Mercoledì 9 marzo 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
09 marzo 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Ufficio Stampa

 
1 – L’Unione Sarda
Pagina 7 – Cronaca regionale
Vargiu: dimenticate le selezioni per il Consiglio
Beffa in Regione: 35 laureati esclusi dal concorso per "dottori"
Laureati esclusi dal concorso interno per laureati. Un paradosso sottolineato da 35 dipendenti della Regione, che in una lettera aperta chiedono una correzione del bando. La notizia viene alla luce proprio nei giorni in cui Pierpaolo Vargiu (capogruppo dei Riformatori) chiede che fine abbiano fatto i concorsi per il Consiglio regionale: in un'interrogazione al presidente dell'assemblea, Giacomo Spissu, Vargiu chiede se siano emerse irregolarità e, in caso contrario, perché non si proceda alla pubblicazione dei vincitori. Invece il concorso su cui si registra la protesta dei 35 laureati non riguarda il Consiglio, ma è una prova interna riservata ai dipendenti della Regione, bandita nel 2003. Oltre ai laureati possono partecipare anche i diplomati, purché nella categoria immediatamente inferiore (la C). Esclusi invece i dipendenti muniti di laurea, ma inquadrati nella categoria B. Nonostante le loro proteste, anche nella recente riapertura dei termini non sono state modificate le condizioni del bando. E così, alcune valide professionalità (a volte titolari di fatto di mansioni realmente da laureati) rischiano di restare per sempre intrappolate in una categoria in teoria riservata a chi ha la terza media. A impedire la loro partecipazione, secondo la Regione, sarebbe il contratto. «Ma il contratto - protestano i diretti interessati - non stabilisce certo che debbano essere esclusi i laureati, che non hanno bisogno di alcuna deroga perché in possesso del requisito di legge. Com'è possibile che l'assessore del Personale e la Giunta non facciano rispettare una delle leggi fondamentali per l'accesso nelle pubbliche amministrazioni?». I firmatari della lettera di protesta, tra l'altro, ricordano una delibera di Giunta del novembre scorso, «che ha dato mandato all'assessore di riformulare il bando per valorizzare, finalmente, i titoli di studio». E sottolineano la contraddizione con quanto più volte affermato dal presidente Soru, a proposito della necessità di personale regionale con alto livello di istruzione.
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 23 – Cagliari
Facoltà di Scienze
Marzo senza lezioni fra stato di agitazione e settimana culturale
Il ministro Moratti, la cultura scientifica e le vacanze di Pasqua. Cosa hanno in comune? Nel caso della facoltà di Scienze sono i fattori che portano a un mese di vacanze forzate dalle lezioni universitarie. Lo stato di protesta, dichiarato da ordinari, associati e ricercatori lunedì a conclusione del Consiglio di facoltà, contro la riforma dello stato giuridico dei docenti, ha portato allo stop della didattica fino a sabato 12 marzo. Dal 14 al 20 la Cittadella universitaria di Monserrato sarà il teatro della settimana della Cultura scientifica: aule, docenti e personale della facoltà saranno impegnati nelle manifestazioni. Forse si riuscirà a fare lezione da lunedì 21 a mercoledì 23, prima di bloccarsi per le vacanze di Pasqua. Insomma marzo (ricordando che l'agitazione contro il Ddl Moratti era iniziata a fine febbraio, culminata con lo sciopero nazionale del 2 marzo) mese travagliato per gli studenti, alle prese con scadenze, con esami da preparare e con i conti dei crediti formativi necessari per raggiungere la quota laurea. Da qui il voto contrario dei rappresentanti di Università per gli studenti, alla delibera approvata dal consiglio di facoltà di Scienze. Gli altri gruppi studenteschi si sono astenuti. «Siamo contrari per il semplice motivo che gli studenti sono penalizzati dal rinvio, da ottobre a novembre, delle lezioni tenute dai ricercatori in stato di agitazione ? commentano Pierpaolo Arru, Manuel Floris e Fabrizio Pedes ? Agitazione che è proseguita a fine febbraio e che ora andrà a sommarsi alla settimana della Cultura scientifica e alle vacanze di Pasqua. Dunque non si farà lezione per tre settimane». Le difficoltà per gli studenti iniziano a diventare troppe, tra lezioni che saltano e ritardi che si accumulano: «Quando finiranno le lezioni di questo anno accademico con questo stillicidio di interruzioni? ? chiedono i rappresentanti di Università per gli studenti ? Ma soprattutto sarà possibile sostenere gli esami ad agosto? ». Nessuna contrarietà o accusa ai docenti e ai ricercatori che stanno portando avanti una battaglia contro una riforma universitaria che piace a pochi, ma quello che non capiscono gli studenti sono gli strumenti adottati. «Esprimiamo le nostre perplessità sulle modalità con cui viene portata avanti la protesta contro la legge delega per il riordino delle carriere universitarie ? aggiungono Arru, Floris e Pedes ? Le iniziative finora attuate si sono rivelate poco incisive, ma soprattutto molto penalizzanti per gli studenti». Ieri, su invito del preside di Scienze, Roberto Crnjar, i docenti si sono comunque presentati nelle rispettive aule per informare gli universitari della decisione e per discutere della protesta. Un'iniziativa che forse andava fatta prima, visti i rimproveri mossi dagli studenti. «Sembra che la lotta sia limitata a un singolo aspetto della riforma e per questo ci riteniamo poco coinvolti», aggiungono i rappresentanti.
Matteo Vercelli
 
