Lunedì 1 ottobre 2007

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
01 ottobre 2007
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 4 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  

1 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari Pagina 1011
Università. Le cariche
Mandati più brevi nonostante il no del Ministro
 
L’Ateneo di Cagliari va avanti per la sua strada e, nonostante il parere negativo del ministro dell’Università, il senato accademico allargato ha approvato la modifica di statuto che modifica, diminuendola, la durata delle cariche e dei mandati di rettore e presidi. Un voto favorevole che, per quanto riguarda il mandato del rettore, è arrivato con l’astensione di due rappresentanti degli studenti, mentre nel caso dei presidi delle undici facoltà cagliaritane è stato unanime.
Dunque la lettera inviata lo scorso 28 luglio dal ministero è caduta nel vuoto. Un parere non vincolante perché l’autonomia universitaria permette di approvare nuovamente la modifica senza dover passare una seconda volta all’esame di Roma. «Si fa riferimento alle modifiche statutarie proposte», aveva scritto il direttore generale del Ministero, Antonello Masia. «Alla luce degli orientamenti ministeriale non si ritiene opportuno modificare le procedure relative agli organici accademici con riferimento alla durata dei mandati. Si ritiene debbano essere conservate le norme vigenti». Così le modifiche sono rientrate a Cagliari per essere nuovamente discusse. Ma per approvarle definitivamente sarebbe servita una maggioranza dei tre quinti dei componenti. Nell’ultima seduta di senato allargato l’esito della votazione è stato schiacciante: per la riduzione dei mandati del rettore (da una carica di tre anni con un massimo di quattro mandati consecutivi a una da quattro anni, con possibilità di rielezione sino a due volte di seguito) solo i due rappresentanti degli studenti si sono astenuti (avrebbero preferito cariche da tre anni), mentre sulle modifiche per i presidi (da tre anni con un massimo di tre mandati consecutivi, si cambia in un triennio con il limite di due mandati di fila) tutti i componenti del Senato hanno dato il loro via libera.
La modifica ora dovrà tornare al ministero dell’Università che dovrà pubblicare i nuovi articoli dello statuto sulla Gazzetta ufficiale perché entri in vigore. Ma ci potrebbero essere novità vista l’intenzione del ministro Mussi di inserire nella Finanziaria un limite di sei anni per la carica di rettore. Cagliari con gli otto anni (per due mandati) non sarebbe in regola. Slittati altri due provvedimenti: l’istituzione del Comitato per le pari opportunità (proposta da Francesco Raga, docente in Fisica) e la nomina del difensore civico per gli studenti.
Matteo Vercelli

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 19 - Cultura e Spettacoli
Alla Cittadella dei musei di Cagliari la collezione delle sculture anatomiche di Clemente Susini 
Fredde cere contro la morte 
Un libro di Alessandro Riva pubblicato dalla Ilisso 
Un volume che ripercorre le tracce di un destino 
 
