Domenica 13 marzo 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
13 marzo 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

 
1 – L’Unione Sarda
Pagina 19 – Cagliari
settimana scientifica Scienza e scuola s'incontrano al Policlinico universitario
Scienza e scuola si danno appuntamento nell'aula magna "Alberto Boscolo" della cittadella universitaria di Monserrato, in occasione della XV Settimana della cultura scientifica e tecnologica. Il primo incontro si terrà domani, alle 11, e sarà introdotto dal rettore Pasquale Mistretta. La settimana scientificaIl calendario della sette giorni voluta dal Miur, il ministero della ricerca e dell'università, spazia su argomenti di grande attualità. La settimana, da domani a sabato, si apre con una relazione del professor Gaetano di Chiara dal titolo "La ricerca come motore di un circolo virtuoso per un'università migliore". I lavoriconferenze, seminari, visite guidate nei laboratori, nei dipartimenti e nei musei, work shop tematici, tavole rotonde completano gli incontri multidisciplinari che fanno capo alle dieci facoltà dell'ateneo cagliaritano. La "Settimana scientifica" coinvolge e apre ai cittadini tutte le strutture universitarie. Dall'Orto botanico alla collezione delle cere anatomiche di Cemente Susini, dalla collezione Pilloni al museo sardo di geologia, dal policlinico di Monserrato alle collezioni preistoriche del laboratorio di archeologia. I relatoriSono oltre settanta i relatori, quasi altrettanti gli ospiti provenienti da enti e istituzioni pubbliche e private, e circa un centinaio le iniziative che compongono il menù della settimana. Per maggiori informazioni telefonare ai numeri 070/6752060/2045/2086/2081.
 
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 29 – Provincia di Cagliari
Selargius. Polo scientifico e ambientale
Nell'ex polveriera la cittadella culturale
Un campus per far rinascere la città: consegnato il Progetto di Qualità, l'amministrazione svela il progetto di riqualificazione dell'ex polveriera. Osservatorio astronomico, planetarium, centro per l'infanzia, anfiteatro, biblioteca, laboratori didattici artistici e artigianali. Tutto questo in otto ettari di terreno dismessi dal demanio militare. Le costruzioni rispetteranno il livello di Cuccuru Angius e sarà rispettata la fascia di rispetto di Riu Saliu. Il progetto "Campus delle arti dei mestieri e della scienza" è nato dalla collaborazione degli assessorati all'Urbanistica, Ambiente, Cultura e Servizi Sociali. E questo perché il progetto dal punto di vista urbanistico è stato curato dall'equipe dell'Ufficio del Piano che ha lavorato a stretto contatto con l'Ambiente, le attività che vi sorgeranno rientrano nel settore culturale ma avranno anche una valenza sociale perché la cura del verde sarà affidata ad una cooperativa del terzo settore. «Il nostro progetto può essere visto come ambizioso ? spiega l'assessore all'Urbanistica Angelo Corda ? ma finalmente verranno dati alla città dei servizi. Infatti qui si tratta di un progetto integrato teso alla valorizzazione e al riutilizzo di un'area militare dismessa per l'insediamento di attività di interesse pubblico. Con un finanziamento complessivo di circa 11 milioni di euro rivoluzioneremo l'area abbandonata da decenni. La posizione baricentrica tra l'area metropolitana e i territori del Parteolla e del Gerrei favorisce la promozione culturale, scientifica e ambientale nell'intera area». L'Osservatorio Astronomico e il Planetarium con annesso museo astronomico nasceranno con un finanziamento dell'Ente Nazionale di Astrofisica. L'ambiente non sarà presente soltanto con il Centro di educazione ambientale con annessi giardini didattici: l'ecosistema è salvaguardato in tutto il progetto. «Nella zona dell'ex polveriera sarà rispettato l'ambiente naturale ? aggiunge l'assessore Salvatore Pintus ? tutti i fabbricati saranno costruiti seguendo le curve di livello del territorio, ci sarà un sistema di fitodepurazione per le acque reflue, un sistema di recupero quasi totale con il compostaggio per la creazione del concime che verrà riutilizzato per la cura degli otto ettari di terreno. Le pareti degli edifici saranno vetrate isolate sia dai suoni che dalla temperatura, i tetti diventeranno terrazze a verde con dei camminamenti». L'ex polveriera diventerà inoltre un polo scientifico, culturale e ambientale d'interesse regionale. Questo secondo le ambizioni dell'amministrazione Sau. Che sono prevedibili visto che la creazione di un centro astronomico sponsorizzato dall'Ente Nazionale di Astrofisica favorirà un collegamento con il polo universitario in senso stretto. Sono stati siglati protocolli di intesa con il Comune di Monserrato, l'Osservatorio Astronomico di Cagliari, gli istituti scolastici presenti nel territorio, le Consulte della Cultura e dei Servizi Sociali, il coordinamento regionale per il Cinema, la Cooperativa Sirio Sardegna Teatro e l'associazione Carovana, il Catais e il Cnos-Fap. La nascita futura dei due Parchi di San Lussorio e di Santa Rosa fa pensare a un polo culturale con percorsi ambientali su vasto raggio. E questo senza costi di gestione per il Comune visto che la manutenzione sarà affidata a cooperative sociali e agli artigiani.
Serena Mereu
 
