Domenica 16 gennaio 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
16 gennaio 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Rassegna Stampa di domenica 16  gennaio 2005
 
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 51 - Cultura e Spettacoli
Gli illuminanti studi di antichistica di Sotera Fornaro
Dalla cultura dei classici un po’ di ritrovata saggezza
Quella che, con molta approssimazione potremmo chiamare antichistica, al cui guado confluisce il diverso lavoro di grecisti e latinisti, filologi e archeologi (e via dicendo), gode in Italia d’una gran bella tradizione: laddove il bello potrebbe stare nel fatto che proprio dagli antichisti sono venuti, negli anni, libri di grande libertà e impegno, composti spesso nel segno di quell’interdisciplinarietà che era già tale quando ancora il termine per definirla non era stato nemmeno coniato. I nomi, grandi e remoti, sono nella memoria di tutti coloro che nutrono ancora passione per gli studi classici. E che spero non siano così pochi come invece temo. A me basta farne solo due, e di studiosi ancora fertilmente attivi, ma classificabili a tutti gli effetti tra i più interessanti scrittori italiani oggi in circolazione.
Uno è Luciano Canfora, professore di filologia greca e latina, che, pendolando tra Adelphi e Sellerio, sa occuparsi, con lo stesso rigore, con la medesima volontà di demistificazione, di Lucrezio o Gentile e Concetto Marchesi, di Tucidide o Gramsci e Togliatti: proiettando sempre i fantasmi del passato sullo schermo del presente, mentre magari s’accanisce dentro una riflessione sui rapporti tra demagogia e democrazia.
L’altro è Maurizio Bettini, professore di filologia classica, che mi pare, a tutt’adesso, il più suggestivo indagatore delle letterature classiche in direzione dell’antropologia culturale contemporanea: basterebbe sfogliare un solo suo libro, «Le orecchie di Hermes», pubblicato da Einaudi nel 2000, per capire subito cosa intendo.
Dentro tanto pessimismo quanto alle cose della cultura, una parola rinfrancante, però, la voglio dire: quella bella tradizione è lungi dal potersi dire spenta. Un esempio in tale direzione lo abbiamo proprio qui, nell’università di Sassari - sicché mi piace indicarlo ai nostri lettori - ed è rappresentato da una giovane studiosa, Sotera Fornaro, di cui ho letto recentemente una notevole introduzione a due dissertazioni tenute in lingua latina nel 1779 a Gottinga da Christian Gottlob Heyne, pubblicate ora dall’editore Argo di Lecce col titolo «Greci barbari» nella collana «Il vello d’oro» diretta da Giovanni Cerri, e tradotte da Claudia Pandolfi. Ma non vorrei dimenticare, della Fornaro, un recente e godibilissimo lavoro su un gigante della cultura occidentale come Omero: tanto per dire della disinvoltura con cui, alla studiosa, riesce d’affrontare anche questioni che è solo eufemistico definire immani.
Ma c’è una dote che la Fornaro possiede e che invece latita nel mondo accademico: una limpidezza di scrittura che in lei vale come la traduzione d’una eleganza concettuale, non so se nativa o maturata su chissà quale apprendistato letterario di sobria classicità. Sicché, in queste pagine, riesce pure a noi di seguire con facilità le tappe d’una biografia intellettuale di un «antichista di professione» che, per primo, seppe mostrare «come le acquisizioni sui moderni popoli “primitivi”, che venivano dai resoconti di viaggi, potessero servire a spiegare molti elementi della civiltà greca arcaica».
Veniamo così a conoscere che la vocazione antropologica dell’antichistica è fatto assai remoto: e di decisiva importanza per avviare quel processo di scoperta di «noi selvaggi» che, solo, potrà ricondurre l’Occidente sulla via d’una qualche saggezza.
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 51 - Cultura e Spettacoli
Nuova edizione italiana della monumentale opera di Manuel Castells, lavoro in corso, aperto dal 1996
Nella rete del capitale globale
Le leggi del dominio e il ruolo delle identità resistenti
ANTONI ARCA
L’età dell’informazione: economia, società, cultura» (Università Bocconi Editore, tre volumi, 90,00 euro) è certamente l’opera maggiormente citata dai sociologi di tutto il mondo da circa otto anni a questa parte. È il frutto della ricerca condotta da Manuel Castells, docente a Berkeley, California, durata oltre un decennio e, dal 1996 a oggi, continuamente aggiornata attraverso seminari presenziali e online tenuti da Castells stesso e periodicamente adeguata in forma di ponderoso volume a stampa. L’ultima edizione italiana risale a poche settimane fa.