«Noi godiamo dei corpi senza sapere ciò che li compone. Di che è fatto un corpo? Di parti, e queste parti si risolvono in altre parti ancora. E queste ultime parti di che son fatte? Sempre di sostanza corporale». Non è a caso che questa presentazione del volume «Cere. Le anatomie di Clemente Susini dell’Universita’ di Cagliari» di Alessandro Riva, pubblicato da Ilisso, cominci con una citazione di Voltaire e la voce “corpo” del suo dizionario filosofico. Non è un caso che Voltaire parli di sostanza corporale, materia, non spirito, il corpo insomma come una macchina di cui comprendere le leggi e i meccanismi.
 Ci aiuta a illuminare il clima storico e sociale nel quale arrivarono a Cagliari, agli inizi dell’Ottocento, le cere anatomiche di Clemente Susini, autentici capolavori che arrichiscono la Cittadella dei Musei del capoluogo isolano. Opere che nel loro genere sono una delle collezioni piu’ importanti del mondo, per il virtuosismo dell’artista che le creò, per la straordinaria qualità scientifica ma anche artistica di queste vere e proprie sculture, raffinatissime, che affascinarono Canova ed ebbero risonanza nel ricchissimo panorama del neoclassicismo italiano. Alessandro Riva nella vita è professore universitario e ha raccolto con passione, e anche un pizzico di devozione, l’eredità di queste cere dai suoi predecessori nella cattedra di Anatomia umana della facoltà cagliaritana. Da Antonio Boi che creò per primo la raccolta delle opere del Susini agli inizi dell’Ottocento, fino ai predecessori di Riva, Luigi Castaldi e soprattutto Luigi Cattaneo, il suo maestro, che le restaurò dopo la seconda guerra mondiale e le collocò nelle attuali teche di legno. «Cere» è un libro prezioso. Prezioso per le bellissime riproduzioni fotografiche delle ceroplastiche realizzate, su suggestioni dello stesso Riva, dallo studio fotografico Dessì e Monari, e anche per l’importante corredo di didascalie scientifiche che hanno il rigore e la precisione dell’atlante anatomico.
 Ma insieme il libro, che raccoglie i preziosi interventi del professor Riva, dell’esperta di ceroplastica Roberta Ballestriero, di Luigi Cattaneo e di Bruno Zenobio, si può tranquillamente leggere come si leggerebbe un romanzo che alla base di tutto abbia il tema del destino. Il pensiero non può non andare ai modelli di queste cere.
 Quali furono le loro storie? Spesso sono giovanissimi, come si intuisce dai frammenti del viso o dalle sezioni del corpo. Che vita vissero? E la morte come li raggiunse? Inconsapevoli oggetti di studio, fissati in pose sensuali, monumenti funebri dai volti dolci nell’abbandono della morte, simboli della caducità della vita che in quei tempi vedeva tanti giovani morire troppo presto a causa di patologie che oggi sono facilmente curabili, ma che sulle tombe di allora si definivano con enfasi, per citare Leopardi «chiuso morbo». Il viaggio di queste cere dal laboratorio del Susini a Firenze fino all’università cagliaritana è legato al destino, ad alcune circostanze che starebbero bene all’inizio di un romanzo gotico. Una storia che ci regala un’immagine inconsueta della Cagliari degli inizi dell’Ottocento, che seppure lontana da tutto, isolata dal resto del mondo, mostrava nel suo legame con la scienza il desiderio di avvicinarsi alla parte anche più misteriosa della conoscenza. Il tema della morte, della malattia, del corpo, dei suoi segreti, delle sue trasformazioni. Tema che affascinerà pochi anni più tardi Efisio Marini, il pietrificatore, anch’egli a modo suo «scultore» di corpi, anch’egli, come il professor Boi, esperto di dissezione che effettuava in un piccolo locale dentro il cimitero di Bonaria fino a tarda notte, guardato con sospetto dai suoi concittadini. Clemente Susini a Cagliari non è mai approdato di persona, vi arrivarono solo le sue creazioni, per qualche studioso il momento più alto della sua fortunata carriera.
 Siamo agli inizi dell’Ottocento. Allora la Sardegna era un’isola perduta nel centro del Mediterraneo, lontana da tutto e soprattutto dalle capitali della cultura italiana come Firenze dove Susini era valentissimo ceroplasta per il Museo di Fisica e Storia naturale «La Specola». Il più grande in questa arte, nata forse per perpetrare l’eterno sogno dell’uomo, sfuggire alla decomposizione dei corpi, della carne, alla putrefazione, a quel processo chimico che modifica la natura della materia, ma anche e soprattutto per conoscere i segreti del corpo, i meccanismi che stanno alla base della vita. La cera per Susini era come il marmo per Michelangelo, materia viva, plasmabile, ma infinitamente più malleabile della pietra, capace di dare vita a «effetti speciali» che ricreano con i colori le infinite varietà delle complessioni fisiche, degli incarnati, le colorazioni delle arterie, delle vene, dei tendini, delle ghiandole più recondite, dello scheletro, di tutte quelle parti del corpo che gli studenti di anatomia e i loro professori dovevano studiare velocemente fra i miasmi della carne ormai morta, putrescente. E anche l’altro protagonista della storia oltre a Susini ha lo spessore del personaggio letterario. Antonio Boi, nasce a Olzai, sperduto paesino della Barbagia, da un’umile famiglia di contadini. Inizia gli studi per la carriera religiosa ma poi scopre la sua vera vocazione, la medicina, diventando ordinario di anatomia per l’ateneo cagliaritano.
 Eccolo il destino: nel 1801 non avendo nessuno studente iscritto alla sua cattedra intraprende un viaggio che lo porterà in giro per l’Italia per «acquistare maggiori lumi nella sua professione». Sale sul bastimento che lo porta nel continente dopo aver avuto il permesso dal vicerè di Sardegna, che allora era Carlo Felice di Savoia, dal quale riceve anche una discreta somma in danaro. Il suo fu un lungo viaggio che lo condusse nelle più importanti università italiane, dove nei teatri anatomici, come si chiamavano allora le sale dove si sezionavano i cadaveri, si «esibivano» nella dissezione dei corpi i più grandi anatomisti italiani, come Scarpa a Pavia o Mascagni a Firenze. E proprio nella città fiorentina ebbe modo di visitare «La Specola», dove si trovavano le cere di Clemente Susini. Nacque così l’idea di dotare anche Cagliari e la sua università di una collezione di cere. Sarebbero servite agli studenti nei loro studi di anatomia e arrivarono in città acquistate per una cifra di 14800 lire, che allora era una piccola fortuna. Qui il romanzo si fa ancora più interessante. Risulta da alcuni documenti che sarà lo stesso Boi a effettuare le dissezioni delle parti anatomiche dalle quali Susini creerà i suoi preziosi lavori. La tecnica imponeva una certa velocità a causa del processo di decomposizione dei corpi. Dalle parti del corpo sezionate andavano creati i calchi in gesso dentro i quali Susini colava la cera. Il resto era lavoro di cesello, impreziosimento della forma, tecnica di colorazione, ricerca spasmodica dei particolari che conducevano a un realismo virtuosistico, come si può osservare dalle cere cagliaritane nelle quali si fondono il rigore scientifico e una straordinaria eleganza dei particolari. La cosa che colpisce è che queste opere rivelano sempre soprattutto nella descrizione del viso, o nelle sinuose torsioni del corpo, una singolare empatia dell’artista per quei corpi ormai fissati per sempre nell’attimo della morte, nella freddezza cadaverica dell’incarnato, che la cera imita con effetti sorprendenti, quasi illusionistici.
 La pelle umana è come un sipario che si apre per scoprire nervi, tendini, arterie, organi interni, apparati. Ma dietro questo preziosismo artistico si nascondeva l’inevitabile decomposizione dei corpi, la cattiva influenza delle esalazioni della putrefazione sulla salute dei ceroplasti come testimonia una passo del diario del maestro di Susini il Fontana, direttore della «Specola», che racconta la realtà di un lavoro che costringeva gli artisti a una vita durissima e altamente rischiosa per la salute. Così lo scultore ricorda la fatica per la creazione delle trenta stanze del museo di Firenze: «Ha bisognato lavorare tanto nel freddo più duro del verno che nel caldo più ardente della state, che nessuno hai mai fatto, perché il rischio di perire è quasi certo per le pestilenziali esalazioni dei cadaveri nei grandi caldi, ed infatti nei sette anni anni decorsi, cinque anni sono stato a letto della morte». Nel 1814 a sessant’anni anche Clemente Susini morì per una «febbre lenta, nervosa», era quella morte tante volte imitata che si prendeva la sua rivincita.
Enrico Pau
 
