Martedì 13 marzo 2007

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
13 marzo 2007
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 2 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  

 
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 37 - Cultura e Spettacoli
LE INIZIATIVE 
Una seduta del Consiglio e l’omaggio degli studiosi 
Seduta speciale del Consiglio provinciale del Medio Campidano, oggi alle 11 a Casa Zapata di Barumini, dedicata a «L’opera di Giovanni Lilliu per la valorizzazione del patrimonio archeologico del Medio Campidano». All’incontro interverranno il Governatore Renato Soru, il presidente del consiglio Regionale Giacomo Spissu, l’arcivescovo di Oristano Ignazio Sanna, Graziano Milia, Emilio Floris, i rettori dell’Università di Cagliari e Sassari, il presidente dell’Accademia dei Lincei Giovanni Conso e i 28 sindaci dei comuni del territorio. È il primo atto di un omaggio a Lilliu nel giorno del suo anniversario, al quale seguirà, alle 16,30, l’incontro su «Giovanni Lilliu, l’archeologo» con la presentazione della ristampa del volume «Il nuraghe di Barumini e la stratigrafia nuragica» a cura della Delfino. A presentare il volume sarà Alberto Moravetti. Interverranno: Vincenzo Santoni, Soprintendente archeologo per Cagliari e Sassari, Ercole Contu, Enrico Atzeni, Giuseppa Tanda, Giovanni Ugas e l’assessore regionale Carlo Mannoni. Coordina l’editore Carlo Delfino.
 Sabato 24 alle ore 17 tavola rotonda su «Giovanni Lilliu tra identità e autonomia». Interverranno: il senatore Francesco Cossiga, Francesco Cesare Casula, Gianmario Selis, Paolo Maninchedda e Salvatore Cubeddu. Copordina Giorgio Murru. Venerdì 30 marzo infine si parlerà di «Giovanni Lilliu, scrittore, saggista, giornalista» con Giuseppe Marci, Paolo Pillonca, Stefano Del Re, direttore de «La Nuova Sardegna», Alberto Contu, Gianni Filippini, Franco Siddi, presidente della Fnsi e Manlio Brigaglia.
 
Pagina 37 - Cultura e Spettacoli
Giovanni Lilliu, per un’autonomia senza compromessi 
Il grande intellettuale e archeologo sardo compie oggi novantatré anni. Il suo cammino, dagli scavi e le ricerche sulla civiltà nuragica sino all’Accademia dei Lincei 
di Guido Melis
I 93 anni di Giovanni Lilliu mi sembrano una buona occasione per riflettere sul ruolo che gli intellettuali (un certo tipo di intellettuali) hanno avuto nella Sardegna del secondo Novecento.
 Ho riletto negli ultimi giorni la bella raccolta di articoli di Lilliu pubblicata nel 1995 da Alberto Moravetti per i tipi di Carlo Delfino; ed anche gli scritti più “politici”, antologizzati sotto il titolo «La costante resistenziale sarda» nella edizione Ilisso curata da Antonello Mattone. Ne ho tratto ancora una volta l’impressione vivissima della straordinaria capacità di Lilliu di impersonare il suo ruolo di maestro dell’archeologia senza mai distaccarsi, però, dalla passione civile e politica, dal sentimento profondo e mai tradito di appartenere alla “civiltà dei Sardi”.
 Nato nel 1914 a Barumini, laureato a Roma nel 1938, Lilliu fa parte della generazione di intellettuali sardi che avevano 30 anni alla caduta del fascismo e poco più di 40 ai tempi della Rinascita. Antonio Pigliaru (nato nel 1922) era più giovane di lui di otto anni. Sebastiano Dessanay (nato nel 1902) più anziano di dodici. Beppe Dessì (del 1912) quasi coetaneo. Formatosi a contatto con i centri più avanzati della ricerca nelle discipline antichistiche, Lilliu, come altri giovani intellettuali del Novecento, volle però ritornare, quasi obbedendo a un dovere morale, nella sua regione d’origine. In una Cagliari devastata dai bombardamenti, in un’università sarda forzatamente disertata dai suoi docenti “continentali”, intraprese la carriera accademica accompagnandola per un lungo tratto con il generoso impegno di funzionario della soprintendenza alle antichità.