Proposta per i tipi della Università Bocconi consta di tre grandi tomi oscillanti tra le 500 e le 600 pagine ognuno. I rimandi analitici risalgono alla fine del 2003, per cui possiamo affermare che, considerati i tempi del libro tipografico, si tratta di una enciclopedia della società contemporanea. Non quindi una semplice, o complessa riflessione sul senso della globalizzazione, ma una lettura storica, sosciologica ed anche politica del mondo civilizzato preso nel suo insieme: dentro non ci sono soltanto Europa e Usa, ma anche Asia, Africa, America del Sud ed ex Unione Sovietica, sia intese come civiltà politicamente riconosciute e culturalmente emerse, sia come interessi consortili illegali ed anche palesemente criminali. Soprattutto, l’opera non si limita a porre l’accento sugli effetti della «galaxia Internet», come in molti vorrebbero lasciar credere per ridurre la portata della cruda riflessione di Castells, ma spiega dove sta andando il nostro mondo a causa della monocultura capitalista. Non è Internet a cambiarci la vita, ma la mancanza di modelli alternativi; non sono gli spauracchi comunisti a causare il calo del Pil, semmai l’assenza di comunisti nel mondo; il capitalismo, senza più avversari, si autoproduce sperimentando continuamente nuove forme di accumulazione senza alcun timore nei confronti di nessuno, se non di se stesso.
Di fronte a simili affermazioni l’uomo della strada, e non solo, considera che è sempre stato così, che, per dirla con una elegante citazione letteraria, si tratta di gattopardismo: che tutto cambia perché niente cambi. Ma Castells ci fa notare che è la prima volta nella storia dell’umanità che una cultura imprenditoriale non ha nessun avversario in nessuna parte del mondo; che è la prima volta che gli interessi del singolo possono trovare soddisfazione in qualunque parte del mondo senza per questo dare il via a una guerra coloniale; che, soprattutto, non esistono più né tempo né distanze rigidamente intese secondo i canoni gregoriani. Un minuto dura lo spazio di un bacio amoroso, oppure tutto il futuro di una intera nazione, se la rete capitalista informazionale considera utile ignorarne gli interessi e quindi disconnetterla dai flussi economici mondiali.
Qualcuno considererà l’affermazione pura fantapolitica, ma basta leggere le cronache dal mondo di uno qualunque dei quotidiani per rendersi conto che è esattamente ciò che accade in molte zone d’Africa, d’Asia e dell’America Latina.
Ma, ciò che è più grave, l’esclusione non colpisce soltanto nazioni «povere» o geograficamente problematiche, ma intere fasce di popolazione civilizzata in senso occidentale, cioè quegli attori sociali che talvolta incontriamo guardandoci nello specchio: noi stessi, o almeno certi nostri potenziali sviluppi. Andiamo bene solo quando sappiamo adeguarci in maniera convincente: più banalmente, quando stiamo nel trend. La rete globalizzata a cultura capitalista esige in tempo reale soltanto ciò di cui ha bisogno, e va a prenderlo dove esista già, senza preoccuparsi di investire né in ricerca e sviluppo, né in scolarizzazione di massa o di qualità, né, tantomeno, in welfare. Il mondo è grande, la rete è ben connessa, i flussi sono continui, quindi che ci pensino gli stati o in subordine le nazioni a far sì che la gente viva dignitosamente o soffra nelle periferie metropolitane. La velocità degli scambi renderà sempre e comunque operativa la rete, e laddove uno snodo venisse a mancare la rete sarà comunque in grado di rigenerarlo poco più in là. Perché il capitalismo contemporaneo è acefalo; della piovra sono rimasti soltanto i tentacoli, in grado di rigenerarsi all’infinito, sempre che si trovino immersi in un adeguato brodo di coltura: la logica del profitto, secondo Castells una maniera elegante per definire l’avidità.
È impossibile riassumere l’opera di Castells in poche righe, anche a volersela cavare riportando gli indici andremmo di gran lunga oltre lo spazio offerto dal giornale, per cui preferisco dedicare la chiusura ad alcune considerazioni di carattere locale facilmente desumibili da ognuno dei tre volumi: «La nascita della società in rete»; «Il potere delle identità»; «Volgere del millennio».
