Lunedì 24 gennaio 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
24 gennaio 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Rassegna Stampa di lunedì 24 gennaio 2005
1 – L’Unione Sarda
Pagina II – Inserto
Entro il primo marzo le proproste da inviare all'Ipi
Ricerca e tecnologia, un progetto per le pmi
Entro il primo marzo scadono i termini di risposta all'invito emanato dall'Istituto per la Promozione Industriale, Ipi, per la presentazione di proposte di realizzazione di progetti pilota nelle aree depresse, finalizzati a favorire il trasferimento tecnologico dal sistema della ricerca alle piccole e medie imprese. L'iniziativa dell'Ipi rientra nelle attività della rete Riditt, promossa dal ministero delle Attività produttive e gestita appunto dall'Ipi. Il programma RidittIl programma nasce dall'esigenza di migliorare la competitività del sistema produttivo attraverso il rafforzamento e l'integrazione dell'offerta di servizi per l'innovazione e il trasferimento tecnologico alle imprese. Piuttosto ampia e di diversa matrice pubblica, privata e mista, è la gamma di soggetti impegnati a diverso titolo nell'innovazione delle imprese: i parchi scientifici e tecnologici, i centri servizi, le stazioni sperimentali, i Bic, gli incubatori, le Università, gli enti di ricerca e le aziende speciali delle Camere di commercio, le associazioni industriali e tanti altri. Il progetto Riditt cerca di integrare l'offerta dei servizi, promuovere l'innovazione, il decentramento e l'internazionalizzazione. Il bando dell'IpiPrevede il finanziamento di quattro progetti pilota per la promozione e la diffusione di tecnologie appartenenti alle seguenti quattro aree: automazione industriale e sensoristica, biotecnologie, materiali avanzati e tecnologie separative. Al bando possono partecipare raggruppamenti costituiti da almeno tre soggetti comprendenti almeno un'Università o un centro di ricerca e una associazione imprenditoriale. I raggruppamenti possono inoltre comprendere altri soggetti operanti nella ricerca dell'innovazione e del trasferimento tecnologico. Il budget delle risorse messe in campo è di 2,3 milioni di euro. I progettiDovranno essere finalizzati alla promozione e diffusione di tecnologie verso le Pmi appartenenti a un'area di specializzazione produttiva o a uno o più settori. E potranno prevedere attività di promozione, dimostrazione e studio e analisi. Le spese ammissibili dei progetti non dovranno essere inferiori a 828mila euro e saranno ammessi il personale dedicato alla realizzazione del progetto, l'acquisto delle attrezzature necessarie per le attività, l'acquisto di servizi non superiore al 20% delle spese ammissibili. Ciascun progetto potrà ricevere aiuti fino a 580mila euro. I progetti dovranno avere una durata non superiore a dodici mesi dalla data di stipula della sovvenzione. L'Ipi metterà a disposizione servizi di assistenza tecnica per la diffusione delle tecnologie alle Pmi, potenziare l'efficacia delle iniziative, armonizzare metodi di intervento seguiti dai diversi progetti e sviluppare sinergie con la rete Riditt. L'intensità di auto massima è stabilita nel 70% delle spese ammissibili. La modulistica è scaricabile dal sito Internet www.ipi.it.
Gabriele Calvisi
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 55 - Cultura e Spettacoli
 La certezza che ogni fenomeno risenta di fattori diversi tra loro si fa sempre più diffusa: un convegno a Sassari
 Se la genetica non spiega tutto
 Dagli Ogm agli altri interventi dell’uomo sugli equilibri naturali
 «Come si fa a stabilire che Buffon è il miglior portiere del mondo?» La domanda non arriva da un appassionato di calcio ma da un esperto di genetica. Un discorso in parallelo tra il Dna e il mondo del pallone per raccontare con parole semplici l’universo che ruota attorno alla doppia elica. Una provocazione sportiva per spiegare come mai sia così frequente leggere sui giornali notizie di studi che attribuiscono alla mappa genetica ogni genere di comportamento umano.
 La prima giornata del convegno «L’intervento dell’uomo sugli equilibri naturali: gli organismi geneticamente modificati», organizzato dall’Associazione sassarese di filosofia e scienza, con il contributo della Fondazione Banco di Sardegna e della Provincia di Sassari, ha ospitato Enrico Berardi, docente di Genetica dei microrganismi nell’università di Ancona, e Corrado Sinigaglia, dell’università di Milano. Il dibattito, moderato da Francesco Sircana, insegnante di filosofia nei licei, è stato introdotto da Mario Fadda, presidente dell’associazione che ha ideato l’incontro.