 C’è un ricordo di lui in quei primi anni, scritto - dice bene Antonello Mattone - “con un pizzico di cattiveria” dall’ex collega universitario Ernesto Sestan, che lo ritrae “piccolo, nero, brutto”, “copia conforme dei bronzetti sardi che erano la sua specialità”: l’eterno cliché del sardo autoctono, insomma, come lo avevano tramandato le pagine dei sociologi positivisti d’inizio secolo. Sardo in effetti Lilliu è rimasto per sempre, e intimamente, anche quando i riconoscimenti scientifici gli hanno attribuito un posto di rilievo nella cultura nazionale ed internazionale, anche quando i suoi scritti sono stati tradotti nelle principali lingue del mondo divenendo testi di studio nei grandi centri della ricerca archeologica in Europa.
 Del resto eminentemente sardo è l’oggetto stesso della sua ricerca, quella civiltà nuragica che il professore più di tutti ha contribuito a scoprire, sulla base di serrate campagne di scavo e di una riflessione continua sui risultati che man mano veniva ottenendo. Ecco dunque il problema della datazione dei nuraghi; ecco la loro forma architettonica ricondotta agli influssi della società preellenica e cretese, dell’Oriente anatolico e della penisola iberica; ecco la tesi (ripresa dal Taramelli) della società nuragica come società cantonale; ecco l’intuizione delle piccole tribù nuragiche, o clans, delle piccole confederazioni a base gentilizia. E gli scavi fondamentali del castello di Barumini, dai quali per la prima volta emerse una società in evoluzione, con le sue articolazioni interne, i suoi luoghi di culto e istituzionali, le sue gerarchie. Nella scrittura vivacissima di Lilliu i tratti di quell’antichissima civiltà hanno preso vita e forma in modo esemplare. Quel mondo dei morti è diventato un mondo dei vivi e quei lontani progenitori dei sardi - come avrebbe detto Gramsci - donne e uomini “in carne ed ossa”.
 Di quelle scoperte Lilliu ha dato subito un’interpretazione nella quale, alla non comune conoscenza dell’oggetto, si univa la passione storiografica e insieme quella politica. Nacque allora, dalle sue pagine dense di note e riferimenti alle fonti, la tesi della “costante resistenziale”, cioè l’idea che tra popolazioni locali asserragliate nei nuraghi e conquistatori punici si fosse ingaggiato un lungo conflitto: i nuragici avrebbero riparato nella montagna, e di qui, per secoli, avrebbero minacciato il conquistatore con le loro bardane, concluse con altrettanto rapide ritirate tra gli inaccessibili nascondigli sui monti. Una Sardegna di pastori-guerrieri, irriducibile e autonoma, avrebbe per secoli “resistito”, nelle forme militari di una guerriglia endemica che sarebbe, alla fine, il vero filo rosso della storia “nazionale” dei sardi. Il libro grande («La civiltà dei Sardi», appunto) fu pubblicato nel 1963, con prefazione dell’allora presidente della Repubblica Antonio Segni e una dedica “ai pastori della Barbagia”. Il professore vi fissava, innanzitutto, quello che è stato chiamato “un nuovo schema cronologico” dell’età nuragica; poi illustrava la cultura materiale, la religiosità e il culto dei morti, la presenza - in quel contesto - della Dea madre mediterranea. Pagine esemplari descrivevano l’evoluzione storica e i mutamenti della struttura sociale: e tutto sulla base di una scrupolosa indagine sul campo, basata sui risultati di scavi recenti.
 C’era però, nell’idea stessa della “civiltà dei Sardi” (che Lilliu scriveva rigorosamente con la maiuscola, quasi a volerne enfatizzare l’identità di popolo), un germe sardista scopertamente evidente.
 Amico personale di Lussu, Lilliu sardista non lo era mai stato. Militante da giovane dell’Azione Cattolica, poi iscrittosi alla Dc, di quel partito fu invece consigliere ed assessore provinciale, poi consigliere comunale e, dal 1969 al 1974, consigliere regionale. Il suo “sardismo” non è dunque ideologico, né si è tradotto in una milizia di partito: è stato invece eminentemente culturale e ha affondato le radici, trovato le sue motivazioni nella complessa evoluzione di quei primi anni Settanta.
