Lunedì 28 febbraio 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
28 febbraio 2005
Università degli Studi di Cagliari
UFFICIO STAMPA

1 - L’UNIONE SARDA
Pagina 19 – Cultura
Ma la filosofia italiana merita la promozione?
Un convegno a Cagliari fa il punto sulla disciplina dalla II guerra mondiale alla fine del XX secolo  
Il Dipartimento di Scienze Pedagogiche e Filosofiche e la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Cagliari organizzano per la primavera di quest'anno un convegno nazionale finalizzato a definire il carattere della filosofia e della pedagogia italiana nell'arco di tempo che va dalla fine del secondo conflitto mondiale alla conclusione del XX secolo, con la partecipazione di alcuni dei più prestigiosi rappresentanti e cultori delle discipline filosofiche e pedagogiche (Remo Bodei, Gianni Vattimo, Evandro Agazzi, Giulio Giorello, Sergio Givone, Enrico Berti, Sergio Moravia, Eugenio Lecaldano, Silvano Tagliagambe, Aldo Masullo, Pietro Rossi, Carlo Augusto Viano, Armando Rigobello, Giuseppe Bertagna). In un documento di indirizzo intitolato Autonomia ed eteronomia del sapere filosofico; la filosofia e la pedagogia italiane alla svolta del secolo i promotori dell'iniziativa hanno chiarito i presupposti di un confronto volto a diagnosticare lo stato dell'arte in quegli ambiti, avendo riguardo ad alcune premesse e ad alcune priorità d'ordine metodologico. Ci si può chiedere se la filosofia italiana dopo la fine del secondo conflitto mondiale abbia avuto i caratteri dell'originalità e della creatività, o se viceversa l'abbiano contraddistinta i tratti di un pensiero subordinato e dipendente, talvolta succube di modelli d'oltr'Alpe e d'oltre mare; e se si possa affermare con buon fondamento, come in effetti si è affermato, che già da qualche decennio, inserita ormai organicamente nel quadro del pensiero occidentale, essa si sia rivelata in grado di apportare il contributo originale della propria identità. Ci si può dunque interrogare sulla originalità dei modelli epistemologici, ermeneutici, nichilistici, teologici, proposti in Italia per verificare quanto vi sia in essi di pensiero autoctono e autonomo e quanto invece di indotto, subordinato e "imitativo". Ma ciò che forse più importa non è la determinazione del "successo" ottenuto dalla filosofia italiana all'estero, e della sua competitività nel mercato internazionale delle idee, e bensì l'accertamento della capacità di farsi valere, anche senza riguardo a quei parametri, per l'intrinseca virtù degli approcci e delle proposte. Se dunque la filosofia italica debba essere "bocciata" o "promossa", se sia da definirsi "provinciale" o riconosciuta portatrice di istanze autenticamente universali, è interrogativo la cui importanza è di gran lunga inferiore a quella del fondamentale quesito se, in generale, la filosofia sia all'altezza del proprio tempo e se possa validamente testimoniare il proprio tempo e contribuire a dirigere con forza e impegno progettuale le azioni e le intraprese del tempo futuro. Una storia nazionale della filosofia non può ovviamente prescindere dalla storia "universale" della medesima, così come la storia "universale" del pensiero filosofico non può a sua volta prescindere dalla storia "universale" senza aggettivi. Si pone dunque il problema della rilevanza che il pensiero filosofico assume come aspetto e fattore della storia universale tout court. Ed è anche legittimo chiedersi, a questo stesso proposito, se possa o debba darsi una globalizzazione della filosofia, così come vi è una globalizzazione dell'economia, della tecnologia e della scienza o se ci si debba accontentare di una rappresentazione delle idee filosofiche multilaterale e multiprospettica, prendendo atto della incommensurabilità e prima ancora della reciproca incomunicabilità delle teorie filosofiche.Così come è legittimo chiedersi in che cosa e in quale misura una particolare filosofia o un insieme di filosofie corrisponda alle esigenze di approccio a problemi di carattere e di dimensione universale, secondo un principio di responsabilità e di serietà. Va osservato che se si volesse apprestare una tavola delle corrispondenze fra gli eventi filosofici e gli avvenimenti in senso più lato "storici", ci si troverebbe di fronte a un quadro molto variegato e irregolare di appuntamenti mancati, di occasioni trascurate o perdute e di incontri ravvicinati di vario tipo. Norberto Bobbio ebbe a parlare anni fa concludento i lavori del convegno di Anacapri (1981), di "due diversi binari" e quindi della necessità "di un diverso periodizzamento". Ben di rado alle svolte politiche hanno fatto diretto e immediato riscontro le svolte o gli aggiornamenti del pensiero filosofico, anche se i filosofi si sono preoccupati di cogliere lo spirito del tempo e di viverlo nelle sue concrete manifestazioni senza rinunciare alla specificità della propria visione del mondo, dei propri metodi e della propria "missione". Collocati quasi senza eccezioni nello spazio culturale accademico alcuni dei filosofi "che contano" hanno ritenuto opportuno o a se stessi confacente, di traslocare nella politica militante o nella letteratura.Di