 

3 – La Nuova Sardegna
Pagina 47 - Cultura e Spettacoli
L’editrice Tema pubblica un’antologia di scritti sull’intellettuale dal titolo «La Sardegna svelata»
 Pigliaru, l’uomo e le idee
La nascita di «Ichnusa», la passione per il giornalismo
Fu soprattutto un organizzatore di cultura, con l’obiettivo di «sprovincializzare la provincia» in anni in cui l’università era una roccaforte conservatrice
«La Sardegna rivelata» è il titolo che i curatori, Francesco Berria e Giuseppe Podda, hanno scelto per un’antologia di scritti su Antonio Pigliaru («La lezione di Antonio Pigliaru» è infatti il sottotitolo), edito dalla cagliaritana Tema (178 pagine, 16 euro). Raccoglie saggi di diversi studiosi, dai due curatori a Francesco Cocco, Sandro Maxia, Giorgio Macciotta, Salvatore Tola, Mario Ciusa Romagna, Angela Testone, Sergio Atzeni, Luigi Berlinguer, Salvatore Mannuzzu. Del ricordo di Manlio Brigaglia pubblichiamo qui sotto un ampio stralcio.
di Manlio Brigaglia
Credo di aver raccontato più d’una volta come ho conosciuto Antonio Pigliaru. Era la fine del 1946 o l’inizio del 1947. Andavamo tutti e due a Cagliari per frequentare, nell’ombroso chiostro di via Corte d’Appello, la Facoltà di Lettere. Pigliaru era alla fine degli studi: li aveva interrotti per l’arresto e poi per la lunga detenzione, li aveva ripresi appena uscito dal carcere. Anzi, in carcere aveva continuato a studiare perfino con più intensità, forse, di prima. Dell’avventura che ce lo aveva portato non parlava volentieri: tranne che, credo, con Giuseppe Melis Bassu, col quale aveva scambiato, dal carcere, una corrispondenza molto intensa (e comunque al massimo di intensità consentita dai regolamenti: lo stesso Melis Bassu ne ha pubblicato alcune lettere in «Società sarda», 4, 1997).
 Parlava volentieri, invece, dell’esperienza carceraria in sé: tanto delle vicende che gli erano toccate (era stato poco meno che testimone oculare d’una sanguinosa rivolta nel carcere di Alghero, su cui credo di aver anche scritto un qualche articolo nei giornali degli anni Cinquanta) quanto delle riflessioni che in carcere aveva fatto giorno per giorno sul sistema penitenziario italiano: su cui poi, come si sa, scrisse un saggio trasferito anche in un volumetto, che io stesso curai per le edizioni di «Ichnusa».
 La prima volta l’incontrai in treno. Treno, si fa per dire. Le “littorine” erano incredibili trabiccoli sopravvissuti alla guerra, che di quello che erano state (il più moderno mezzo di trasporto ferroviario) avevano conservato incongruamente soltanto il nome. Il viaggio per Cagliari durava quasi un giorno intero. Si partiva che era appena l’alba, dopo essersi precipitati alla stazione qualche ora prima dell’orario in modo da assicurarsi un posto a sedere. Siccome non tutti ce la facevano, ad assicurarselo, vigeva - almeno fra noi studenti sassaresi, che un po’ ci conoscevamo tutti - la legge non scritta che ci si sedeva a rotazione. Pigliaru era, allora, già malato: il carcere lo aveva segnato forte, e si vedeva. Perciò quando si alzò per cedermi il posto rimasi colpito: non tanto dal gesto gentile, mi pare di ricordare, quanto da quella sua magrezza e dall’intelligenza che spirava dagli occhi, grandissimi, nel viso smagrito. Non tutte le persone intelligenti hanno una faccia intelligente: Pigliaru aveva uno sguardo indimenticabile e una faccia meravigliosa da intellettuale.
