Venerdì 11 marzo 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
11 marzo 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Ufficio Stampa

 
1 – L’Unione Sarda
Pagina 21 – Cagliari
Università
Sette giorni dedicati alla scienza
Una settimana dedicata alla cultura scientifica e alla tecnologia: anche quest'anno l'università di Cagliari organizza, da lunedì prossimoal 20 marzo, la settimana della cultura scientifica e tecnologica. L'apertura dei lavori avverrà lunedì, alle 11, nell'aula magna "A. Boscolo" della cittadella universitaria di Monserrato. Nel pomeriggio, alle 16.30, nell'aula magna del dipartimento di architettura in via Corte d'Appello 87, si svolgerà una tavola rotonda sul tema "Le tecnologie per la produzione industriale di energia elettrica da fonti fossili e rinnovabili: stato dell'arte e prospettive future». La manifestazione, giunta alla XV edizione, è dedicata a temi di grande importanza come le grandi scoperte della fisica del XX secolo e le loro applicazioni; La centralità dell'acqua; L'energia alla base delle moderne società industriali; Nuove prevenzioni e nuove terapie per una miglior salvaguardia della salute; Dallo spazio straordinarie informazioni sulla terra e sulla sua collocazione nell'universo. Gli argomenti selezionati, tutti di grande attualità, offrono svariati punti di riflessione. Una particolare attenzione è stata rivolta al ruolo che riveste la fisica e all'importanza del suo legame con le altre discipline per la soluzione dei problemi d'interesse globale.
 
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 20- Cagliari
Dopo il premio conferitole dal presidente Ciampi parla la ricercatrice cagliaritana
«Le epatiti virali si possono vincere»
Patrizia Farci: «Un onore lavorare con i grandi scienziati»
Adesso è una vera star della ricerca internazionale. Patrizia Farci la conoscono addirittura in America come a Londra perché da anni collabora con i più prestigiosi specialisti e scienziati mondiali della Medicina. La sua intraprendenza le apre la porta del successo: il 50 per cento dei pazienti con epatite cronica C può guarire grazie alle terapie antivirali. Sono ancora suoi gli studi per arrivare allo sviluppo di un vaccino contro questo virus. Per l'epatite delta, una forma più rara ma molto più grave, scopre una terapia che può in alcuni pazienti portare ad una regressione completa della malattia. Cagliaritana, ricercatrice e professore ordinario di Medicina Interna dell'ateneo cittadino, è stata premiata l'altro giorno da Carlo Azeglio Ciampi con questa motivazione: «A lei è toccato il privilegio di essere scelta per la distinzione onorifica di Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, in virtù dell'impegno che ha dedicato alla ricerca scientifica, contribuendo con il suo lavoro ad accrescere nel mondo il prestigio del nostro paese». Dal Quirinale è tornata a Cagliari aggiungendo al suo curriculum la prestigiosa onorificenza per i risultati eccellenti della sua attività innalzando la Sardegna a livello nazionale ed internazionale in campo medico. «È stato commovente e gratificante ricevere questo importante riconoscimento». Gratificazioni che non le sono piovute dal cielo ma conquistate grazie alla passione per il lavoro, alla tenacia e all'autocritica che porta sempre con sé ovunque vada. Notorietà assicurata perché è riuscita a varcare la soglia dei più nobili centri clinici e di ricerca del mondo. Merito di quella voglia di sapere che la rende uno spirito viaggiatore sempre in movimento a caccia di nuovi traguardi. Patrizia Farci da anni è impegnata nelle ricerche sulle malattie del fegato e ha conseguito importanti risultati pubblicati nelle riviste più autorevoli come il New England Journal of Medicine e Science. La sua figura di simbiosi tra medico e scienziato le ha permesso di sperimentare nuove terapie, alla ricerca di cure sempre più efficaci per le epatiti virali croniche, «molto diffuse in Sardegna e costituiscono una causa frequente di cirrosi e tumore del fegato». Infatti la scienziata dirige il Centro di studio delle malattie del fegato, all'avanguardia nella cure di queste patologie. Oggi, grazie ai nuovi protocolli terapeutici antivirali, il 50 per cento di malati colpiti di epatite cronica C puó guarire. «Purtroppo non esiste ancora un vaccino contro questo virus e la via di ricerca scientifica sará molto lunga e difficile a causa dell'abilitá di questo virus di trasformarsi continuamente». Non soddisfatta è assetata di novità scopre una terapia contro l'epatite delta, una forma più rara dell'epatite C ma anche molto più grave che conduce alla cirrosi nell'80 per cento dei casi. Il trattamento viene effettuato con l'interferone ad alte dosi. Alcuni pazienti hanno avuto una regressione completa della malattia a distanza di oltre 15 anni dal trattamento. «Lavoro per i miei pazienti, c'è un rapporto di completa fiducia che mi gratifica molto. Certo è molto difficile conciliare il ruolo di medico, di ricercatrice, di docente e di madre di un bambino. Ci vuole una grande forza d'animo e determinazione per andare avanti», dice. Va fiera di svolgere un'attività importante per la società. «La meritocrazia è giusto che venga riconosciuta a chi dedica al suo lavoro anima e corpo. Il presidente Ciampi, con la sua forza e la sua autorità, ci sta facendo sperare che i tempi stiano cambiando. Il suo messaggio è che l'eccellenza è un valore primario, che deve essere riconosciuto e valorizzato al massimo. Perché proprio sull'eccellenza si basa la rinascita del nostro paese e la sua affermazione nel mondo». Per Patrizia Farci la partecipazione ai congressi internazionali e la collaborazione con i Centri di ricerca più grossi del mondo sono il pane quotidiano che le permette di portare avanti anche il suo Centro di Studio universitario delle Malattie del fegato, ideato proprio da lei nel 1985, frequentato da 3mila pazienti provenienti non soltanto dalla Sardegna, ma anche dal resto d'Italia. «Mi sento una privilegiata per essere stata a Londra lavorando al fianco di Sheila Sherlock, la madre dell'epatologia moderna. Lì ho partecipato ai primi studi al mondo di terapia antivirale nei pazienti con epatite cronica virale». Poi il salto più lungo, attraverso l'Atlantico, per approdare al tempio della ricerca scientifica mondiale, il National Institutes of Health di Bethesda. «In America collaboro da anni con Robert Purcell, scopritore del virus dell'epatite A e realizzatore dei vaccini contro i virus epatitici». Il riconoscimento conferitole dal presidente Ciampi è motivo d'orgoglio personale, conclude Patrizia Farci, ma è anche importante per l'Università cittadina che continua ad imporsi all'attenzione nazionale per i risultati dei suoi ricercatori. Laila Di Naro
 
