Giovedì 6 gennaio 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
06 gennaio 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Rassegna Stampa di giovedì 6 gennaio 2005
1 – L’Unione Sarda
Pagina 1
Cagliari. Fame di lavoro: settecento domande, 333 partecipanti al concorso dell'Università
Folla di candidati per un posto da guardiano di topi
La formula è sempre la stessa: «È un lavoro». Tre parole bastano per spiegare i 333 candidati ai quattro posti da stabularista banditi dall'Università. Le domande erano 700, ma ieri una metà abbondante ha rinunciato ad affrontare i quiz a uscita multipla e ad affollare la cittadella di Monserrato insieme a tanti altri, giovani e meno giovani. Retribuzione: intorno ai mille euro. Titolo di studio richiesto: licenza di scuola media inferiore. Incarico: stabularista, appunto. Chi passa l'esame si occuperà dei roditori che vivono nei quattro stabulari dell'Università e campano la loro esistenza di cavie tra pasti assicurati ed esperimenti subìti.
 
Pagina 18 – Cagliari
In trecento al concorso per "cavia-sitter"
La formula è sempre la stessa: «È un lavoro». Tre parole bastano per spiegare i 333 candidati ai quattro posti da stabularista banditi dall'Università. Le domande erano 700, ma ieri una metà abbondante ha rinunciato ad affrontare i quiz a uscita multipla e ad affollare la cittadella di Monserrato insieme a tanti altri, giovani e meno giovani. Categoria B1 area servizi generali, secondo la prosa scabra della Gazzetta Ufficiale. Retribuzione: intorno ai mille euro. Titolo di studio richiesto: licenza di scuola media inferiore. Incarico: stabularista, appunto. Ovvero «stalliere dei ratti», come riassume sorridendo il giovanotto di Guasila che si presenta con mezz'ora di anticipo insieme alla cugina per tentare il concorso. E la definizione non è sbagliata: chi passa l'esame si occuperà dei roditori che vivono nei quattro stabulari dell'Università e campano la loro esistenza di cavie tra pasti assicurati ed esperimenti subiti. Lo stabularista li accudisce, si occupa della pulizia delle gabbie e della loro illuminazione, dell'alimentazione da dare al ratto ma anche della temperatura della stanza in cui è custodito. Non sarà il genere di carriera che si sogna da piccoli, ma di sicuro «è un lavoro». Basta e avanza, a Cagliari, per ritrovarsi in più di trecento a cercare di azzeccare almeno 32 risposte su 40 quesiti a uscita multipla. Argomenti: i più vari, dalle leggi sul trasporto delle cavie all'intensità della luce alla quale esporre gli animali. Tipologia dei candidati: altrettanto varia, dal muratore che vorrebbe cambiare mestiere al laureato che ne vorrebbe trovare uno. Molte le donne, a riprova che non è vero che le ragazze hanno paura dei topi, o quanto meno ne hanno meno che della disoccupazione. C'è chi non teme i roditori perché li ha sempre avuti per casa, ed è il caso della guasilese («Io ne ho tanti, criceti e topolini - spiega il cugino - non le fanno più impressione») e chi si è abituata ad averci a che fare per motivi di studio. Veronica Pingiori e Antonella Travaglione sono laureate in biologia e i ratti li conoscono: «Non sono pericolosi, se anche ti morsicano comunque non c'è rischio di infezione: sono nati e cresciuti in gabbia, in ambiente sterile. È un lavoro che conosciamo già. Com'è? Né lieve né gradevole, ma comunque è un lavoro e tra l'altro è in ambito universitario». Un po' lo stesso ragionamento di una loro collega, la dottoressa Bifulco, che al concorso si presenta insieme al fratello e con una certa dose di scetticismo: «Siamo in tanti, in troppi: non ci credo granché, ma comunque vale la pena di provare. Certo, anche se dovesse andare bene è chiaro che un conto è fare la biologa, un altro pulire le gabbie dei conigli o dei ratti. Ma se il lavoro non c'è che devi fare? Provi, e se va bene nel frattempo cerchi altro». Pochi