Venerdì 2 febbraio 2007

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
02 febbraio 2007
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati  4 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  

1 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari Pagina 21
università
Master in criminologia e psicologia giuridica
Omicidi, rapine, abusi su minori, pedopornografia. Sono questi alcuni degli argomenti di un Master in psicologia giuridica e criminologia promosso dalla facoltà di Scienze della formazione (dipartimento di Psicologia) e dalla facoltà di Giurisprudenza dell'università di Cagliari. Il master ha l'obiettivo di rispondere al bisogno di professionalità di psicologi, avvocati, magistrati, appartenenti alle forze dell'ordine e, più in generale, di tutti quelli che intendono inserirsi o che già operano nell'ambito forense e criminologico. Il master è tenuto da docenti altamente specializzati. Per informazioni: Elisabetta Boeddu (328/3226959) e Massimo Pili (328/9277536), www.unica.it/masterpg.

 
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 3 - Fatto del giorno
«L’industria manifatturiera deve vivere» 
L’economista Raffaele Paci difende l’esistente, «purché sia produttivo» 
«Importante distinguere cosa ha la speranza di un mercato e cosa no» 
LUCIANO PIRAS 
NUORO. Non una parola sul caso Legler. Neanche ora che l’industria tessile passa in mano alla Regione. Neanche ora che Renato Soru annuncia nuovi progetti per il rilancio degli stabilimenti di Macomer, Ottana e Siniscola. «Non conosco le carte, non ho mai visto i piani aziendali e non mi sono occupato del settore» precisa subito Raffaele Paci, professore di Economica applicata nella facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari. All’indomani della delibera approvata dalla Sfirs per il salvataggio in extremis della Legler Spa, il curatore (assieme a Stefano Usai) del volume L’ultima spiaggia. Turismo, economia e sostenibilità ambientale in Sardegna (Cuec, 2002) preferisce piuttosto presentare il quadro generale della macchina produttiva isolana. Insomma: niente da dire sulle sorti di denim, cord e pile, i tessuti che la company di Ponte San Pietro, Bergamo, ha prodotto fino a ieri con il marchio del Nuorese.
 Tutto è possibile, dunque, tra la Lombardia e la Sardegna. Certo è che sul fronte della economia reale «bisogna cercare di avere una politica industriale che salvaguardi ciò che è produttivo» sottolinea Paci, allargando le vedute ai quattro punti cardinali dell’isola. Altra cosa, invece, sono gli obiettivi «socialmente perseguibili» continua il professore. «Non è che se una impresa è in perdita possiamo chiudere dall’oggi al domani e lasciare a spasso gli operai e le loro famiglie» dice. Il portafoglio dei sardi, dunque, viaggia su due binari: gli investimenti veri, da una parte, quelli degli imprenditori degni di portare tale nome; il welfare, dall’altro, con tanto di ammortizzatori distribuiti dalle mani dello Stato per evitare il peggio. «È comunque importante saper distinguere tra ciò che non ha più alcuna speranza di mercato da ciò che invece quella speranza ce l’ha». Direttore del Crenos, Centro ricerche economiche nord sud, Raffaele Paci ha un punto fermo da cui partire: «Non possiamo abbandonare l’industria manifatturiera in Sardegna». È una risorsa che già foraggia il bilancio dell’isola e invertire la marcia sarebbe davvero ridicolo.
 «L’occupazione va difesa, ma è anche necessario creare le condizioni ambientali affinché le imprese facciano profitto» incalza. «Non possiamo obbligare le imprese a localizzarsi in un’area piuttosto che in un’altra». Per puntare sulla valle di Ottana, insomma, l’imprenditore serio deve pur avere le sue buone ragioni. Altrimenti tanto vale aprire capannoni nella pianura Padano o in Marocco. Il villaggio globale è oramai alla portata di tutti visto che non esistono più le distanze di una volta. «I fattori di produzione sono fondamentali - continua l’economista dell’università di Cagliari -. Bisogna far crescere la tecnologia, il livello di conoscenza, il capitale umano, dotarsi di infrastrutture per competere a livello internazionale». Niente a che vedere, dunque, con i soliti «banditi» - così li chiama Paci - che sbarcano in Barbagia sotto falso nome per rubare finanziamenti pubblici. «Vengono, sfruttano e vanno via».