 Una tavola rotonda che non ha mancato di rendere vivi aspetti complessi e ricchi d’interesse. «Qualsiasi ricerca ha bisogno di un metodo - spiega Berardi nella sala Angioy del Palazzo della Provincia di Sassari -. Per arrivare a un risultato credibile basta scegliere i parametri di riferimento. Ma bisogna fare attenzione. Una formula non è mai eccellente in senso assoluto. Se l’ambito di studio cambia, quella regola può non garantire più risposte soddisfacenti».
 Berardi si è laureato a Sassari e ha proseguito la sua carriera tra Oxford e il Canada. Per raccontare il mondo della scienza sceglie una notizia lanciata qualche giorno fa, il primato che la federazione internazionale di storia e statistica di calcio ha attribuito a Gianluigi Buffon. «Per stabilire chi sia il portiere più bravo posso scegliere di contare le reti. Chi ne prende di meno sarà più in alto nella classifica. Una formula semplice, oggettiva, che si può aggiornare e dà risultati validi. Con il tempo posso trovare qualche variante per migliorare il mio calcolo: le parate in trasferta, quelle in condizioni climatiche particolari. E uso sempre la stessa formula di base perché continua a darmi esiti che descrivono bene la realtà. Poi decido di stilare la top ten dei migliori attaccanti. Stranamente il mio solito metodo, riconosciuto da tutti come una vera garanzia, decreta la vittoria di uno sconosciuto che gioca in una squadra di provincia. Ecco cosa succede quando si vuole usare per ogni scopo un mezzo che è nato per campi scientifici precisi».
 Un atteggiamento che ha mostrato tutti i suoi lati negativi da quando il Dna è diventato un simbolo per la società e una ossessione per la scienza. «Dal 1953 a oggi - continua - la scoperta di Watson e Crick ha cambiato la percezione che l’uomo ha di se stesso. La dottrina del Dna è diventata una vera ideologia. Tutto viene attribuito ai geni: l’orientamento sessuale, l’alcolismo, la depressione, l’autismo, il comportamento criminale. Studi che vengono pubblicati da grandi riviste scientifiche. Le notizie poi rimbalzano sulla stampa. Sembra che ricondurre tutto al dna dia valore alle ricerche. Chi usa questo sistema per spiegare atteggiamenti generali, dove contano anche migliaia di altre variabili, commette un gesto illegittimo dal punto di vista scientifico. E in più rinuncia a capire il mondo pur di aderire a un modello».
 Una denuncia accesa che colpisce anche le conoscenze necessarie per le nuove tecnologie: «Un sapere complesso che nessuno possiede per intero. Le équipe di ricerca lavorano come in una catena di montaggio».
 La risposta alla denuncia di Enrico Berardi arriva con le parole di Corrado Sinigaglia, collaboratore di un nome noto al mondo del sapere italiano, Giulio Giorello. «La scienza moderna non può fare a meno di elaborare modelli - sostiene Sinigaglia -. Quello che dobbiamo temere è uno schema lontano dall’oggetto della nostra analisi». La provocazione si spinge oltre: «Non c’è niente di neutrale. Neanche la natura. Se vogliamo trovare una linea di confine tra naturale e artificiale forse non basta riferirsi alla chimica o alla biologia. Probabilmente è il momento di prendere in considerazione la storia dell’uomo, le sue specificità».
 La riflessione scivola quindi sul tema della manipolazione: «Se nell’ottica dei ricercatori - conclude Enrico Berardi - tutto dipende dal Dna, si cercherà di spiegare il mondo in termini di geni. La certezza di essere in grado di manipolare quei geni per modificarli può convincere l’uomo di avere il controllo su ogni fenomeno. L’importanza della scienza della vita non può essere negata. Ma non è il solo mezzo per spiegare il reale. Non diamole più di quanto le spetta».
 La seconda giornata del convegno sarà giovedì alle 16 nella sala Angioy della Provincia. Il dibattito verrà dedicato alle coltivazioni di alimenti geneticamente modificati e sarà moderato da Quirico Migheli, docente di biotecnologie fitopatologiche nell’ateneo sassarese. Si confronteranno Francesco Sala, dell’università di Milano, e ancora Enrico Berardi, che parlerà dei rischi e dei benefici degli Ogm.
 