 
3 – L’Unione Sarda
Pagina 24 – Cagliari
I primi laureati del master di Medicina
Giovani e super esperti in tossicodipendenze
Tossicodipendenza e alcolismo studiate nella loro complessità: dal problema della droga nelle carceri al suicidio dei tossicodipendenti, dagli effetti del consumo di sostanze stupefacenti sui giovani a quello dell'alcol nei ragazzi delle scuole medie della provincia di Cagliari. Queste alcune tematiche toccate nelle tesi dei primi medici e psicologi della facoltà di Cagliari, che ieri, nella cittadella universitaria, hanno conseguito il master in "Medicina delle tossicodipendenze e dell'alcolismo". Un corso di studi organizzato dal centro di eccellenza per la neurobiologia delle dipendenze dalla facoltà di Medicina dell'ateneo di Cagliari, in collaborazione con il servizio per le tossicodipendenze dell'Asl numero 8. In tutto ventidue i titoli consegnati, a nove medici e tredici psicologi: alcuni già inseriti nel settore delle dipendenze (droghe e alcol), nel Sert, nei centri di ascolto e nelle comunità. Altri che invece puntano a lavorare in questo importante servizio medico, che ha diverse problematiche da combattere. L'obiettivo del master era proprio quello di formare ricercatori ed esperti nel settore delle tossicodipendenze. Proprio dagli argomenti delle tesi discusse ieri si possono capire gli ostacoli che devono essere superati a livello medico e psicologico. È stato svolto anche uno studio sugli utenti del Sert, per verificare le tipologie di dipendenze da cocaina, eroina, anfetamina e altri tipi di droghe. I laureati hanno svolto l'anno di master tra le lezioni teoriche tenute dai docenti della facoltà di Medicina e Psicologia, e il tirocinio pratico al Sert della Asl di Cagliari, per mettere in pratica gli insegnamenti e per entrare in contatto con la realtà diretta della tossicodipendenza e dell'alcolismo. La commissione che ha presieduto alla discussione delle tesi del master, era composta dal direttore uscente, il professor Luigi Gessa, e dal direttore che presiederà il corso per il prossimo anno, Antonio Argiolas, dal direttore del dipartimento di neuroscienze, Walter Fratta, e dalla responsabile del Sert, Anna Loi. Un corso di studi che è una vera novità per l'ateneo di Cagliari, essendo il primo nel genere della storia delle facoltà del capoluogo.
Matteo Vercelli
 
