Domenica 9 ottobre 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
09 ottobre 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Ufficio Stampa
 
1 - L’Unione Sarda
Pagina 17 – Cultura
Didattica del sardo, 30 libri per capire la lingua
In ogni paese moderno esistono cattedre universitarie che recano il titolo: Didattica della lingua nazionale; in Italia, nelle Facoltà di Lingue, Lettere o Scienze della Formazione, abbiamo Didattica dell’italiano, in Germania Deutsch als Muttersprache, ossia tedesco come lingua materna, e così via. È interessante notare che la lingua statale o nazionale viene pure insegnata in altri paesi come lingua seconda. In Germania abbiamo Deutsch als Fremdsprache, Tedesco come lingua straniera, e nell’Università per stranieri di Siena s’insegna Didattica dell’italiano per stranieri. Tutto ciò dovrebbe farci riflettere un po’ sulla situazione sarda. Il sardo è, nel suo complesso di dialetti, una lingua come le altre, composta di strutture che derivano in primo luogo dal latino e poi dagli influssi che altre lingue variamente vi hanno apportato: sostrato prelatino (nuraghe), greco bizantino (condaghe), toscano antico (crapita), catalano (légiu), castigliano (feu), piemontese (gabellotu) e per ultimo italiano postunitario (tabacchinu). Come grammatica il sardo dispone ugualmente di tutte le strutture d’una lingua utilizzabile in ogni situazione. Insomma, quando si parla di sardo in quanto lingua possiamo ammettere senza difficoltà che il codice etnico dell’Isola è autonomo e autosufficiente, in grado di assolvere a tutti i compiti di comunicazione sociale previsti e richiesti dalle società moderne. I problemi che assillano il sardo sono di tutt’altra natura. Uno, in verità secondario, sembra essere l’unico quesito di Platone che da decenni coinvolge intere legioni di studiosi e cultori della lingua: la normalizzazione. Si pensa che soltanto con una lingua normalizzata si potranno eliminare d’un solo colpo tutti i problemi che affliggono la consistenza e la saldezza del patrimonio culturale odierno. Posto che non esiste ancora una lingua standardizzata, cioè dotata d’una grammatica e d’un lessico accettati da tutti i parlanti, si presume che questa manchevolezza porti inevitabilmente alla decadenza e all’oblio della lingua sarda. Dimenticando, invece, che il dialetto della comunità di base è in ultima analisi il primo e unico veicolo di sardità verace che il bambino può imparare gradualmente e acquisire come madrelingua. Se questa premessa manca, allora il bambino e l’adulto diverranno soltanto possessori di una competenza linguistica che può oscillare tra una lingua straniera vera e propria (come il tedesco), e una lingua semi-appresa, della quale si ha una notevole competenza passiva, ma una debole competenza attiva (come è stato avanzato da diversi studi recenti di Psicolinguistica sarda). L’enfatizzazione del primo problema, quello relativo alla standardizzazione, ha contribuito a mettere in seconda o ultima posizione l’interesse per il secondo, vero problema del sardo: i metodi e le tecniche didattiche valide per il suo apprendimento e soprattutto per il suo insegnamento. La situazione relativa alla didattica del sardo è desolante. Soltanto una cattedra universitaria (Linguistica sarda, prof. Eduardo Blasco Ferrer) e un Master (Approcci interdisciplinari nella didattica del sardo, Facoltà Scienze della Formazione) affrontano regolarmente i quesiti relativi all’insegnamento. E nella produzione di materiale fondamentale o sussidiario d’insegnamento del sardo una tale mastodontica carenza di formazione di competenze s’estrinseca nell’insufficiente, e spesso molto deficitario, volume di pubblicazioni di sardo per le scuole. Abbiamo sul mercato dizionari che, nella loro struttura lessicografica, non sanno distinguere i sinonimi dalle mere varietà formali, aumentando il lemmario (la "macrostruttura" del dizionario) in modo arbitrario e ingannando