giorni fa il rettore Pasquale Mistretta, presentando ai giornalisti il 2005 dell'ateneo, diceva che quella in biologia è la laurea del futuro. Il dato è dimostrato dalle statistiche sulle iscrizioni, forse è il futuro che ancora non è stato informato. Alle dieci la piazzola della cittadella universitaria si svuota, i 333 sono tutti in aula, biro in mano e vai col quiz. C'è anche Massimo, manovale cagliaritano. Potrebbe riuscirgli il piccolo miracolo dell'assunzione, in fondo non sarebbe il primo: «L'altro giorno - spiega la sua fidanzata, che lo aspetta davanti all'aula - è successo l'incredibile: gli hanno fatto un contratto di lavoro regolare, contributi e tutto il resto. Prima lavorava in nero e gli facevano fare solo intonaci, che è una cosa che ti annoia da morire e ti scarnifica le mani. Ora è edile, che è già più interessante, e soprattutto ha un'assunzione vera. È il suo periodo buono, magari vince il concorso. Anche se a pensarci bene forse non gli converrebbe neanche, mi sa che in cantiere è meglio».
Celestino Tabasso
 
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 14 – Cultura
Polemiche. Gli studiosi della limba: ecco una piccola rassegna di tipi e sottotipi
Se i Signori del sardo lasciassero parlare il popolo
Conoscere più lingue significa avere anche una mente aperta
Gli umanisti secenteschi ricordano che Isabella d'Este dovette intervenire d'urgenza in giudizio per dirimere un'acerrima contesa fra due nobili padani che disputavano sulla pertinenza di certe espressioni fiorentine nel parlato illustre delle corti settentrionali. Con tono molto più modesto la monotona cronaca d'uno storico di cose piccole e di aneddoti ci rammenta che a Firenze nel Quattrocento esplose un'imponente rissa fra le "donne brutte" e le "donne belle" del mercato principale a causa di certe espressioni inappropriate nel denominare frutta e verdure (ancora oggi si deve dire da buoni Fiorentini popone per melone e baccelli per fave). Un aspetto accomuna i due eventi, e un altro li dissocia. Il primo aspetto riguarda il contenuto della trasmissione testuale: l'oggetto di discettazione è la lingua, il buon uso pubblico della lingua delle corti o del mercato. Fiorentino contro padano illustre, o anche fiorentino illustre contro fiorentino becero. Il secondo aspetto attiene invece ai testimoni degli eventi. Nel primo caso, chi ci ha gelosamente custodito gli avvenimenti, decorandoli di preziose glosse e considerazioni, sono i Signori delle corti, gli interpreti elitari dei fenomeni sociali che scandivano la vita dei nobili, i quali hanno inserito la vicenda giudiziale nel seno d'una tortuosa disamina filologica, cercando un consensus eruditorum che si chiuderà nell'Ottocento col Manzoni e i suoi seguaci. Nel secondo caso dobbiamo la magra testimonianza a un acuto osservatore delle minuzie del popolo: il Villani, in effetti, descrive la quotidianità della vita del popolino, della sordidior plebs, senza dare più peso di quello che si concede a un mero fatto di cronaca cittadina. La "Questione della lingua" (quella lingua nazionale preconizzata da Dante), come si vede da questi due singoli episodi, ha coinvolto nella sua descrizione "i Signori" e, anticipando un termine che diverrà soltanto diffuso dopo la Rivoluzione francese, "i Giornalisti". I primi hanno avuto il grande vantaggio della massima diffusione dei loro scritti, e della massima attenzione da parte di chi, avendo il potere politico, gestiva l'uso della lingua. I secondi non hanno goduto di nessun privilegio, e le loro notizie venivano lette come si legge oggi la cronaca, senza effetti di cambiamento. Il paragone che vorrei stabilire nelle prossime righe con la "Questione della lingua sarda" nasce dalla mia sensazione che le recenti polemiche sui giornali e i mass-media sul sardo, frammiste a volte di vis corrosiva, riguardino i "Signori della