4 – L’Unione Sarda
Pagina 15 – Cultura
Quell'antenato del dirigibile progettato da Vittorio Angius
Un umanista affascinato dalla scienza e dalla tecnica L'inedito ritratto di un intellettuale nel racconto di Giancarlo Nonnoi
Vittorio Angius aveva progettato una macchina ideale. Il suo Automa aerio era un antenato dei dirigibili ma senza motore. Non aveva bisogno del vapore o del gas per stazionare immobile a grandi altezze. «Per questo motivo lo possiamo considerare modernissimo», dice Giancarlo Nonnoi, docente di Storia della filosofia all'Università di Cagliari: «Si trattava di un progetto a basso dispendio energetico e minimo impatto ambientale». Tematiche oggi imprescindibili per la moderna industria aeronautica, anticipate nel 1855, dallo Scolopio cagliaritano. Girolamo Sotgiu parlava di "versatilità bizzarra" dell'Angius: «Fu romanziere e drammaturgo, ricercatore d'archivio, studioso di araldica e di linguistica, giornalista, storico, deputato». E anche curioso di aerostatica: il suoAutoma aerio o sviluppo della soluzione del problema sulla direzione degli aerostati è stato ripubblicato dalla Giunti nella Biblioteca della scienza italiana. Chi era Vittorio Angius? «È spontaneo e ovvio definire l'Angius un eclettico, ma in realtà fu qualcosa di più preciso. Prima di tutto un uomo del suo tempo sotto diversi aspetti e poi un uomo di chiesa. Quest'ultimo non è un elemento accessorio. La sua vita è segnata da una vocazione precoce e da una carriera nelle istituzioni religiose. L'ordine degli Scolopi a cui apparteneva contendeva ai Gesuiti il primato dell'istruzione in particolar modo in Sardegna. La competizione virtuosa si svolgeva anche sui contenuti e sulla modernità dell'insegnamento. Si potrebbero citare degli esempi, tra fine Settecento e inizi Ottocento, secondo i quali gli Scolopi sono più aggiornati dei Gesuiti per ciò che riguarda le scienze naturali e il dibattito giusnaturalistico. I multiformi interessi dell'Angius provengono da questo tipo di educazione all'interno dell'ordine religioso. Fu poi un uomo del suo tempo interessato al bene pubblico e alla forma nuova che il bene pubblico stava assumendo in seno all'industrialismo e allo stato tecnocratico piemontese. E fu insieme anche politico, secondo una visione umanistica e policentrica. Proprio per questi motivi non deve sorprendere che i suoi interessi spazino dalla linguistica alla numismatica, dall'archeologia alla scienza naturale e a quella che potremmo chiamare, tra virgolette, ingegneria aeronautica». Qual è l'atmosfera del tempo in cui l'Angius si occupa di aerostatica? «Premettiamo che la cultura illuministica non aveva prodotto una scienza trasferibile automaticamente sul piano produttivo ed economico. Perché ciò si realizzi occorrerà un passo in più: la nascita e lo sviluppo della borghesia industriale. Angius vive la civiltà industriale, la civiltà della macchina e dell'energia, del commercio e dei traffici. Il tempo si sta accorciando, le distanze si percorrono sempre più rapidamente. E tra gli elementi che si stanno aprendo all'uomo, non ultimo troviamo lo spazio. Il primo esperimento aerostatico dei fratelli Montgolfier è del 1782. Questo fenomenò entusiasmò tutta l'Europa». Come spiegare l'interesse di un erudito sardo, dedito perlopiù alle discipline umanistiche, anche per una scienza applicata alla tecnica? «Non è un fatto eccezionale. Nella formazione umanistica di Angius ritroviamo anche l'interesse per la tecnologia. Questa caratteristica è presente anche in chi ha studiato nelle scuole e università riformate dai piemontesi dalla seconda metà del Settecento. I rudimenti della scienza, della fisica e in particolar modo della meccanica, sono patrimonio integrante dei percorsi formativi. E uno dei capitoli più affascinanti della fisica è proprio l'aerostatica». Angius può essere considerato un anticipatore dei tempi? «Per certi aspetti sì, per altri lasciamo il punto interrogativo. L'idea di costruire un aeromobile in grado di stare sospeso senza dover ricorrere costantemente ad energia come nel caso del pallone dei Montgolfier, è sicuramente un principio modernissimo. Angius immagina un oggetto in stato permanente di galleggiamento e a bassissimo consumo energetico. Il principio usato dallo Scolopio è quello che prevede la creazione del vuoto. Una volta privato dell'aria, questo enorme Zeppelin si sostiene staticamente secondo la legge di Archimede. Ipotizza poi una forma ideale che è quella dell'ovoide e ragiona sul materiale da usare per la sua creazione: l'alluminio. Questa scelta a me pare debole perché vi rinuncia subito. La tecnologia di allora non era in grado di fornire le lamine di tale metallo. Si ricorre invece alle placche di rame». L'uso dell'alluminio però è molto attuale? «Sì, ma lui è consapevole che ai suoi tempi è impraticabile. È una premonizione sul piano futuribile, mentre gli altri aspetti citati sono più concreti». Anche l'impatto ambientale del progetto pare molto moderno in quanto prossimo allo zero. «Certo, l'Automa aerio galleggia mentre le altre macchine vanno costantemente alimentate. Angius si muove nella logica di un veicolo più leggero dell'aria in grado di trasportare posta, fare operazioni militari, caricare civili e addirittura di trasformarsi in strumento di neo evangelizzazione. Lo scolopio immagina lo stupore della popolazione nel veder sbarcare i missionari da un simile mezzo volante». Cosa significa Automa aerio? «L'automa è un oggetto che si autosostiene, una volta collocato in una certa posizione mantiene quello stato. L'Angius cercherà poi di capire come l'automa possa diventare dirigibile». Come? «L'automa deve muoversi e deve essere diretto quindi ha bisogno di un sistema motore e di un sistema di guida». Che tipo di motore? «Qui il cagliaritano oscilla tra un impianto a reazione e uno meccanico. Pensa di copiare il movimento degli uccelli e dei pesci ipotizzando ali o pinne propulsori, e nel contempo di sfruttare la forza espansiva del vapore. Con un simile sistema promiscuo che alimenta un mezzo più leggero dell'aria, il religioso ritiene si possa raggiungere una velocità attorno ai 110 km all'ora che consentirebbe di compiere il giro del mondo in 15 giorni. Si tratta evidentemente di una macchina ideale». Nella seconda metà dell'Ottocento in Sardegna la figura dello Scolopio poteva essere considerata un'eccezione? «No. Angius è esponente di un élite sarda con forte proiezione continentale. A Torino frequenta caffè letterari e scientifici, è curatore di diverse gazzette che dovrebbero promuovere il dibattito teorico ed è socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze». Nell'anno di nascita dell'Angius, il 1797, l'isola era già attraversata da un'intensa circolazione delle idee. I lumi della ragione rischiararono anche la Sardegna? «Al tramonto del Settecento la Sardegna godeva già di un'esperienza più che ventennale di riforme e rinnovamento degli studi. Il dibattito si basava su standard e paradigmi scientifici correnti in Europa. Certamente la stragrande maggioranza della popolazione viveva ancora in uno stato di arretratezza ma questo capitava anche nell'800». La produzione scientifica di quegli anni fu importante. In quali campi si ebbero gli sviluppi più significativi? «Paradossalmente, nonostante si sia investito molto nella fisica, i migliori risultati si ebbero nella storia naturale. Mi riferisco agli studi di zoologia di Francesco Cetti e a quelli di botanica di Michele Plazza, ispirati alla scuola di Linneo e di Buffon. Più in generale ci sarà anche uno straordinario movimento agronomico che andrà di pari passo con la riforma agraria». Che cosa resta oggi del mito della mongolfiera padrona dell'aria, immortalato anche in un noto dipinto di Goya? «La mongolfiera appartiene al titanismo romantico emergente piuttosto che all'illuminismo, anche se ne condivide molti aspetti. È piuttosto faustiana e di questo mito oggi resta tantissimo. L'idea di un dominio incontrastato del mondo, della natura e degli uomini è più che mai viva, anche e purtroppo negativamente». Che cosa resta della ragione illuminista? «Rimane ben poco perché costantemente contrastata. È uno dei bersagli del pensiero reazionario. La ragione illuminista giunge al suo apice con Kant mettendo in discussione se stessa e individuando i propri limiti. Si tratta dunque di una ragione dei limiti e della consapevolezza che indaga costantemente questi limiti. È pure di una ragione della responsabilità e delle conseguenze. Insomma, niente di più scomodo e problematico».
Walter Falgio
 

 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Cagliari
UNIVERSITÀ
Borse di studio per le tesi sull’energia all’idrogeno
 CAGLIARI. Il futuro nel campo energetico? Bisogna puntare sull’idrogeno. Una tesi che si fa sempre più strada tra gli addetti ai lavori e che ha trovato ulteriore conferma ieri, alla cerimonia di consegna delle borse di studio del “Concorso per tesi di laurea su tematiche inerenti la questione energetica in Italia”. L’evento, promosso dalla multiutility Energit, ha premiato i lavori presentati da Marco Medde e Maurizio Pinna, che hanno focalizzato le loro ricerche rispettivamente sull’“Analisi di un sistema eolico per la produzione integrata di energia elettrica ed idrogeno” e sullo “Sviluppo di un impianto di Co-Shift, in scala laboratorio, per produzione di idrogeno da gassificazione del carbone”. La commissione esaminatrice ha poi voluto sottolineare la qualità di altri tre lavori, conferendo una menzione speciale a Francesca Cau, Angelo Mocci e Lorenzo Ariu. Alla manifestazione, tenuta presso la sala presidenza della facoltà di Ingegneria, hanno partecipato il preside Francesco Ginesu, l’ordinario di Energetica elettrica Alfonso Damiano, il preside della facoltà di Economia Roberto Malavasi e il direttore Generale di Energit, Fernando Codonesu, che ha sottolineato come «la prima edizione del concorso ha riscosso un grande successo, tanto per l’ottimo livello delle tesi quanto per il numero di elaborati ricevuti. Abbiamo scelto di ampliare il più possibile lo spettro delle tematiche. La natura del tema a nostro avviso ben si presta a valutare punti di vista originali su un argomento tanto attuale come quello dell’energia». (p.s.)
 
 
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 7 - Sardegna
VIAGGIO ALL’INTERNO DELL’UNIVERSITA’
L’ATENEO NUORESE
Successo dell’università di Nuoro
 
Una «Atene sarda» con 1500 studenti
  NUORO. Boom di iscrizioni all’università di Nuoro nonostante i tagli ai bilanci: il vecchio mito dell’Atene sarda resiste ancora. Sono infatti 1420 studenti, pendolari e residenti, distribuiti nei cinque corsi di laurea gemmati da Cagliari e Sassari, e guidati da circa 130 docenti, dieci dei quali strutturati nel sistema nato dieci anni fa.
 