Collezione delle cere anatomiche di Clemente Susini. Cittadella dei musei in piazza Arsenale a Cagliari. Telefono: 070-6757627.
Dal martedì alla domenica: 9.00-13.00 e 16.00-19.00
Biglietto 1,50 euro
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 13 - Sassari
Architettura, stage in Spagna per gli studenti 
 
 SASSARI.  Oggi, all’hotel Catalonia Aragón di Barcellona, si aprirà il workshop al quale parteciperanno, insieme alle autorità catalane, il Responsabile Scientifico del progetto e preside della Facoltà di Architettura di Alghero Giovanni Maciocco e il vice preside della stessa facoltà Arnaldo Cecchini. A pochi mesi dalla fine del progetto Itaca giunge a compimento uno dei momenti più significativi del percorso formativo: lo stage all’estero. Le 15 classi coordinate dall’università di Sassari andranno a Barcellona in due tranche (un gruppo è già partito ieri e un altro partirà il 7 ottobre), per il workshop di otto giorni in Catalunya. L’incontro con le esperienze di qualità nel campo della gestione ed organizzazione del territorio e dell’ambiente realizzate in Catalunya offrirà spunti preziosi per una riflessione sulle possibilità ancora aperte nella gestione del territorio e per le opportunità di innovazione. Riflessioni che verranno elaborate, sintetizzate e applicate alla realtà della nostra isola durante il Laboratorio finale “Nuove Idee per la Sardegna”.
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Sardegna
Sardi e svedesi a caccia di anticorpi 
Dai laboratori Edx Diagnostic un innovativo test salvacuore del feto 
Nato nel Parco tecnologico di Pula, tra qualche settimana l’Apoc 200 verrà distribuito in tutto il mondo 
 