3 – L’Unione Sarda
Pagina 23 – Cagliari
Ortopedia Premio Antonio Cabitza a Emanuela Mereu
Anche quest'anno è stato assegnato il premio di laurea dedicato alla memoria del professor Antonio Cabitza, per tanti anni stimato direttore della Clinica Ortopedica dell'Università di Cagliari e "Padre dell'Ortopedia" in Sardegna, scomparso a Fucecchio (Firenze) il 31 maggio del 2000. Il premio, istituito dalla famiglia del professore, è giunto quest'anno alla seconda edizione ed è riservato a giovani laureati in Medicina e Chirurgia con tesi in Ortopedia o Fisiatria o Storia della Medicina. Quest'anno è stato assegnato ad Emanuela Mereu che si è laureata lo scorso luglio discutendo con il professor Claudio Velluti direttore della Clinica ortopedica dell'Università, una tesi dal titolo: «La protesi di spalla: indicazioni ortopediche e traumatologiche al trattamento della casistica dell'Ospedale Marino di Cagliari». La tesi della neodottoressa è stata giudicata la migliore, tra quelle pervenute, da una commissione composta dai professori Claudio Velluti, Alessandro Riva e Francesco Ledda. Ma anche altre tesi hanno ottenuto ampi consensi a dimostrazione della qualità della facoltà cittadina.
 
4 – L’Unione Sarda
Pagina 22 – Cagliari
Università Un convegno su diritto e comunicazione
Sabato prossimo Enzo Cheli, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sarà a Cagliari per partecipare a un seminario in programma nella facoltà di Scienze politiche. Il professor Cheli traccerà un bilancio dei suoi sette anni di presidenza e terrà una conferenza su «Il mondo della comunicazione alle soglie del XXI secolo. Diritti, regole e mercati». Sono inoltre previsti gli interventi programmati di Francesco Birocchi, Gherardo Gherardini, Mauro Manunza, Gianni Massa, Nicola Scano. L'iniziativa si svolge nell'ambito delle attività del dottorato di ricerca «Diritto dell'attività amministrativa informatizzata e della comunicazione pubblica».
 
 
5 – L’Unione Sarda
Pagina 22 – Cagliari
Ciampi premia Patrizia Farci
Un nuovo e importante riconoscimento è stato attribuito alla ricercatrice dell'Università di Cagliari, Patrizia Farci, ieri mattina premiata con le insegne di Ufficiale della Repubblica dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. La cerimonia si è svolta al Quirinale in occasione della Festa della Donna. Nella foto la ricercatrice cagliaritana mentre riceve i complimenti dal presidente per i risultati della sua attività scientifica, nel campo della medicina.
 