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 12 - sassa
 Ersu: «Presto avrete acqua calda»
 La presidente assicura interventi nella casa dello studente
 
 SASSARI. Prosegue la protesta degli universitari che abitano nella casa dello studente di via Verona. Da sabato, un nuovo striscione campeggia lungo la lunga parete del palazzo: i giovani - come abbiamo scritto nei giorni scorsi - lamentano di non avere acqua calda per le docce, oltre al freddo nello stanze e a un’unica lavatrice per il bucato di 150 persone. Lamentando, tra l’altro, la mancanza di dialogo con la dirigenza dell’Ersu, l’ente per il diritto allo studio.
 Ma proprio ieri, la presidente dell’ente, Maria Paola Pasella, ha diffuso una nota stampa nella quale replica in merito al problema del riscaldamento, della produzione di acqua calda sanitaria e del servizio lavanderia.
 «L’impianto per la produzione di acqua calda, realizzato con pannelli solari integrato con energia elettrica e perfettamente funzionante, ha una riserva di 4000 litri - scrive la presidente - e non 2000» (come invece affermano gli studenti e come riferito dal responsabile alloggi dell’Ersu, Giuseppe Pippia). L’impianto è stato progettato e dimensionato per oltre 150 persone, ma - ammette Maria Paola Pasella - «evidentemente ci si trova davanti a un anomalo consumo non previsto, che pertanto porta alla necessità di procedere a un incremento della riserva di acqua calda. Il problema è già stato studiato e verrà risolto nei tempi più brevi». C’è da aggiungere, però, che questo problema - ribadiscono gli studenti - era stato segnalato dopo appena qualche settimana dall’inaugurazione della struttura (marzo 2004) e nel frattempo è trascorso quasi un anno.
 Per quanto riguarda l’impianto di climatizzazione, la presidente scrive nella nota stampa che «ha subito una rottura accidentale. Necessita di pezzi di ricambio non reperibili nel mercato locale, già ordinati e di imminente arrivo». Ma anche su questo punto, gli studenti fuori sede dicono che il problema non è dell’ultim’ora, ma ormai datato. Circa il servizio di lavanderia, «le lavatrici messe a disposizione degli studenti sono quattro di cui tre non funzionanti, non per problemi tecnici - tende a precisare Maria Paola Pasella -, ma per evidenti rotture causate da un cattivo utilizzo delle macchine. Fermo restando la responsabilità di chi ha effettuato il danno, l’ente provvederà anche in questo caso a risolvere il problema, in modo da tutelare i tanti studenti corretti che a causa di pochi, si vedono privati della possibilità di fruire di un servizio adeguato».
 
 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 7 - Sardegna
 Nadja Ansorg. Una studentessa tedesca alle prese con una tesi sulla coscienza linguistica nell’isola
 L’incanto della limba dei paesi
 «È la città che uccide il sardo, vittima di pregiudizi»
 
«Ho notato posizioni differenti: a Cagliari c’è un vero rifiuto, a Orosei invece c’è la passione per gli antichi simboli dell’identità»
 
 CAGLIARI. Nadja Ansorg è una ragazza tedesca che studia lingue all’Università di Lipsia, ama molto la musica e le eccezioni. Quali? «Ogni singolarità, in tutti i campi, ad iniziare da quello linguistico». Non solo.
 Ritiene che le eccezioni, in fondo, valgano più delle regole e talvolta perfino le facciano nascere, più che confermarle, come di solito si dice. Il suo docente di italianistica, Klaus Bochmann, ex-preside della facoltà, le ha assegnato una tesi sulla coscienza linguistica dei sardi. Perciò Nadja da qualche settimana è in Sardegna.
 Partendo da Cagliari, toccherà quasi tutte le zone della nostra isola. La incontriamo nella sede della Chiesa Evangelica Battista, sul lungomare del Poetto.
 Come mai questa tesi “strana”?
 
«Io studio italianistica, un campo molto vasto. Viaggiando, ho provato una passione sempre più grande per la Sardegna. Una bella scoperta. Soprattutto per questo ho scelto come argomento la lingua sarda. Ma non tanto come sistema linguistico, piuttosto come codice di minoranza di una terra - la Sardegna - con una cultura etnica particolare. In altre parole, non mi occupo della lingua come tale ma della coscienza linguistica della gente che usa questo codice».
 L’angolo visuale è una sua scelta oppure l’Università le ha chiesto di esplorare questo ambito particolare?
 
«No, è stata una mia scelta. Alcuni anni fa ho scoperto un bravissimo coro sardo, quello di Orosei. Successivamente sono venuta in Sardegna e mi sono accorta che qui si parla una lingua particolare, non solo l’italiano. Quindi ho pensato di occuparmene, visto che in materia di coscienza linguistica non ci sono molte indagini. Ho pensato di fare qualcosa di particolare, sul campo, parlando con la gente, anziché stando chiusa in biblioteca. Il mio professore è d’accordo con questo tipo di approccio».
 Con il procedere della ricerca, cosa le sembra di rilevare che già non sapesse?
 