i lettori poco accorti su differenze che in verità non esistono. Ci sono grammatiche che non sanno articolare le strutture della morfologia e della sintassi, e manuali d’insegnamento che ? ahimè ? continuano a confondere le realizzazioni fonetiche con le forme di scrittura, creando una farragine inimmaginabile presso i lettori più incauti. Il fatto è, se siamo sinceri, che mancano le premesse per una seria, rigorosa Didattica della lingua sarda, una disciplina che coinvolge tutti gli aspetti della lingua (fonetica, morfosintassi, lessico, strutture pragmatiche e testuali) e tutti i processi mentali che il bambino a scuola o l’adulto in ogni situazione comunicativa sfrutta per acquisire, comprendere, produrre o memorizzare fonemi, forme grammaticali, significati e parole nuove o anche testi orali e scritti. Chi insegna il sardo a scuola a un bambino delle materne non può disporre dello stesso materiale didattico dell’insegnante della prima media. Se si insegnano le strutture lessicali, non possiamo impegnare allo stesso modo e con la stessa profondità il bambino della prima elementare e quello della terza elementare. Queste sono premesse glottodidattiche che si imparano con tecniche e metodi precisi, e che i docenti di lingue straniere conoscono. E sono altresì premesse che in altri paesi moderni, con lingue come la nostra, hanno condotto alla formazione di commissioni di esperti e alla pubblicazione di testi collaudati per ogni classe e fascia d’età. Se si va in Catalogna, per l’insegnamento del catalano come madrelingua si ha una sfilza di testi per la prima, per la seconda, per la terza elementare e così via. Ma anche per l’insegnamento del catalano come lingua straniera, per i Catalani non bilingui o per gli immigrati in Catalogna, si ha una vasta mole di testi che indicano i modelli di apprendimento delle stesse strutture ma con metodi differenti. Tutto questo mancava finora per la Sardegna. Ma finalmente, uno spiraglio di luce sembra potersi vedere all’orizzonte. L’editore Salvatore Fozzi, titolare della casa editrice Della Torre, congiuntamente col professor Eduardo Blasco Ferrer, per il momento l’unico ordinario al mondo di Linguistica sarda, hanno avviato un maxiprogetto di Didattica della lingua sarda che contemplerà tutti gli aspetti dell’apprendimento e dell’insegnamento in tutti contesti sociali e scolastici possibili. La collana, che è stata inaugurata col primo numero firmato dal cattedratico di Cagliari, Metodi e Tecniche di Apprendimento e di Insegnamento del Sardo, reca il titolo molto avvincente di Vademecum di cultura sarda, e sarà composto di 30 volumi di carattere pedagogico-didattico per gli insegnanti (dalla Psicolinguistica alla Storia della lingua, dall’Antropologia culturale alle Istituzioni giuridico-amministrative della Sardegna medievale, dalla Filologia dei testi antichi e moderni alla Semantica e Lessicografia del sardo), affiancati da Sussidiari (firmati anche da Donatella Fozzi) specificamente allestiti per l’applicazione pratica dei metodi teorici proposti nei manuali propedeutici e da un Dizionario fondamentale (firmato anche da Donatella Melis). Il progetto contempla una collaborazione stretta con la scuola, con gratificazioni per gli insegnanti che parteciperanno attivamente al miglioramento e approfondimento dei testi pubblicati, e con l’apertura d’un sito internet di "Dialogo glottodidattico", gestito dall’Editore e dalle Scuole. Il contributo per la realizzazione d’una lingua sarda pienamente funzionale nella società deve partire da uno sforzo congiunto fra esperti di Modelli glottodidattici e Insegnanti e Cultori del sardo. Il patrimonio della lingua è un bene che non ammette improvvisazioni o iniziative dilettantesche. La nuova collana rappresenta una sfida nuova, che vede finalmente in primo piano la lingua come un obiettivo da raggiungere, come una competenza da acquisire, e non soltanto come una semplice formula matematica.