 Non saprei recuperare il seguito di quel primo ricordo. Non so com’è che diventammo amici e prendemmo a vederci sempre più frequentemente. Lui aveva sette anni più di me, e a quell’età sono anni che contano. Lui e la sua generazione avevano vissuto il fascismo da giovani già “grandi” (per quanto, alla fine, Pigliaru avesse soltanto ventun anni quando il fascismo cadde); aveva fatto i Littoriali, era stato nel GUF, aveva lavorato come qualcosa di funzionario nella GIL provinciale, era stato redattore del giornale «Intervento». Io, al 25 luglio, ero ancora balilla.
 Dunque, chissà come ci rivedemmo. Oltre tutto, al tempo di quei viaggi a Cagliari, Pigliaru stava rapidamente finendo l’Università. Perciò devo fare un salto ai primissimi anni Cinquanta, quando cominciai a lavorare al «Corriere dell’Isola», il quotidiano democristiano sassarese.
 Lavorare in un giornale - anche se nelle forme molto precarie d’allora - voleva dire incontrarsi subito con Pigliaru. Intanto perché anche lui “faceva” un giornale nella stessa tipografia Gallizzi dove finivano un po’ tutti (era una cosa che si chiamava «Rinascita sarda»: un titolo destinato a diventare famoso, nel giornalismo culturale isolano, ma quello di allora stava in testa ad un bollettino di proprietà, credo, dell’Associazione degli Agricoltori), e poi perché lo si cominciava a leggere sempre più di frequente nei giornali. Io stesso pubblicai sul “Corriere” una sua recensione al libro di memorie di Bottai - da cui nacque un suo curioso rapporto con l’ex ministro-prodigio del fascismo, sino alla collaborazione di Pigliaru (e, più rada, anche mia) ad «abc», una rivista post-corporativa che il ministro fece qualche anno dopo.
 E pubblicai anche le puntate di «Una scheda per De Robertis» che la pazienza del direttore lasciò mettere in pagina già con una “giustezza” delle righe che permise poi di farne pari pari un libretto dalla copertina molto elegante (così mi sembrò e mi sembra ancora: i caratteri, la carta, l’impaginazione li aveva scelti lo stesso Pigliaru, cui piaceva molto, come si diceva allora, “l’odore del piombo” tipografico).
 Ma già prima del 1950 Pigliaru aveva dato vita a «Ichnusa». Salvatore Tola ha raccontato, con grande puntualità, «Gli anni di Ichnusa» (1994). E ripercorrendone le origini ha messo in luce il ruolo di Pigliaru: che, grazie al robusto fiancheggiamento di Giuseppe Melis Bassu, divenne presto un’autentica leadership, che avrebbe abbastanza rapidamente stancheggiato la linea turistico-municipal-letteraria che i fondatori s’erano immaginati di dover dare alla rivista per sostituirla con un’idea tutta diversa di che cosa voleva dire lavorare per la cultura in Sardegna. (Non arrivo a dire che c’era perfino un’idea diversa della cultura: ma l’articolo di Pigliaru con la parola d’ordine “sprovincializzare la provincia” che uscì già nel primo numero contiene molto del programma dei futuri quindici anni della rivista).
 Io fui chiamato a collaborare fin dal secondo numero.
 Se provo a pensarci, Pigliaru era già da allora, in quella Sassari fortemente provinciale e tutta sdraiata a destra, governata dal notabilato di democristiani quasi tutti già stati “popolari” negli anni Venti, con un’Università che era un’autentica roccaforte conservatrice (ho sempre pensato che, nel prenderlo come suo assistente alla cattedra di Filosofia del Diritto, Tomaso Antonio Castiglia fosse stato mosso da uno scatto di generosità che dovette far aggio, nella sua decisione, sull’ammirazione critica per le prime, “difficili” cose che Pigliaru veniva scrivendo). Pigliaru - dicevo - era un intellettuale di straordinaria modernità. Aveva letto tutti i libri giusti, oltre quelli dei filosofi che amava e prediligeva (Gentile prima di ogni altro, ma anche Kierkegaard, Emmanuel Mounier e Gabriel Marcel, così presenti nella parte iniziale della sua riflessione scientifica). Basterebbe uno come lui, in una città come Sassari, a far camminare molte cose. E infatti bastò.
