Lunedì 28 maggio 2007

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
28 maggio 2007
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 7 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda, La Nuova Sardegna e Il Sardegna

1 – L’Unione Sarda
Cultura Pagina 11
Parlare in sardo, l’orgoglio dell’identità
 
Vi era una diffusa opinione secondo la quale il sardo fosse parlato soltanto nei paesi dell’interno ed in alcune situazioni della comunità. E che, ormai, la lingua dominante e pressoché esclusiva fosse l’italiano. In verità questa era un’opinione soprattutto della cultura ufficiale, per esempio dell’università e degli intellettuali urbani. Perché nella esperienza comune di ascolto, nei vari ambienti della stessa città di Cagliari, spesso si sente parlare in campidanese e nelle altre varianti del sardo: per esempio, negli ospedali, nei bar, nei luoghi di divertimento, nella famiglia, nell’incontrarsi tra amici. Tuttavia questa evidenza veniva mascherata, perché considerata espressa in settori marginali, che non sembravano dimostrativi di una vera identità linguistica diffusa. Due anni fa la Fondazione Sardinia ha fatto una ricerca su "Identità, cultura e lingua sarda", somministrando un questionario a 500 studenti del triennio del liceo classico Siotto e dell’istituto tecnico Giua. I risultati sono stati strabilianti perché, invece, è risultato che il sardo veniva parlato in molti momenti della giornata, assieme all’italiano, pure utilizzato in altri tempi e luoghi. Nell’insieme, si rilevava un forte sentimento di identità linguistica, che si riteneva inesistente presso i giovani dai 15 ai 18 anni. Poi, una ricerca più organica e più documentata, effettuata dalla facoltà di Scienze politiche di Cagliari e dalla facoltà di Lettere di Sassari, su un campionario di 2500 persone dei diversi strati sociali, ha confermato quei dati. Risulta che il 68,4 per cento, e più, dei sardi, parlano, ascoltano o comprendono la lingua sarda; il 29 % la comprende, però non la parla; soltanto il 2,7 del totale non la parla né la capisce. La realtà verificata nella ricerca contrasta fortemente con l’opinione della cultura ufficiale che, invece, sempre in difesa dell’italiano, dava il sardo come una lingua ormai all’estinzione. Si pongono, quindi, questioni interpretative, che domandano decisioni conseguenti. Come si dice nella ricerca universitaria, non c’è più un atteggiamento di vergogna, ma cresce invece il motivo di orgoglio. È venuto meno quel complesso di inferiorità legato alla lingua, che la poneva in modo residuale e passatista. Nonostante che la difesa della lingua - nel senso del parlarla, dello scriverla, dell’insegnarla - sia stata finora piuttosto modesta. Si lega al ricupero di identità, in atto da noi come in tutto il mondo occidentale, dato che la lingua rappresenta il dispositivo più importante e decisivo per entrare nel discorso dell’identità. Non è forse questo il motivo che tutti i partiti politici - a torto, a ragione, talora persino fuori luogo - prendono a prestito in Sardegna  “l tema di arrivo della nostra politica e della cultura”?. È difficile oggi immaginare un’identità sarda escludendone la lingua. Può essere interessante, quindi, osservare - seguendo le elaborazioni dei numerosi scritti ed interventi di Bachisio Bandinu - come si sia passati da questo complesso di inferiorità ad un motivo di accettazione, addirittura di orgoglio. Evidentemente nei rapporti tra globalità e località, tra il locale ed il globale, ci si è accorti che oggi il locale non è considerato una realtà del passato, sorpassata rispetto alla modernità ed alla globalizzazione. Oggi la globalità si declina totalmente nel locale. Cioè, se non si è totalmente locali, non si può essere globali. In fondo, la nostra economia si risolve nella dimensione territoriale delle risorse locali. Ed un prodotto tanto più viene caratterizzato localmente, in senso identitario, tanto più trova spazio nei mercati e nella comunicazione globale. Questo discorso economico, questa coscienza dei valori della nostra Isola come valori materiali - coste, bellezze interne, monumenti, archeologia, arte, romanzi, cinema, musica, artigianato, prodotti agro-alimementari - ha portato alla nostra coscienza di essere e all’orgoglio di appartenere. Prima, si verificava un processo di rimozione, che allontanava ogni esposizione identitaria. Ora, invece, se ne è colta l’importanza. Non sono però dei valori necessariamente contrastanti rispetto ad altri. Ma si affiancano agli altri. Cioè, uno suona le launeddas, canta a tenores, ed allo stesso tempo gode della musica jazz o della musica rock. Non, quindi nella logica dialettica e sottrattiva, per cui uno esclude l’altro, come se il sardo rubasse qualcosa all’italiano, o viceversa. Ma in quello aggiuntivo - dovremmo conoscere di più il sardo, di più l’inglese e più l’italiano - secondo la dimensione della rete, cioè delle forme modulari aggiuntive, orizzontali, dei processi di relazione. Ancora, a proposito della nostra antica vergogna e del nuovo orgoglio. C’è una motivazione storica, che si può leggere lungo il percorso della vicenda sarda, di un popolo sottomesso. È difficile che un popolo sottomesso, a lungo andare, faccia della sua identità un processo attivo e dinamico. Può succedere, in certi momenti, ed anche in Sardegna è successo. Quando si è preso coscienza e si è reagito alla dominazione esterna. Normalmente le popolazioni riflettono il complesso di inferiorità delle loro classi dirigenti, che spesso non sono altro che i rappresentanti locali della dominazione esterna. Il loro grande sogno è andare alla corte del re, di Madrid o di Torino. Il popolo riflette, come uno specchio, quella sottomissione. In più c’è un complesso di inferiorità più profondo, quando il sottomesso rimugina la propria sottomissione, ma la sfoga sul proprio simile, in un processo di invidia, di reciproco controllo e di aggressività. La situazione di sudditanza porta ad odiare il concittadino, il fratello. E questa sudditanza la dilata su tutti gli aspetti espressivi della sua vita e dei suoi comportamenti, concreti, immaginari, linguistici, simbolici e così via. Tutto questo oggi è mutato profondamente. Il processo di globalizzazione, paradossalmente, ha creato questa coscienza. Perché agisce su due versanti. Uno è quello di inglobare e di standardizzare, l’altro è, attraverso i meccanismi di difesa, di produrre diversificazione, motivi di autonomia, di indipendenza e di coscienza di sé. È sotto gli occhi di tutti quanto sia risultato utile lo "sguardo degli altri" per farci apprezzare in maniera più convinta ed innovativa tutto ciò che ci appartiene, che si tratti dei tenores e delle launeddas o del nostro patrimonio naturale. Se le istituzioni parlano in sardo, se gli intellettuali parlano pubblicamente in sardo, se i giornali e le televisioni cominciano a parlare, con stile, con misura, in sardo, avviene che la coscienza popolare si forma e prende consapevolezza di se stessa. Se diremo, nella pedagogia scolastica, che parlare in sardo e parlare in italiano è una forma additiva di ricchezza reciproca e di scambio vicendevole, faremo un regalo ai nostri ragazzi. Faremo, soprattutto, il nostro dovere. Di genitori e di adulti.
Salvatore Cubeddu
 