Corrado Piana
  
2 - L’Unione Sarda
Pagina 6 - Regione
«Ci sono troppi servi alla Regione»
A tu per tu con Paolo Maninchedda dopo la rottura con Soru
 di GIORGIO PISANO
 Un intellettuale stretto stretto, Paolo Maninchedda. Se gli fai una domanda, abbassa gli occhi da husky siberiano, e inizia a pensare la risposta: elabora con lo sguardo inchiodato su un angolo della stanza, riflette, pondera, considera e finalmente parla. Debbono esserci stati lunghi periodi di silenzio tra lui e Renato Soru: colpa delle pause in par condicio. Ora, c’è di più e peggio: la rottura. Clamorosa. Maninchedda, che è una testa lucida, intelligente, profonda, si è visto sfilare la poltrona di presidente della commissione Autonomia ma non ha lanciato un grido. In aggiunta l’hanno liquidato dal partito (Progetto Sardegna) che aveva contribuito a far nascere ma anche stavolta non gli è scappato neanche un insulto. Tempo perso stuzzicarlo: una ratzingeriana cultura cattolica gli impedisce di esplodere a voce alta. «Non voglio essere feroce con me stesso né con gli altri». A seguire, più evangelico: «La vita non finisce con la notte, c’è sempre un mattino». Che è la rivisitazione di un concetto già espresso da Rossella O’Hara in Via col vento. Dunque non racconterà che Pietro Soddu (suo maestro e regista occulto della candidatura di Renato Soru) non ha avuto un attimo di esitazione al momento di scegliere tra i due: meglio Soru. Non gliene fa una colpa, dice che questa è la politica, ossia un gioco che definisce «feroce e brutale, attraversato da sentimenti negativi e da scetticismo: nessuno crede mai che il vicino stia dicendo quello che pensa». Dopo un anno da matricola in Consiglio regionale, tira somme imbarazzanti: «C’è piaggeria fastidiosa, un tasso doloroso di servilismo». Con l’aggiunta di un’emergenza preoccupante perché sul terreno della grande svolta politica, del passaggio da centrodestra a centrosinistra, è «cresciuto un ceto di mediocri». Maninchedda è nato a Macomer, ha due figlie ed è ordinario di filologia romanza all’università di Cagliari. Era nell’ex Zaire a fare volontariato quando hanno assassinato il generale Dalla Chiesa. Viene, come gli piace ricordare, dalle esperienze delle comunità di base. Nato democristiano, cresciuto coi post-democristiani del Ppi e passato con altri post-post democristiani a Progetto Sardegna dopo un guado tormentato, è stato eletto consigliere regionale l’anno scorso. E subito nominato presidente della commissione Autonomia. Racconta che Soru non è stata la prima scelta: «La prima scelta era Antonello Soro, ma l’operazione non è andata in porto». Nega di essere uno dei ferrei costruttori del governatore («non ne avevo né il peso né il ruolo») ma confessa di averlo sostenuto con entusiasmo e convinzione. Nonostante i litigi: moltissimi in campagna elettorale, ancora di più dopo. «Renato non ha capito che io sono un suo alleato e non un suo consulente». Uno che la pensa così non poteva avere vita facile in quello sterminato consiglio di amministrazione che è la Regione autonoma della Sardegna. Men che meno da presidente di commissione che rivendicava il diritto alla libertà, al piacere di lavorare senza avere sul collo il piede dell’imperatore. Chi lo detesta (e lo chiama beato Maninchedda per il rigorismo religioso) dice che dietro lo scontro tra lui e Soru c’è solo voglia di carrierismo. Sussurrano volesse diventare coordinatore regionale di Progetto Sardegna, capogruppo in Consiglio e via salendo, sempre più pericolosamente vicino al trono. I fatti, almeno per il momento, registrano altro: si è opposto alle interferenze sul suo lavoro in Commisssione e se n’è andato senza far tremare le porte. La politica da onorevole, una delusione. «E’ stata una fatica rilevante. Ho studiato molto per condurre la commissione Autonomia. E’ che in giro ci sono troppi tzeracos...». ...in un’aula sorda e grigia. «La realtà non è fatta di buoni e cattivi. Se c’è un vizio italiano che detesto è quello di inferocire tutto». Mentre invece? «Mentre invece io penso ci sia del bene sostanziale in tutto. In un anno abbiamo prodotto più di quanto abbiano fatto altri in una legislatura». Il presidente del Consiglio, Spissu, dice il contrario. «Lo so, e sbaglia». A proposito: anche Spissu è un vassallo obbediente all’imperatore? «Spissu è un potere improprio: si allea ma non è mai subordinato ad altri». A parte gli stipendi, cosa c’è di alto in Consiglio? «Fermiamoci un attimo agli stipendi: sono d’accordo, troppo