 «Che piaccia o no, è il mercato che stabilisce chi è in grado di rimanere produttivo, ma intanto è necessario costruire le condizioni favorevoli. Nel rispetto, s’intende, delle specificità del territorio, legate per esempio alla tutela ambientale, non c’è dubbio» continua Paci. «Senza dimenticare, poi, che le condizioni favorevoli cambiano nel tempo, ciò che dieci anni fa poteva essere competitivo oggi magari non lo è più. È la regola del mercato globale». Un esempio concreto: le zone franche, da istituire anche nella Sardegna centrale. «No, no, è un discorso superato, altrimenti l’isola non potrebbe esportare nell’Unione europea» è l’opinione di Paci, che è anche presidente del corso di laurea in Economia e Politiche europee. Andare al passo con i tempi è dunque fondamentale per vincere la sfida, affinché il welfare traghetti le emergenze sulla terra degli investimenti, ma soprattutto affinché gli imprenditori veri si facciano avanti con i loro capitali da calare sul tavolo del rischio economico.
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 17 - Economia
SUPERTICKET, SI CAMBIA 
ROMA. Un decreto legge per trasformare da subito i Policlinici universitari a gestione diretta da parte delle Università in aziende sanitarie integrate gestite assieme dalla sanità pubblica e dalle Università. Il provvedimento riguarderà solo i 7 policlinici universitari di Napoli, Messina, Catania, Bari e Cagliari più i due di Roma Tor Vergata e Umberto I. Nello stesso decreto legge dovrebbero essere introdotte anche altre norme di carattere sanitario a partire da quelle sull’aumento del ticket per la diagnostica. La legge finanziaria ha previsto una crescita di 10 euro di questa partecipazione alla spesa da parte del cittadino. Le regioni ora potranno scegliere di adottare la misura anche in modo alternativo. Tra queste c’è anche la Regione Sardegna che ha già annunciato di essere orientata per l’abolizione del ticket di 10 euro.
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 19 - Sassari
In doppia fila per fare la chemioterapia 
Disastrose le condizioni del reparto di Oncologia alle cliniche universitarie 
Pazienti ammassati in una piccola stanza, personale allo stremo 
di Chiaramaria Pinna 
SASSARI. Una stanza di 15 metri quadrati, una finestra, due letti e 5 poltrone e tre o quattro sedie. Tutti lungo una parete e in seconda fila. Gli sguardi dei malati fanno pensare a «Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case», la poesia di Primo Levi Se questo è un uomo. Per i pazienti di oncologia è meno difficile combattere la malattia piuttosto che un male che si presenta sotto una forma che sfugge, di cui non si capisce il senso nè si percepisce se ci sia la resposabilità di qualcuno. I pazienti sono giovanissimi, uomini, donne, anziani. Tutti insieme. Venticinque in media ogni giorno in due turni. Capita che il piede del paziente che ha trovato posto sulla poltrona per le terapie finisca vicino alla bocca del malato che sta seduto davanti su una sedia.
 Pazienza. Per uscire in fretta dal tunnel del tumore si è disposti anche a questo. C. R. ha 48 anni, insegna matematica, è madre di tre figli. Scherza e di se stessa dice: «Sono una paziente di lungo corso», perchè è dal’97 che frequenta sistematicamente l’ospedale tra visite, controlli e terapie.
 «Quando la flebo si stacca perchè la posizione in cui mi devo sistemare, schiacciata tra due letti non è certo la più adatta ormai non ne faccio un dramma, mi sono rassegnata - dice - chiamo l’infermiera, arriva il medico ci guardiamo negli occhi e basta».
 «Il momento peggiore - spiega - è quando qualcuno tra noi ha un cedimento psicologico e piange e lo fa davanti a tutti tra l’imbarazzo collettivo. Scatta la solidarietà perchè affrontare insieme lo stesso calvario è meno duro, ma è possibile che non ci possa essere un po’ di riservatezza?».
 «Se qualcuno ha necessità di vomitare, perchè la chemio fa di questi scherzi e il bagno è nel corridoio dove c’è chi è in attesa delle cure e non si può fare a meno di attraversarlo spingendo una mano sulla bocca, con l’ago infilato in vena, lo sguardo a terra, davanti a tutti e pieni di imbarazzo, pazienza - conclude C.R. - la privacy da queste parti è una insensata parola inglese. Medici e infermiere a volte possono solo sistemare un paravento, scusandosi per la precarietà della struttura». Non è Zimbawe, ma viale San Pietro, Oncologia dell’Università di Sassari.
 «I Nas avrebbero fatto meglio a soffermarsi da queste parti piuttosto che fotografare muri scrostati, è una vergogna. Vengano la Dirindin e il ministro Turco a vedere», si sfoga G.F. 50 anni, impiegato comunale al suo secondo ciclo di chemio, appena rientrato dall’Istituto tumori di Milano. Attende con le braccia incrociate, in piedi, appoggiato alla porta del bagno nella sala d’attesa. Che non c’è. Perchè è un corridoio lungo e stretto dove tutti vanno avanti e indietro chiedendo «permesso» per non inciampare. Permesso per entrare nell’unica toilette disponibile per uomini e donne. E i medici chiedono permesso per lavorare in due risicati ambulatori.