Il primo volume ci insegna a capire come, con la fine del comunismo sovietico, l’implicita vittoria del capitalismo su scala globale e le innovazioni tecnologiche, la società ha smesso di essere un sistema industriale per divenire informazionale; ciò significa che, come titola il terzo, al volgere del millennio nessuno può rimanere sconnesso dalla rete a meno di non avere deciso o subito di esserne tagliato fuori. Le conseguenze, in un caso o nell’altro, non sono comunque felici, perché il mondo globalizzato aumenta ed accresce le divergenze sociali; per cui vive bene chi è inserito nei flussi decisionali, cioè di chi impara per fare (learning by doing), e meno bene chi è inserito nei flussi operativi, cioè chi apprende per usare (learning by using). I due mondi non sono intercambiabili se non in prossimità dello snodo, altrimenti si tratta di canali funzionali che corrono paralleli senza mai incontrarsi. Ma, chi è dentro la globalizzazione, afferma Castells, è contento anche quando è infelice, perché il potere dei media è tale da modificare il senso del reale e quindi trasformare in razionalità e libera accettazione qualunque sperequazione sociale. Soltanto chi è tagliato fuori dai flussi per scelta o per destino riesce a percepirlo. I primi lottano per rientrare nella rete e modificarla, e gli altri per entrarvi a qualunque prezzo, anche al costa della totale rinuncia della propria identità.
In quest’ottica, in una logica di rete in cui il potere delle mafie è pari, se non superiore a quello degli stati, la sola possibilità di salvezza e riscatto è, invece, nell’identità; che non è né storicamente chiusa né politicamente accertata, ma mobile, variabile, e può essere un limite, oppure la chiave del potere. Perché, sia chiaro, l’assunto Castells vi dedica tutto intero il secondo volume, ricordandoci che esistono tre tipi d’identità spendibili nel nostro futuro già presente: le identità legittimanti (quelle statali e burocratiche), quelle resistenti (cioè dei popoli o dei gruppi sociali in lotta), e quelle progettuali.
Possiamo desumerne quanto segue. In quanto sardi, il nostro destino è segnato: i flussi del capitale globale hanno deciso che la Sardegna esiste perché riserva storico-geografica per turisti di media e alta ricchezza; che i sardi divengano camerieri o cultori di saperi locali oppure si mettano in rete per «fare» o per «usare». L’alternativa a questa scelta, che trova le sue radici nelle false Carte d’Arborea, è l’invenzione di una identità resistente slegata dai giochi folcloristici e fortemente ancorata alle piccole realtà locali per trasformare la memoria in operatività di sistema all’interno di un progetto identitario che dichiari e giustifichi bisogni, esigenze e diritti secondo logiche sociali tendenti allo sviluppo e non alla mera conservazione museale dell’esistente.
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 8 - Nuoro
Arrivano gli esperti nella gestione dei parchi naturali
Parte a febbraio il primo corso che ha avuto anche l’ok della Regione
NUORO. Ci vorrà poco più di un anno e poi i primi venti esperti sardi nella gestione dei parchi naturali saranno pronti a presentarsi sul mercato. Durerà circa dodici mesi, infatti, a partire da febbraio, il primo corso Ifts (istruzione e formazione tecnica superiore) per “Tecnico superiore per la gestione e promozione dei parchi naturali, marini e archeologici” organizzato dall’Istituto tecnico commerciale numero 2 “Satta”, finanziato dall’Unione europea e dal ministero dell’istruzione, e approvato dalla Regione.
Il corso, organizzato in collaborazione con la facoltà di scienze politiche e scienze ambientali dell’università di Sassari, con la cooperativa Lariso, e con la società Selema di Siniscola, prevede 800 ore di lezioni teoriche e 400 di stage in diverse aziende del territorio.
Milleduecento ore in tutto distribuite nell’arco di dodici mesi per cinque-sette ore al giorno. La frequenza alle lezioni è obbligatoria e gratuita. Tra le materie ci sono anche l’economia dell’ambiente, la legislazione del turismo, il sistema dei parchi, l’informatica, elementi di statistica, la programmazione e lo sviluppo del territorio.
Destinatari del corso, sono venti allievi in possesso del diploma di scuola secondaria superiore. Al corso si accede tramite selezione. I modelli di iscrizione alla selezione si possono ritirare nella segreteria dell’Itc Satta, a Biscollai (numero di telefono 0784/202029), dal lunedì al sabato, dalle 8.30 alle 13 e dovranno essere riconsegnati entro le 13 del 25 gennaio, a mano o tramite raccomandata con ricevuta di ritorno.