questo vi sono esempi di varia importanza e rilevanza, ben noti agli specialisti, e anche al "common reader" che spesso hanno riguardato gli spazi aperti al "grande pubblico", reso sensibile alle suggestioni o alle sollecitazioni di questo particolare tipo di "opinion maker". Se si volesse prospettare in sintesi la trama dei percorsi che la filosofia italiana ha compiuto nell'arco di più di un cinquantennio andrebbe innanzitutto menzionato il distacco dalla filosofia idealistica e del suo rifiuto (Eugenio Garin ebbe a parlare di "agonia e morte" dell'idealismo italiano) con la ricezione dei modelli filosofici francesi (esistenzialismo) e anglo-americani (pragmatismo, filosofia analitica) e con l'approfondimento di alcuni motivi della filosofia tedesca - più particolarmente della fenomenologia - negli anni cinquanta e soprattutto negli anni sessanta, quando ormai l'influenza dell'esistenzialismo andava scemando. Va poi considerata l'assidua frequentazione del marxismo e dei neo-marxismi tra la seconda metà degli anni '40 e gli anni '80, con vicende alterne di appassionata adesione e di radicale confutazione, anche come conseguenza delle vicende politiche nazionali e internazionali. Negli anni '50 si ha un'affermazione decisa, talvolta enfatica e spavalda, del metodologismo neo-empiristico e logico- linguistico, assunto come antidoto delle infatuazioni o delle eccitazioni metafisiche, senza che peraltro la metafisica potesse dirsi superata e tanto meno liquidata, chè anzi si sarebbe dimostrata successivamente capace di far valere le proprie ragioni anche nel confronto con la filosofia scientifica e come ingrediente dei programmi scientifici, per tacere di ciò che forse ha più peso e importanza, vale a dire gli sviluppi delle filosofie di ispirazione cristiana. Si assiste successivamente al protagonismo della filosofia della scienza, nelle sue interazioni con il marxismo e poi con l'attenuazione delle rigidità epistemiche a vantaggio di concezioni che per un verso traggono ispirazione dalle epistemologie relativistiche e per l'altro si rendono anticipatamente partecipi della "Stimmung" ermeneutica, alla quale vanno ricollegate tendenze riconducibili alla critica della razionalità scientifica ed anzi della razionalità e delle ragionetout court, con significativi effetti di retroazione nei confronti del "programma scientifico" marxista e con punti di contatto con le prospettive ermeneutiche e nichilistiche variamente connesse a loro volta con l'estetica, la semiologia e la nuova retorica. La domanda fondamentale non può che essere quella che in altra sede è stata formulata con riferimento al "principio di serietà", in un mondo che sempre più fa assistere all'incenerimento e all'obliterazione dei confini e che al tempo stesso, nella sua imperfetta e precaria globalità, esibisce abissali differenze, contraddizioni e squilibri in quella che dovrebbe essere l'armonica configurazione dell'universale famiglia umana. Non si tratta tanto, in ultima analisi, di verificare quali siano state le traiettorie e quali siano stati o possano essere gli approdi del pensiero filosofico del nostro paese fra metodologismo e critica del metodo, scientismo ed antiscientismo, razionalismo critico e critica della razionalità, materialismo storico-dialettico e confutazione neo-scolastica, spiritualistico-religiosa, delle varie forme di storicismo immanentistico e di positivismo naturalistico, ideologia e critica dell'ideologia, quanto di verificare e saggiare la capacità del pensiero filosofico in genere di corrispondere alle complesse realtà di un mondo profondamente mutato, la cui "economia" e la cui "ecologia" sempre più impone regole di "governance" globale nel segno e nei modi di un?etica universale che pur essendo assai difficile, se non impossibile, da definire, assume ormai le valenze e i contorni di un imprescindibile idea regolativa. Una sorta di cambiamento di prospettiva (o se si preferisce di reversionegestaltica) sembra imporsi. Non si tratterà soltanto di storicizzare e di contestualizzare la filosofia, o di riferirla a un flusso di eventi non-filosofici che ne chiariscano il significato e il senso, ma di compiere, nei limiti del possibile, un'operazione inversa - e complementare - alla mera e "filologica" storicizzazione, finalizzata a spiegare e comprendere i contenuti che la filosofia di volta in volta produce e propone. Non ci si può accontentare, in altri termini di comprendere le filosofie nel loro sviluppo storico e in relazione ai fatti la cui ricostruzione e narrazione la storia generale assume a proprio oggetto, ma anche di considerare gli eventi filosofici nella loro corrispondenza alle esigenze che si pongono nella realtà generale e nelle molteplici e diverse realtà particolari dell'humanitas universale. Non dunque un puro e semplice spiegare la filosofia in termini storici, ma anche un valutarla,metafilosoficamente, nel suo rapporto con i prodotti storici di più immediata attualità (sul piano formativo, socio-politico e scientifico)e con quelli che la coscienza critica di un’umanità in progressiva e travagliata maturazione si sforza di porre in essere.