«Ho notato posizioni diverse: da una parte si ritrova qui in città la tendenza a pensare che il codice meno usato, quello sardo, stia perdendo terreno. A Cagliari, per dire, molta gente ripete: il sardo non viene più usato molto, è simbolo di una cultura ormai passata, antica e antiquata».
 Dall’altra?
 «Il rovescio della medaglia è sostanzialmente questo: mi sono accorta che tutti hanno una certa conoscenza e capacità di apprendere, capire ed usare il sardo. Sicuramente ci sono certi settori in cui la lingua sarda viene più usata e certi altri in cui l’italiano è pressoché l’unico codice. Ma ho notato anche un certo ricupero del sardo. In materia di lingue minoritarie ci sono molte tendenze: se non avessi fatto un’esperienza del genere, andando sul campo a verificare, non sarei riuscita sicuramente a coglierle».
 Tra quelli che dicono: il sardo è qualcosa di antico, ci sono più persone di livello d’istruzione alto o si tratta di gente senza grande formazione culturale?
 
«L’uno e l’altro. Ma distinguo per fasce di età. Quel giudizio lo ritrovo soprattutto fra i giovani della città di Cagliari. Sono loro a pensarla così: persone di ceto elevato che magari non esprimono questa idea esplicitamente ma si nota che non usano il sardo: non lo parlano con i bambini, non leggono letteratura sarda. Un vero e proprio rifiuto, in un certo modo».
 Un qualcosa che avviene a priori, dunque? Un pre-giudizio?
 
«Sì, infatti: proprio questo. Mi sembra un atteggiamento troppo forte, rigido».
 Dove, invece, ha trovato più passione legata non soltanto alla lingua ma a tutto l’insieme dell’identità?
 
«Ho visto, ad esempio, che i cantori del coro di Orosei tra di loro usano solamente il sardo e si occupano sicuramente di uno dei simboli più evidenti della cultura sarda, il canto. Ma conosco anche persone di origine paesana che vivono in città e sentono molto la mancanza della loro comunità di origine. Questa è gente costretta a lasciare il paese per motivi economici, a vivere in ambito più o meno italianizzato».
 La città uccide certi tipi di spiritualità, secondo lei?
 
«Sì, sicuramente. In città la vita è più veloce, funzionale a certi obiettivi economici, c’è un’evidenza più forte dei mass media. Manca il contesto in cui è più naturale usare una lingua come il sardo».
 Questo suo rapporto con la Sardegna - il canto tradizionale, il luogo, la gente - è una parentesi legata a motivi di studio o qualcosa di più che potrebbe proseguire anche dopo la conclusione del suo corso universitario?
 
«Da questo punto di vista devo dire che una ricerca non offre abbastanza spazio e tempo per capire veramente un problema come la coscienza linguistica. Siccome ancora non so come andrà avanti la mia vita, se mi si offrisse la possibilità di approfondire questa materia lo farei molto volentieri. Secondo me le eccezioni fanno la regola ma sono le cose meno studiate e dunque c’è ancora molto da esplorare. A parte che l’isola è bellissima, la sua cultura molto particolare e quindi si trovano ancora luoghi che creano una certa meraviglia».
 In che senso?
 
«Nel senso dell’incanto».
 Quanto conta in una ricerca la partecipazione emotiva di fronte alle “eccezioni che fanno la regola”?
 
«Ritengo sia fondamentale. Esistono molte indagini che trasmettono cifre, la gente viene misurata quasi soltanto in cifre. Questo fatto, pur essendo previsto dall’indagine scientifica, non mi piace. Dovrò anch’io ricorrere alle cifre, per dare evidenza a certe risposte. Ma tramite la ricerca sul campo, le interviste, il contatto con le persone si scopre molto di più».
 In Sardegna, a parte la lingua, trova altre eccezioni che diventano regola?
 
«Sicuramente il rapporto con il tempo. Una cosa ho notato con chiarezza: nei paesi della Sardegna si vive in una dimensione di serenità che nella cultura tedesca o si è già persa o non esiste proprio, anche se non ho elementi certi per dirlo in quanto non sono nata in un paese. Ma in Germania io soffro di nostalgia della tranquillità».
 Che cosa significa esattamente?
 