L’iniziativa è stata presentata ieri mattina, nei locali della biblioteca dell’istituto, dai componenti del comitato tecnico-scientifico che cura la gestione del corso Ifts: il preside dell’Itc, Mario Porcu, i docenti dell’università di Sassari, Bruno Masala e Antonello Paba, Pino D’Antonio, responsabile della cooperativa Lariso insieme al suo collaboratore Andrea Fiori, l’architetto Giovanni Pigozzi, della società Selema, il tutor del corso Ifts, Giuseppe Solinas.
«Con questo nuovo corso Ifts che la nostra scuola sta per far partire arricchiremo le competenze culturali e professionali dei nostri giovani in materia ambientale - ha spiegato il preside Mario Porcu -. Sarà l’ennesima scommessa formativa che promuoviamo. È da circa dieci anni, ormai, che l’istituto organizza corsi Ifts con ottimi risultati. Sappiamo che il 60 per cento degli allievi che li hanno seguiti hanno trovato un’occupazione quasi subito. Per questa strada, dunque, occorrerà continuare a investire coinvolgendo di più magari gli enti locali».
«Questo corso si inserisce in un discorso più generale di sviluppo delle politiche culturali e ambientali - ha commentato, invece, Pino D’Antonio, della Lariso -. Fino ad ora, infatti, in questi ambiti, mancano i quadri, gli esperti, le persone formate. Mancano le figure intermedie capaci di promuovere e gestire le politiche culturali e ambientali. Con questa iniziativa insieme ad altre già fatte, copriremo questa mancanza».
«Bisogna formare le persone perché sappiamo trasformare il bene ambientale in bene durevole - ha aggiunto l’architetto Giovanni Pigozzi -. Questa è l’unica scommessa da giocare per noi sardi. Altrimenti è come se avessimo il petrolio ma non fossimo in grado di lavorarlo. Non basta avere il bene se non riusciamo a commercializzarlo».
Valeria Gianoglio
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Cagliari
Convenzione con la Regione Friuli e con il dipartimento «figlio» del riformatore Basaglia
Psichiatria, si fa come a Trieste
«Basta ai ricoveri coatti e altre pratiche umilianti»
Alla prossima riunione della commissione regionale forse i dati mai resi noti sulla spesa psichiatrica
CAGLIARI. La commissione regionale per la psichiatria si è riunita e ha deciso due cose: si marcia verso l’organizzazione dell’assistenza e della cura secondo il modello del dipartimento, si affida al nascente rapporto con la Regione Friuli la formazione degli operatori sardi. La psichiatria è fra le cinque priorità della sanità regionale, ma questo non significa che l’assessorato, per ora, chiederà soldi al ministero: prima bisogna sapere che cosa si spende per la salute mentale dei cittadini. L’assessore ha promesso di presentarsi con i dati alla prossima riunione, gli «esperti» (le famiglie dei malati, per esempio) temono che sarà un risultato difficile.
La difficoltà sta nel fatto che l’assistenza erogata ai pazienti psichiatrici non sempre e non dappertutto passa per tale. Ma il punto non è questo, bensì la possibilità di ottenere risorse «che servono - spiega Gisella Trincas portavoce del Coordinamento regionale delle associazioni delle famiglie e dei pazienti - per costruire i luoghi della salute. Purtroppo, per esempio a Cagliari, dal 1998 quando è stato chiuso l’ospedale psichiatrico di Villa Clara, non è nata una sola nuova struttura per la salute mentale. E ce n’è un bisogno crescente, sia perché il disagio sociale e mentale si diffonde sia perché quel che esiste troppo spesso è impostato secondo criteri che ancora tradiscono la riforma psichiatrica e qui si capisce quale sia la portata dell’interrogativo sulle risorse finanziarie: con le strutture vecchio stile radicate nel territorio che ricevono i finanziamenti per funzionare, senza ulteriori fondi come si fa a progettare e realizzare il nuovo? Non c’è dubbio che, con l’insediamento della commissione e le indicazioni date dall’assessore già alla prima seduta, si sia fatto un passo avanti immenso sul piano culturale e organizzativo e abbiamo fiducia nell’impegno che l’assessore ha dichiarato e dimostrato di voler profondere». Ma, fuori dai denti, la domanda è questa: ce la farà l’assessorato nuovo corso a smantellare una mentalità, un modo di lavorare, un sistema di assistenza