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 43 - Cultura e Spettacoli
Dai resoconti basati sulle fonti alle ricostruzioni impostate con un taglio più ampio e complessivo
Manno, studioso delle svolte
Le risposte all’attesa diffusa di una storia «nazionale»
Ha sempre ricordato con affetto sincero il principe della giovinezza, Carlo Felice. L’aiuto del viceré era stato all’origine delle sue fortune intellettuali e professionali
Fu a Cagliari, nel 1799, che Giuseppe Manno, allora tredicenne, vide per la prima volta il re. Alla testa del corteo, tra due ali di folla, Carlo Emanuele IV percorreva la strada che dal porto, dove era appena sbarcato, lo avrebbe condotto a Palazzo. I francesi l’avevano cacciato da Torino e Carlo Emanuele non aveva trovato di meglio che rifugiarsi nell’unica parte del regno rimastagli: la Sardegna. Un’arcana soavità aleggiava intorno al re. Incantò il ragazzo la maestosa semplicità del suo incedere a piedi, offrendo il braccio alla regina Clotilde. «Quella vista, e lo strepito delle acclamazioni popolari - Manno avrebbe ricordato più tardi - e quella mescolanza di tanta modestia e di tanta grandezza, mi hanno commosso in guisa che io posso dire di non avere giammai nella mia vita provato un sentimento come questo».
Manno studiava allora al Collegio dei Nobili, posto nei pressi della torre di San Pancrazio. Poi vennero gli studi universitari, la laurea in legge, l’ingresso nell’amministrazione giudiziaria sarda e poi, nel 1816, la svolta per lui decisiva quando Carlo Felice, lasciando la Sardegna dopo esserne stato a lungo viceré, lo aveva voluto con sé come segretario. Ritornando col pensiero da vecchio alle varie circostanze della sua vita, ricordava con affetto sincero il principe della sua giovinezza, Carlo Felice, la cui benevolenza era stata all’origine delle sue fortune.
 Ancora più che l’istintiva prudenza e moderazione, lo guidò sempre nella carriera la gratitudine ai re e ai principi per i favori che gli avevano concesso. Deferenza, opportunismo? Forse. Ma soprattutto il permanere in lui, da adulto, l’incanto che la vista del re gli aveva suscitato da adolescente. Anche i suoi esordi di storico erano in fondo nati dal desiderio di compiacere il suo re. Carlo Felice, da qualche anno asceso al trono, gli aveva sottoposto un manoscritto sulla storia dell’isola di un ufficiale tedesco a lungo di guarnigione a Cagliari.
 Manno nelle sue memorie non ne cita il nome e solo recentemente Antonello Mattone ci ha rivelato trattarsi di un Franz Xavier von Beck, che dopo aver soggiornato in Sardegna sino al 1778 come ufficiale del reggimento svizzero Schimdt, aveva scritto nel 1818 una ponderosa Descrizione dell’Isola e Regno di Sardegna. Di von Beck, che aveva avuto la grossolanità e l’ardire di licenziare quelle pagine, Manno dichiarò: «Quale orrore! Non parlo dello stile plebeo. Non parlo della lingua. Non parlo di dottrina volgare. Parlo solo di una caricatura tale di dileggio per l’isola nostra e per i suoi abitanti, che di simile non soccorrevamo altro esemplare». Che cosa aveva irritato Manno dello scritto del tedesco? Probabilmente il riferimento ad alcuni bizzarri quanto improbabili costumi isolani, quale ad esempio quello, attribuito alle madri sarde, di deflorare le figlie alla nascita perché potessero poi evitare, al momento del matrimonio, i sospetti «d’uno sposo di natura geloso». Ma ancora di più l’aveva irritato l’accostamento di sardi e filippini, anche questi ultimi dediti secondo von Beck al defloramento preventivo. Insomma, nello scritto dell’ufficiale tedesco i sardi facevano né più né meno la parte dei selvaggi, e questo di sicuro non andava bene né per il sardo Manno né per Carlo Felice che dei sardi era stato prima il viceré ed ora il re.
 C’era un solo modo di rispondere alla doppia pulsione che gli era nata dalla lettura di quel manoscritto - compiacere il suo re e insieme onorare la sua terra d’origine - ed era di scriverla lui stesso una storia della Sardegna. C’erano i presupposti per farlo. Da una parte l’accesso al Regio Archivio di Corte di Torino, garantitogli dalla sua recente nomina a consigliere del Supremo Consiglio di Sardegna. Dall’altra un vasto tessuto di rapporti con gli eruditi isolani e la familiarità con alcuni tra loro - Ludovico Baille, in particolare, e Giovanni Maria Dettori - già avanti negli studi di storia della Sardegna. C’era una certa tradizione storiografica a cui riferirsi, non particolarmente corposa ma comunque presente e in qualche modo attiva, a cominciare dal cinquecentesco «De Rebus Sardois» di Giovanni Francesco Fara e dal seicentesco «Successos generales dela Isla Y Regno de Sardina» di Aleo, continuando con la «Storia della Sardegna» del piemontese Michele Antonio Gazano, per arrivare a opere più recenti quali l’«Histoire géografique, politique et naturelle de la Sardigne» che Domenico Alberto Azuni aveva pubblicato a Parigi nel 1802.
 Ma, confessò poi il Manno, nessuno di questi o altri storici della Sardegna, «di buona o mala rinomanza» che fossero, aveva voluto leggere, per non guastarsi la bocca verrebbe da dire, e comunque «prima che io stesso, esaurita ogni possibile ricerca, non avessi raccolto, col criterio integro di solitario indagatore, tutti i materiali della storia più antica. La qual cosa potei io compiere senza l’aiuto degli antenati».
 Senza l’aiuto degli antenati, utilizzando direttamente le fonti, alcune delle quali gli furono fornite dai suoi amici eruditi, Manno impiegò sette mesi a scrivere il primo volume della sua Storia di Sardegna. Il volume, che giungeva nella narrazione sino alla prima età giudicale, venne pubblicato nel 1825. Tra il 1826 e il 1827 uscirono gli altri tre volumi. Col quarto la Storia arrivava a comprendere il regno di Carlo Emanuele III e dunque il riformismo boginiano.
 L’importanza dell’opera di Manno nell’ambito della storiografia sarda fu che riassunse in sé due svolte che in ambito italiano erano maturate in un periodo di tempo molto più ampio. Da una parte segnava il passaggio definitivo da un tipo di racconto basato su una accettazione più o meno passiva della tradizione a una esposizione fondata invece su un complesso di fonti documentarie studiate e raccolte secondo criteri scientifici. Ma rappresentava anche, contemporaneamente, il superamento della fase della pura e semplice raccolta dei documenti attraverso un disegno per cui la fonte documentaria, essendo il segno di una realtà più ampia, doveva essere ricondotta al suo contesto e organizzata intorno a un tema.
 Per Manno il tema era la nazione (in questo in assoluta sintonia con gli orientamenti della storiografia italiana della prima metà dell’Ottocento). La ragione di fondo del successo di Manno presso il pubblico sardo fu che la sua opera soddisfaceva la diffusa domanda presente nell’isola di una storia appunto «nazionale». Ciò non significa che, dando ai sardi la loro storia, Manno intendesse dar loro uno Stato diverso da quello che già avevano, con la sua capitale, Torino, e il suo re (Carlo Felice, nel momento in cui Manno pubblicava la Storia di Sardegna). Non molti anni dopo, per un altro sovrano a cui Manno era molto legato, Carlo Alberto, fu scritto e introdotto «Conservet Deu su Re», che affidava alle sonorità e ai colori della tradizione il particolare legame tra i sardi e il loro re facendo di quest’ultimo il centro simbolico di ogni legittimo sentimento patriottico.
 Ogni volta che la narrazione lo poneva di fronte a un problema, Manno quasi istintivamente trovava la quadratura del cerchio, la «via mezzana» la chiamava, che scelta per disposizione psicologica, sapeva trasformare in canone storiografico e ideologia moderata. Così affrontò la più spinosa delle questioni legate alla storia della Sardegna, la natura e le origini dei Giudicati, nucleo centrale di una possibile lettura in chiave nazionale di quella storia. L’Alto Medioevo, scrisse Manno, aveva visto in Sardegna «l’introduzione di una novella foggia di governo», quella giudicale, che lo storico algherese, pur nel modo contorto e prudente che lo caratterizzava, era convinto rappresentasse una svolta in senso «nazionale» della storia dell’isola. Non che Manno fosse disposto a enfatizzare più di tanto il significato e la rottura rispetto al passato di «quella nuova magistratura nazionale». Da una parte, polemizzava contro la recente «Histoire de Sardigne» del Mimaut che propendeva per un’origine non sarda dell’istituto giudicale. Dall’altra, però, lasciava aperta la porta a una pluralità di ipotesi, non escludendo neppure una corrispondenza personale tra i primi Giudici sardi e gli ultimi Iudices bizantini. Su un solo aspetto della complicata questione sembrava non avere dubbi: che l’ascesa dei Giudici fosse avvenuta grazie all’investitura, e sotto una sorta di tutela, della Sede romana. Se un’intenzione emergeva dalla Storia del Manno non era tanto quella di sottolineare gli aspetti più peculiari della vicenda della Sardegna, quanto di legarla più strettamente possibile a quella corrente civilizzatrice che sin dai secoli più lontani aveva percorso l’ Europa.
 