2 – L’Unione Sarda
Provincia Sulcis Pagina 16
Venti studenti del Sulcis accedono alle finali
A Milano alle olimpiadi di matematica grazie al contributo della Provincia
 
Gareggeranno all’Università Bocconi di Milano per i Giochi Internazionali di matematica a spese della Provincia di Carbonia Iglesias. L’ente guidato da Pierfranco Gaviano ha, infatti, deciso di erogare un contributo a favore di quegli studenti delle scuole superiori che hanno conquistato l’accesso alla finale in questa importante competizione nazionale e che rischiano di dovere rinunciare perché non possono pagarsi il viaggio. Si tratta di un torneo per appassionati degli esercizi di matematica durante il quale, almeno a livello regionale, il Sulcis ha letteralmente dominato. E non è la prima volta che accade. Su 67 finalisti, una ventina di ragazzi provengono infatti dalle scuole del territorio e in particolare da Carbonia. Alcuni di loro, tuttavia, non possono permettersi di affrontare le spese di viaggio, vitto e alloggio. La Provincia, nel corso dell’ultima riunione di Giunta, ha perciò deliberato di erogare un contributo agli Istituti scolastici che prenderanno parte alle finali nazionali. Nei giorni scorsi, sempre in tema di scuole, la Provincia ha inoltre deciso di approvare una convenzione che disciplina, offrendo maggiori autonomie, la gestione economica di ciascun Istituto scolastico. I fondi messi a disposizione dalla Provincia verranno d’ora in poi gestiti in maniera indipendente dai presidi e dai direttori, ma soltanto per alcuni capitoli di spesa. I finanziamenti da controllare autonomamente serviranno ai dirigenti scolastici, ad esempio, per la manutenzione ordinaria degli istituti e l’acquisto di arredi. (a. s.)
 