 
Rifiutano la condizione di sudditanza da Sassari e vorrebbero avere più visibilità
«Non siamo da considerare di serie B»
La maggior parte dei giovani arriva dagli altri centri della Sardegna
«Possiamo vantare un’ottima preparazione nelle materie legate al territorio»
 NUORO. «Non siamo un’università di serie B»: gli studenti nuoresi non si stancano di ripeterlo. E’ un piccolo moto d’orgoglio in mezzo alle polemiche di questi giorni tra annunci di tagli e appelli per il terzo polo.
 «Non siamo un’università di serie B - continuano a dire - abbiamo ottimi professori e un’ottima preparazione. Per questo non siamo secondi a nessuno». Ma quel cartello all’ingresso di una delle due sedi, a Sa Terra Mala, racconta una storia diversa.
 «Università di Sassari» è scritto in grande, «sede di Nuoro» in piccolo. La condizione di sudditanza, insomma, come una spada di Damocle sui 359 studenti che frequentano i corsi di Scienze Ambientali e Forestali. Ben 270 di loro sono fuori sede. Arrivano dall’Oristanese, dalla zona di Cagliari e dalla provincia di Sassari. La maggior parte, dai centri dell’interno. Prendono casa in città oppure viaggiano tutti i giorni, spesso con grandi sacrifici. In tutto, tra i corsi attivati a Sa Terra mala e quelli della centrale, sono 1420 giovani. I primi dovrebbero essere le figure ideali per gestire parchi naturali, per progettare sistemi forestali, per valorizzare il patrimonio ambientale. Ma in pochi li conoscono, di conseguenza in pochi li cercano. «Il mercato del lavoro non sa della nostra esistenza. Siamo poco conosciuti nell’Isola e in tutta Italia, così capita spesso che i bandi di concorso ci snobbino» dicono Giampietro Carta, Francesca Gometz e Lucio Nieddu. Eppure loro, come molti altri colleghi, in questi corsi di laurea continuano a crederci.
 «I corsi che seguiamo sono di serie A - aggiunge Giampietro, 26 anni, di Olzai -. Stiamo parlando di territorio, di paesaggio, di ambiente. Non sono mica questioni di poco conto, soprattutto per la Sardegna”. Rincara la dose, Lucio di Siniscola: “La nostra è una figura professionale utile, adesso e in futuro, per lo sviluppo dell’Isola. Eppure, il tasto dolente è proprio lo sbocco nel mercato del lavoro. Il dottore forestale, ad esempio, non lo conosce nessuno e così nessuno lo cerca. Questa è la nostra grande preoccupazione». C’è poi il futuro della stessa università che li preoccupa. Oggi più di ieri, dopo i tagli ai bilanci dell’ateneo nuorese.
 «Si sente proprio che tira aria brutta» osserva a proposito anche Francesca, 26 anni, di Dorgali.
Valeria Gianoglio
 
L’INTERVISTA
Maida: «Qui potrebbe nascere il terzo polo degli studi»
Professor Maida, ma che succederà, con questi tagli, alla giovane università nuorese?
 
«Diciamo che saremo costretti a contenere le spese e, quindi, anche l’offerta».
 La qualità è importante. Come difenderla?
 
«Bisogna razionalizzare l’offerta. Se la Regione intende razionalizzarla con un sistema universitario regionale occorre poi fare un programma insieme ai consorzi, alle università e a tutti i soggetti».
 Stando alle ultime statistiche, sul piano della qualità, anche gli atenei di Cagliari e Sassari non sono ai primi posti. Che succede?
 
«Bisogna dire che certe statistiche sono fatte su parametri che penalizzano gli atenei sardi. E’ difficile che gli studenti vengano in Sardegna a causa dell’insularità. E’ più facile uscire che entrare. Su questo parametro siamo svantaggiati. Poi altri servizi creano più difficoltà: le residenze agli studenti, per esempio, non incentivano. I punti deboli sono dunque due: insularità e residenze. Ma si può migliorare: innanzitutto c’è la scarsa produttività delle due università da innalzare. E con questo penso al numero dei laureati rispetto agli iscritti, agli abbandoni e ai fuoricorso. Questi tassi non ci pongono al livello delle migliori università italiane. Noi stiamo lavorando per superare lo scoglio, ma l’Ersu non gode di ottima salute».
 Questo naturalmente vale anche per l’Università nuorese.
 
«A maggior ragione. A Nuoro non ci sono ancora residenze».
 Allora il Campus universitario nell’area della ex Artiglieria potrebbe essere la soluzione giusta?
 
«Sì, ma all’interno di una razionalizzazione complessiva. Direi che anche a Nuoro esistono i presupposti per fare un terzo polo universitario. Dentro la città ci sono le strutture e parlo qui del possibile campus e delle risorse disponibili di 20 milioni di euro. In quest’area tutto può essere accorpato: mensa, alloggi, servizi, foresteria, laboratori, e impianti sportivi. La cittadella universitaria a Nuoro è realizzabile».
 Ma il Consorzio nuorese punta anche a una facoltà autonoma. Siete d’accordo?
 
«Io la vedo bene, ma con diversi di corsi di lauera collegati. Già ce ne sono tre pronti: ambientale, forestale e fauna. Un bel nucleo da cui cominciare».
 Ed esistono anche le condizioni politiche?
 
«All’inaugurazione delll’anno accademico di Sassari il presidente Soru si è mostrato sensibile a un sistema universitario regionale. In questo senso c’è da sperare. Se c’è l’accordo su questo, poi si potrà chiedere la facoltà al ministero. Per concludere credo che Nuoro possa contare su una sua specificità, quella dell’ambiente».(n.b.)
 
LE PROFESSIONI
  NUORO. Dalla nascita ad oggi gli universitari barbaricini che hanno frequentato i corsi sono stati oltre duemila, 363 dei quali hanno già conseguito il titolo. Ma per fare cosa poi nella vita? Questa domanda pone il problema degli sbocchi professionali, che per quanto riguarda i corsi dell’ateneo nuorese si possono sintetizzare così.
 Scienze ambientali assicura titoli per impieghi negli enti pubblici e lavoro nei piani di risanamento ambientale. Scienze forestali oltre che nelle attività forestali anche nei servizi e nella gestione e programmazione del territorio rurale. Scienze dell’amministrazione poi punta a inserire i giovani nelle amministrazioni pubbliche e nelle imprese collegate.Scienze del servizio sociale punta invece, e soprattutto, sulle aziende sanitarie locali (Asl) e sugli istituti periferici dei ministeri Giustizia, Interni, e Welfare.Scienze delle produzioni animali, infine, guardano a sbocchi professionali in ambiti diversi e comunque legati al mondo dell’allevamento ovicaprino. Un mercato tutto sardo.
 
