «preparate i fazzoletti», dice scherzando a chi gli ha chiesto di parlare della sua infanzia dolorosa, di bambino di strada in un’Italia sconvolta dalla guerra. Poi gli anni più sereni dello studio negli Stati Uniti. Un esordio all’insegna delle scienze politiche, ma seguito immediatamente da una decisa preferenza per le materie scientifiche: la fisica e poi la biologia. «Era stato mio zio, il fratello di mio padre, a iniziarmi al’uso del microscopio». E da allora il microscopio non lo ha più abbandonato, in una carriera non priva di tensioni e difficoltà, ma anche segnata da quello che Capecchi ricorda come «un ambiente decisamente stimolante, entusiasmante». Gli anni di Harvard sono stati indimenticabili: «lavorare insieme era divertente e utile, si collaborava molto e per questo ringrazio tutti coloro con quali ho avuto occasione di lavorare».
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Nuoro
L’ateneo nuorese è rimasto senza soldi 
La Regione non dà più il solito anticipo di cassa previsto a ottobre 
I politici barbaricini temono nuovi tagli e chiedono un incontro con Renato Soru 
 
 NUORO. L’università nuorese è rimasta senza soldi. Nelle sue casse non è rimasto neppure un euro e la Regione non è più disposta a dare alcun anticipo, come faceva negli anni passati, a ottobre. Prima, infatti, sia l’ateneo nuorese sia l’Ailun potevano contare su appositi capitoli del bilancio regionale e anche su una manciata di ossigeno già dal mese di ottobre. Ora, invece, è tutto cambiato: la Regione ha previsto in Finanziaria un unico capitolo indistinto per tutte le università sarde e il risultato è che l’università barbaricina ancora non sa quanto spetterà a lei e quanto all’Ailun. I politici nuoresi, inoltre, temono nuovi tagli e vogliono un immediato confronto con Soru.
 
Pagina 34 - Nazionale
Il caso. Dopo le dure critiche del governatore all’ateneo, un altro segnale allarmante 
Università senza un euro: la Regione non anticipa 
I politici nuoresi temono nuovi tagli e vogliono un confronto con Soru 
 
NUORO. Università nuorese, non c’è più un euro in cassa. L’allarme cresce ogni giorno sia sul piano finanziario che su quello politico. Soprattutto dopo le affermazioni del presidente Renato Soru che, in occasione della sua ultima visita in città, ha avuto modo di dire agli studenti che questa università nuorese «non serve a niente». E ora la paura è che, in tempi di tagli e di razionalizzazioni selvagge, sia nella Pubblica amministrazione che nelle banche, anche l’ateneo pubblico barbaricino chiuda i battenti.
 Le casse vuote delle università nuoresi e il clima che si respira negli ambienti di governo sembrano deporre in questo senso.
 «Se prima - ha affermato il presidente il presidente Sergio Russo - in questo mese di ottobre si poteva contare su anticipi di cassa, oggi questo non è più possibile. Così proprio non si può andare avanti».
 Ma cos’è che è cambiato rispetto al recente passato? Sembra che sia cambiato soprattutto questo. Prima il Consorzio universitario pubblico e la stessa Ailun potevano contare su capitoli del bilancio regionale chiari e specifici: con 3,1 milioni di euro all’anno per l’ateneo pubblico e 1,1 milioni per l’associazione culturale dell’Ailun. Insomma, prima le cifre erano certe e separate. E a ottobre con l’apertura dell’anno accademico si poteva contare sugli anticipi.
 Adesso invece è tutto cambiato. Capitoli separati di bilancio non ce ne sono più. La Regione guidata da Soru ha previsto in Finanziaria un «unico fondo indistinto» per tutte le università sarde, con questa conseguenza: ancora non si sa quanto andrà all’ateneno nuorese e quanto all’Ailun.
 Non solo. L’effetto immediato è che a ottobre non si può contare più sugli anticipi. Un disastro. Alcuni amministratori disperano, e temono di non farcela, se non si cambia rotta.
 Il grido d’allarme, appena lanciato, è finito immediatamente sul «tavolo» convocato d’urgenza nell’aula consiliare del Comune da Leonardo Moro, presidente del consiglio comunale, e da Tore Ghisu, presidente di quello provinciale.
 Il problema dell’università è finito proprio su quel tavolo perchè Moro e Ghisu, sabato scorso, avevano riunito numerosi rappresentanti delle istituzioni per discutere su un punto di crisi che lo richiamava direttamente: era la questione dei tagli continui nella Pubblica amministrazione nella provincetta, con la disoccupazione dilagante, mentre l’agricoltura non faceva più da “settore rifugio”, insieme ai servizi dello Stato e della Regione.
 Ormai sono sotto gli occhi di tutti, infatti, i tagli continui alle banche, alle agenzie, nella scuola e nella formazione professionale, negli enti e all’Artiglieria, nel Tesoro e alla Ragioneria dello Stato. Per non parlare delle industrie, che saltano ovunque. E adesso c’è anche l’Università nuorese si fa a rischio. Senza alternative.
 Che fare, a questo punto? hanno chiesto (sabato scorso) in apertura di seduta i due presidenti Moro e Ghisu a tutti i presenti, che erano poi questi: i parlamentari Antonello Soro e Gianni Nieddu; i consiglieri regionali Vincenzo Floris, Giuseppe Luigi Cucca, Silvestro Ladu e Roberto Capelli; il sindaco di Nuoro, Mario Zidda e il presidente della Provincia, Roberto Deriu; i sindacati di categoria e federali; tutti i capigruppo del Comune e quasi tutti quelli provinciali.
 Che fare per affrontare questa nuova realtà, che oggi non può più contare sui settori rifugio dell’agricoltura e della amministrazione pubblica?
 E che fare, quindi, anche di fronte alla crisi che rischia di portare alla chiusura l’Università nuorese?
 Dopo un dibattito vivace e a tratti infuocato, che ha visto un po’ tutti piuttosto critici con l’uscita di Renato Soru (salvo il consigliere regionale ds Vincenzo Floris, che ha difeso a spada tratta le sue “riforme”) alla fine è saltata fuori questa proposta: organizzare una «Conferenza di Servizi» sulla pubblica amministrazione e aprire un «tavolo» di confronto con la Regione e lo Stato sul destino dell’università nuorese.
 Altro punto di rivendicazione: le sedi regionali di Abbanoa ed Ente foreste a Nuoro città. Una promessa, questa, già dimenticata.
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 37 - Cultura e Spettacoli
Grazia Deledda, solitudine e segreti 
Sassari, la scrittrice ricordata con un convegno di studi Inaugurazione domattina nell’aula magna di Lettere 
 