3 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari – pagina 13
24 ore – altre notizie
Convegno, acqua e aree minerarie
 
Da oggi, dalle 8,30, all’hotel Mediterraneo, è in programma un simposio internazionale su “L’acqua negli ambienti minerari”. Il convegno è organizzato dal gruppo di Geochimica e Mineralogia del dipartimento di Scienze della terra dell’Università. Info: 070/6757724, 338/1245531. 

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Sardegna  
Agraria, la scelta di premiare solo capacità e competenze   
Affidato alle mani esperte degli studiosi dell’università di Viale Enrico De Nicola di Sassari il futuro verde dell’isola
     
Il più felice di tutti è il preside di Agraria, Piero Luciano, 55 anni, «gallurese doc di Sant’Antonio di Gallura», professore di Entomologia, scienza che studia gli insetti. Mai come oggi l’agricoltura sarda è stata affidata a chi ha studiato, a chi si è laureato, a chi insegna in questa facoltà di Sassari. Sono state istituite tre nuove Agenzie verdi? Ebbene, Agraria ha fatto l’en plein. Ai loro vertici ci sono solo ed esclusivamente agronomi proclamati «dottori» a Sassari e apprezzati nel mondo accademico. Potrebbe essere il New Deal, la nuova Riforma Agraria. Speriamo, perché saranno proprio i tecnici e gli studiosi usciti dalle aule di viale Enrico De Nicola a disegnare il futuro verde della Sardegna, a occuparsi di vitigni e olio, di fattorie didattiche e sviluppo locale, ma soprattutto di allevamento, zootecnia, dei nostri prodotti agroalimentari. Dovranno mettere l’Isola in grado di produrre di più e meglio accettando la sfida della competizione nazionale e internazionale. Riusciremo allora - fra tre, fra cinque anni - a trovare negli scaffali dei supermercati le pere sarde, o dovremo continuare a importarle dall’Argentina? Dovremo mangiare sempre - come sta avvenendo da alcune settimane in tutta l’Isola - le nespole e le fragole spagnole? Anche le albicocche arrivano da oltreTirreno. Le arance del Sarrabus e del Monte Linas sono pressoché finite e in bottega si comprano ormai quelle importate dalla Sicilia. E l’elenco del carrello della spesa oltre Gennargentu potrebbe essere infinito.  Si attende la svolta perché chi passa le sue giornate in campagna non se la cava bene. E i dubbi - dopo le delusioni del passato - sono più che legittimi. Certo è che una direzione di marcia è stata invertita. I tre nuovi enti agricoli chiamati Agenzie, senza consigli d’amministrazione lottizzati, senza tiraemolla fra partiti e le loro mille correnti, hanno mandato in soffitta quelli troppo numerosi istituiti nella Prima Autonomia. La politica li ha affidati proprio a docenti o comunque a «dottori» usciti dall’ateneo sassarese. Verrebbe da dire che le competenze sono state prima individuate e poi premiate. Ecco perché il preside Luciano non sta nei suoi panni. «Tutta la facoltà è orgogliosa dei riconoscimenti che le stanno arrivando. Noi auspichiamo una più serrata collaborazione con tutti gli enti di ricerca e con quelli che si occupano di assistenza tecnica. Spero che i rapporti diventino quotidiani, che i nostri studenti possano frequentare le nuove Agenzie, che gli specialisti delle Agenzie tornino nelle nostre aule». Luciano esterna un sogno: «Pensiamo che sia necessaria l’istituzione di un polo agro-veterinario a Bonassai di comune accordo con la Regione. Può essere questa la carta vincente per l’agricoltura sarda». Si riuscirà davvero a capovolgere il fragile status quo dei nostri campi sempre in crisi? Si riuscirà - soprattutto - a far dare la giusta remunerazione a quelli che ogni giorno imprecano per il prezzo semioffensivo del latte ovino, per gli ortaggi pagati una miseria quando vengono prelevati dall’orto?  