«Il desiderio di prendere le cose in maniera spensierata. Non troppo sul serio, talvolta».
 «Qui in Sardegna trovo insieme la serietà e la flessibilità. Le cose non devono essere subito e tutte precise, rigide come da noi. Ad iniziare dagli orari. Comunque ho visto che i treni sono puntuali anche da voi: il mio, almeno, è arrivato in perfetto orario».
 Era un treno no global, il suo.
 E lei non si è persa per strada.
 Come già era successo a molti suoi illustrissimi connazionali, primo fra tutti Max Lreopold Wagner, in questo e nei secoli precedenti.
 
 
«L’importanza delle eccezioni»
 L’occhio attento della Germania alle minoranze d’Europa
 
 CAGLIARI. Nata ad Arnstadt, una cittadina della Turingia, il 9 febbraio del 1978, Nadja Ansorg ha studiato nel collegio di Schulpforte, l’ex-monastero cistercense di Santa Maria ad Portam: corsi di istruzione superiore che le hanno dato una duplice specializzazione, lingue e musica. All’Università di Lipsia ha frequentato italianistica e romanistica. Questo le consentirà - fra l’altro - di insegnare tedesco agli stranieri (quest’ultima, nelle Università della Germania, è una vera e propria specializzazione a parte).
 Klaus Bochmann, il professore che le ha assegnato la tesi, si è dedicato soprattutto a ricerche sulle varietà linguistiche in Italia e in Romania. Bochmann è anche autore di uno studio fondamentale sulle minoranze, nell’area europea delle lingue romanze, o neolatine. Alla sua scuola, Nadja Ansorg ha imparato “a privilegiare le eccezioni”. Che cosa pensa di chi, invece, messo di fronte alle eccezioni, si irrigidisce?
 La risposta è meditata e si articola in considerazioni ispirate al desiderio di capire anche le ragioni altrui: «La paura delle eccezioni può nascere da vari motivi: uno è il pericolo che esiste nell’allontanarsi dal pensiero comune. Il conformismo fa sì che la maggior parte della gente segua la strada più comoda e scontata».
 Una malattia dell’anima? Risponde Nadja: «Distinguerei. Tra il conformismo e l’anticonformismo c’è sempre una via di mezzo. In Germania il sistema universitario è abbastanza libero, esistono varie possibilità di dedicarsi alle eccezioni. Io studio italianistica per una mia scelta precisa, prevista dal sistema universitario tedesco. Direi che da noi c’è una certa coscienza dell’importanza delle eccezioni. Certo, nelle società governate dal capitalismo, bisogna difendersi dalla tentazione di valutare tutto con il parametro del vantaggio economico».
 A Cagliari qualcuno degli intervistati le ha chiesto: ma perché ti occupi del sardo e non delle lingue importanti nelle comunicazioni e nel commercio? D’altra parte, però, le stesse persone a una sua domanda precisa (“Se vai all’estero, cosa rispondi quando ti interrogano sulla nazionalità”?) si sono espresse allo stesso modo: «Diciamo di essere sardi». Deduzione di Nadja: «Esiste una coscienza identitaria precisa. Se c’è già una situazione bilingue bisogna assolutamente approfittarne. Io me ne accorgo perché l’ho provato direttamente: mia bisnonna era polacca e conosceva benissimo la sua lingua, oltre al russo. Purtroppo per una ragione che non conosco, nei pochi anni che ho trascorso con lei, non mi ha mai parlato in nessuna di queste sue due lingue. Dopo la sua morte mi sono sempre chiesta e continuo a chiedermi perché l’abbia fatto: solo perché non ne aveva voglia? E non so darmi una risposta sicura. Ma oggi non ripeto questo suo errore con una mia nipotina, Leonie, tre anni, figlia di mia sorella. Anche se l’italiano non è la mia madre lingua, parlo in italiano con lei».
 C’è anche una felicità in questo lavoro che privilegia le situazioni a rischio? Dice Nadja: «Il mio piacere più grande è la scoperta che la gente può essere sensibilizzata su questa materia».
 E come spiega l’ostilità di certi intellettuali alla tutela della lingua madre e l’indifferenza di altri?
 Nadja Ansorg cambia espressione all’improvviso, si rattrista e dà all’interlocutore la sensazione che quella sua battuta precedente sui treni sempre puntuali - metafora reiterata per dire di un rigore più generale, eccessivo e ingiustificato - sia una sottile, impalpabile via di uscita dalla sofferenza del conflitto con il tempo che disumanizza l’uomo e gli causa qualche male del cuore.

Questionario e social

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