 Entrava in crisi, proprio allora, l’idea-guida di un riscatto della Sardegna basato sulla industrializzazione petrolchimica. Cresceva, al tempo stesso, il malessere profondo delle zone interne. L’onda lunga del Sessantotto studentesco sembrava anche rovesciare gli antichi termini della questione degli intellettuali. Questi ultimi erano stati, nel dopoguerra, il ceto di mediazione per eccellenza, impegnati a garantire il dialogo tra le due Sardegne: quella urbana e quella rurale, quella “moderna” e quella tradizionale, quella “colta” e quella popolare. Ma adesso quella mediazione tradizionale veniva meno. Molte delle maglie che tenevano unita la Sardegna stavano saltando per non più ricomporsi. Nascevano, non solo nella Sardegna interna ma anche in quella urbana, movimenti nuovi, radicali, identitari, rabbiosamente concentrati sui temi della lingua sarda, della rivendicazione indipendentistica e nazionalistica, della esaltazione della storia dei sardi come ininterrotta storia di lotte contro le conquiste dall’esterno.
 La “costante resistenziale” di Lilliu offrì a quel composito movimento culturale e politico un back-ground culturale e teorico. Rappresentò anche uno dei rari momenti nei quali la cultura “alta” seppe, in quell’epoca confusa di “statu nascenti”, parlare ai movimenti, stabilendo con essi un solido collegamento. Scomparso Pigliaru nel 1969, solo Lilliu, e un Michelangelo Pira acuto teorico del bilinguismo, seppero “sentire” la realtà dei nuovi movimenti.
 Credo che il professore fosse contento dell’eco che le sue tesi scientifiche suscitavano fuori delle aule accademiche. I suoi discorsi in Consiglio regionale, pur dai banchi democristiani, si caratterizzarono all’epoca come severi richiami ad un concetto di autonomia regionale più radicale e senza compromessi. La sua lettura della crisi sarda si ispirò a un sempre più marcato pessimismo. I partiti autonomistici gli apparvero inadeguati e incoerenti. La “costante resistenziale” cessava di essere una interpretazione del passato remoto per divenire un concetto attivo, attuale della lotta politica. Ed anche una specie di passe-partout per rileggere tutta la storia sarda come storia di resistenza alle invasioni nemiche venute dal mare.
 Ma, trasferita a contesti più vasti (come qualcuno pretese di fare anche al di là delle stesse idee di Lilliu), quella chiave di lettura non reggeva. Non resse infatti alle ricerche storiografiche successive: né a quelle sulla Sardegna medievale, né a quelle sulla Sardegna moderna, né tanto meno a quelle sulla Sardegna contemporanea. La storia sarda non si lascia racchiudere nello schema semplificatore della “costante resistenziale”: emerge dagli studi una dialettica più complicata, fatta, sì, di momenti di “resistenza” ma anche di integrazione e contaminazione preziosa tra culture diverse. Liberata dalle strumentalizzazioni, letta per quello che era in origine - un’interpretazione affascinante della civiltà nuragica - la “costante resistenziale” mantiene ancora tutte le sue valenze; trasferita in altri contesti, rischia di ridursi ad un mito storiografico.
 Un mito, bisogna però ammettere, senza la suggestione del quale non avremmo forse oggi nel nostro patrimonio culturale gli studi fondamentali e le pagine classiche di Giovanni Lilliu.
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 5 - Sardegna
Gerardo Marletto, docente di economia applicata a Sassari, commenta i risultati della ricerca 
«I ritardi dell’isola erano già noti» 
Invito alla prudenza: secondo altre indagini non siamo in coda 
«Dubito che in certi casi Basilicata e Calabria stiano meglio di noi» 
di Piergiorgio Pinna
SASSARI. «Tutti i ritardi dell’isola erano e sono noti. Ma il quadro generale di questa ricerca non è chiaro: si vorrebbe poter capire meglio le metodologie usate e si dovrebbe poi far cominciare ogni inchiesta del genere dalle caratteristiche di ciascuna regione». Gerardo Marletto, romano, quarantacinque anni, da quasi due all’università di Sassari come docente di Economia applicata, è convinto che l’analisi periodica del Sole 24 ore/Sintesi vada letta con estrema prudenza.
