UniCa UniCa News Rassegna stampa Lunedì 24 settembre 2007

Lunedì 24 settembre 2007

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
24 settembre 2007
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 5 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda, La Nuova Sardegna e Il Sardegna 

Su L’Unione Sarda di oggi segnaliamo un dibattito sulla qualità delle acque minerali sarde, e la complessa vicenda degli scavi archeologici di Nora, dove lavorano anche studiosi dell’Università di Cagliari.
Un resoconto del convegno dedicato all’etnomusicologo Pietro Sassu e la puntata odierna della rubrica curata da Paolo Pillonca ("Il silenzio e la parola") sono i pezzi segnalati su La Nuova Sardegna: l’accademico dei Lincei Giovanni Lilliu, ex preside di Lettere, e il docente Giuseppe Marci sono tra gli esperti che Pillonca intervista sull’uso della lingua sarda.
Infine, un commento di un dottorando da Il Sardegna sull’open day di Scienze politiche.
1 – L’Unione Sarda
Prov Gallura Pagina 56
Tempio
Acque minerali sarde di ottima qualità ma il mercato è sempre più difficile
 
La guerra per la sopravvivenza, ma anche per la conquista dei mercati esteri, delle aziende sarde, il problema della qualità delle acque minerali in commercio. Sono stati questi i temi più importanti di un incontro-dibattito organizzato a Tempio dalla società Alb, azienda che imbottiglia e distribuisce l’acqua Smeraldina.
È stato un momento particolarmente interessante di confronto tra alcuni operatori del settore, specialisti e docenti universitari, tra i quali Alessandro Maida, rettore dell’Università di Sassari, Antonio Vodret, docente di industrie agrarie nello stesso ateneo, e Luca Ghezzi, professore della Bocconi. Sono soltanto alcuni degli intervenuti nell’auditorium della Stazione sperimentale del sughero, per una iniziativa che ha fornito un quadro preciso della situazione delle aziende del settore in Sardegna. La Alb, della famiglia Solinas, da tempo sta tentando l’operazione di un inserimento nel mercato statunitense. Nell’Isola le aziende di imbottigliamento delle acque minerali sono numerose. Per alcune, anche in Gallura, dopo un inizio stentato è arrivata la chiusura anticipata. I relatori del convegno di Tempio hanno indicato nelle strategie che puntano alla qualità una delle possibili chiavi di svolta per lo sviluppo del settore in Sardegna. In effetti, è stato spiegato dagli specialisti, molte delle acque minerali in commercio, anche alcune delle più note, ingannano i consumatori con delle campagne pubblicitarie, magari accattivanti, ma prive di qualsiasi fondamento scientifico. In Sardegna, invece, le caratteristiche dell’acqua sono ottime e le prospettive per aziende che valorizzino il prodotto, molto buone. Nel corso del convegno è stato anche presentato il volume “Acqua, questa è una storia”, con la ricostruzione delle vicende dell’azienda Alb.
A. B.
 
2 – L’Unione Sarda
Provincia di Cagliari Pagina 15
Pula. Da oltre 10 anni cantieri aperti a Nora per riportare in superficie la città più antica
Stop agli scavi senza un piano di tutela
Il sindaco: «Un danno continuare a dissotterrare i reperti»
 