 Pigliaru fu infatti un instancabile organizzatore di cultura. Di tutte le sue iniziative ne ho seguito molte: ma credo che nessuno possa dire di averle seguite tutte. A un certo punto Pigliaru diventò una sorte di moltiplicatore di queste attività: quando si parla dell’attività di «Ichnusa» o del gruppo di «Ichnusa» bisogna sapere che di quell’attività e di quel gruppo solo Pigliaru sapeva tutto. Era lui, praticamente da solo, che programmava quello che c’era da fare - poco meno che ogni giorno, si può dire: compresi i molti giorni che stette in ospedale, e lo si andava a visitare soprattutto per prendere ordini e rispondere di incarichi ricevuti. Ad ognuno, o a piccoli segmenti del “gruppo” veniva affidato un compito: e a lui soltanto, in fondo, se ne rispondeva.
 A questi rapporti individuali Pigliaru ne accompagnava degli altri di tipo, diciamo così, “comunitario”. Anche questo è stato scritto molte volte: Pigliaru teneva la sua casa ininterrottamente aperta. Tra l’ingresso, il salotto, lo studio e, spesso, la camera da letto c’era una circolazione continua di gente che, come si incontrava, cominciava subito a scambiarsi impressioni, notizie, elementi di dibattito. Gli “inviati speciali” del giornalismo italiano che negli anni caldi del banditismo venivano in Sardegna come su un pianeta sconosciuto hanno raccontato molte volte di questo curioso via-vai della casa di via Manno e di come Pigliaru governasse con pazienza e delicata attenzione per ciascuno la circolazione delle idee e degli umori.
 Aveva scritto da poco «La vendetta barbaricina», e dunque era, soprattutto per i giornalisti “democratici”, il più convincente portatore delle argomentazioni da opporre alla maggioranza neppure tanto silenziosa che voleva risolvere il problema con una bella passata di napalm sul Supramonte.
 L’attivazione di questi scambi interpersonali, che potevano parere (e molte volte anche erano) occasionali, fa parte della storia di Pigliaru come intellettuale “impegnato”: era l’aggettivo più usato, allora, con l’avvertenza che nei confronti di Pigliaru e - a volte - dei suoi amici veniva adoperato, da certi giornali sardi, con molta irrisione.
 Un maestro che chiedeva agli altri di imparare, ma non smetteva mai si imparare lui per primo. Quando si cominciò a parlare della scuola di Barbiana, Giorgio Pecorini, che aveva conosciuto Pigliaru da “inviato speciale”, prese a mandargli dei nastri su cui erano registrate le lezioni di don Milani. Registrazioni “pirata”, in qualche modo, tanto erano confuse le voci, alonata quella del sacerdote, forte e rimbombante il sottofondo dei rumori dell’ambiente. È uno degli ultimi, più nitidi ricordi che ho di Pigliaru: l’estate del 1968 nel cortile di una casetta che aveva in affitto, ad Alghero, subito alle spalle del lido, con qualche sedia all’ombra intorno ad uno sgabello, e sullo sgabello un piccolo registratore. Un nastro al giorno, e quasi ogni giorno c’era da lui, in quel giardinetto, la replica delle lezioni di Barbiana.
 