I tagli non mettono in crisi le iscrizioni
Gli studenti sono 1420 per cinque corsi di laurea
NINO BANDINU
 NUORO. Nonostante i colpi e i tagli ai bilanci resiste forte il mito dell’Atene sarda. Un mito che oggi s’incarna nell’ateneo pubblico nuorese, con i suoi 1420 studenti, pendolari e residenti, distribuiti nei cinque corsi di laurea gemmati con Cagliari e Sassari, e guidati da circa 130 docenti, dieci dei quali strutturati nel sistema nato nel lontano 1995: quando cioè il Consorzio universitario (Comune e Provincia) istituì i primi corsi in città.
 Da allora è stato come una via crucis, una parabola di ascesa contorta e molto sofferta, tra rapide ascese e precipitose cadute, con risorse tagliate, scippate, e poi riacciuffate all’ultimo momento. Le idee forti, allora, comunque non mancavano, neppure una classe dirigente (nuorese e regionale) attenta alle questioni dello sviluppo nella Sardegna centrale.
 L’idea base di un ateneo a Nuoro, come molte per altre cose in Barbagia, era nata nei primi anni Settanta dalla storica inchiesta della Commissione Medici sul banditismo. Una scelta culturale mirata e ritenuta strategica anche sul piano sociale ed economico. Lo Stato amico, oltre che con le ciminiere della chimica di base a Ottana, qui doveva presentarsi col volto di una amministrazione moderna. E perchè no, anche con una università decentrata, anche per continuare il mito dell’Atene sarda. L’idea è rimasta a lungo ad incubare. Poi è riesplosa negli anni Ottanta. E nei Novanta è diventata progetto e realtà.
 Nel 1995 con i primi corsi gemmati alle due università sarde la risposta degli studenti barbaricini è stata forte e convinta. Le iscrizioni sono arrivate in massa, anno dopo anno, nonostante le difficoltà, sempre in crescita. Fino all’exploit dell’ultimo anno accademico con circa 1400 universitari, così distribuiti: 259 iscritti in Scienze forestali; 169 in Scienze ambientali; 28 in Protezione della fauna; 598 in Scienze dell’amministrazione; e 63 in Servizio sociale.
 Nel tempo i corsi decentrati dell’ateneo erano diventati cinque, ma in questo periodo cominciava a imporsi un «nucleo speciale», tutto centrato su ambiente e foreste. Sotto l’impulso dell’idea di un Parco nazionale nel Gennargentu, la piccola università nuorese aveva improvvisamente scoperto l’aggancio a un nuovo modello di sviluppo: quello ambientale e integrato, appunto. Le vecchie ciminiere di Ottana stavano declinando e si sentiva forte il bisogno di una sterzata. Quale migliore occasione, quindi, per legare l’università al territorio? E che territorio quello del Gennargentu. Scoperto e riscoperto a livello nazionale e mondiale e idealmente inserito nei grandi circuiti del flusso turistico internazionale.
 Il boom delle iscrizioni ai corsi di Scienze ambientale e forestale è stato immediato. Il nuovo modello, dunque, funzionava. Ma a questo punto scoppiò la guerra antiparco, una guerra tra fondamentalismi, che sconvolse tutto. La parabola ambiente e del nuovo modello di sviluppo cominciò a declinare. Proprio nel momento in cui le istituzioni e il movimento si stavano attrezzando per il salto di qualità verso l’autonomia dell’università (con la richiesta di una facoltà vera) il meccanismo si è improvvisamente inceppato. Tutto era pronto, allora, con i 40 miliardi di vecchie lire finanziati dalla Regione (centrosinistra) per fare un campus universitario nel cuore della città (ex caserma dell’Artiglieria) e con un territorio alle spallle, ideale per la ricerca sul campo, ma anche con la necessaria “forza politica” capace di convincere lo Stato a concedere una facoltà a Nuoro. E con la facoltà, l’agognata autonomia. La cittadella universitaria, insomma, sembrava a portata di mano. Invece la mannaia è calata pesante sui 40 miliardi del campus (scomparsi dal bilancio regionale del centrodestra) e sui contributi per la gestione. Un’altra fase convulsa e confusa, poi, quella più recente, tutta sprecata nel recupero dei soldi scomparsi. Infine, la fase attuale, con i nuovi tagli alla gestione dell’ateneo previsti anche nella finanziaria di Soru.
 Dopo un periodo di calma, insomma, il quadradante è tornato a segnare rosso, sia sul piano delle risorse che su quello politico. Resta in piedi, però, una colonna da cui ripartire: l’alto numero degli universitari iscritti (e che continuano a iscriversi) all’ateneo nuorese. Quasi una costante resistenziale, per tornare al mito, anche a quello dell’Atene sarda.
 Ma ciò che colpisce Bachisio Porru (presidente dell’ateneo nuorese) è quella che lui preferisce chiamare «una crisi di crescita». Crisi sì, ma dentro l’università che c’è. E con una domanda sempre più forte. Ma l’offerta, come sta l’offerta? Questo è il punto. «La qualità qui non manca, ma non basta» dice Porru, che ha una sua proprosta: «Le istituzioni programmino l’università in funzione dello sviluppo». Poi seguirà la ricerca e la didattica di qualità.
 «Con Scienze ambientale e forestale - sottolinea - la situazione qui è proprio ideale, manca solo la facoltà come unità funzionale». Anche se non c’è il parco? «Anche così, perchè resta il territorio». Il futuro dell’ateneo nuorese, dunque, ruota intorno all’ambiente. «Sia chiaro però che non si può costruire futuro senza risorse», conclude Porru, pensando a Soru.
 