 A lungo direttore di uno dei Centri studi della Confindustria nella capitale, oggi Marletto insegna nel dipartimento sassarese di Economia-impresa-regolamentazione, istituto che ha sede in uno storico palazzo al centro del capoluogo del Nord Sardegna. «Oggi in questa ricerca l’isola è il fanalino di coda - spiega - eppure, soltanto pochi mesi fa, sulla base della stessa indagine del Sole 24 ore/Sintesi non era collocata così in fondo alla graduatoria. Nel primato negativo la precedevano altre regioni del Meridione, come la Sicilia e la Puglia. Il che, in estrema sintesi, significa un fatto preciso: questi esercizi lasciano il tempo che trovano perché costruiti su una base d’indicatori non sempre facilmente apprezzabili».
 Su due aree - occupazione e coesione sociale - il professore non è sorpreso per i risultati dello studio: «La scarsa possibilità di partecipazione femminile al lavoro e i tassi di disoccupazione sono aspetti comuni ad altre zone del Sud Italia. A tutto ciò, nell’isola, si aggiungono i processi di fuoriuscita in pre-pensionamento degli over 55 per la riconversione d’industrie tipiche della realtà sarda». Pochi altri elementi di sorpresa - vista la sostanziale continuità col passato - sulla coesione sociale: «Se resta da definire il concetto di che cosa s’intenda con esattezza con questo termine, gli indicatori legati alla dispersione scolastica, al livello d’istruzione tra i 25 e i 60 anni e ai tassi di scolarizzazione non meravigliano più di tanto. Dubito comunque che la Basilicata e la Calabria stiano davvero meglio dell’isola».
 Per l’area della cosiddetta Innovazione, secondo Gerardo Marletto, si tratta d’intendersi: «Immagino ci si riferisca ai dati di spesa per la ricerca e lo sviluppo, sia nel settore pubblico sia nel settore privato. E quindi alle capacità innovative tanto per le tecnologie quanto per il personale. Ma un commento in questo caso non appare semplice. Le classifiche del Sole, al riguardo, segnalano al quattordicesimo posto il Lazio e ai primi posti Lombardia e Piemonte. Ecco, rimango piuttosto perplesso: è proprio nel centro Italia che oggi si trovano molti dei distretti industriali più competivi. E sulle posizioni tanto negative dell’isola nel Meridione ho altrettanti dubbi, sebbene ciò non significhi che in Sardegna non si possa fare di più». Ultimo capitolo, l’ambiente. «Qui pare che il parametro di riferimento nello studio di Sole 24 ore/Sintesi sia l’energia da fonti rinnovabili - afferma ancora l’economista - È un settore nel quale la Sardegna di recente ha fatto parecchi passi avanti: nell’eolico, che soprattutto nel Nord dell’isola ha grandi potenzialità di sviluppo, come nel solare. Passi avanti che di sicuro non si riflettono nel quattordicesimo posto attribuito alla Sardegna dopo la ricerca».
 Per comprendere a fondo determinati processi d’adeguamento ai target di Lisbona, in definitiva, a detta di Gerardo Marletto gli indicatori e gli obiettivi di uno studio-tipo avrebbero dovuto essere commisurati alle specificità di ciascuna regione. E tenere poi conto di più accurati elementi di giudizio. Come il tessuto industriale reale, il profilo ambientale effettivo, i diversi stadi di partenza di tutte le zone prese in considerazione, le peculiari caratteristiche produttive, le valutazioni dei consumi energetici anche alla luce dei trasporti. Che nel caso di un’isola assumuno valenza particolare: considerazione quasi ovvia ma evidentemente non data per acquisita da tutti gli analisti.
 «In sostanza, questo studio non aggiunge molto a ciò che conoscevamo già - rileva in chiusura il docente - Certo, l’isola attraversa, e non da oggi, una fase di ritardo nel proprio sviluppo. Lo sapevamo e lo sappiamo bene. Ma è decisamente irrealistico pensare che regioni come la Basilicata e la Calabria siano più vicini ai traguardi europei fissati per il 2010. Sono dati che appaiono in contrasto con qualsiasi altra ricerca. Non per questo in Sardegna ci si deve fermare: è al contrario indispensabile che nell’isola si lavori ancora molto sulla capacità innovativa, sui livelli d’istruzione. E infine si cerchi di valorizzare in maniera intelligente l’intero patrimonio ambientale».
 
 

Questionario e social

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