Alberto Granese
 
2 - L’UNIONE SARDA
Pagina III – Economia & Finanza
Obbligatori anche gli addetti a pronto soccorso e servizio antincendio 
Sicurezza sul posto di lavoro, nuovi obblighi per le aziende
Il 3 febbraio 2005 è entrato in vigore il regolamento sul pronto soccorso aziendale, in attuazione del decreto legislativo 626 del 1994. La norma individua le caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione, in base al rischio che presenta l'attività. Le aziende devono far frequentare a uno o più addetti (il ruolo lo può ricoprire anche il datore di lavoro) corsi di formazione che, dal 3 febbraio, sono di 12 o 16 ore (dipende dal tipo di attività), anche se restano validi quelli di durata inferiore per chi li ha conclusi prima dell'entrata in vigore della nuova norma. Le impreseCon la 626 le aziende sono tenute a una serie di adempimenti. Il primo è rappresentato dalla nomina del Responsabile della sicurezza, ruolo che può essere ricoperto anche dal datore di lavoro, qualora frequenti un corso di formazione di 16 ore di lezione. Successivamente a questo primo compito, il datore di lavoro elabora il documento di valutazione dei rischi o, nel caso di aziende che hanno non più di 10 addetti, il documento di autocertificazione, nel quale dichiara che è stata effettuata la valutazione dei rischi e l'adempimento degli obblighi a essa collegati. Il datore di lavoro, inoltre, nomina uno o più addetti incaricati di gestire le emergenze antincendio e di primo soccorso. Le figureLa normativa individua quattro figure. La prima è rappresentata dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (che può essere svolto, appunto, dal datore di lavoro, oppure può essere affidato a un responsabile esterno (in possesso di idonea laurea o apposita formazione), o a uno interno (con gli stessi requisiti) che deve individuare i fattori di rischio e valutare le misure da adottare per la sicurezza. Deve anche elaborare un documento contenente la valutazione dei rischi (si tratta di un'autocertificazione per le aziende sino a 10 dipendenti, escluse quelle con particolari rischi come per certi rami dell'industria e dell'edilizia) e individuare le misure di prevenzione e protezione individuale. Deve anche nominare il medico competente e i lavoratori incaricati di far parte della "squadra antincendio" e del "primo soccorso e di gestione dell'emergenza". Una seconda figura prevista dalla legge è quella dell'addetto antincendio: un lavoratore che deve gestire le emergenze in questo settore. Una terza figura è l'addetto al primo soccorso: si tratta di un lavoratore incaricato (e formato) per gestire le emergenze sanitarie e di assistenza medica, soprattutto riguardo alle altre persone presenti sul luogo di lavoro. Il rappresentante della sicurezza, quarta figura imposta dalla 626, viene eletto dai lavoratori e ha il compito di interagire con il datore di lavoro e con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Deve poter accedere a tutti i luoghi di lavoro e deve essere informato dall'azienda sulle sostanze e sui preparati pericolosi, sulla situazione delle macchine e degli impianti, sull'organizzazione degli ambienti professionali. AdempimentiContestualmente alla nomina degli addetti antincendio, il datore di lavoro elabora il piano di evacuazione e classifica la propria impresa in base al rischio incendio, che può essere basso, medio o elevato, sottoponendo gli addetti designati a formazione rispettivamente di 4 ore (rischio basso), 8 ore (rischio medio) e 16 ore (rischio elevato).