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Cagliari
 RICERCA
 Cittadella universitaria, settimana scientifica
 CAGLIARI. Domani, nell’aula magna «Alberto Boscolo» della cittadella di Monserrato, il rettore Pasquale Mistretta inaugura la XV edizione della settimana della cultura scientifica e tecnologica. Il calendario della sette giorni voluta dal ministero della ricerca e dell’università spazia su argomenti d’attualità. La settimana si apre con una relazione del professor Gaetano Di Chiara dal titolo «La ricerca come motore di un circolo virtuoso per una università migliore». Si terranno conferenze, seminari, visite nei laboratori, tavole rotonde e verranno aperti ai cittadini le strutture universitarie: dall’Orto Botanico alla collezione delle cere anatomiche di Clemente Susini, dalla collezione Piloni al museo sardo di geologia, dal policlinico di Monserrato alle collezioni preistoriche del laboratorio di archeologia.
 
 
 
5 – Corriere della Sera
LETTERE
Università, riforma e confusione
Sono una studentessa laureatasi in Scienze Biologiche con 110 e lode. Dopo 3 anni (4 nel mio caso) di studio mi ritrovo con una laurea che mi apre poche porte e con altri due anni di lavoro davanti: esami per accedere alla specialistica, 18 esami impegnativi, un’altra tesi. Mi sono iscritta all’Università dell’Insubria nel 2000, l’anno dopo è entrata in vigore la riforma. Nel nostro ateneo gli studenti immatricolati prima sono stati invitati a passare al nuovo ordinamento (gli esami del vecchio sono stati disattivati).
Perciò se uno non aveva seguito il corso ma voleva restare iscritto all’ordinamento quinquiennale si doveva preparare da solo. Sono passata quindi alla laurea triennale: mi sono trovata a frequentare corsi con compagni iscritti alla quinquiennale che portavano lo stesso mio programma. Che differenza c’è tra le due preparazioni? L’obiettivo della riforma era avere laureati più giovani: ma pochissimi studenti riescono a laurearsi nei tre anni perché i programmi non sono stati ridimensionati.
Valentina Ponti
Como
 
ATENEI Marketing inutile

Quale prestigio possono dare un nuovo bar e uno shop di gadget all’Università di Pavia? Forse ora l’Università si sceglie in base al design di un bar o alla qualità dell’oggettistica da regalare dopo la laurea ai neodottori. Ma quando le lezioni non si possono recuperare prima di quindici giorni per carenza di aule, risulta difficile comprendere la logica che sta dietro a queste novità. E, come se non bastasse, con il primo sole sono spuntati più di venti tavolini del bar a invadere il chiostro di Scienze politiche. Faremo più party e meno lezioni.
Anna
Studente ssa
di Scienze politiche
Pavia
 
 
 
6 – Corriere della Sera
Guido Fabiani di Roma Tre: stanchi, esaminammo male la proposta degli studenti
Il rettore ci ripensa: «La Coca Cola resta»
ROMA - La Coca Cola resta nei bar e nelle macchinette distributrici dell’università Roma Tre. Lo annuncia il rettore Guido Fabiani in un’intervista nella quale spiega tutto. Dalla seduta del Senato accademico nel corso della quale era stato approvato il divieto («Eravamo stanchi, non abbiamo esaminato a fondo il testo») fino alla decisione presa nelle ultime ore: «Martedì, nel prossimo Senato, comunicherò tutto». «Dirò - spiega il rettore - che non faremo ciò che prevede la delibera, che la volontà di una parte degli studenti non rappresenta la volontà dell’ateneo. Consideriamo la delibera come una sensibilità espressa da una parte dei nostri studenti».
«Non spetta all’università occuparsi di politiche gastronomiche», commenta Franco Ferrarotti, professore alla Sapienza.
 