Riepilogo breve delle puntate precedenti. Giuseppe Pulina, 51 anni, sassarese nato nel rione San Nicola e ora residente a Porcellana, sarà il number one di Agris, agenzia che unificherà i due ex consorzi interprovinciali per la frutticoltura, il suo ex clone Cras (centro regionale agrario sperimentale), la Stazione sperimentale del sughero di Tempio e l’istituto zootecnico e caseario di Olmedo-Bonassai, quello dove è nato il formaggio molle quadrato, quello che prima degli scozzesi aveva sperimentato con successo le prospettive della clonazione delle pecore, quello che aveva abituato i pastori a timbrare il cartellino. C’è poi la Laore, che subentra all’Ersat ex Etfas, e dovrà «attuare i programmi in campo agricolo e per lo sviluppo rurale». Questa agenzia - destinata ad avere un ruolo centrale - è affidata a un altro ex professore di Agraria, Giancarlo Rossi, 65 anni, docente storico di Zootecnia generale a Sassari con un intervallo di cinque anni a Pisa e altri quattro anni a Roma come dirigente dell’Istituto sperimentale di Zootecnia al ministero per le Risorse agricole. E c’è poi l’Argea, cassaforte e banca verde, definita come agenzia regionale di erogazione in agricoltura. Questo ministero con portafoglio è stato affidato a Gianni Ibba, uno che l’agricoltura sarda la conosce dal Sulcis alla Nurra, il più giovane del trio, 46 anni, di Sardara, prima insegnante, dal 1990 all’Ersat «come vincitore di concorso». Non basta. Sono laureati in Agraria anche i direttori generali dell’assessorato all’Agricoltura, Alfonso Orefice (campano di nascita e sardo acquisito) e quello dell’assessorato all’Ambiente Alessandro De Martini, di Thiesi. Questi magnifici cinque agronomi riusciranno a incidere in una struttura burocratica regionale da sempre pachidermica e farraginosa?  È presto per dirlo. Anche perché il passaggio dal vecchio al nuovo non sarà né facile né indolore. Ma la buona volontà non manca. E - soprattutto - ora ci si misura con i «competenti». Proviamo a leggere nel loro curriculum. A partire dal più giovane del trio, Gianni Ibba, che la macchina regionale conosce bene. Così come conosce bene la vita dei campi essendo figlio di un ex allevatore di vacche poi convertito quasi all’artigianato artistico visto che papà Ibba costruisce - ancora oggi ottantenne - carri a buoi e calessi. Ibba jr, tra una lezione e l’altra, costituisce una cooperativa giovanile per produzioni orticole in serra, sperimenta con successo la coltivazione del babàco, un frutto tropicale. Lascia la coop agli altri soci per passare all’attuale Ersat. Nel 1994 è tra coloro che elaborano il primo programma agro-ambientale.  E adesso che fare? «Ridurre il concetto sociale legato all’agricoltura e favorire un approccio più economico, più imprenditoriale». Traguardo raggiungibile? «Sta crescendo la professionalità dei nostri operatori, molto più di prima si affidano a esperti, i risultati verranno». Potremmo competere con l’agricoltura bavarese o emiliana? «Certo, occorre combattere l’individualismo e favorire al massimo le aggregazioni fra i produttori, da soli non si va da alcuna parte. Dobbiamo mantenere l’identificazione della nostra offerta, il nostro carciofo spinoso - solo per fare un esempio - deve continuare a essere tale per avere i riconoscimenti del mercato europeo». Lei sarà una sorta di ufficiale pagatore di allevatori e contadini? «Dovrò erogare i finanziamenti in base a progetti validi, le risorse vanno indirizzate bene per riportare l’agricoltura anche nelle zone interne non irrigue».  