saldamente gestito da pochi e noti? Non ci vorrà molto per saperlo, già trapelano le prime indiscrezioni sulla delusione dell’università rispetto al tema della formazione. Un esempio sullo stato quasi zero della rete dell’assistenza lo dimostra lo scollamento tra ciò che il sottosegretario con delega per la psichiatria ha suggerito alla neoinsediata commissione e quel che invece succede nel Cagliaritano: il trattamento sanitario obbligatorio deve scomparire dalle pratiche della medicina locale (secondo il sottosegretario), mentre il «tso» resta un provvedimento facile da rintracciare nei registri del reparto diagnosi e cura di psichiatria. La facilità del ricorso al «tso» è uno degli indicatori delle disfunzioni. Il motivo dell’eccesso si trova nell’elenco di quel che non c’è e nell’inadeguato funzionamento di quel che c’è. Si arriva al «tso» perchè non c’è stata assistenza domiciliare, perché non ci sono luoghi alternativi di residenza e di soggiorno a quelli familiari, perché il medico del poliambulatorio riesce a rivedere il paziente, se gli va bene, solo un mese dopo e in genere ne passano anche due, perché le cure farmacologiche restano una goccia nel mare se, come ha detto in più occasioni Giuseppe Dell’Acqua direttore del dipartimento di salute mentale di Trieste, l’assistenza al malato di mente non è fatta di una «rete» di azioni, pratiche, impegni che hanno come ragione e scopo quello di «prendere in carico la persona intera».
Durante i lavori della commissione l’assessore ha fatto proprie le esortazioni del sottosegretario Guidi e, spiega Trincas «ha invitato gli operatori a fare un salto di qualità, con l’impegno di cominciare da subito ad agire in un certo modo. Entro il mese ci sarà un’altra seduta della commissione e, con i dati che si spera ci possano essere, si ragionerà su cosa nelle aziende sanitarie». Da fare, c’è quasi tutto: «Quasi non abbiamo strutture residenziali - elenca Trincas -, non esistono centri diurni, non esistono le piccole residenze, mancano operatori nei centri di salute mentale ed è ugualmente carente la situazione del personale nei reparti ospedalieri di diagnosi e cura. Non si rimarca mai abbastanza quanto sia grave la situazione: nelle nostre associazioni arrivano ormai pazienti anche di 18 anni, con nuclei familiari dove più persone vivono un disagio sociale pesante. Nei reparti diagnosi e cura aumentano i ricoveri di giovani, le famiglie restano sole a subire la sofferenza di un congiunto che non si sa come aiutare. In questa situazione i disagi lievi, come i disturbi alimentari, gli attacchi di panico, non possono essere neppure considerati. E ci sono malati gravi che però hanno un notevole livello di consapevolezza i quali, se aiutati in modo tempestivo e costante, possono davvero diventare di grande aiuto per gli operatori sanitari nell’impostare le azioni di terapia, di inserimento ecc. Il problema delle residenze alternative a quelle familiari è enorme e adesso ci sono diverse famiglie che stanno mettendo a disposizione le loro case per creare piccole residenze. Succede, con risultati incoraggianti, in altre parti d’Italia».
 
5 – La Nuova Sardegna

Pagina 3 - Cagliari

I diritti umani violati nel Laos: un dibattito
CAGLIARI. Il comitato Studenti Libertari di Cagliari comunica che domani alle 17 l’aula magna della facoltà di Scienze politiche di Cagliari, in viale Fra Ignazio 78, si terrà una conferenza dibattito dal titolo «L’Altro SudEst Asiatico: i diritti umani nel Laos». Nel corso dell’incontro verrà dibattuta l’attuale situazione nel Laos dove, sotto il tallone di una pluridecennale dittatura comunista, si registra una violazione dei più elementari diritti della persona, nonchè la totale assenza di ogni libertà individuale. All’incontro parteciperanno Olivier Dupuis (parlamentare europeo dal 96 al 2004, già segretario del Partito radicale transnazionale), Annamaria Baldussi (docente di Storia e Istituzioi dell’Asia, Università di Cagliari) Valentina Tosini (Amnesty International) e Bruno Mellano (autore del libro Indocina Libera). Sono previste inoltre delle relazioni dei ricercatori, di ritorno dal sud-est asiatico.

Questionario e social

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