 Il sindaco di Pula chiede lo stop ai lavori di scavo a Nora senza un vero progetto di tutela dei beni archeologici riportati in superficie. «Basta con gli scavi archeologici, le condizioni di Nora peggiorano di anno in anno, di questo passo tra cinquant’anni delle meraviglie dell’antica città punico-romana non resterà più nulla». Walter Cabasino, sindaco di Pula dice basta alle piccozze degli archeologi che ogni anno sottraggono al fango frammenti della città perduta che si affaccia sul mare, ma allo stesso tempo portano alla luce meraviglie che di fatto non risultano fruibili ai visitatori. «Sia ben chiaro non sono contro le campagne di scavo condotte ogni anno dalle migliori università italiane - spiega Cabasino - ma senza una programmazione attenta e seria il lavoro degli archeologi finirà per rovinare l’antica città. Non mettere in sicurezza quello che viene alla luce, lasciandolo all’aperto in una zona delicata come quella a ridosso del mare, significa condannare a morte certa Nora. Per Cabasino altro cruccio degli scavi condotti nella città fondata dal condottiero Norace, è l’impossibilità offerta ai visitatori di apprezzare i progressi fatti dal lavoro degli archeologi. «Nora è un patrimonio dell’umanità da mantenere intatto - riprende Cabasino - per questo abbiamo tutto l’interesse di mantenerla intatta, ma anche il Comune deve poter dire la propria quando si parla di scavi». Intanto in questi giorni il lavoro degli archeologi delle maggiori università italiane che ogni anno ruba alla polvere un altro tassello della Nora romana ma anche fenicia, ha permesso di portare in superficie nuovi reperti. Le università di Cagliari, Padova, Genova, Milano, e Viterbo stanno lavorando quotidianamente in ogni settore della città, proseguendo il lavoro iniziato oltre quindici anni fa. La zona del foro, il promontorio di Coltellazzo, la parte commerciale, ma anche il cuore della città, ogni giorno vengono studiate palmo a palmo dagli studenti delle cinque università. «Rendere sempre più fruibile il sito archeologico è di sicuro una delle nostre priorità - spiega il professor Jacopo Bonetto dell’università di Padova - la campagna di scavo che stiamo conducendo quest’anno è orientata proprio in questo senso, con la creazione del parco archeologico Nora verrà di sicuro migliorata, gli scavi e l’opera di restauro che in futuro si realizzeranno sul posto regaleranno un nuovo ciclo di vita all’antica città». Se per vedere il parco archeologico bisognerà pazientare ancora per un anno, le nuove scoperte fatte dall’équipe di esperti sono già visibili. In attesa di poter vedere come si restaureranno i reperti a due passi dal punto in cui sono stati scoperti, i visitatori potranno apprezzare i progressi fatti in questi giorni. «Nella zona del foro sono state scoperte quelle che in epoca pre-romana dovevano essere le mura della città - racconta Bonetto - nel quartiere centrale invece, sotto un mosaico è sto trovato un pavimento in opus sectile, l’antica tecnica che utilizzava i marmi intagliati». Nuove scoperte anche nel santuario orientale, e nella zona commerciale della città, dove sono emerse tracce di scale che portavano a un secondo piano degli edifici. La campagna di scavo terminerà il 6 ottobre, data in cui terminerà anche PulArchaiòs, il cartellone di mostre e conferenze organizzato dal Comune per avvicinare i cittadini all’archeologia. Il sipario sulle nuove scoperte effettuate nelle rovine di Nora calerà anche quest’anno con il Romanum Convivium, il pranzo tipico degli antichi romani preparato dai ragazzi della scuola alberghiera di Pula, che mostrerà ai presenti come mangiavano gli antichi romani. Certo, sui piatti dei commensali come accadeva allora non ci saranno pietanze in procinto di andare a male slavate solamente dal sale e qualche spezie, ma il ricettario di Apicio verrà comunque rispettato.

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 57 - Cultura e Spettacoli
Con Sassu sulle tracce della tradizione 
Studiosi concordi: una lezione di metodo che resta ancora viva 
Il bilancio delle due giornate di studio dedicate all’etnomusicologo sassarese dal Comune di Castelsardo 
 