Roma Tre cambierà la delibera sul boicottaggio: «Non l’abbiamo rigettata perché temevamo scintille dei ragazzi»
 Il rettore: la Coca Cola resterà nell’ateneo Fabiani ci ripensa: lo annunceremo martedì, una parte degli studenti non rappresenta tutti
ROMA - Al massimo la Coca Cola sarà messa al banco, di certo non al bando. A sorpresa, dunque, contrariamente a quanto docenti e studenti avevano fatto capire dopo il Senato Accademico di qualche settimana fa, la bibita resterà nell’università. Sia nei bar sia nelle macchinette distributrici. Lo annuncia, dopo giorni di polemiche, il rettore di Roma Tre, Guido Fabiani. In un’intervista nella quale, finalmente, spiega tutto. Dalla seduta del Senato Accademico - «eravamo stanchi, non abbiamo esaminato a fondo il testo della delibera presentata dagli studenti» - alla deriva successiva - «il discorso non deve essere ideologizzato, non si tratta né di antiamericanismo né di lotta alle multinazionali» -. Fino alla decisione presa nelle ultime ore: «Martedì, nel prossimo Senato, comunicherò tutto». Cosa dirà, rettore?
«Che non faremo ciò che prevede la delibera, che la volontà di una parte degli studenti non rappresenta la volontà dell’ateneo. Abbiamo preso atto della delibera presentata dai ragazzi, tutto qui, la consideriamo come una sensibilità espressa da una parte dei nostri studenti».
Certo il Senato non ha rigettato quella proposta.
«Come detto, non è stata letta a fondo, né abbiamo recepito tutto il messaggio che c’era dietro. Ma ciò che ha fatto il Senato, cioè una semplice "presa d’atto", ci permette adesso di gestire questa vicenda in modo responsabile».
Cosa significa?
«Che il rettore deve tenere conto della proposta degli studenti, ma deve anche pensare a tutti, a ciascuno dei 42 mila individui che lavorano o studiano da noi. E poi, in ogni caso, il discorso non può essere ideologizzato, non può trasformarsi in antiamericanismo o in lotta alle multinazionali».
Quindi la Coca Cola rimarrà non solo nei bar, ma anche nelle macchinette distributrici dell’ateneo?
«Sì. La delibera degli studenti parla di graduale sostituzione dei prodotti delle multinazionali con quelli del commercio equo e solidale. Noi invece amplieremo l’offerta delle merci, inseriremo anche quelle bio, ma non toglieremo nulla».
Perché è arrivato a questa decisione?
«Innanzitutto perché, come detto, il Senato Accademico non vieta. Sarebbe un precedente troppo pericoloso. E poi in base a quale regola un alimento va bene e un altro no? Se la discriminante è il marchio delle multinazionali, come sostengono alcuni, allora dovremmo proprio togliere le macchinette automatiche, visto che per entrare nella grande distribuzione è necessario fare parte di certi circuiti».
Rettore: per giorni s’è detto che il suo ateneo avrebbe bandito la Coca Cola.
«Sì, c’è stato una specie di corto circuito. Sono d’accordo con ciò che ha detto Carlo Freccero sul Corriere : i ragazzi conoscono bene i meccanismi dell’informazione. Ecco, questa è una possibile spiegazione».
Sì ma vede, rettore, dev’esserci anche altro: a cominciare dal fatto che, come detto, il Senato quella mozione non l’ha rigettata. Forse il clamore suscitato vi ha anche convinto a correggere il tiro?
«Non abbiamo rigettato la mozione perché avremmo creato scintille tra i ragazzi. E, in ogni caso, quella è stata la seconda seduta del nuovo Senato: alla fine, dopo quattro ore di discussione, tra le varie è arrivata quella delibera. E non è stata letta con attenzione».
Martedì dovrà spiegare le novità ai ragazzi...
«Sì, m’aspetto una seduta con molte discussioni... ma non abbiamo alternative. Perché, se anche il Senato deliberasse nella forma chiesta dagli studenti, a bloccare tale delibera ci penserebbe il Cda, a cui spetta il compito di verificare le condizioni di conformità giuridica: in questo caso non credo esistano, perché non è nei poteri del Senato vietare alimenti. Possiamo sostenere il consumo critico, possiamo ampliare l’offerta. Poi spetterà agli studenti: se nessuno prenderà quella bibita nelle macchinette, immagino che i fornitori smetteranno di metterla. Ma, come ateneo, dobbiamo rispettare tutti. Anche chi, come me, vuole bere Coca Cola».
Alessandro Capponi
 