7 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Nuoro
Siotto: «Non possiamo approvare il bilancio»
Nuovo allarme in conferenza stampa dopo i tagli alla biblioteca S. Satta
Nelle casse non c’è più un euro: la struttura rischia la paralisi totale e il personale gli stipendi
NINO BANDINU
 NUORO. Primum vivere, e senza guardare in faccia nessuno. Neppure la giunta regionale, guidata da Renato Soru. Più o meno questo il messaggio lanciato ieri mattina dal presidente della biblioteca Satta, Priamo Siotto, durante una conferenza stampa sui «tagli» al bilancio del consorzio per la pubblica lettura. Schierati davanti ai cronisti anche i consiglieri del Cda e i sindacalisti interni. Un fronte compatto e deciso a salvare il «gioiello» della Satta messo a dura prova insieme a tanti altri enti culturali.
 «Non avremo nessuna remora a denunciare i tagli ai nostri bilanci, neppure se si tratta della giunta Soru». Senza troppa diplomazia, Priamo Siotto, ha buttato giù la carta della denuncia, ricordando tra l’altro che è stato proprio Soru a mettere la «cultura» e i saperi al centro del suo programma di governo. Una contraddizione, insomma.
 Ieri mattina Siotto ha ripreso il filo dell’allarme lanciato qualche settimana fa e ha rifatto i conti delle biblioteca nei minimi particolari. Meno 207 mila euro nel bilancio di gestione da parte della Regione e meno 110 mila euro da parte della Provincia di Nuoro.
 In tutto 317 mila euro di taglio che ha avuto l’effetto di mettere in ginocchio l’intera struttura della «Satta». In cassa non c’è un euro da spendere. E adesso, oltre ai servizi essenziali e agli investimenti, cominciano a entrare a rischio anche gli stipendi per i dipendenti.
 Da qui, anche, la necessità di un secondo allarme in pochi giorni. Evidentemente il vertice tenuto al Comune di Nuoro con i consiglieri regionali del Nuorese non è servito a molto.
 «La situazione - ha aggiunto il presidente - si sta facendo sempre più grave, sia sul fronte della gestione ordinaria sia su quello degli investimenti». Il rischio insomma è quello della paralisi. Ma ciò che allarma di più Siotto è il contesto in cui cadono questi tagli. Un contesto che vede «penalizzato tutto il territorio»: con risorse tagliate anche alle due università nuoresi, Isre e Parco deleddiano. Se continua così, dunque, in Barbagia sarà il deserto culturale.
 Ma oltre la Regione sarda, con la biblioteca Satta, ci si mette pure la Provincia di Nuoro.
 «Questa amministrazione - ha spiegato a proposito Siotto - dal 2001, interpretando le norme dello statuto in modo illegittimo (a perere del dirigente del consorzio) ha suddiviso la quota consortile dovuta, di euro 248 mila, in quota ordinaria per 138 mila euro, e in contributo straordinario per 110 mila euro. Ma nel bilancio approvato di recente dalla Provincia non compare più la voce del contributo straordinario». Quindi, altri 110 mila euro in meno. Un vero salasso.
 «Se dovessero essere confermati i tagli - ha concluso il presidente della “Satta” - il consorzio non potrà approvare il bilancio, perchè non sono più garantite le entrate per assicurare il normale funzionamento dell’ente». Da qui secondo Siotto l’urgenza di un intervento immediato in sede regionale, perchè il taglio venga eliminato e si dia alla «Satta» oltre che la possibilità di sopravvivere e estendersi e trsformarsi in sistema provinciale.
 Ed ecco l’altro punto introdotto in conferenza stampa: quello di un sistema bibliotecario nuovo sul quale il direttore Tonino Cugusi ha già presentato da tempo «un piano economico e finanziario» mirato. Piano su cui, purtroppo, nessuno è ancora intervenuto.
 Dopo l’elenco dei guai, però, il presidente ha voluto concludere «in positivo», sperando nella Regione e in un intervento risolutivo.
 A dar man forte a Siotto poi anche il consigliere Ettore Paniziutti, il quale ha denunciato tra l’altro l’impossibilità, per mancanza di risorse, della programmazione di una «stagione culturale» in città e nel territorio da parte della Satta. Problemi seri, dunque, anche su questo fronte, con l’impoverimento «culturale» anche della provincia.
 Alla fine, gli interventi del rappresentante sindacale (Rsu) Giancarlo Marcialis e del direttore Tonino Cugusi: entrambi hanno messo in ristalto i problemi della struttura, e del personale che rischia il contratto, senza trascurare di chiedere al Comune di Nuoro il «rientro» dei locali dell’ex tribunale, indispensabile per la sistemazione dei nuovi e dei vecchi servizi del sistema bibliotecario della «Satta».
 