CASTELSARDO. Una vita interamente dedicata allo studio della musica di tradizione orale e - più in generale - della cultura di numerosissime comunità, e non solo in terra sarda: questo il senso dell’esistenza di Pietro Sassu, il grande etnomusicologo scomparso sei anni or sono, che ha lasciato una grande eredità fatta di numerosi studi, di una vasta documentazione sonora acquisita “sul campo” e di un esemplare rigore metodologico. La recente costituzione dell’Associazione Archivi Sassu ha dato l’avvio ad una serie di iniziative cui hanno fatto da apripista gli Incontri di Catelsardo, ospitati nel Castello dei Doria, organizzati dalla neonata Associazione, dal Comune e dalla Pro Loco di Castelsardo.
 Questa “due giorni” di manifestazioni - lo hanno sottolineato il presidente degli Archivi Simone Sassu e il vice sindaco di Castelsardo Antonio Pinna - vuole porsi come un appuntamento fisso che nei prossimi anni divenga un momento di riflessione e di scambio di esperienze fra tutti che loro che - in Italia, ma non solo - si occupano di musiche di tradizione orale, ed anche un momento di conoscenza per i non addetti ai lavori.
 La scelta di Castelsardo come sede degli incontri non è affatto casuale. Fu proprio Pietro Sassu, sin dal 1960, a scoprire quella straordinaria tradizione liturgica e paraliturgica dell’antico borgo medievale che ha dato origine successivamente, nell’ambito dell’etnomusicologia italiana, ad uno specifico filone di ricerca; senza contare poi che a Castelsardo e ai suoi formidabili cantori della Confraternita di Santa Croce Sassu è rimasto legato sino all’ultimo.
 A chiudere gli incontri, che non sono limitati alla sola “musica parlata” - come scherzosamente Pietro Sassu amava definire le proprie comunicazioni ai convegni e le conferenze - e che sono stati invece contrappuntati dalle polifonie del Concordu “Su Rosariu” di Santulussurgiu e del Concordu di Castelsardo, è stata una conferenza di Francesco Giannattasio, ordinario di Etnomusicologia alla Sapienza di Roma, che ha fatto il punto sugli studi etnomusicologici italiani e del loro svolgersi nel corso degli ultimi quarant’anni.
 Alla conferenza è seguita una tavala rotonda cui hanno preso parte gli etnomusicologi Nicola Scaldaferri, Ignazio Macchiarella e Piero Arcangeli, provenienti dagli atenei di Milano e Cagliari e del Conservatorio di Viterbo, il compositore Antonio Doro e Valter Colle, direttore editoriale della Nota/Geos, la più importante collana italiana di studi etnomusicologici.
 Uno dei punti cardine del dibattito ha ruotato intorno a quella che si potrebbe definire la “tradizione tradita”, un gioco di parole con il quale i relatori hanno stigmatizzato la continua mercificazione delle radici musicali e culturali dell’isola. “L’attività di tramandare la tradizione non si può ridurre alla produzione di una merce. Ma d’altro canto non si può pensare che la conoscenza della tradizione sia riservata ai soli accademici - ha precisato Piero Arcangeli - perché nasce come evento popolare e deve appartenere a tutti”.
 Di particolare interesse è stata anche la conferenza di Renato Morelli, che ha collaborato per lunghi anni con Pietro Sassu, dedicata al problema della documentazione cinematografica quale fondamentale strumento di studio delle culture musicali. Morelli ha ricordato come Sassu - sin dall’inizio delle sue ricerche - avesse maturato la consapevolezza circa la necessità di disporre di strumenti di ripresa video al fine di documentare in modo adeguato il contesto in cui i repertori musicali venivano impegati. Gli incontri sono stati l’occasione per rivedere due fondamentali esempi di documentazione video realizzata dalla sede regionale Rai con la consulenza di Sassu: il video ormai “storico” sulla Settimana Santa di Castelsardo, prodotto nel 1981, e quello realizzato nello stesso contesto a Santulussurgiu sette anni dopo.
Antonio Ligios
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 6 - Sardegna
Il silenzio e la parola
«Per tutelare la lingua sarda parlatela di più tutti i giorni» 
Giovanni Lilliu, Giuseppe Marci e Piero Marras parlano del passato e del futuro del nostro idioma tra speranze, delusioni e sogni ancora accesi 
di Paolo Pillonca
 