 
 
7 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Nuoro
La ricerca scientifica apre agli studenti
Ieri appuntamento annuale di Telethon Young con il professor Madeddu
 NUORO. «La ricerca ha bisogno di voi, perché è una garanzia per il vostro futuro», scrive Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina, in una lettera aperta ai giovani studenti che ogni anno per Telethon Young, incontrano i ricercatori italiani ingaggiati per fare studi di altissimo livello. In città, ieri mattina si è tenuto l’annuale appuntamento con l’iniziativa di Telethon, organizzata dal Soroptimist club e dalla Fidapa in collaborazione con la Biblioteca Satta.
 Al mattino il prof. Paolo Madeddu, direttore del Centro Ricerca e Consorzio d’Università Inbb, si è incontrato con i ragazzi del liceo pedagogico «S. Satta»; nel pomeriggio con il pubblico nuorese, con la partecipazione di due primari dell’ospedale S. Francesco, Giovanna Mureddu (Cardiologia) e Attilio Gabbas (Ematologia e Trapianti). «Senza Telethon la ricerca genetica nel nostro Paese sarebbe morta nell’arco degli ultimi 5 anni - ricorda sempre Dulbecco - perché i finanziamenti pubblici non bastano, ma anche perché la vita professionale dei ricercatori è resa impossibile da burocrazia e baronati». Scopo principale di Telethon è, infatti, raccogliere fondi per finanziare la ricerca scientifica e farla avanzare verso la cura delle malattie genetiche e svolgere nel territorio attività di informazione capillare e di sensibilizzazione. Nelle passate edizioni, la maratona televisiva ha raccolto quasi 198 milioni di euro, di cui l’80% è destinato ai progetti valutati da una commissione scientifica internazionale. Numerosi i risultati ottenuti in questi anni, alcuni fra i più significativi riguardano l’identificazione di geni responsabili di malattie, successi di terapia genica e altre applicazioni terapeutiche. Inoltre, con le borse di studio, finalizzate alla formazione presso i laboratori stranieri, e l’Istituto Telethon Dulbecco, che consente ad alcuni scienziati di lavorare presso i laboratori italiani, si offrono validissime opportunità professionali per i giovani che intendono intraprendere la strada della ricerca scientifica, evitando la fuga dei nostri cervelli all’estero.
 Il progetto Telethon curato dall’equipe del prof. Madeddu a Sassari, riguarda studi di medicina sperimentale animale e medicina cardiovascolare indirizzati in particolare su due malattie: il diabete e l’aterosclerosi. La strategia di lavoro è imperniata sull’uso di fattori di crescita e di cellule staminali per rigenerare il cuore colpito da infarto del miocardio. Un tempo nelle malattie cardiache i farmaci alleviavano solo i sintomi, è arrivata poi l’era della rivascolarizzazione meccanica attraverso l’angioplastica (inserimento di cateteri che dilatano l’arteria) ma non tutti i malati hanno beneficiato di queste tecniche; chi è senza opzioni reclama terapie innovative come la rivascolarizzazione biologica - per stimolare la crescita di vasi - con la terapia angiogenica e l’uso di cellule staminali. (l.c.)
 
 
8 – Corriere della Sera
Un’israeliana e una palestinese dovevano parlare della possibile convivenza tra i due popoli
Salta a Bologna il dialogo arabi-ebrei Comitato studentesco cancella l’appuntamento all’università per timore di contestazioni
«Alla fine a prevalere è la paura. Dopo Pisa e Firenze, quanto è accaduto testimonia il clima di "terrorismo psicologico" che si diffonde negli atenei italiani. Dove poche decine di persone possono intimidirne migliaia e dove, alla fine, è la libertà stessa di parola che perde la sua ragion d’essere: il dialogo». Riccardo Pacifici, vicepresidente e portavoce della Comunità ebraica di Roma, è più sconfortato che adirato nel denunciare l’ennesimo episodio di «confronto negato» su uno dei temi più scottanti del momento: la possibile, pacifica intesa tra israeliani e palestinesi. A essere cancellato, un incontro-testimonianza tra l’israeliana Angelica Calò e la palestinese Samar Sakkar all’Università di Bologna previsto per mercoledì 9 marzo, presente anche Sobhi Sakul, un cristiano-maronita di Gerusalemme Est. Tema: «Sotto lo stesso cielo, l’impossibile convivenza?». Pacifici cita Pisa e Firenze non a caso: l’aggressione al consigliere d’Ambasciata di Israele Shay Cohen, cui fu impedito di parlare il 14 ottobre scorso alla Facoltà di scienze politiche di Pisa, e l’analogo episodio all’Università di Firenze, dove il 22 febbraio l’ambasciatore di Gerusalemme Ehud Gol fu accolto da fischi e insulti (ma portò a termine il suo intervento dopo lo sgombero forzato dei contestatori), sono la chiave esplicita per capire quanto avvenuto. «Meglio dire - precisa il portavoce - quanto purtroppo non avvenuto» a Bologna. Un comitato studentesco, saputo che Angelica e Samar sarebbero state in «tournée» in Italia nei primi giorni di marzo, aveva proposto alle due giovani - note in Israele per il loro impegno a favore della pace e della convivenza dei due popoli - di fare tappa anche a Bologna. «Il tema dell’incontro - era scritto tra l’altro nell’invito - è incentrato sul tema della convivenza tra arabi ed ebrei in Israele, non tanto da un punto di vista politico. Quello che più ci interessa sono gli aspetti quotidiani di questa convivenza». Poi, l’8 marzo, ovvero un giorno prima dell’evento, la doccia fredda. «Purtroppo - è scritto in un nuovo messaggio - ti devo dire che abbiamo dovuto annullare l’incontro a Bologna perché, dopo la forte contestazione avuta dall’ambasciatore israeliano all’università di Firenze, ci è stato consigliato di annullare l’incontro, vista anche la situazione nella nostra facoltà». Insomma, prima ancora di affrontarle, meglio non rischiare contestazioni: «Anche se il nostro non voleva essere un incontro politico, c’era il forte rischio che potesse essere visto in questo modo».
Inutile dire che sia Angelica sia Samar hanno reagito con dispiacere alla notizia. «E’ molto grave - commenta Angelica -. Mi è stato detto che l’incontro è saltato per motivi di "prudenza". Insomma, ecco l’effetto delle contestazioni violente: così si chiudono le bocche e la possibilità di capire. Mi viene il sospetto che qualcuno non voglia la pace». Più diplomatica Samar, palestinese di religione cristiana: «Non mi occupo di politica. Io guardo solo ai fatti. Se Dio chiude una porta, ne apre altre cento. L’importante è credere in un futuro migliore».
Angelica Calò vive nel kibbutz Sasa. Da anni è in prima fila nel ricercare le strade per una possibile convivenza tra israeliani e palestinesi. Sua l’idea di mettere su una compagnia teatrale mista («Si chiama Il teatro dell’Arcobaleno») con attori delle tre religioni. Samar attraversa quotidianamente il Muro per recarsi a Betanya, a pochi chilometri da Gerusalemme, per occuparsi del suo asilo dove ogni giorno arrivano decine di bimbi palestinesi musulmani. E dove ha aperto un panificio. Angelica e Samar, amiche da anni, sono diventate le testimoni viventi della possibile convivenza. Solo ieri hanno parlato di fronte a studenti e semplici curiosi a Salsomaggiore Terme, Piacenza e Fidenza. «Ed è andata benissimo - dice Angelica - sono stati incontri stupendi».
«Peccato - insiste - per gli studenti di Bologna che imparano a tacere davanti ai prepotenti». A questo proposito, è Riccardo Pacifici che lancia un appello «a cominciare dal sindaco di Bologna, perché le autorità diano una risposta forte e decisa ai violenti, invitando Angelica e Samar a parlare nell’aula del Consiglio comunale».
Paolo Salom
 