8 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Nuoro
UNIVERSITA’
Capelli (Udc): «Artiglieria ferma al punto di partenza»
 NUORO. «Ma perché il Comune di Nuoro ha deciso di privare la città di 1000 buste paga e vuole uccidere, nei fatti, l’Università che dice di promuovere a parole?». Lancia in resta, sulla crisi delle istituzioni culturali, parte anche Roberto Capelli, consigliere regionale Udc, che in particolare mette nel mirino gli appalti dell’artiglieria.
«Correva l’anno 1996 - comincia - quando fu firmato un accordo di programma tra Regione, Comune di Nuoro, Ministero della Difesa Ministero della PP.II. con cui si disegnava un ambizioso progetto: fare dell’artiglieria di viale Sardegna la sede del campus universitario, costruire una nuova caserma per un nuovo reggimento di cavalleria blindata di 900 uomini alla periferia della città. Il tutto pagato con 20 miliardi di lire dal Ministero della pubblica istruzione, tramite la Regione. Niente di particolarmente difficile riguardava il Comune di Nuoro: doveva solo fare un progetto della nuova caserma e mandare in appalto tutto». Invece cos’è successo, secondo Capelli?
 «Per realizzare il progetto il Comune ha impiegato solo 4 anni».
 Il progetto della nuova caserma viene approvato dal Comando militare della Sardegna, prima e, a stretto giro di posta, dal Ministero. La Regione rifinanzia il progetto. Ma il Comune «latita e non manda in gara il progetto». Il tutto «nel silenzio del Sindaco, della giunta e della maggioranza».
 Nove anni dopo, quando la caserma avrebbe dovuto essere già pronta e quando anche il Campus universitario avrebbe dovuto ospitare i primi studenti «tutto è ancora fermo al 1996».
 Commento finale di Capelli: «La latitanza dell’amministrazione nuorese è davvero incomprensibile. Per quale motivo un Comune non manda in gara un progetto che consente alla città di avere 900 nuovi stipendi? Per quale motivo non dotare la nascente Università di una struttura di assoluto prestigio e di grande attrativa, come il Campus? Perché non far lavorare le imprese locali? Perché pensare che l’Esercito voglia tollerare questi ritardi e mantenere ferma, quasi dieci anni dopo, l’intenzione di stanziare proprio a Nuoro il reggimento di cavalleria blindata? Perché, Signor Sindaco di Nuoro, impoverisce ancora la sua, o meglio, la nostra città?».
 
9 – La Nuova Sardegna
Pagina 3 - Cagliari
MONSERRATO
Via libera alle fibre ottiche 
MONSERRATO. Il Consiglio comunale, all’unanimità, ha dato il via libera allo schema di convenzione con Cagliari per il passaggio, nel territorio cittadino, di un cavo in fibra ottica per il collegamento in rete fonia della Cittadella universitaria e del Policlinico. Per realizzare il progetto, saranno utilizzati i cavidotti degli impianti di illuminazione pubblica nelle vie Caracalla, San Fulgenzio e Porto Botte. (p.so.)
 
 
10 – La Nuova Sardegna
Pagina 19 - Sassari
«Senza azienda mista la facoltà chiude»
La commissione regionale ha incontrato dirigenza Asl e università
 
 
 
Mille i problemi sul tappeto: dalla scarsità di fondi allo squilibrio fra i due poli isolani
GABRIELLA GRIMALDI
 SASSARI. Una visita all’ospedale civile per verificare quanto sia inadeguato a una medicina moderna, il brivido imprevisto dato dalla protesta dei dipendenti Coop.As a rischio di licenziamento e una marea di appunti su ciò che non va nella sanità sassarese. Questo il succo della visita effettuata ieri dalla commissione regionale presieduta da Pierangelo Masia ai dirigenti della Asl n.1 prima e al rettore Alessandro Maida e ai presidi delle facoltà scientifiche poi.
 La riorganizzazione dell’azienda sanitaria sotto il profilo informatico e normativo - proprio il caso Coop.As è stato portato come esempio di un ordine che va ristabilito -, la valorizzazione del territorio con l’attivazione dei distretti e dei dipartimenti e il restauro delle strutture ospedaliere sono stati i temi più importanti di cui si è discusso nel corso della riunione negli uffici della direzione generale. All’incontro hanno partecipato, oltre che il presidente, tutti i membri della commissione che hanno ascoltato con grande attenzione le parole di Bruno Zanaroli, Sergio Lenzotti e Giovanni Mele. Si è parlato anche di fondi e finanziamenti che mancano fino a che il gruppo non si è spostato all’ospedale. Prima una puntata al pronto soccorso dove i membri della commissione non hanno potuto fare a meno di commentare quanto sia poco accogliente, poi una visita alla nuova ala che invece, una volta completata, dovrebbe dare finalmente nuovo lustro al servizio. I dirigenti Asl hanno sottolineato come la struttura del Santissima Annunziata sia concepita secondo criteri ormai superati e che la sua riconversione è purtroppo costosissima.
 Non sono arrivate notizie migliori dall’incontro ravvicinato con i rappresentanti dell’università cittadina. Dopo l’intervento-saluto di Alessandro Maida che ha parlato della necessità di un riequilibrio fra le risorse messe a disposizione per i poli sanitari di Sassari e Cagliari il preside della facoltà di Medicina Giulio Rosati ha messo a fuoco i non pochi problemi che caratterizzano il sistema cittadino. «Vogliamo essere una facoltà all’altezza delle altre - ha detto - e il livello qualitativo passa attraverso i fondi e l’attività di ricerca». Di seguito il preside ha elencato le maggiori necessità dell’università per garantire ai cittadini il diritto alla salute. «La facoltà di medicina fornisce la grossa parte dell’assistenza con la gestione diretta di 607 posti letto più 30 asilo nido e 87 nel policlinico universitario, contro i poco più di 500 dell’ospedale. A fronte di questo impegno abbiamo assistito a un continuo degrado che vediamo descritto quotidianamente sui giornali. In Neurologia combattiamo continuamente con la carenza di personale e gli infermieri sono costretti a doppiare i turni. Basta dire che dopo tanti anni sto rivedendo le piaghe da decubito».
 E il discorso è caduto subito sulla necessità di costituire in tempi brevi l’azienda mista ospedale-università. «C’è il bisogno di creare una dialettica fra facoltà e dirigenza Asl - ha proseguito Rosati - basata sui dipartimenti ad attività integrata, dove per attività integrata si intende assistenza, ricerca e didattica». Il preside ha parlato del capitolo ricerca denunciando il rischio reale che la facoltà possa chiudere i battenti. Ancora, sono stati portati all’attenzione della commissione problemi relativi all’offerta formativa e la mancanza di finanziamenti per l’acquisto di grandi attrezzature. Al dibattito sono intervenuti anche i presidi delle altre facoltà e il rettore ha chiesto all’assessore Nanni Moro (presente in sala) che il progetto per l’ospedale veterinario sia finalmente varato. «Entro 15 giorni lo porteremo in consiglio», ha risposto l’amministratore.
 Infine, Pierangelo Masia ha detto che avrebbe portato all’attenzione dell’assessore tutti i problemi sul tappeto e in particolare la richiesta, da parte dell’università sassarese, di essere coinvolta maggiormente nelle scelte a livello regionale
 