Giancarlo Rossi la vita bucolica l’ha conosciuta in famiglia, il padre Mario proprietario di terre nella Nurra, mamma Emma Contu originaria di Jerzu, il paese del cannonau. Liceo Azuni a Sassari, studia ad Agraria che - sorta nel 1946 - si è già imposta come una delle facoltà di punta in Italia, tesi su due cereali estivi (sorgo e pennisetum) con Raffaele Barbieri. Laureato a febbraio del 1965, il primo aprile dello stesso anno è assistente volontario di Zootecnia con Mario Lucifero, passa all’Igiene zootecnica, all’Anatomia e fisiologia degli animali domestici, cinque anni a Pisa, nell’84 diventa ordinario, è lui a proclamare dottore in agraria Gianni Ibba, lo chiamano al ministero. Collabora con università europee e americane. «Nel ’99 mollo tutto e divento allevatore a tempo pieno». L’azienda è a La Corte, tra Sassari e l’Argentiera. Nelle stalle mucche di razza frisona, quelle da latte, è tra i soci della 3A di Arborea. Che farà un professore-allevatore oggi manager per la pubblica amministrazione? «Nel settore ovino vanno organizzati i produttori, devono avere la capacità di controllare l’andamento del mercato, di garantire la qualità già oggi elevata dei prodotti, saperli commercializzare. Ci muoveremo in questa direzione».  C’è un guaio: la Sardegna, terra per eccellenza di allevatori, importa ancora sette bistecche su dieci dalla penisola o dall’estero. Meno male che tra Seneghe e Santulussurgiu hanno saputo valorizzare il bue rosso. Ma per le altre carni l’import è una condanna eterna? Il professor Rossi sa che la sfida è difficile. «Sì, è vero che il 70 per cento circa delle carni consumate è di importazione anche se avvengono cose strane: le vacche partono da qui e vengono macellate fuori dall’Isola perché da noi i costi di macellazione sono elevati e così rientrano come fossero di produzione nazionale e non sarda. Macellare un bovino adulto in Lombardia costa 50 euro, da noi più di cento, tale differenziale pesa non poco. Visto però che da noi la qualità è elevata, dobbiamo avere i marchi che qualifichino le produzioni. Ma occorre ridurre i costi di ogni fase di lavorazione per rendere remunerativo il lavoro di chi sta in campagna. Se non garantiamo convenienza economica la gente scappa sia dalle stalle che dagli orti. Ma voglio essere ottimista, i nostri prodotti possono acquistare un buon valore aggiunto a favore degli allevatori. Dobbiamo imparare a produrre a prezzi decenti».  È professore ad Agraria anche Giuseppe Pulina che si laurea nel 1979 con Pietro Piccarolo, tesi sulle energie alternative in agricoltura. Fa vita da campo. A Berchidda dirige la porcilaia «Quattro mori», a Osilo organizza una cooperativa di disoccupati per l’allevamento dei polli, lavora otto anni all’Ersat come funzionario istruttore fra Tempio e Thiesi, all’università insegna genetica, nel 1999 diventa ordinario di Zootecnia speciale, ampia produzione scientifica su riviste internazionali, è visiting professor a Leeds nell’West Yorkshire, a Perth nell’Australia occidentale, alla Cornell University nello Stato di New York. Che farà Pulina nella neonata Agris? Si occuperà soprattutto di ricerca scientifica «per rispondere efficacemente e velocemente a una domanda di innovazione da parte delle imprese di produzione e di trasformazione. Lo dobbiamo fare - giusto per citare qualche esempio concreto - per i produttori di tappi di sughero, per gli allevatori individuando i parametri di resa per la caseificazione, per i viticoltori. Dobbiamo dare eccellenza scientifica ai nostri agricoltori». Sta cambiando qualcosa in campagna? «Una tendenza negativa si è già ribaltata. Negli anni abbiamo assistito a una riduzione drastica delle aziende agricole, passate da centomila alle 45 mila di oggi. Ma gli imprenditori sono più capaci, si tratta di accompagnare questa fase di cambiamento». E il prezzo-ossessione del latte di pecora? «Non esiste un prezzo, ma tanti prezzi a seconda della qualità del latte».  Ottimista o pessimista? «Se ottimista non fossi non sarei in questo posto. La Sardegna dei campi produce più di prima. Occorre garantire all’imprenditore agricolo il guadagno, la convenienza economica sia tra ortaggi e frutta che tra latte e bistecche di pecore e di vacche». 
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 15 - Cronaca  
Due alunni della Pais brillano alla gara organizzata dalla Bocconi   
Giochi matematici, che passione    
 