lingua". Utilizzo il termine come esso compare per designare i "padroni", come nel romanzo di William Golding Il Signore delle mosche, o più recentemente in Il Signore degli anelli. Si tratta per me di un dibattito che affiora in pubblico soltanto perché chi lo trasmette ha una funzione sociale privilegiata, un dono che il popolino non ha. Le estrinsecazioni che leggiamo o sentiamo rappresentano, in fin dei conti, il pensiero di pochi, d'una élite che, consapevolmente, vorrebbe governare il futuro della lingua sarda. Ma come successe col Bembo, il Signore per eccellenza della Questione della lingua italiana, le esternazioni dei Signori isolani possono tradire ciò che è il loro personale (e perciò irripetibile e non condivisibile a priori) senso del "buon gusto" , e non necessariamente riflettere motivazioni ideologiche o funzionali legate all'utilizzo del codice linguistico. Perciò mi propongo ora di sviscerare, come un puro cronista medievale, le cause che la massa popolare addita a favore o contro il sardo, offrendo al lettore una rassegna critica di argomenti, senza esprimere il mio pensiero di fondo (che mi farebbe subito diventare anche Signore della questione). Per affrontare il delicato tema che ci interessa credo che convenga preliminarmente dividere i Sardi in due grosse categorie: quelli che amano e quelli che ripudiano la lingua etnica. Quelli che amano la lingua sarda possono a loro volta essere suddivisi in parlanti nativi (Chomsky direbbe native speakers di L1 o madrelingua) e parlanti non nativi. I primi amano la lingua come amano la famiglia, la casa dove son cresciuti, il paese dove vivono, la macchina che hanno soffertamene comprato. Per loro parlare sardo è qualcosa di "naturale", e perciò non valgono né principi gerarchici né argomentazioni di nessun tipo per negare ciò che a ragione considerano un diritto acquisito. Purtroppo il loro numero è esiguo. Ma è qui, nella loro quantificazione, dove i Signori della lingua cominciano a perdere la causa. Dicono, senza carte valide, che sono pochi, o che non ce ne sono quasi, ma non ci dicono in verità quanti sono, né dove abitano, e neanche quando e quanto parlano sardo. Meschinus, non potrebbero farlo, neanche volendo, perché ciò che loro possiedono è soltanto una valutazione impressionistica, nessun dato concreto prelevato a una rigorosa indagine di carattere sociolinguistico o psicolinguistico. Se qualcosa manca in Sardegna ancora è un'indagine seria sul numero di parlanti e sugli usi effettivi della lingua in tutti i contesti possibili (a casa, in famiglia, coi vicini, col medico, a scuola, nell'amministrazione pubblica, al cellulare, con la fidanzata in discoteca, coi figli a tavola, quando s'impreca da soli, quando si raccontano barzellette, quando si parla di tasse o di Soru o di Berlusconi, ecc. ecc.). Ma a guardar più da vicino la quantificazione dei parlanti veraci del sardo non costituisce dappertutto un argomento pro o contra l'uso della lingua minoritaria. Un caro collega americano, Mauricio Mixco, direttore di Anthropological Linguistics nell'Università di Salt Lake City, scopritore dell'ultimo parlante nativo dei Pai Pai, minoranza aborigene della Bassa California ormai estinta, mi ricordava anni fa che ogni politico americano vedrebbe di buon occhio (e dunque finanzierebbe!) lo studio, la ricerca o l'insegnamento di qualsiasi lingua aborigene, anche se fosse parlata da un solo superstite. Evidentemente gli americani non fanno distinzione fra, putacaso, le neuroscienze e la linguistica: lo studio di un microrganismo raro o di una lingua rara apportano in entrambi i casi contributi non disprezzabili per la conoscenza dell'umanità, delle origini e dello sviluppo dell'uomo, e anche del suo pensiero nel secondo caso. Forse è un esempio da imitare. I parlanti non nativi che amano la lingua ravvisano nell'uso del codice