Due giovani biologhe sono indaffarate con un test di immunologia tra pipette, reagenti, peptidi sintetici ingegnerizzati, vetrini, sieri, microscopi e tutto ciò che deve esserci in un laboratorio scientifico. Sono Maria Luisa Tavera di Ittiri e Cinzia Melis di Cagliari. Camici bianchi, cuffie, copriscarpa in plastica celeste per lavorare in un ambiente igienicamente consono. Su una piastra “viene depositata la proteina” e l’esame inizia il suo corso. Uno dei tanti esami per arrivare e perfezionare un test salvacuore del feto. Test rivoluzionario, nel segno vero della prevenzione. Con una tecnologia medica si può infatti stabilire se una donna incinta può trasmettere al proprio figlio, attraverso la placenta, un auto-anticorpo di tipo reumatico che provoca quello che gli studiosi chiamano blocco cardiaco fetale. Meno di due anni di prove, di controlli, ed ecco il test Apoc 200.
 Il bimbo in seno alla mamma non viene per nulla coinvolto nell’esame. Bastano cinque millilitri di sangue prelevato alla madre in un centro specializzato (per adesso l’ospedale microcitemico e il Brotzu di Cagliari), i conseguenti esami e si conosce il risultato. La terminologia si fa specialistica perché - prima della “sentenza” - si parla di «dosaggio degli anticorpi e di sensori molecolari» per segnalare la presenza o l’assenza proprio di quegli stessi auto-anticorpi di cui si è detto. Un esame innovativo, unico al mondo, riservato in particolare alla donne affette da due malattie autoimmuni, il Les (lupus eritematoso sistemico) e la sindrome di Siogren. Un successo diviso tra la Sardegna e la Svezia dove (a Mora, 400 chilometri da Stoccolma) ha sede la Meadowland che sbarca nell’Isola e si insedia nel Parco tecnologico di Pula, a Sardegna Ricerche, padiglione 3, al centro dei boschi di Piscina Manna. Un test che tra poco, dall’insenatura del Golfo degli Angeli, viaggerà nel mondo. Dietro questo traguardo ci sono scelte politiche di ieri, visioni moderne della società nuragica, ma soprattutto storie esaltanti di eccellenze sarde che hanno studiato all’estero e, acquisito un bagaglio di competenze vere, sono tornate in Sardegna. Hanno attuato il back dopo il master. Ma ci sono anche imprenditori stranieri che hanno capito che in Sardegna si poteva arrivare per investire. Ecco l’integrazione.
 Ed ecco allora i protagonisti di questa storia scientifica e industriale sardo-svedese in un’azienda biotech di nome Edx Diagnostics. Non è la sola, certo. Ma è sufficiente per capire come anche le nozze fra il Mar Baltico e il Mediterraneo possono portare al successo.
 
Per riverire l’ospitalità ecco il ritratto di uno svedese doc, anche col nome riporta a quelli ai quali ci ha abituato Ingmar Bergman con i suoi film e i suoi attori. Si chiama Per Harry Rutger Lindstrom, ha 53 anni, biologo molecolare, baffi pizzetto e capelli scarmigliati sale e pepe. È nato a Burea. Nel 2003 una delegazione sarda del Parco di Pula va a presentare Polaris a Uppsala, nella delegazione c’è una psichiatra sarda, Monica Mameli che collabora con la nostra ambasciata a Stoccolma. Nel pubblico c’è anche Lindstrom nella sua veste di presidente della Meadowland Business Partners AB. È fra ai massimi esperti scandinavi nella commercializzazione di innovazioni nel campo della biomedicina. Sente parlare dei progetti della Regione, del Parco, dei laboratori, delle agevolazioni che può fornire la finanziaria Sfirs. Si va subito a nozze dopo il necessario periodo di corteggiamento. E il 27 luglio del 2005, nello studio cagliaritano di un notaio, nasce EDX Diagnostic, 77 per cento del capitale è svedese, il restante 23 per cento è della Sfirs che concede un finanziamento da 1,5 milioni di euro. Dice Lindstrom: «Noi - che abbiamo 32 brevetti - abbiamo investito circa 17 milioni di euro in proprietà intellettuale e oggi siamo pronti a presentare al mercato il primo dei nostri prodotti diagnostici, Apoc 200 appunto».
 