OLBIA. Invece che a pallone preferiscono giocare con i calcoli matematici. Marco Mele e Loris Demuro, alunni delle classi prima C e prima D della scuola media Ettore Pais sono piccoli campioni dei numeri.  Nella competizione “Giochi matematici” organizzata dall’università Bocconi di Milano hanno ottenuto rispettivamente il sesto e ottavo posto. Strateghi dei calcoli e delle intuizioni logiche i due scolari hanno conquistato la partecipazione alla finali nazionali del campionato studentesco. Il 16 maggio hanno messo alla prova la loro abilità mentale nella gara di Sassari.  La scuola media Deledda li ha premiati come vincitori delle semifinali provinciali. Titolo che è valso ai due la partecipazione alle finali nazionali. I campioni olbiesi si troveranno davanti i migliori alunni delle altre regioni italiane.  Una sfida mentale fondata su intuito, abilità e ingegno. Marco e Loris hanno allenato i neuroni nel corso dell’anno. Un lavoro di squadra che ha premiato i bambini, i docenti che hanno curato la preparazione dei bambini e tutto l’istituto diretto dal preside Giuseppe Pinna. (se.lu.) 
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 7 - Sardegna  
Malessere anti-riforma tra gli psichiatri sardi   
Alghero. Critiche alla possibile separazione dei Centri di salute mentale dagli ospedali   
Contestazioni al nuovo piano sanitario regionale «Troppi passi indietro, così si riaprono i manicomi»      
 