etnico un valore "umano" e "sociale", considerano la lingua come un beneficio alla loro crescita culturale e al loro divenire cittadini internazionali in grado di vantare un bene che pochi conoscono ma che molti desiderano conoscere. Essi fanno parte di una grande schiera di uomini, appartenenti a comunità piccole contenute in superstati d'estrazione ottocentesca (il Friuli, la Val d'Aosta, la Catalogna, il Galles, la Frisonia ecc.), dove la cura della lingua rappresenta un esercizio quotidiano, come lo possono essere apprendere un lavoro, imparare a guidare o anche a usare un computer. Una meta che però arricchisce le persone culturalmente, annienta quel processo, che molti sociologi e filosofi hanno descritto come irreversibile (vedi Niklas Luhmann), di "autopoiesi", "omologazione", "globalizzazione", insomma di azzeramento della personalità e della distintività che da sempre hanno rappresentato sorgenti positive dell'uomo. Questo gruppo di parlanti non nativi non ha paura di usare la lingua etnica anche se non la conosce perfettamente; non ha vergogna di sbagliare, consapevole del fatto che soltanto sbagliando si impara; non teme il conflitto con le autorità, anzi le sfida. Prexiaus! Il loro numero è anch'esso ignoto a buoni e cattivi critici del linguaggio. Ma tanto vale, poiché come ho detto prima, l'argomento quantitativo non ha senso. Il rispetto, l'amore della lingua costituisce una categoria qualitativa, di vita, di spirito direbbe Hegel. Più arduo analizzare il gruppo, mastodontico ahimè, dei Sardi che non amano la lingua sarda. Una prima diramazione potrebbe essere fra quelli che non considerano il sardo una lingua e quelli che invece la considerano alla pari dell'italiano. Il primo sottogruppo, dobbiamo ammettere senza deroghe, è mal informato. Ogni varietà di lingua che possiede tratti fortemente distintivi (si pensi soltanto all'articolo su o al futuro scomponibile del tipo apo+a+cantare) e che si trova in una comunità storica dotata, come la Sardegna, di una sua propria storia (la Sardegna sembrava prima dell'Unità la regione "più iberica" e "meno italiana" del futuro Regno italico) può rivendicare lo status di "lingua". Il secondo sottogruppo è ancora più complesso. Una parte di codesto crede che il sardo sia davvero una lingua, ma subalterna dell'italiano, per valenza strutturale o culturale. In parte credono che la mancanza di una codificazione, ossia di una ortografia e di una norma grammaticale valida per tutte le varietà, rappresenti un ostacolo insormontabile per l'utilizzo quotidiano, orale e scritto, del sardo. Orbene, nessuno minimizza le difficoltà di raggiungere uno "standard", una supervarietà rappresentativa delle varietà logudoresi e campidanesi. Ma difficoltà non significa impossibilità, come insegna la storia di tante altre lingue, del passato e del presente, che hanno superato lo stato di crisi attuale del sardo. Nuovamente un deficit d'informazione nuoce all'avanzamento regolare delle sensibilità di gruppo e delle decisioni dei Signori. Più "psicologico" il dato negativo che accompagna la parte di Sardi che sottovaluta culturalmente il sardo. Il pensiero che una lingua di cultura quale l'italiano possa assolvere ai compiti funzionali di un'altra, quale il sardo, è sinceramente errato e fuorviante. Una lingua è il portato della storia, riflette nelle sue strutture non solo la cultura materiale propria d'un'evoluzione senza doppioni, ma persino i modi di vedere e segmentare l'universo che ci circonda. Herder, Rousseau, Whorf, Sapir, Max Weber, Levi-Strauss, Wagner, Michelangelo Pira e tantissimi altri ce l'hanno dimostrato in mille modi. Ma è il contributo degli psicologi del linguaggio che mostra inequivocabilmente come la mente d'un bilingue con una lingua minore e una maggiore sia più aperto all'apprendimento, più rapido ed efficiente nell'imparare stimoli