 
11 – La Nuova Sardegna
 
Pagina 19 - Sassari
Una giornata di riflessione
Incontri sull’8 marzo, dall’università a San Sebastiano
 SASSARI. Le mimose sono rimaste nel vasetto. L’8 marzo si svuota di festeggiamenti per la categoria femminile e diventa una giornata di riflessione sulla guerra, la situazione delle donne nel mondo e la legge sulla fecondazione assistita. Uno dei momenti più intensi di ieri è stato l’incontro nell’aula magna dell’università, organizzato dalle Donne della facoltà di Lettere e dal Comitato pari opportunità dell’ateneo sassarese.
 «Vogliamo stare lontani dalle liturgie classiche dell’8 marzo - spiega Antonietta Mazzette, presidente del comitato -. Vogliamo riflettere sul valore della pace e ribadire la nostra contrarietà a qualunque guerra, grazie anche alle parole che Giuliana Sgrena ha scritto dopo la sua liberazione». L’ateneo ha voluto anche una raccolta di firme. Una lista che avrebbe dovuto testimoniare la presenza dell’università di Sassari nella richiesta di liberazione della giornalista del «Manifesto», ma che oggi acquista un altro significato. Sarà inviata alla famiglia di Nicola Calipari «come testimonianza di affetto da parte dell’intera università».
 «La presenza di donne straniere cresce dal ’94 - spiega il presidente dell’associazione stranieri e nomadi, Speranza Canu -, da quando hanno iniziato a fuggire dalle guerre dei Balcani. In città sono un mondo sommerso che paga il prezzo della libertà della donna occidentale. Ragazze e madri straniere che vivono con impieghi di assistenza o svolgono lavori domestici».
 Nell’incontro, a cui ha partecipato anche il prorettore Attilio Mastino, alcune studentesse hanno letto brani di autori classici. C’è stato anche un momento dedicato a Enzo Baldoni e alla giornalista francese Florence Aubenas che, insieme con il suo interprete Hussein Anoun al-Saadi, è nelle mani dei rapitori dal 5 gennaio.
 La giornata è stata anche un’occasione per richiamare l’attenzione sul referendum per l’abrogazione della legge sulla fecondazione assistita. «Le donne sono sempre state in prima linea nelle lotte per la libertà» ha spiegato Alba Canu, del Comitato per i quattro sì al referendum. «Questo governo - ha continuato - ha messo in discussione la libertà dei cittadini e noi abbiamo scelto l’8 marzo per sensibilizzare donne e uomini».
 L’8 marzo è stato celebrato anche nel carcere di San Sebastiano. Non è mancata, infatti, la tradizionale offerta di mimose. Ma l’aspetto esteriore si è integrato con contenuti profondi. Il consigliere provinciale Antonello Unida, la vincenziana suor Maddalena Fois e il parroco di Santa Maria di Pisa, don Gavino Sini, hanno dato vita a un’iniziativa recepita con grande disponibilità dalla direttrice della casa circondariale, Patrizia Incollu. Una celebrazione della giornata della donna approdata per la prima volta nella realtà del carcere. Nella sala di socializzazione, nel braccio femminile, le dodici detenute di San Sebastiano, con le educatrici e le agenti, hanno preso parte a una tavola rotonda che ha gratificato l’esigenza di confrontarsi e di manifestare consapevolezza sui significati di quella che non è da considerare solo una ricorrenza. Don Gavino Sini ha posto l’accento sulla figura di Maria. «La Madonna, madre di Gesù, può essere vista - ha detto il parroco di Santa Maria di Pisa - come una donna combattiva e al tempo stesso umile». Suor Maddalena Fois ha speso parole di incoraggiamento per le carcerate. Antonello Unida ha osservato come la città sappia rispondere alla sensibilizzazione sulle tematiche sociali. «Con un’offerta dei cittadini - ha detto Unida alle detenute - abbiamo acquistato le mimose, coniando lo slogan “Da donna a donna”. Sono infatti le dipendenti dell’amministrazione provinciale e della prefettura a regalarvi queste mimose, fiori simbolo della giornata dell’8 marzo».
Silvana Porcu Marco Deligia
 