legge 626
Visite mediche periodiche per i dipendenti
Uno dei passaggi richiesti dalla 626 è la nomina del medico competente, esclusivamente nei casi in cui i dipendenti o ad essi equiparati (esempio soci che lavorano) siano sottoposti al rischio videoterminale (utilizzo per almeno 20 ore settimanali), a movimentazione manuale di carichi pesanti (almeno 30 chili), a rischio chimico (piombo, amianto, agenti cancerogeni) o biologico (rumore). In presenza di uno di questi rischi, il datore di lavoro sottopone i dipendenti esposti a visite mediche periodiche per attestarne l'idoneità alla mansione. Tutte le aziende sono soggette agli obblighi previsti dal decreto legislativo 626, indipendentemente dall'attività svolta e dal numero dei dipendenti. Un onere che riguarda tutte le imprese, ad eccezione di alcune: restano infatti escluse le ditte individuali (senza dipendenti, né coadiuvanti) e le imprese familiari. In sostanza, quindi, se si sceglie una forma giuridica che non è la ditta individuale (praticamente tutte le altre) si è obbligati ad eseguire quanto richiesto dal decreto legislativo, anche se le società sono prive di dipendenti. Il tutto per garantire la sicurezza in qualsiasi posto di lavoro.
Alessandro Atzeri
 
3 - L’UNIONE SARDA
Pagina II – Economia & Finanza
Direttiva della presidenza del Consiglio 
Una "rete informatica" per tutti gli enti pubblici
Meno burocrazia e servizi migliori. I rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione sono destinati a cambiare perché gli enti locali e gli altri organi dello Stato saranno collegati attraverso i computer: il risparmio e la rapidità nello scambio di informazioni sono i maggiori vantaggi del nuovo "Sistema pubblico di connettività", una rete telematica molto veloce che mette in comunicazione tutti gli uffici agevolando la trasmissione di documenti. Il cammino verso la realizzazione delle infrastrutture compie un passo in avanti con l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un decreto legislativo che, oltre ad aver dato il via libera alla sua realizzazione, regola il funzionamento del nuovo sistema. Enti locali, Camere di commercio, ospedali e rispettive sedi periferiche saranno collegati attraverso reti telematiche basate sui più moderni standard. Il Sistema pubblico di connettività sarà la piattaforma sulla quale funzioneranno i nuovi servizi per i cittadini previsti dal Codice dell'amministrazione digitale. Si tratta di un regolamento che il ministero per l'Innovazione tecnologica ha iniziato a predisporre e che obbligherà gli enti pubblici a mettere in rete una serie di servizi per gli utenti. Gli strumenti di interazione saranno apposite piattaforme digitali e la posta elettronica. Nel frattempo il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del consiglio, con una direttiva pubblicata sulla Gazzetta numero 35 di febbraio, invita le amministrazioni pubbliche a predisporre le tecnologie necessarie alle nuove procedure e a riorganizzare il lavoro.
(n. p.)
 
4 - L’UNIONE SARDA
Pagina 1 - Commento
Il Papa e Don Giussani
Conservatori rivoluzionari di Alberto Granese
In un libro pubblicato in Francia nel 1991 con il titolo La revanche de Dieu (La rivincita di Dio) il saggista Gilles Kepel dedicava molte pagine al movimento fondato da Don Giussani nel contesto di un'acuta disamina concernente le posizioni del Cristianesimo, dell'Islamismo e dell'Ebraismo nei confronti della modernità e istituiva una serie di importanti confronti fra le tre confessioni monoteistiche, abramiche e biblico-profetiche. Oggi che il fondatore di Comunione e Liberazione non è più, e nel momento in cui il mondo trepida per la salute di Giovanni Paolo II, altre considerazioni essenziali s'impongono quasi per una esigenza di riferimento "alle cose stesse", in un'epoca che sembra più di altre incline alle mistificazioni e alle falsificazioni. Il nodo che le tiene unite è ancora quello di una critica della modernità nel quale sia Don Giussani che Karol Wojtyla si sono strenuamente impegnati facendosi testimoni di un atteggiamento di dissenso costruttivo, ora accorato, ora improntato a uno spirito di severità senza compromessi. Qualcosa di simile al motto "di fronte e attraverso" e al "già e non ancora" che contrassegna l'editrice Jaca Book, impegnata anch'essa in una campagna antimodernista, combattuta in primo luogo sul fronte della filosofia militante. Impegno, secondo la filosofia di Comunione e