cognitivi di vario ordine. Nel melting-pot o crogiolo americano intravedono molti studiosi di oggi il carattere fortemente poliedrico e ricco di stimoli che contrassegna la comunità scientifica internazionale americana (cinesi, ispanici, africani divenuti americani, ma "proprietari" delle loro culture d'origine). Questa rassegna potrebbe allungarsi ancora ad altri sottotipi, ma credo che, da cronista della realtà e dei pensieri di su pòpulu, io abbia dato al lettore un'idea sufficientemente rappresentativa di ciò che i Signori della lingua dicono e non dicono, di ciò che il mondo concreto e anche quello virtuale del sardo rappresentano nelle menti dei parlanti convinti, dubbiosi o contrari. A differenza d'Isabella d'Este o delle donne belle e brutte del mercato di Firenze, la contesa sulla lingua sarda deve avanzare per aumento di conoscenze e di sensibilità, senza apriorismi di alcun tipo. I Signori della lingua devono finalmente lasciar parlare al popolo, ascoltarlo e, come nella Rivoluzione francese, seguire democraticamente la sua volontà. Il resto lo farà la storia. Parola da cronista contemporaneo.
Eduardo Blasco Ferrer
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 5 - Sardegna
 Asl 1: il manager presenta i suoi programmi e comincia dal taglio ai tempi per le liste d’attesa
 Sassari, è iniziata l’era Zanaroli
 Giorgio Lenzotti e Gianbattista Mele sono i nuovi direttori
 
Tra le priorità dichiarate c’è la creazione dei distretti sanitari fin’ora mai esistiti
 
 SASSARI. Redistribuzione delle risorse, economiche e professionali, accorciamento delle «mostruose» liste d’attesa, creazione dell’azienda mista universitaria, istituzione dei distretti e delega di responsabilità sul territorio, riapertura del reparto di cardiochirurgia («entro due mesi») e completamento dell’eliporto, grande incompiuta della precedente gestione. Questi i programmi annunciati ieri dal nuovo direttore generale della Asl n.1, Bruno Zanaroli, che si è presentato alla stampa accompagnato dall’assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin.
 Una vera e propria rivoluzione che dovrebbe, alla fine, rendere più concreto il diritto alla salute per oltre 300 mila assistiti in tutto il territorio. Bruno Zanaroli, che è stato nominato dalla Giunta regionale di Soru dopo le dimissioni del predecessore Antonello Scano, proviene dall’azienda sanitaria di Modena dove svolgeva il ruolo di direttore amministrativo.
 Nel corso della conferenza stampa sono stati anche annunciati i nomi dei più stretti collaboratori di Zanaroli. Il direttore sanitario proviene anch’egli da Modena, si chiama Giorgio Lenzotti ma è nato in Sardegna, a Tortolì. I compiti di direttore amministrativo sono invece stati affidati a Gianbattista Mele, già in forze alla Asl n.1.
 Un vertice nuovo di zecca, dunque, che si propone di mettere mano a un’azienda fortemente in crisi, con disavanzi che si aggirano attorno al 10-15 per cento dei costi globali. Fra le priorità dichiarate dal manager modenese la creazione dei distretti sanitari, mai esistiti nella provincia, una totale riorganizzazione del personale e la creazione dell’azienda mista con l’università. «Abbiamo già avviato un tavolo tecnico - ha precisato l’assessore Dirindin -, ora c’è da definire la missione dell’azienda e le sinergie con l’università».
 Progetti ambiziosi, che Zanaroli dovrà portare a compimento per contratto. Dall’accordo stabilito con la Regione, infatti, è stato eliminato il patto, definito scellerato, secondo il quale i manager rinunciavano al 20 per cento del compenso ma non erano tenuti a raggiungere gli obiettivi.
 Il nuovo manager ha anche annunciato propositi di trasparenza nella comunicazione con gli utenti e corretti rapporti con le rappresentanze sindacali. Il prossimo impegno per Zanaroli è fissato infatti per il 13 gennaio, giorno dell’istituzione della Rsu.