 
7 -  Corriere della Sera
L’ALTRA UNIVERSITA’ Dalla Sapienza affondo di Ferrarotti «Assurdo occuparsi di gastronomia» «Si dovrebbe pensare a studiare, non a fare ostracismi alle multinazionali»
ROMA - «Non spetta né agli studenti né all’università condurre politiche gastronomiche, stabilire diete da far rispettare a tutti». Franco Ferrarotti, scrittore e professore emerito di Sociologia alla Sapienza: è appena tornato dagli Stati Uniti, e - in merito alla vicenda della Coca Cola «bandita» da Roma Tre - non riesce a trattenere il sorriso. «Con tutti gli impegni che l’università non riesce a mantenere, adesso manca solo questo: l’imposizione della correttezza gastronomica. Sarebbe il colmo». Sbaglia, insomma, chi si aspetta solidarietà con gli studenti che, negli ultimi giorni, avevano diffuso la notizia del «boicottaggio della Coca Cola»: «I ragazzi lanciano un grido d’allarme, fanno anche bene, ma sia chiaro che spetta al ministero della Salute stabilire quali sono gli alimenti nocivi, da vietare». Il professore, in sintesi, boccia: sia l’iniziativa degli studenti sia quella che fino a ieri sembrava essere la posizione dell’ateneo, togliere dalle macchinette distributrici bibite gasate e snack per inserire prodotti del commercio equo e solidale. I messaggi che inizialmente spedisce sono inequivocabili. Agli studenti: «All’università si va per altro. Per studiare, imparare, esplorare. Non certo per fare i chimici di laboratorio e lavorare contro le multinazionali». All’ateneo: «Non si può vietare, nelle istituzioni vige la regola del trattamento ugualitario, non ci possono essere ostracismi né esclusioni. Vietare la Coca Cola, diciamolo chiaramente, sarebbe una forzatura».
«Ovviamente il discorso, bandire o meno una bevanda, sembra futile, ma non lo è, ne sottintende altri, molto importanti. E non crediate - prosegue Ferrarotti - che sia un caso solo italiano: negli Stati Uniti sta accadendo in molte università. Dopo il fumo, adesso la nuova crociata è l’obesità». Questo in qualche modo giustifica l’iniziativa degli studenti romani? «Io credo che non ci sia bisogno di alcuna giustificazione: quei ragazzi vogliono lanciare un allarme, un segnale, un grido. E, diciamolo chiaramente, fanno bene. Del resto, la qualità di ciò che mangiamo è un problema che riguarda tutti». Rimane in silenzio, ammette che «in effetti la formula della Coca Cola continua a rimanere segreta».
Diverso, però, è fare battaglie contro le multinazionali: «Non c’è dubbio. L’ho detto e lo ripeto: i ragazzi devono andare all’università per studiare. E tutti devono ricordare che esaminare la qualità del cibo è compito del ministero. Ciò che in America fa la
Food and Drug Administration , qui non può essere lasciato agli studenti. Io sono contrario a queste crociate ideologiche, insomma».
Il discorso appena terminato non impedisce a Franco Ferrarotti di aggiungere altro, di mettere in evidenza «le responsabilità, a dir poco massicce, che hanno le multinazionali». E non c’è bisogno di tirare in ballo la proprietà privata o il fine di lucro: «Ovvio, nessuno vuole toccare il profitto, ci mancherebbe, ma sarebbe importante che le multinazionali raggiungessero questo traguardo sempre nel rispetto dell’etica». Con una precisazione: «Nessuno chiede miracoli, va bene anche un rispetto minimo dell’etica. Purché ci sia, però. Purtroppo sono accadute cose che spesso fanno pensare al contrario». Quindi, per Ferrarotti, è comprensibile che i ragazzi lottino per questo: «Certo, è comprensibile. Io più che dire che fanno bene, non posso. Anche perché, del resto, è in corso una battaglia a livello mondiale, non solo romano. Come detto, torno adesso dagli Stati Uniti. Lì il discorso è un poco diverso, perché si combatte l’obesità. E anche lì, in alcune università, contro le macchinette è in atto una crociata».
Al. Cap.
 