CAGLIARI. In gergo calcistico si chiama assist geniale: un passaggio intelligente che smarca un attaccante davanti al portiere, una palla-gol impossibile da sbagliare. Se Renato Soru cercava conforto nell’attuazione della sua politica linguistica, forse l’ha trovato più di quanto non sperasse. L’assist, un’illuminazione alla Chicco Piras (per citare un grande atleta di valore vero scomparso qualche giorno fa) viene da due personaggi ormai entrati nel mito della nostra appartenenza identitaria: il professor Giovanni Lilliu e il decano carismatico dei poeti estemporanei Peppe Sozu. Insieme con loro, altri due uomini molto noti, di generazioni successive: il cantautore Piero Marras e Giuseppe Marci, docente di filologia italiana all’Università di Cagliari. L’incontro con Giovanni Lilliu inizia con un dono. «Vorrei incoraggiare Renato Soru a continuare sulla strada intrapresa», dice l’illustre archeologo. «È venuto il tempo di concretizzare. Occorre fare di più e meglio», osserva ancora il professore. «Il meglio consiste nell’utilizzo della lingua. Perché il sardo torni ad essere vivo nel senso più luminoso del termine occorre parlarlo: condizione fondamentale per la vita di tutte le lingue del mondo. A me dispiace non poter essere pienamente in campo, altrimenti girerei ancora la Sardegna e direi a tutti: tornate a parlare la nostra lingua».
 L’accademico dei Lincei è ottimista: «La lunga guerra l’abbiamo vinta, ora occorre consolidare la vittoria», ammonisce. «Se penso agli anni Settanta mi conforto. C’è stato un periodo in cui ricevevo visite da parte di un tale che si diceva appassionato di archeologia: un poliziotto. Eravamo controllati: io, Sebastiano Dessanay, Antonio Sanna, Antonello Satta e altri. Il nostro impegno era bollato come eversivo o quasi. Penso all’esperienza di “Nazione Sarda”, la bella rivista di Antonello Satta finita per l’ambizione di qualcuno che avrebbe voluto entrare in politica. Errore grave. Oggi il clima è del tutto diverso e il problema è un altro: dobbiamo muoverci senza perdere tempo in chiacchiere. Oltre che in Renato Soru, confido molto anche nella nuova responsabile dell’assessorato alla Cultura Maria Antonietta Mongiu, una collega archeologa che stimo profondamente». Uno dei nuclei di ostilità all’uso del sardo è, obiettivamente, l’Università. «Quando ero preside della facoltà di Lettere i professori erano tutti d’accordo, sardi e non sardi, Dc, Pci e Psi», rievoca Lilliu. «Oggi, invece c’è gente che frena: non potendo essere contraria alla luce del sole, agisce nell’ombra. Esistono leggi di tutela delle lingue, ma non sono sufficienti: una lingua si tutela parlandola, altrimenti il discorso non ha senso. Parlare, recitare, cantare: tutti i modi d’uso sono indispensabili». Sui ritardi della Chiesa Giovanni Lilliu allarga le braccia: «Non capisco il silenzio, dopo una prima fase di impegno. Forse c’è qualcuno che dorme. Spero soprattutto nel vescovo di Nuoro Pietro Meloni: so che è sensibile al problema e si sta dando da fare». Peppe Sozu, classe 1914, coetaneo e amico del professor Lilliu, vive a Bonorva, suo amatissimo paese natale. «Tiu Peppe» è il decano dei poeti estemporanei per i quali rappresenta un punto di riferimento imprescindibile, professionale e morale. Nel salotto della sua casa in via Torres mostra di avere le idee molto chiare: «La prima scuola di lingua deve essere la famiglia», puntualizza. «Lo sbaglio peggiore è stata la pretesa delle madri di insegnare ai bambini una lingua che loro stesse non sapevano, così si è prodotto quel minestrone che in sardo si chiama italianu porcheddinu». Il poeta ricorda il suo compaesano e amico linguista Antonio Sanna: «Antoni nde teniat un’ammàchiu de nebodes mios faeddende su sardu, Antonio si entusiasmava nel sentir parlare il sardo dai miei nipoti. B’at unu boidu, c’è un vuoto di vent’anni, nella trasmissione della lingua. Oggi non è più così, fortunatamente. Ma bisogna fare meglio». La scuola? «Può diventare un’altra palestra, a patto che i docenti sappiano il sardo, lo amino e riescano a trasmettere agli allievi le suggestioni profonde di cui la nostra lingua è messaggera». Con la Chiesa il grande cantore, cattolico praticante, non entra in polemica diretta ma ricorda: «Per cinquant’anni ho pregato in versi sardi Dio, la Madonna e i Santi nelle piazze di tutta la nostra isola. Penso di essere stato ascoltato, lassù si capiscono tutte le lingue». Peppe Sozu rivolge anche un invito a Renato Soru: «Il presidente mi ha promesso una visita: lo accoglierò volentieri». Una delle questioni irrisolte della questione della lingua riguarda la formazione degli insegnanti. Le polemiche? Investono soprattutto l’Università, accusata di non riuscire a formare nessuno o quasi. Giuseppe Marci, docente di filologia italiana e autore di una storia della letteratura sarda intitolata «In presenza di tutte le lingue del mondo», da molti anni dedica la sua attenzione anche agli autori che scrivono in sardo. Ma non è nella cerchia dei «formatori», chissà perché. Ecco il suo parere: «Sulla formazione degli insegnanti sarebbe tempo di fare cose serie, finalmente, non i pasticci fatti finora», questa la sua eloquente premessa. «È un campo smisurato e fertile, quello della lingua e della cultura sarda, ma è stato abbandonato da tempo e ora ha bisogno di essere dissodato e coltivato. Ho sperimentato più volte di persona quanto desiderio di apprendere ci sia nei nostri insegnanti, a condizione che gli si proponga un lavoro fatto con serietà».