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 19 - Sassari
 IL CASO
 «Ci sarà una sola azienda ospedaliera»
 
 SASSARI. Chi nutriva ancora l’illusione che a Sassari potessero essere istituite due aziende ospedaliere in concorrenza tra loro ha ricevuto ieri sera una risposta definitiva. Non se ne parla nemmeno. Lo ha detto con molta chiarezza l’assessore regionale Nerina Dirindin, rafforzando un concetto già espresso dal nuovo direttore generale Bruno Zanaroli: l’esperienza italiana insegna che una azienda ospedaliera per provincia è più che sufficiente. Tanto per fare un esempio: in Emilia-Romagna, con una popolazione di quattro milioni di abitanti, ne sono state istituite appena cinque.
 È un argomento sul quale molto si discute negli ambienti sanitari sassaresi dopo che Regione e Università hanno firmato il protocollo d’intesa per l’istituzione dell’Azienda ospedaliera mista: «Il tavolo tecnico è già avviato», ha detto l’assessore Dirindin. Il progetto iniziale prevedeva che all’Azienda mista venissero conferite le attività assistenziali dell’Università e parte delle strutture ospedaliere dell’Asl. Si parlava di Alghero, ma nel protocollo d’intesa nulla è stato precisato al riguardo.
 Ma la prospettiva di lungo periodo appariva quella di una concorrenza tra due ospedali-azienda, uno a caratterizzazione universitaria, l’altro coincidente con il Santissima Annunziata. La rivoluzione nella sanità sarda con l’arrivo dell’assessore piemontese ha smantellato parte di questo disegno: a Sassari ci sarà una sola azienda ospedaliera, quella istituita con il protocollo d’intesa. «L’unico argomento che ci è stato proposto contro questa soluzione - dice Nerina Dirindin - è che il Santissima Annunziata avrebbe avuto difficoltà a lavorare con l’Azienda mista. Ma il futuro della sanità è proprio nella capacità di individuare sinergie e fare sistema. Non serve esasperare la competizione».
 Come sarà organizzata l’Azienda mista è tutto da definire. Zanaroli ha messo alcuni punti fermi: ha parlato di «autonomia dei presìdi ospedalieri», che dovranno «lavorare in rete», senza duplicazioni e rafforzando l’integrazione con i servizi territoriali. «Le strutture autoreferenziali sono la morte della rete ospedaliera», ha sentenziato il nuovo manager.
 
 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 6 - Cagliari
 Il museo finito dopo trent’anni
 Sant’Antioco, parla il direttore Pietro Bartoloni
 
 SANT’ANTIOCO. Nei giorni scorsi il Comune ha provveduto a consegnare al direttore onorario del Museo la struttura in quanto i lavori sono terminati. «È un grande successo per l’amministrazione arrivare all’apertura di questa struttura dopo trenta anni di fatiche - sostiene Piero Bartoloni, docente universitario a Sassari e futuro Direttore onorario della struttura - questo museo rappresenta una grande opportunità per il paese che deve saperla cogliere. Il museo costa ma può generare ricchezza per altre attività». L’amministrazione comunale ha ufficialmente comunicato nei giorni scorsi alla Soprintendenza Archeologica Regionale l’avvenuta fine lavori per la struttura. Prima di prendere in carico il museo, Bartoloni ha chiesto un sopralluogo congiunto con i tecnici dell’amministrazione comunale e Paolo Bernardini, responsabile della Soprintendenza per il Sulcis, al fine di definire un percorso per l’apertura. Si devono predisporre le diverse sale con i reperti che la soprintendenza deve spostare di magazzini antiochensi ed in parte, piccola parte sottolinea il direttore, dal museo archeologico nazionale di Cagliari. Poi occorre predisporre i pezzi nelle vetrine e preparare le relative didascalie. Bartoloni ha specificato all’Amministrazione che ci vorranno almeno due mesi, da quando tutti i reperti saranno stati ospitati nella struttura, per poter aprire ufficialmente la