Nel frattempo Lindstrom si innamora della Sardegna. Da cuoco provetto impara a cucinare anche il maialetto arrosto, coltiva i suoi hobby nel progettare e rinnovare case, legge libri storici e ama i thriller scientifici, scia e fa trekking. Anche quando è a Pula inizia la giornata leggendo le email poi passa ai quotidiani on line, Wall Street Journal, New York Times ed Herald Tribune, in Svezia legge il quotidiano di economia Dagens Industri. In Svezia ha cinque cavalli («io con loro ci parlo», e si vola con la fantasia al film di Robert Redford e Scarlett Johansson). Quando è in Sardegna ama vedere i cavallini della Giara e ha seguito l’Ardia di Sedilo. Dice: «Siamo molto contenti di aver scelto l’Isola, la qualità della vita è onorata, e poi in Sardegna Ricerche abbiamo trovato un supporto valido, qui abbiamo personale specializzato con preparazione di altissimo livello».
 Direttore medico di ADX Diagnostic è Monica Mameli, la psichiatra che lavorava all’ambasciata italiana. La sua è un’altra di quelle pagine belle da leggere. E non solo perché è uno dei cervelli rientrati a lavorare in Sardegna. Monica ha 41 anni, nasce a Domusnovas, il padre Luigi commerciante, la madre casalinga, è la terza di quattro figli, il fratello Giancarlo lavora in un’azienda di giardinaggio, Efisio fa l’impiantista a Cuneo, Anna Rita è assistente all’infanzia a Iglesias. A Monica gli orizzonti si aprono già in terza elementare perché la maestra Maria Rosaria Peddis «ci insegnava l’inglese e ci diceva che bisognava conoscere e amare il nostro paese ma anche il resto del mondo». Liceo scientifico all’Asproni di Iglesias, alla maturità sceglie il tema sul pessimismo cosmico di Giacomo Leopardi ma è il poeta di Recanati che le dà la spinta per indagare, scrutare la mente umana. Un po’ di pessimismo le arriva anche da alcune vicende mediche, a Cagliari sbagliano del tutto una diagnosi e Monica non esita a iscriversi in Medicina e Chirurgia, ma alla Sapienza di Roma. Le piace la psichiatria, tesi sulla «melatonina in pazienti schizofrenici», 110 e lode ottenuto da Paolo Panchieri. Inizia la specializzazione e così sperimenta la validità del consiglio di maestra Peddis e passa tre mesi al Bronx di New York, «dove trovavo tanta umanità disperata e trascurata, abbandonata del tutto, Sì, c’erano i farmaci, ma quanti effetti collaterali producevano. È in questa fase newyorkese che decido di approfondire la ricerca di base sugli effetti dei farmaci nei pazienti. E penso di studiare e produrre un farmaco col minor numero possibile di effetti collaterali».
 C’è da fare il dottorato. Dove? Intanto a Roma. Che ha ottimi rapporti col Dipartimento di Neuroscienze “Bernard Brodie” di Cagliari diretto da Gian Luigi Gessa. La scelta va fatta fra gli Stati Uniti, il Regno Unito o la Svezia. Monica sceglie il vento del Nord e approda a Stoccolma, al Karolinska Institutet che ha i collegamenti internazionali giusti: negli Usa l’Albert Einstein University, il Montefiore Medical Center-Bronx Schizophrenia Unit a New York. Il Karolinska, tanto per intenderci, è quell’istituto che assegna ogni anno i Nobel per la Medicina. C’è poi il National Institute of Mental Health a Bethesda dove alcuni sardi hanno studiato a lungo (fra gli altri Mario Pirastu, direttore del Cnr di Tramariglio e del Parco Genos dell’Ogliastra). Il Karolinska è in contatto stretto con l’Istituto Pasteur di Parigi. «Stoccolma rappresentava l’espressione migliore, più avanzata della ricerca di base applicata alla clinica. Ero abituata a vedere nel mondo i pazienti schizofrenici sporchi, trascurati, talvolta maltrattati. Al Karolinska li vedevo puliti, seguiti, amati, passeggiavano in giardini fioriti. Là c’erano le case-famiglia, i pazienti venivano seguiti a domicilio, venivano incoraggiati a tornare alle loro case dove l’assistenza era comunque garantita. Io conoscevo già bene il metodo Basaglia molto apprezzato anche in Svezia. Ma là c’erano i mezzi per attuare quella rivoluzione, da noi no».
 A Stoccolma Monica si trova bene. Conosce il marito, Per Engvall, medico pure lui, primario dell’emergenza psichiatrica. Si sposano ma non hanno figli. Spiega: «Ero un po’ avvolta dal pessimismo cosmico. Dovevo decidere se avrei potuto dare tutta me stessa a un figlio o meno. Non me la son sentita, ero piena di dubbi, eppure sono una femminista convinta, sostengo le mamme lavoratrici». Casa e professione. Dieci anni tra i malati mentali, in Svezia e negli Stati Uniti, in Francia e in Inghilterra. Pensa sempre a quei farmaci che non siano “pesanti” per i malati di mente. Collabora soprattutto col Pasteur di Parigi, crea un set-up di elettrofisiologia in vivo. «Al Pasteur avevano i topolini transgenici, noi al Karolinska no, creiamo un trait-d’union e la ricerca va avanti». Monica passa dalla teoria alla pratica, dai laboratori all’assistenza diretta agli schizofrenici. I suoi studi vengono pubblicati su Nature e Neuron.
 