 
9 – Corriere della Sera
Coca- Cola
Freccero: io la bevo e anche loro non smetteranno
ROMA - «Un ottimo esempio di marketing». Sorride, l’ex direttore di Raidue, Carlo Freccero. A Roma Tre insegna «Linguaggio della tv generalista» nel corso di laurea «Comunicazione nella società della globalizzazione». Conosce bene i suoi studenti e non ha dubbi: «Loro conoscono i meccanismi dell’informazione, sanno sfruttarli, creare titoli ammalianti. Anche in questo caso hanno fatto così: un’operazione di marketing, si sono fatti pubblicità e l’hanno fatta all’ateneo. Ma, chiariamolo: in questa università non ci sono né boicottaggi né integralismi». Vuole dire che gli studenti continueranno a bere Coca Cola?
«Sì, non c’è dubbio. Fate arrivare l’estate e poi andate a controllare al bar, voglio vederli quando arriva il caldo... Io stesso sono un consumatore di Coca Cola».
E non è mai stato additato come nemico del popolo?
«Non scherziamo. I ragazzi vivono una stagione di "effervescenza". Frequentano, vogliono esserci, contare e decidere. Rispetto a quelli che hanno fatto il ’68 sono meno ingenui. Per questo non hanno paura dei mass media, si sentono vaccinati: così cercano di entrare nei meccanismi, di non subirli, ma di gestirli. Come fanno con la tv».
Spieghi meglio.
«Quelli che sono contro Berlusconi non esitano a guardare programmi Mediaset, e comunque anche quelli di sinistra guardano prodotti Fox. Voglio dire che questi ragazzi sono consapevoli, sanno di essere figli sia di una cultura new global sia della Coca Cola. Ed è una distonia che sfruttano, non la subiscono. Propongono al senato accademico una mozione per avere al bar o nelle macchinette distributrici anche i prodotti del consumo equo e solidale, ma al tempo stesso, se ne hanno voglia, bevono Coca Cola».
E quindi?
«E quindi hanno dato un titolo ai giornali, il boicottaggio della bevanda americana. Ma quale boicottaggio? La Coca Cola stia tranquilla, i consumi non diminuiranno».
Vuole dire che hanno manipolato l’informazione?
«Voglio dire che sanno cosa un giornale chiede per fare un titolo, e loro hanno voluto mandare un segnale. Si sono fatti pubblicità, hanno dimostrato di essere dentro questa università e dentro il mondo. E nella società in cui vivono, sono abituati a usare tutto, ogni media disponibile: non ne usano uno solo, passano dalla tv generalista a un giornale a Internet alla tv a pagamento. Prendono ciò di cui hanno bisogno in quel momento. Lo stesso meccanismo vogliono usarlo con i consumi. Vogliono scegliere, quando hanno il telecomando in mano e quando vanno al bar».
Al. Cap.
 
 
10 – Corriere della Sera
Il premier Raffarin: così ridurremo incomprensioni e attriti. Una cinquantina gli allievi Alla Sorbona un diploma per imam Corso sperimentale nella più antica università di Francia: si studieranno i valori repubblicani
 
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI - Dal prossimo anno accademico, la Sorbona preparerà gli imam a predicare in Francia. La più famosa università francese ha istituito in via sperimentale corsi biennali per il conseguimento di un diploma di «civilizzazione della Francia contemporanea», ossia la conoscenza di leggi, diritti, valori e principi della Repubblica. Può suonare come una contraddizione in termini educare studenti e insegnanti islamici all’eredità di Voltaire e della Rivoluzione, ma il diploma è in piena sintonia con la sfida che la Francia ha lanciato, innanzi tutto a se stessa, con la legge sulla laicità approvata lo scorso anno.
Semplificata sui giornali e interpretata fra le polemiche come un divieto di portare il velo islamico nelle scuole pubbliche e, secondo alcuni critici, come un attentato alla libertà religiosa, la legge intendeva invece ribadire la neutralità dell’educazione e del servizio pubblico (recentemente il principio è stato richiamato anche per le visite negli ospedali), riaffermare il modello dell’integrazione rispetto a derive comunitaristiche, ma anche adattare la società civile ad un paesaggio spirituale e culturale profondamente cambiato dall’emigrazione.
L’immagine di un «islam francese», rispetto alle penetrazione più o meno clandestina e più o meno tollerata dell’islam in Francia, si è tradotta in diverse proposte e provvedimenti che appunto tendono a dare dignità istituzionale e culturale ad una componente religiosa molto importante (almeno cinque milioni, il 10% della popolazione) riducendo i rischi di una rotta di collisione sia con i principi laici della Repubblica sia con le componenti spirituali di più antica e tutelata presenza, come la Chiesa cattolica.
Mentre si moltiplicano le moschee, le scuole coraniche e persino gli asili, in qualche caso clandestini, si avverte sempre più l’esigenza che gli imam non solo parlino correttamente la lingua francese, ma anche conoscano e prendano coscienza delle leggi repubblicane. E’ nato così il Consiglio elettivo per il culto musulmano. Sono state avanzate proposte per diete differenziate nelle mense. Il ministero della Difesa ha istituito una commissione per dotare anche l’esercito di «cappellani» e consiglieri spirituali musulmani, da affiancare ai 218 cattolici, ai 53 protestanti e ai 30 israeliti. Rudimenti di cultura araba e religione musulmana dovrebbero presto essere introdotti nei corsi di preparazione della polizia. Ad un anno dalla sua entrata in vigore, la legge sulla laicità ha prodotto più attenzione ai problemi d’integrazione e di tolleranza che contestazioni, anche se le profonde ferite sociali della società francese, con preoccupanti fenomeni di islamismo radicale, non si medicano per legge. Ma la Francia ci prova, senza isterie e crociate ideologiche tanto care ai predicatori dello scontro di civiltà.
Ha fatto notizia in questi giorni la nascita di una scuola privata, «Parler en paix», dove giovani di varie confessioni e origini frequentano insieme corsi paralleli di lingua araba ed ebraica. Il diploma universitario alla Sorbona si inserisce dunque nel panorama culturale di una Francia che non vuole mettere in discussione i propri valori di riferimento, ma pragmaticamente adattarli alle mutate esigenze. E’ sintomatico che ciò avvenga proprio nell’anno in cui si celebra il centenario della legge sulla separazione della Chiesa dallo Stato. «La laicità - ha detto il premier Jean-Pierre Raffarin celebrando la ricorrenza - è un elemento strutturale della società francese, attraverso il quale tutte le religioni si coniugano ai valori repubblicani». I corsi rispondono a questa coniugazione, poiché senza sfiorare dogmi e principi religiosi, offriranno agli imam già formati e ai futuri predicatori il quadro dei diritti e dei principi della Francia, in particolare in materia di educazione scolastica, diritti civili, parità uomo donna, conoscenza delle leggi repubblicane.
Per evitare che i corsi si configurino come un servizio di formazione religiosa (il che sarebbe in contraddizione con il valore della laicità), vengono definiti come corsi di iniziazione alla società francese, aperti a tutti, compresi, ad esempio, dirigenti stranieri o funzionari di ambasciate. Le diverse componenti e istituzioni musulmane hanno accolto con favore l’iniziativa, anche se non mancano riserve. La Moschea di Parigi ha annunciato che una cinquantina di studenti sono già pronti ad iscriversi. Facoltativi, i corsi alla Sorbona presentano un incentivo non di poco conto: prevedono infatti lo status di studente e quindi il diritto a un visto di soggiorno.