 
8 – Corriere della Sera
Le reazioni all’intervista della Moratti «Autonomia e responsabilità Giusto il principio mancano fondi e direttive»
ROMA - «L’autonomia degli atenei non può diventare la difesa della corporazione. Deve restare consapevole uso del denaro pubblico da investire nel futuro dei giovani», ha dichiarato il ministro Moratti in un’intervista al Corriere della Sera . «Giusto, l’autonomia deve accompagnarsi alla responsabilità, ma il ministro deve cambiare la sua linea»: è questo, in sintesi, il giudizio del mondo accademico che non rinuncia a replicare alla Moratti. Se cominciano a delinearsi i primi buoni risultati - aumentano i laureati, calano gli abbandoni - per rettori e professori il merito non è del ministero, ma degli atenei che stanno lavorando bene. «Ci si chiede una maggiore responsabilità nelle scelte - dice Piero Tosi, presidente dell’assemblea dei rettori (Crui) -. Ma non si vedono ancora le linee strategiche di una vera riforma. Non abbiamo certezza delle risorse. Si continua a dire che l’università è un bene pubblico, ma non si fa che richiamare il privato e il mercato». E Sabino Cassese, ordinario di Diritto amministrativo a «La Sapienza» di Roma: «Il ministro ha ragione: troppi eccessi, dall’aumento delle sedi universitarie a quello del personale con concorsi non giustificati. Per non parlare dei congiunti dei professori che finiscono in cattedra. Eppure al ministero da quattro anni tengono chiusa in un cassetto una bozza di testo unico che avrebbe spazzato le norme ambigue». «Apprezzo il tono del ministro, ma non sono d’accordo sulla linea - dichiara il rettore dell’ateneo di Ferrara, Patrizio Bianchi -. Nel 1962 in Italia c’erano 300 mila studenti. Nel 2001 se ne contavano un milione e 700 mila, con le stesse strutture del 1960. Una riforma era inevitabile. Ora arrivano i primi risultati. Non sono d’accordo con chi parla di atenei allo sbando».
 
 
9 – Corriere della Sera
Settimana della ricerca: si trascura l’importanza per scuola ed economia
Diffusione della cultura scientifica Confronto perdente con l’Europa di FIORENZO GALLI*
Mentre si celebra la settimana della cultura scientifica è utile riflettere sul rapporto strategico che esiste nei vari Paesi europei fra il tasso di investimento in ricerca e sviluppo e quello dedicato alla diffusione dei valori della ricerca: l’Italia ne esce male. Vediamo alcuni dati. Secondo fonti Ocse 2004, la Francia investe il 2,23% in Ricerca & Sviluppo: la Cité des Sciencies et de l'Industrie di Parigi ha un bilancio di 126 milioni di Euro, di cui oltre 87 garantiti dal governo. La Germania è al 2,52%: il Deutsches Museum di Monaco può contare annualmente su un contributo automatico di oltre 33 milioni di Euro. Il Regno Unito (dove è nato il concetto, molto democratico, di Public Understanding of Science and Technology - comprensione da parte dei cittadini della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche) investe nel settore l'1,88%: ma il sistema londinese dei musei scientifici (National Museum of Science and History, Natural History Museum e National Marittime Museum) riceve complessivamente contributi annuali per la gestione pari a 83 milioni di lire sterline (oltre 120 milioni di Euro). I dati della Spagna, infine, testimoniano di una recente crescita del sistema in investimenti per ricerca e sviluppo: sono appena stati inaugurati due splendidi musei scientifici a Valencia e a Barcellona. Tutte queste strutture accolgono e soddisfano annualmente milioni di visitatori, di ogni età e livello culturale e sociale. I dati americani e giapponesi sono ancora più significativi, ma limitiamo il nostro ragionamento all'Europa. Sappiamo che il nostro Paese investe invece poco più dell'1% del prodotto lordo in ricerca e l'investimento nelle strutture consolidate che si dedicano alla pubblica diffusione della conoscenza scientifica e tecnologica è irrisorio, per non dire imbarazzante. Il Museo della scienza di Milano dispone di 8 milioni di Euro e la Città della scienza di Napoli di 15 milioni, in parte dedicati ad attività di supporto.
Si tende a ignorare l'indissolubile legame testimoniato, dalle principali esperienze internazionali, fra i luoghi per la diffusione della conoscenza scientifica e tecnologica (musei scientifici e science center), il sistema scolastico e l'Università, il sistema d'impresa e il mercato dei consumatori che torna all'origine di questa catena (nei musei o science center) come utenti e come pubblico interessato a essere consumatore più consapevole ed elettore più informato.
*Direttore Museo Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci - Milano
 
 
 

Questionario e social

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