E in questa fase che arriva a Stoccolma la delegazione di Polaris che vuol calamitare investimenti in Sardegna. Monica è tra gli speaker scientifici. Molte aziende ascoltano. Tra i più attenti c’è Per Lindstrom. Da cosa sta per nascere cosa. Quand’ecco che proprio su Nature, anno 2005, Polaris pubblica un bando con una selezione per assegnisti di ricerca e borse di studio. A Monica non sembra vero. Invia il curriculum e la chiamano. La seguono a ruota Maurizio Olla dall’Australia, altri giovani ricercatori sardi dal Canada e dagli States. Tra Monica Mameli e Lindstrom si saldano i rapporti. Ed ecco il back, direttore medico a Pula. La prima sperimentazione è riservata alla prevenzione dell’infarto congenito del feto. «Siamo gli unici a farlo - dice Monica -. La produzione avviene in Svezia, la sperimentazione è in parallelo al Karolinska Institutet, tra qualche settimana partirà l’applicazione in Sardegna».
 Edx Diagnotics si avvale di trenta professionisti tra dipendenti e consulenti. Il sessanta per cento sono sardi come Maria Luisa Ravera e Cinzia Melis. Cinzia ha lavorato tre anni all’estero, a Clermonnt in Francia, Maria Luisa ha fatto i suoi stage a Bergamo e Milano. «Qui ci troviamo bene», dicono. Massimo Magno è napoletano, ha sposato Monica Musio di Barumini, è dell’area manager: «Fra due, tre settimane il nostro test sarà disponibile sul mercato. Stiamo sensibilizzando le persone a questo tipo di patologia, stiamo creando - per dirla con i francesi - un mouvement d’eprit, la prevenzione ne ha bisogno». In un ufficio discutono Lindstrom e Monica Mameli. Quale è il futuro della ricerca in Sardegna? Monica: «Siamo già nel futuro, i cervelli ci sono, occorre poter arrivare al prodotto finale, occorre non chiudersi, dialogare e confrontarsi col mondo, pronti ad accogliere le critiche altrui per crescere insieme». Lindstrom: «La Sardegna è bella, vivibile dodici mesi all’anno, deve continuare a investire nella ricerca, nella valorizzazione dei cervelli, è la strada giusta». Ma Monica Mameli Engvall sta meglio in Svezia o in Sardegna? «In Svezia ci vorrebbe un po’ di Sardegna, in Sardegna ci vorrebbe un po’, anzi più di un po’ di Svezia, sarebbe stupendo».
 
 
 

 

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