liberazione, non già a modernizzare il Cristianesimo, ma piuttosto a cristianizzare la modernità Sia Don Giussani che Karol Wojtyla si sono rivolti ai giovani con accenti che li hanno letteralmente galvanizzati e con appelli e argomentazioni che li hanno esortati a scelte di vita ispirate a una rigorosa requisitoria pronunciata nei confronti della società contemporanea, delle sue contraddizioni e delle sue ingiustizie. Tutto ciò con la peculiare pronuncia di un discorso che ha scelto di non configurarsi in termini banalmente esortativi e moralistici o ambiziosamente teoretici e che ha assunto la presenza di Dio nel mondo quale fattore di rinnovamento autentico e radicale cui necessita innanzitutto il richiamo alle matrici ideali e la fedeltà alle origini, come anche risulta dalle due grandi encicliche filosofiche e post-conciliari di Giovanni Paolo II: la Veritatis Splendor del 1993 e la Fides et Ratio del 1998. Ci si è trovati in entrambi i casi di fronte al paradosso di un conservatorismo rivoluzionario, rispetto al quale gli stessi concetti e le stesse pratiche del liberalismo e della democrazia appaiono nella loro insufficienza di figure di un'ambigua modernità, incapace di giustificarsi in rapporto a quello che potrebbe essere definito il totalitarismo della fede. Non c'è da stupirsi che il messaggio antimodernistico di Don Giussani e di Karol Wojtyla, in qualche misura comparabile con le posizioni assunte dal "priore di Barbiana", Don Milani, alla vigilia del grande movimento di contestazione del 1968, abbia suscitato echi di condivisione e di approvazione in ambiti sostanzialmente estranei a quelli definiti dall'opzione religiosa - anche vicini al marxismo- che appunto hanno saputo apprezzarne la valenza e la forza di rinnovamento, in opposizione alla staticità dinamica, o se si preferisce contro il dinamismo apparente, statico e apatico di una modernità smarrita e disorientata, egoistica, sconsideratamente edonistica e consumistica, nella quale le ragioni di un'umanità kantianamente considerata (in sé e negli altri) "sempre come un fine e mai come un mezzo" sono impedite di affermarsi e di improntare la prassi della società planetaria, interculturale e globale.
 
5 – LA NUOVA SARDEGNA
Pagina 4 - Sardegna
Il ministro Gasparri e la videocomunicazione 
Sassari, al dibattito di domani anche l’assessore regionale Pilia 
SASSARI. «L’Isola delle innovazioni tecnologiche - La Sardegna protagonista europea nello sviluppo della videocomunicazione web» è il titolo del convegno che si terrà domani 1º marzo, alle ore 16,15, nella sala Angioy del palazzo della Provincia. L’incontro è organizzato da Televideocom, il primo operatore europeo di videocomunicazione su web nato e operante a Sassari. Il convegno sarà l’occasione per discutere sulle nuove prospettive della comunicazione nell’era di Internet e il ruolo della Sardegna nello sviluppo delle nuove tecnologie. La nostra Regione infatti ha visto, negli ultimi anni, un proliferare di iniziative imprenditoriali legate alla new economy, alcune delle quali di respiro internazionale, candidandola a diventare uno dei centri della ricerca e della sperimentazione delle nuove forme di comunicazione globale, a livello italiano o, addirittura, europeo. Responsabili nazionali e internazionali di istituzioni pubbliche, di aziende e del mondo accademico discuteranno sulle prospettive di sviluppo della comunicazione nell’era di Internet partendo proprio dallo sviluppo della videocomunicazione di cui il sistema Televideocom rappresenta una naturale evoluzione. Parteciperanno come relatori, moderati dal giornalista Rosario Cecaro, il ministro per la Comunicazione Maurizio Gasparri, l’assessore regionale Elisabetta Pilia, il docente universitario Silvano Tagliagambe, l’amministratore di Televideocom Francesco D’Onofrio, Marco Guazzetti e Josè Vasco di Macromedia Europe, il responsabile nazionale Business partner TelecomItalia Salvatore Nappi. (i.bar.)
 
6 – CORRIERE DELLA SERA
PAVIA
Come gestire le università Rettori e manager a convegno
Oggi a Pavia si svolge il convegno organizzato dalla Conferenza dei rettori sui «Modelli innovativi di gestione per la nuova università, dal manager al management». Introducono Roberto Schmid, rettore dell’università di Pavia, e Piero Tosi, presidente della Crui. Alle 10 al teatro Fraschini, in corso Strada Nuova.
 

Questionario e social

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