struttura. Nella predisposizione della sede museale il professore sarà coadiuvato dagli studenti della Facoltà di Archeologia dell’Università di Sassari. «Il Museo deve essere una struttura viva - sottolinea Bartoloni - non una mostra rigida. Per questo ho destinato la prima sala alle esposizioni temporanee. Si potranno ad esempio presentare collezioni di altri musei». il museo potrà essere sfruttato, grazie alla sua capiente sala, anche per ospitare conferenze, filmati o altre manifestazioni culturali. Bartoloni vuole anche disilludere chi pensa che solo per il fatto di esistere il museo possa creare ricchezza. «Occorre fare molta attenzione - sottolinea il Direttore - il museo può essere richiamo per molti visitatori, che potrebbero acquistare oggetti forniti dai negozi locali d’artigianato, potrebbero mangiare in ristoranti vicini alla struttura». Occorre un coordinamento con il museo e la capacità di praticare politiche dei prezzi che non spaventino i visitatori. Sant’Antioco non deve essere «quel paese con tanti alberi che si attraversa (così si è espressa una turista) - dice Bartoloni - per andare a Carloforte. Questo tesoro, il museo - sottolinea Bartoloni - produce se è coltivato altrimenti è una struttura come tante altre. Alla città chiedo di partecipare all’evento, non solo venendo all’inaugurazione, ma facendo uno sforzo comune per il suo utilizzo». L’organico del museo comprende un direttore, un fotografo, un restauratore, oltre al personale di guardiania, e alle guide.(c.f.)
 
 
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 20 - Sassari
 UNIVERSITA’
 Laboratori su radio e tv: entro domani le iscrizioni
 
 SASSARI. Scadono domani, venerdì 7 gennaio, le iscrizioni ai laboratori su radio e televisione organizzati, nella facoltà di Scienze politiche dell’ateneo sassarese, dal corso di laurea in Scienze della Comunicazione e Giornalismo. L’attivazione degli stessi laboratori (per i quali sono obbligatorie l’iscrizione e la frequenza per gli studenti di Scienze della Comunicazione e Giornalismo che intendono aderirvi) rappresenta un’autentica novità nei programmi di Scienze Politiche. Gli studenti lavoratori potranno concordare un percorso personalizzato. Per comunicare con i responsabili dei laboratori si può scrivere all’indirizzo di posta elettronica labcom@uniss.it o telefonare allo 079 228942. Entrambi i corsi sono coordinati dal docente e giornalista Rosario Cecaro. Il laboratorio radio, articolato in due modalità, seminariale e tecnico-pratica, vedrà organizzata l’attività secondo tipologie riguardanti l’analisi dei programmi radiofonici e la realizzazione degli stessi. Gli studenti iscritti saranno divisi in gruppi e potranno operare individualmente o in equipe. Ciascun partecipante dovrà studiare e realizzare un progetto che verrà esaminato e discusso nell’esame finale. Il testo di riferimento è “Il mondo della radio-Dal transistor a Internet”, di Enrico Menduni, edito da “Il Mulino”. Anche per il laboratorio televisione sono previste modalità seminariali e tecnico-pratiche. Le tipologie considerate saranno l’analisi dei programmi televisivi, la realizzazione delle riprese televisive, l’editing dei servizi televisivi e la post-produzione (realizzazione e montaggio).
 Al pari del laboratorio radio, anche per il laboratorio televisione gli studenti saranno divisi in gruppi, con la possibilità di impegnarsi individualmente o in equipe, e ciascun partecipante avrà il compito di studiare e realizzare un progetto che verrà sottoposto all’esame finale. I testi di riferimento sono “Il giornalismo televisivo”, di Pino Di Salvo, pubblicato da Carocci, e“Dal giornale al portale-Storia e tecniche della comunicazione”, di Domenico Nunnari, edito da Rubbettino. (m.d.)

Questionario e social

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