Massimo Nava
 
 
11 – Corriere della Sera
LETTERE
La crisi dell’università
Ha fatto molto bene Ernesto Galli Della Loggia a richiamare l'attenzione sulla crisi dell'università (Corriere , 1 marzo), aggravata da improvvide riforme e dal pessimo uso dell'autonomia fatto da molti consigli di facoltà e da molti docenti. Ciò ha portato fra l'altro a un'insensata proliferazione di corsi e corsetti e, in molti casi, a uno sfruttamento intensivo dei giovani «precari», chiamati a coprire anche insegnamenti formalmente attribuiti a docenti «strutturati». Si è detto che la riforma (col cosiddetto 3 ? 2: tre anni per una laurea «breve» e due altri anni per il suo eventuale completamento con una sedicente laurea «specialistica») intendeva adeguare l'università italiana al modello prevalente nei Paesi europei. Ma in nessuno di questi Paesi è possibile fare ciò che è diventato normale in molte facoltà italiane: laurearsi (e col titolo di «dottore», che in altri Paesi è concesso solo dopo ben più seri studi) senza aver mai messo piede in un'aula universitaria per seguire una lezione, partecipare a un seminario, effettuare un'esercitazione sotto il controllo dei docenti.
Umberto Melotti
melotti@uniroma1.it
 
 

12 – Il Giornale di Sicilia
MESSINA
Pulizia solo a giorni alterni Gli studenti protestano
 
(rise)Da tempo il servizio di pulizia all'Università non funziona a dovere e gli studenti si lamentano. Il personale addetto esegue la pulizia a giorni alterni e la situazione, soprattutto nelle facoltà più affollate, comincia a diventare pesante. I ritardi nel vuotare i cestini per i rifiuti, spazzare le aule giornalmente frequentate da centinaia di persone, lavare bagni e corridoi comincia a diventare evidente anche nelle sedi più nuove. Il malcontento viene espresso pure dal personale universitario che è costretto a lavorare in condizioni igienico sanitarie precarie e a dividere uffici che non sempre brillano per pulizia. Il problema maggiore è rappresentato dai servizi igienici. Non è consolante che vengano puliti solo tre volte a settimana. Una situazione che non fa stare tranquilli e accresce il malcontento di studenti e dipendenti. Gli studenti hanno già annunciato la volontà di manifestare pubblicamente il loro malcontento se servirà a risolvere il problema. Lo status dei locali è sotto gli occhi di tutti. Aule, laboratori, bagni, androni soprattutto in questi mesi di piena attività accademica accolgono ad ogni ora del giorno centinaia di persone in condizioni igienico sanitarie vergognose. Sul potenziamento del servizio di pulizia in tutte le facoltà c'è l'impegno del rettore Francesco Tomasello che ha garantito la risoluzione in tempi brevi.
 
 
13 – Il Mattino
A Roma Tre sarà sostituita da prodotti del commercio equo e solidale
La Coca cola al bando nell’università
Gino Cavallo La Coca cola è di destra o di sinistra? E il Mars è riformista o teo-con? E vi risparmiamo altri inquietanti interrogativi attinenti Fanta e Sprite, settore bibite, Kit-Kat e dintorni, area merendine. Interrogativi già presenti negli archivi delle polemiche movimentiste e riconsegnati agli onori delle cronache, semiologicamente parlando, dal proclama no-logo di Naomi Klein. Quanto alle risposte, bisognerebbe separare le dichiarazioni (e gli scritti) ufficiali dalle pratiche quotidiane. Soprattutto per la scura bibita «distillata» per la prima volta ad Atlanta, il sospetto di un uso (talvolta di un abuso) bipartisan è molto diffuso e concreto.
 
Forse anche per questo uno degli atenei capitolini, Roma Tre, ha deciso di tagliar corto. Snack e beveraggi politicamente scorretti saranno progressivamente espulsi dai distributori automatici disseminati nei corridoi dell’università. Al loro posto studenti e professori troveranno (ottimi) succhi di frutta biologici e prodotti provenienti dal sud del mondo, rigorosamente riconducibili alla fascia del commercio equo e solidale. In buona sostanza, realizzati e venduti attraverso canali alternativi che garantiscono che ai produttori arrivi il dovuto e che i processi di fabbricazione siano rispettosi dei diritti dei lavoratori. Un mese fa il senato accademico ha approvato all’unanimità il bando alle bollicine più famose del mondo proposto dalla lista di sinistra «Ricomincio dagli studenti». Bando graduale giacché la merce già ordinata dovrà essere smaltita per non incorrere in salate penali. Ma non lasciatevi sorprendere da quell’unanimità di cui si diceva. Non è finita, non poteva finire così. Ad insorgere è Azione giovani, il movimento junior di An. Che introduce a sorpresa nel dibattito il tema della par condicio. Gli azionisti, infatti, non ci pensano nemmeno a difendere la Coca cola e le merendine più o meno «made in Usa». Ce l’hanno col fatto che di boicottare prodotti cubani o cinesi a Roma Tre nessuno ne parli. L’argomento ha una sua consistenza, anche se qualche problema per Cuba si pone, a meno che qualcuno non ipotizzi la praticabilità di distributori di sigari e di rhum. Quanto alla Cina, la vera difficoltà, di questi tempi, è trovare qualcosa che non sia prodotto dalle parti di Shangai. Un «ben arrivati» ai prodotti «equi e solidali». Dobbiamo solo confessare però che, magari in uno dei corridoi più bui e meno frequentati dell’università un distributore di Coca cola l’avremmo lasciato.
Gino Cavallo
(11.3.05)
 
 
 
 
 

Questionario e social

Condividi su:
Impostazioni cookie