 
12 – Corriere della sera
Ricercatore e docente
Garattini: università più specializzate Pochi contatti fra teoria e laboratorio
Il direttore del Mario Negri: un’unica struttura non può formare infermieri, medici e ricercatori
Una formazione «appiattita». Una cultura generale «scarsa». Il professor Silvio Garattini chiede di non stupirsi, poi, «quando si scopre che, nell’elenco delle prime università del mondo, non ne compaiono di milanesi». Quanto ai molti atenei che convivono in città, «il problema è che sono troppo impermeabili e quindi non riescono a fare sistema tra di loro. Eppure, ce ne sarebbe molto bisogno». Silvio Garattini al mondo dell’università e della ricerca tiene davvero: oltre ad essere uno dei luminari del suo settore, Garattini è infatti direttore dell’Istituto di ricerche Mario Negri, che dal ’63 a oggi ha cresciuto oltre 4 mila allievi, ha ospitato oltre 600 ricercatori stranieri, è riconosciuto fra le eccellenze nazionali e internazionali. Ed è, Garattini, tra gli estensori del manifesto del Gruppo 2003, presentato anche al presidente Ciampi: proposte e osservazioni per contribuire al rilancio della ricerca in Italia.
Dunque, professore, un disastro?
«Ogni anno ho colloqui con decine di laureati nelle varie discipline scientifiche. È l’impressione è sempre la stessa».
Quale?
«Malgrado da noi arrivi un campione di persone già motivate, c’è un evidente appiattimento nella formazione: la maggior parte di questi giovani non ha fatto tesi sperimentali e quindi manca nel loro inquadramento il rapporto fra teoria e laboratorio. Nè sono educati ad apprendere informazioni, mentre compito primario dell’università è quello di garantire un’apertura mentale in grado di rispondere al cambiamento di contenuti. Sono giovani che mediamente faticano ad esprimersi in un buon italiano, non sanno fare un riassunto, non sono in grado di sostenere una conversazione in lingua straniera».
Nel mirino anche la scuola superiore?
«Anche. Ma la situazione nelle università tende a peggiorare: l’università oggi tende ad espletare troppe funzioni che non fanno parte dello stesso mondo. Prendiamo medicina: formano infermieri, medici, specializzandi, dottori di ricerca e tutto con la stessa struttura».
Ma la ricerca è un’altra cosa.
«Ma anche nel programmare la ricerca, è necessario che si tenga conto del fatto che non tutto può essere concentrato sulle università. E poi...».
E poi?
«Oggi c’è troppa identificazione fra la formazione avanzata e le università. Invece esistono altre realtà che garantiscono questa formazione».
Come il Mario Negri?
«Abbiamo una scuola per tecnici, una per laureati di qualificazione professionale e, in collaborazione con la Open University di Londra, garantiamo il titolo di Ph.D (titolo comparabile al dottorato di ricerca, ndr) a studenti di livello, ciascuno seguito da un doppio tutor: giovani realmente in grado di produrre innovazione scientifica, cioè di firmare pubblicazioni e redarre una tesi in inglese».
Stando a quello che lei vede, c’è differenza fra i laureati italiani e quelli stranieri?
«I Ph.D esteri sono mediamente migliori dei nostri dottorati di ricerca».
Milano è una città accogliente per chi vuole studiare?
«No. Partiamo dalla questione della casa: per gli affitti si chiedono prezzi spaventosi, a fronte di borse di studio sempre più basse. Noi cerchiamo di fare la nostra parte: abbiamo un residence di fronte all’Istituto, con 80 posti letto e nel progetto di ampliamento del Mario Negri estenderemo anche questa disponibilità. Ma il problema è sociale e complessivo».
La preoccupa la fuga dei cervelli?
«Il problema è la circolazione: se tanti vanno, ma tanti vengono, si compensa e si cresce. Qui da noi arriva un po’ poco e si cresce meno».
I rettori si lamentano per la mancanza di fondi statali: condivide la protesta?
«C’è anche un problema di fondi, indubbiamente. Ma è la struttura che va cambiata: bisogna abolire i concorsi, abolire il valore legale della laurea... C’è molto lavoro da fare».
Il ruolo delle istituzioni?
«Le nostre non hanno come priorità lo sviluppo di Milano come città universitaria e della ricerca. Ed è una costante dei governi locali e nazionali, di un colore o dell’altro: i politici non considerano abbastanza la ricerca e la cultura».
Professore, non è eccessivamente pessimista?
«Leggo i numeri. Una statistica recente dice che su 1000 lavoratori attivi in Italia abbiamo 2,7 ricercatori: la media mondiale è 5,1, con la Gran Bretagna che ne ha 6, gli Stati Uniti 8 e il Giappone 10. Questi sono problemi seri per il Paese: senza ricerca non si va avanti e non c’è un futuro».
Vogliamo lanciare una proposta realizzabile?
«Orientare i bravi, aiutare quelli che valgono sul serio a crescere dando loro una possibilità di carriera. Facciamo selezione sul merito, questo si può fare e anche subito: altrimenti non avremo valore aggiunto e, di conseguenza, non avremo mercato».
Elisabetta Soglio
 