ALGHERO. Nessun mistero: nell’isola c’è aria di sommossa strisciante fra i camici bianchi che curano il disagio mentale. Molti psichiatri non condividono il nuovo piano sanitario. E altri medici impegnati in compiti di supporto al delicato settore la pensano come loro. Gli ultimi squilli di rivolta arrivano dalle ovattate sale dell’Hotel Catalunya, nel centro di Alghero. Proprio qui, dove ieri si è chiuso il decimo congresso nazionale della Società di psichiatria forense, si è assistito a un crescendo di proteste.  Sussurri e grida. Intendiamoci: il tema aveva poco a che fare con gli argomenti ufficiali al centro delle discussioni scientifiche nell’appuntamento ancora una volta promosso ad Alghero dal docente Gian Carlo Nivoli, ma il convegno ha rappresentato uno spunto per consentire a parecchi di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Diversi i motivi di opposizione (almeno da parte di una fetta di categoria: gli specialisti d’accordo con i progetti in corso d’opera esistono e tanti di loro lavorano già con estrema convinzione).  Ecco il lungo elenco dei capi d’accusa stilato dai contestatori. Scelte neodirigiste calate dall’alto. Assimilazione di modelli, come quello di Trieste, giudicati estranei all’isola. Mancanza d’integrazione fra i Centri di salute mentale e le divisioni di medicina generale. Scarsa attenzione verso patologie considerate meno gravi come ansie, disturbi alimentari, depressioni. Sbilanciamenti delle terapie: troppa attenzione al versante sociale, poca a quello bio-psichico. Infine, l’imputazione più pesante di tutte: «Si fanno rinascere i manicomi: e qualcuno sostiene pure di poterlo fare citando Basaglia, il padre della legge che quei lager ha fatto chiudere trent’anni fa».  Così negli ultimi giorni, sulla Riviera del corallo, fra una relazione e una conferenza, le critiche ai piani dell’assessore Nerina Dirindin prendono consistenza. Ma pochi accettano di parlare con nome e cognome. La gran parte degli specialisti opera in reparti ospedalieri: in mancanza di un’autorizzazione esplicita delle Asl, è tenuta a una rigida consegna del silenzio. Tra i professionisti che non possono temere conseguenze (disciplinari, e non solo) ci sono invece parecchi docenti universitari, oltre a numerosi esperti di peso.  Fra loro, il presidente della Società italiana di psichiatria, Mariano Bassi, da tempo attento alle problematiche dell’isola. E poi Liliana Lorettu, professoressa nella facoltà di medicina sassarese, ai vertici della Società sarda di psichiatria e di quella nazionale di psichiatria forense. Organizzazioni che, come sottolineano i loro contro-oppositori, raccolgono e rappresentano porzioni di un universo professionale più vasto e articolato.  Spiega Mariano Bassi: «Le prove scientifiche finora raccolte in tutto il pianeta, i pareri dell’Organizzazione mondiale della sanità, i giudizi dell’Associazione internazionale di psichiatria concordano su un punto molto chiaro: i nostri pazienti necessitano di una cura bilanciata. Che cosa significa? È semplice: per le terapie c’è bisogno tanto delle strutture ospedaliere quanto delle strutture sul territorio». Aspetto chiave, dunque, visto che il nuovo piano regionale viene ritenuto da molti operatori sardi piegato verso la rete sul territorio a svantaggio dei nosocomi. «Eppure proprio gli ospedali sono gli unici a permettere una valutazione di casi complessi in un ambiente adeguato - prosegue Bassi - Anche perché le malattie delle quali ci occupiamo noi possono essere spesso accompagnate da altre di natura essenzialmente organica».  Il presidente della Società italiana di psichiatria ricorda come, dalla Legge 180 fino a oggi, l’assistenza abbia correttamente dato priorità alle patologie più preoccupanti. Non si parla soltanto di schizofrenia, psicosi, disturbi della personalità. Nel novero vengono inserite altre forme gravi. Tutte sicuramente fra quelle da curare secondo i piani della giunta regionale. Bassi rammenta però che dagli amministratori, negli ultimi tempi, è arrivato un ulteriore preciso input: seguire in parallelo pazienti di genere differente, come immigrati, detenuti, tossicodipedenti con problemi di emarginazione. «Ma per assisterli tutti sono indispensabili uomini e risorse che evidentemente oggi mancano - è la conclusione - E che succederà dei restanti ammalati se non ce ne preoccuperemo allo stesso modo dei casi gravi? Sono le statistiche a dirci che il 70% dei nostri pazienti soffre di ansie, depressioni, disturbi a torto considerati meno importanti. Dove andranno a farsi curare, loro? La risposta è chiara: se mancheranno i finanziamenti pubblici, non potranno che rivolgersi ai privati. Una politica sbagliata: ecco perché penso che le Regioni non possano fare ciò che meglio credono ma debbano raccordarsi alle normative quadro nazionali. Diversamente c’è il rischio di creare sperequazioni tra gli stessi malati sulla base dei luoghi di residenza».  A entrare ancor più nello specifico del sistema sanitario dell’isola, la presidente della sezione sarda della Società nazionale di psichiatria. «Nel varare il nuovo piano regionale non si è tenuto conto delle opinioni né degli operatori al lavoro sul territorio né delle nostre specificità - afferma Liliana Lorettu - In sostanza troppe volte è stato detto: “Non potete che essere d’accordo su ciò che proponiamo”. Allora io domando: come si fa condividere la riapertura di Villa Clara a Cagliari? come si può pretendere che i pazienti più anziani tornino nel loro vecchio manicomio? come si può tollerare che Centri di salute mentale aperti 24 ore su 24 siano collocati al di fuori da un complesso ospedaliero?». La docente non si spiega poi aspetti che considera altrettante lacune nella riforma appena predisposta. «Perché non una persona colpita da ictus o affetta da tumore non può aver bisogno anche del nostro aiuto?», si chiede. E in chiusura sottolinea: «Il Friuli Venezia Giulia è l’unica regione italiana nella quale è prevista la sistematica delocalizzazione dei centri di salute mentale rispetto agli ospedali. Nell’isola si copia. Ma non esiste alcun dato scientifico che questi criteri diano davvero ogni granzia necessaria nelle emergenze. La verità è invece che si vuole allontanare la psichiatria dalla medicina generale».
Pier Giorgio Pinna  
 
1 – Il Sardegna
Grande Cagliari – pagina 28
Cittadella universitaria
Giornata in ricordo del professor Rinaldi 
 
Promossa dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche si terrà oggi alle 9, nella nuova aula congressi della Cittadella di Monserrato, una giornata in ricordo del Prof. Augusto Rinaldi., i colleghi partecipano dedicandogli un eXcursus sui temi di ricerca del Dipartimento.     

Questionario e social

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