 Da qualche stagione Piero Marras nota un’attenzione diversa, più intensa rispetto agli anni scorsi, nei confronti dei «pezzi» in lingua sarda proposti nei concerti. Anche a parlare la lingua? «Senza dubbio», risponde l’artista. «Non solo una maggiore disponibilità a parlarla, una consapevolezza piena che viene dal sentimento di appartenenza. La globalizzazione, quasi per una sorta di paradosso, ha fatto capire che se non c’è lo specifico tu non conti nulla: non ci sei proprio, non esisti. Qualcuno mi dice: ormai siamo tutti globalizzati. Io rispondo con due parole: tutti chi? E aggiungo: se rivendico una mia identità e ho la fortuna di appartenere a uno specifico, io sono diverso. L’unica via di salvezza dall’omologazione è rivendicare la propria identità, lingua in primo luogo. Quand’ero consigliere regionale mi sentivo ripetere: oh, guarda che io il sardo lo parlo, come se mi volessero dare un contentino». Oggi invece? «Oggi c’è l’identificazione. Se escludiamo in parte le città, nei centri medio-piccoli esiste l’orgoglio dell’appartenenza», osserva Marras. «Finalmente l’individuo si riscopre persona e si ritrova a non fare più parte del gregge globalizzato. Tutte queste cose Soru le ha intuite straordinariamente, ora da lui mi aspetterei l’avvio di un’indagine serie della Asl sulle tante morti sospette di Sarroch. La Saras è incompatibile con la visione del mondo e con la politica ambientale che Soru ci prospetta e che ci piace». Tornando allo specifico dell’uso del sardo nel canto, Piero Marras non ha peli sulla lingua. C’è chi usa sa limba solo perché va di moda? «Faccio una premessa: c’è una sovrabbondanza di produzione, ma anche nella musica quantità non vuol dire qualità. Così assistiamo a spettacoli improponibili e vediamo figure improbabili, maschili e femminili. Andrea Parodi e Maria Carta purtroppo non ci sono più». Occorrerebbe sfrondare? «Ci vorrebbe uno screening. Cantare in sardo comporta anche un mutamento nell’impostazione della voce perché con la lingua torni al linguaggio dell’anima, qualunque cosa tu dica». Nota finale: nel mondo dei poeti di meditazione si registra un notevole rammarico nei confronti del ritardo nell’uso pieno della lingua sarda in chiesa. Eppure poeti come Antonio Maria Pinna, Giovanni Piga, Salvatore Murgia, Pinuccio Giudice Marras e altri sono autori di canti religiosi di grande bellezza. Qualche anno in un convegno fa la poetessa Anna Cristina Serra aveva detto polemicamente: «Gesù Cristo parlava la lingua di Nazareth e nel momento dell’agonia sulla croce si è rivolto al Padre in aramaico, non nella lingua di Ponzio Pilato». Come dire: vescovi, svegliatevi, svegliatevi.
1 – Il Sardegna
Argomenti – pagina 6
Post it di Ateneo
Università, cioè “verso l’unità”: ricordiamolo
di Giuseppe Continiello
Open day” ovvero “Facoltà Aperte”: manifestazione con cui, anche quest’anno, il 28 settembre, la Facoltà di Scienze Politiche si presenta agli studenti che vogliono iscriversi all’Università. Un’intera giornata durante la quale professori e ricercatori sono impegnati a far conoscere l’offerta formativa della Facoltà. Attraverso seminari, opuscoli e brochure, la futura matricola avrà la possibilità diorientarsi tra corsi di laurea, settori disciplinari, obiettivi e crediti formativi, modalità didattiche e via dicendo. La contraddizione:che se da una parte l’Ateneo e le sue Facoltà si sono resi sempre più “aperti” agli studenti, basti pensare al portale di Ateneo, al bimestrale Unica news, ai siti delle Facoltà (sempre più aggiornati, in linea con lo sviluppo delle nuove tecnologie, vedi streaming), dall’altra molto spesso, sempre più lo studente perde il senso stesso del significato letterale del termine “università” Versus unum, verso l’unità. Lo studente deve imparare a cogliere le opportunità che l’Ateneo gli offre, aprendosi al sapere ed agli altri. Deve rifiutare l’appiattimento dei fini, delle scelte, delle relazioni interpersonali. Perché la qualità del servizio offerto dall’Università sia di valore egli deve stimolare il docente a fare sempre meglio il proprio lavoro, rifiutando un’Università che si riduca ad un “esamificio”. In altre parole, l’investimento su se stessi non si esaurisce nella lezione e nell’esame da sostenere al termine dell’insegnamento. *Dottorando di ricerca all’Università di Cagliari

Questionario e social

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