13 – Corriere della sera
LA RICERCA
Il verdetto dei docenti: promossa l’autonomia, bocciata la parità La Fondazione Agnelli: tutti d’accordo sulla libertà didattica, statali e non divisi sulle private
TORINO - Promossa l’autonomia, bocciata - per ignoranza - la parità: è il «verdetto» dello studio presentato ieri a Torino al convegno «Quando gli insegnanti guardano la scuola: autonomia e parità», nel programma Persone, Generazioni, Sviluppo della Fondazione Giovanni Agnelli. Una ricerca cofinanziata dal Miur e gestita da un pool di docenti universitari, che nel 2002 ha interpellato 1.125 docenti di istituti statali e non, dalle primarie alle superiori, in Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Calabria.
Lo scopo, spiega Luisa Ribolzi, sociologa dell’educazione a Genova e responsabile del progetto, era «verificare alcune ipotesi sui mutamenti della scuola, capire come chi ci lavora reagisce a un clima di incertezza prolungata». Sotto osservazione è finito così il rapporto dei docenti con autonomia e parità: l’informazione sull’argomento, la sua «lettura» complessiva, il vissuto personale. E se stupisce - in positivo - che per la maggioranza degli insegnanti l’autonomia sia più un’opportunità che un rischio (ma l’87% degli statali e il 73% dei non statali temono che, senza fondi, resti un’astrazione), il dato sconfortante è un altro: un terzo dei docenti nelle statali (e un quarto nelle non statali) non sa dire quali requisiti servano per ottenere la parità. Il giudizio è quindi molto più «partigiano»: se gli statali credono che la parità crei più problemi di quanti ne risolva (53%, contro il 4% dei non statali), chi lavora nelle paritarie è convinto (60%) che la concorrenza stimoli la scuola italiana a migliorarsi. Insomma, parità promossa da chi la vive, e «bocciata» da chi la osserva da fuori. Una ricerca «sul campo» che è anche un allarme per il futuro, perché «nessuna riforma - commenta Marco Demarie, direttore della Fondazione - potrà realizzarsi se non verrà recepita e condivisa dai docenti». «La mancanza di partecipazione degli insegnanti, più che la mancanza di soldi - conclude la Ribolzi - è il vero snodo critico della riforma in atto».
14 – Corriere della sera
IL DIBATTITO
«Poche le ore reali di lezione? Il presidente di TreeLLLe dopo l’intervento di Barbiellini Amidei: «Nessun interesse politico a cambiare le cose»
ROMA - «È vero: in Italia si studia in maniera dispersiva. Il problema reale è che la scuola è disegnata per rispondere ai ritmi e alle esigenze non dei ragazzi ma di insegnanti e personale non docente: un milione di persone, contando anche i familiari quattro milioni di voti». Attilio Oliva - presidente di TreeLLLe, associazione no profit che studia il mondo dell’istruzione, e amministratore delegato dell’università Luiss di Roma - interviene nel dibattito aperto ieri sul Corriere da Gaspare Barbiellini Amidei: tra assemblee, neve, elezioni e assenze, l’Italia ha il primato dei giorni persi a scuola, 200 l’anno in teoria, 160 in pratica. Cosa intende quando dice che la scuola è disegnata per i docenti?
«L’orario scolastico italiano per i ragazzi di 15 anni è superiore del 25% alla media di 30 Paesi Ocse, secondo l’ultima indagine Pisa. I nostri insegnanti, però, hanno un orario di lezione tra i più bassi: 612 ore contro una media Ue di 663. Il numero delle nostre materie è elevatissimo, mentre negli altri Paesi diminuiscono mano a mano che si procede, per concentrarsi più opportunamente su quelle fondamentali. E poi c’è scarsa attenzione ai ritmi attenzionali degli studenti. Da noi 15 minuti di pausa in una mattinata di cinque ore; in Germania 20 minuti di pausa ogni due ore, e un’ora di pausa obbligatoria dopo quattro ore».
È per questo che i ragazzi si allontanano dalla scuola?
«A fronte di una così estrema pressione in termini di numero di materie e di orari concentrati e stressanti, le loro strategie di evasione e di elusione sono più che giustificate. Sempre per l’Ocse, il 39% dei quindicenni italiani se potesse scapperebbe da scuola subito. Dopo il Belgio, è la percentuale più elevata e spiega l’altissimo tasso di assenteismo degli allievi, il 22%».
Cosa bisogna fare, secondo lei?
«Rimettere al centro dei programmi e della didattica i giovani, con i loro ritmi e i loro bisogni. Ma su questo punto non posso sottoscrivere l’ottimistica valutazione di Barbiellini Amidei, secondo il quale famiglie e docenti condividerebbero l’esigenza di una maggiore elasticità per una migliore organizzazione. Purtroppo, i governi che si sono succeduti negli ultimi quarant’anni (con la piena complicità delle opposizioni) hanno troppo assecondato la pressione di una larga parte del personale scolastico e hanno così favorito il consolidamento di abitudini e di orari su cui troppe persone hanno strutturato la loro vita».
Questo perché tutti hanno paura di toccare un mondo che muove 4 milioni di voti?
«Esatto. Non basta che pedagogisti, psicologi ed esperti reclamino una diversa organizzazione del tempo-scuola. Non bastano gli esempi di altri Paesi europei in cui i giovani conseguono, sempre secondo l’Ocse, più elevati livelli di apprendimento nelle materie fondamentali. Non bastano singoli ministri, di destra o di sinistra, animati da giusto spirito riformatore».
Cosa serve allora?
«Senza un patto di lungo termine tra maggioranza e opposizione, tra governo e forze sociali, sarà impossibile ristrutturare la scuola italiana a vantaggio dei giovani».
Lorenzo Salvia
 
 
 

Questionario e social

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