CAGLIARI. Il 10 dicembre 1927 il re di Svezia consegnava a Grazia Deledda il premio Nobel per la letteratura. In occasione dell’ottantesimo anniversario l’Università di Sassari, l’Università di Cagliari e l’Isre di Nuoro organizzano per i mesi di ottobre, novembre e dicembre un trittico di manifestazioni dedicate alla scrittrice. L’iniziativa partirà con il convegno di studi «Grazia Deledda e la solitudine del segreto» che si terrà a Sassari da domani a venerdì con studiosi e scrittori che metteranno a fuoco, in particolare, l’ultima fase della produzione deleddiana. Il convegno è organizzato col sostegno della Regione, della Fondazione Banco di Sardegna, della Società Umanitaria di Alghero e il patrocinio dei comuni di Sassari e Alghero.
 Tante istituzioni unite per rivendicare la straordinaria presenza di Grazia Deledda nella narrativa italiana. Un punto importante che Aldo Maria Morace, del comitato promotore, ha voluto sottolineare nel corso della presentazione del convegno svoltasi ieri mattina nell’aula Eleonora d’Arborea, in piazza Università.
 La manifestazione, articolata in quattro sedute, si aprirà domani alle 15,30, nell’aula magna della Facoltà di Lettere e Lingue, con gli interventi di Angelo Raffaele Pupino, Dante Maffia, Lucia Cardone e Giorgio Cavallini, coordinati da Attilio Mastino. I lavori proseguiranno giovedì nella Sala dei Cento della Camera di commercio: la mattina, dalle 9, si alterneranno Patrizia Bertini Malgarini, Marzia Caria, Giuseppe Serpillo, Luisa Cossu, Marco Manotta, Rosaria Tagliatatela, Susanna Paulis, Stefano Brugnolo e Nicola Tanda. Nel pomeriggio alle 15,30 toccherà ad Aldo Maria Morace, Carla Locatelli, Alberico Guarnirei, Graziella Pulce, Dino Manca, Gianni Venturi. L’ultimo appuntamento sarà venerdì mattina, alle 9 nell’aula magna dell’ateneo, con Giulio Angioni, Filippo Secchieri, Alessandro Scarsella, Tania Baumann, Roberta Masini e Natalino Piras.
 Il convegno sarà arricchito dalle proiezioni deleddiane. Domani, alle 20,30 al Teatro Civico di Alghero, si potrà vedere «Con amore Fabia», di Maria Teresa Camoglio. Un lavoro del 1993 prodotto in Germania, ma girato e ambientato in Sardegna da un’autrice sarda che getta uno sguardo personale su «Cosima», il romanzo più autobiografico di Grazia Deledda. Giovedì, sempre alle 20,30 ma al Teatro Civico di Sassari, si potrà assistere alla proiezione del film «Cainà» (1922) diretto da Gennaro Righelli e interpretato dalla diva Maria Jacobini, con la colonna sonora eseguita dal vivo da un ensemble di musicisti guidati da Mauro Palmas. Al primo film girato nell’isola, recentemente restaurato, si aggiunge la suggestione della musica che coinvolge lo spettatore in una emozionante esperienza nell’immaginario deleddiano.
Fabio Vanessa
 
 
 
 
 
 

Questionario e social

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