 Un armadietto a vetri con reperti un po’ inquietanti dei gloriosi albori della chirurgia e della medicina dell’Università di Sassari e un tronchetto della felicità che vive a stento sono l’arredo.
 Oncologia non ha una struttura autonoma ma da sempre, per una alchima universitaria, fa parte del reparto della Clinica medica che ha messo a disposizione un piccolo spazio e cinque letti: tre per le donne (il carcinoma al seno è il tumore più diffuso) e due per gli uomini. I medici in servizio sono quattro con il primario Antonio Farris e altrettante infermiere. Ma per andare avanti è prezioso l’aiuto degli specilizzandi. I medici fanno parte dell’organico di un reparto di cui non conoscono i pazienti ma non possono seguire i loro malati oncologici se non in quell’incredibile day hospital.
 A nulla sono valse in 20 anni le richieste ufficiali del professor Farris, le sollecitazioni ad assessori regionali, presidi di facoltà, rettore, nè le oltre duecento firme raccolte nei giorni scorsi. L’ultima lettera inviata al Magnifico rettore Maida e al preside di Facoltà Rosati dal primario è di 15 giorni fa. «Non sottoscrivere la petizione anche se uno solo passa da queste parti per sbaglio, è impossibile», dice ancora G.F. Eppure, nella struttura universitaria che sta dall’altra parte della strada e ospita la Clinica chirurgica c’è un grande spazio libero: tutto un piano che sembrava destinato all’oncologia. Sembrava, perchè ormai non ne ha certezza nemmeno chi era sicuro di averci visto addirittura le poltrone per la terapia. «Forse qualche boiardo ha bloccato il trasferimento. Noi siamo disposti ad occuparlo», dicono gli ammalati che hanno sottoscritto la petizione.
 «Di tanto in tanto c’è qualcuno che solleva i toni e minaccia di andare in Procura - spiega A.D. 53 anni, di Porto Torres un paziente che da molte stagioni è in cura - in genere sono politici o sindacalisti, ma qui ho visto anche magistrati. Alla resa dei conti non fanno nulla». Finisce che il politically correct prende il sopravvento. Parlare di diritti del malato al secondo piano della grande struttura universitaria è fuori luogo per chi soffre, chi lotta, chi ci lavora. A sopperire alle gravissime carenze c’è il personale.
«Con grande professionalità, sono attenti, gentili - dice una delle pazienti - a volte si scusano perchè capiscono quanto sia difficile trascorrere ore e ore in condizioni bestiali, alcune infusioni durano cinque, sei ore e stiamo inchiodati su una sedia, ma noi sappiamo che anche loro sono vittime».
 Davanti a questo quadro la Regione nell’ultimo piano sanitario ha deciso che la Clinica oncologia universitaria venga smantellata perchè a Sassari sarebbe un inutile «doppione» del reparto ospedaliero. A sottoscriverlo sono stati gli stessi vertici dell’università. «È uno strano metro quello usato - commentano i medici del reparto - perchè per noi si accorcia mentre i reparti di medicina, tra ospedale e università, restano cinque».
 «Stiamo attenti a non creare allarmismo e confusione - dice il rettore Maida - ci sono professionalità e una scuola che vanno salvaguardate, la situazione è delicata ma troveremo soluzioni idonee».
 «A volte in questo pezzo di corridoio siamo anche sessanta persone - denuncia S.L., 51 anni, casalinga - mancano le sedie, in due ci stringiamo sul bordo di un tavolino. Inoltre questo è un budello dove non gira l’aria». Poco l’ossigeno anche per le infermiere addette ai prelievi: un angolo con un vecchio tavolo. La luce sempre accesa perchè non c’è una finestra. Una porta a soffietto le separa dal day hospital. Lì si succedono i pazienti che devono sottoporsi al prelievo per controllare l’emocromo prima della cura. Tutti appoggiano il braccio su quella plastica bianca. Quando le visite terminano, anche il lettino dell’altro piccolo ambulatorio diventa buono per le ultime terapie. Fare di più è impossibile: i medici sono aggiornati e in costante contatto con l’Ieo, l’istituto europeo di oncologia del professor Veronesi, le infermiere seguono sistematicamente i corsi ai quali vengono invitate a partecipare dall’Oncologia dell’ospedale civile e avendo anni di esperienza la mettono a disposizione del malato con dedizione e altruismo rari perchè stare accanto a chi soffre affina la sensibilità. Il reparto scoppia: oltre ai nuovi casi ce ne sono moltissimi che si cronicizzano per cui il numero degli utenti è destinato ad aumentare. I medici corrono da un ambulatorio all’altro in uno degli spazi più affollati delle strutture ospedaliere di Sassari, sistemato in un budello dove nessuno passa se non chi ne ha necessità e così solo in sessanta, ogni giorno, vedono questa vergogna collettiva.

Questionario e social

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