elevati. Giusto tagliarli ma non vorrei che le somme recuperate finissero in strade, ponti eccetera: voglio interventi sociali, stiamo vivendo una crisi spaventosa e dobbiamo reagire». Si spieghi meglio. «Il presidente ha avviato la prima parte del suo programma, diciamo quella che azzera enti, consigli di amministrazione e tutto il resto. In attesa di passare alla successiva, è necessario intervenire sullo stato sociale. Che è devastato». E il Consiglio? «Il problema del Consiglio è quello di fronteggiare i bisogni mentre si costruisce il futuro. Non può vincere la logica del più forte: chi sopravvive, sopravvive. La transizione va governata senza lasciare troppi cadaveri sul terreno». Impossibile? «Il dramma è che c’è un vuoto di idee e di progetti su quello che vorremmo essere. Nel frattempo la disperazione incalza. E il Consiglio continua ad essere cieco». In che senso, cieco? «Nell’unico possibile: variamo leggi senza disporre di studi adeguati, prendiamo decisioni sulla base di dati a dir poco imprecisi. Sull’evasione scolastica, per dirne una, abbiamo spaventosamente sottovalutato il fenomeno. Poi, mi fa specie che i dati sulla sanità ce li fornisca il ministero: e noi su quelli lavoriamo». Cosa manca? «Molto, a cominciare da un ufficio statistico vero ed efficiente, in grado di misurare la Sardegna». Tanto Soru decide da solo. «Renato conosce molto bene il galateo finanziario, non quello politico». Pentito di averlo sostenuto? «No. Soru è una grande forza innovativa. Si tratta di imbrigliarla dentro procedure e sistemi democratici». Sempre dell’opinione che sia un imprenditore prestato alla politica? «In un anno ha imparato molto più di quanto gli abbiano insegnato tante stagioni da industriale. Durante le trattative rivela la sua cultura di base: ed è bravissimo, capace come pochi ai tavoli di confronto». Lo scontro. «Uno dei tanti. Noi litighiamo, non rompiamo». Il fatto è che lui vive fisicamente l’urgenza delle decisioni. Io invece preferisco prima discutere e approfondire. Psicologicamente, Renato detesta il confronto». Siete amici? «Un conto è l’amicizia, altro la politica. Eppoi, amici non vuol dire complici. Lui sa perfettamente che non tendo agguati, mi riconosce onestà». Sì, però si è stufato lo stesso. «Quando la mia commissione ha licenziato il testo di legge su Comunità montane e Unione dei Comuni, mi ha chiesto di rivedere il testo con lui. Non ci sono andato». Poi? «Lui ha incontrato alcuni membri della commissione e con loro ha definito alcuni emendamenti proposti dalla Giunta. Benissimo, li ho sottoscritti pure io per amor di pace». E allora? «Allora arriviamo in aula e scopro che emendamenti ce ne sono di nuovi, dell’ultim’ora. A quel punto ho perso la pazienza. Basta. Bisogna difendere la dignità delle istituzioni. Il mio ruolo doveva essere libero e non subordinato». Altri si sarebbero comportati diversamente. «Altri». Soru resta il salvatore della patria. «I salvatori della patria mi fanno venire l’orticaria. La Regione deve, e subito, mettere insieme un intervento pubblico legato ai diritti piuttosto che a grandi ingegnerie istituzionali». Tornerà con Progetto Sardegna? «Per il momento no. Tanto più che il partito non esiste più: Soru l’ha sciolto». E Maninchedda se n’è andato. «Veramente mi hanno mandato via. Il che è diverso». Da commissario del Ppi faceva così anche lei. «Io non ho cacciato, ho solo sospeso Pasquale Onida per due giorni. E me l’ha fatta pagare cara battendomi al congresso e portando il centrodestra al governo regionale». Con Soru invece come finirà? «Non lo so. Siamo persone che si stimano ma hanno punti di vista differenti. Dai nostri scontri, comunque, si fanno passi avanti». Quindi, amore ritorna... «Non è amore, è alleanza. Il fatto è che il presidente deve ammettere di aver sbagliato». Dove e quando? «Per la fretta di decidere, si è circondato di mediocri. Mediocri e incapaci, un ceto ingrassato sul servilismo. Al di là delle intenzioni». Delle intenzioni di chi? «Di Soru, prima di tutto. Sono convinto che non ne abbia consapevolezza, che non sappia i danni che stanno combinando certi incapaci sistemati in ruoli-chiave. Parlo di gente feroce, rivoluzionari al contrario, inutilmente duri». Il presidente li ha nominati però non sa: è cosi? «Esatto. Non dico sia innocente perché è stato lui a stabilire, lui a volere. Ma io sono sicuro che ignora quello che sta avvenendo intorno». Almeno si consulta? «Certo, poi decide lui in solitudine. E sempre con l’urgenza che ogni tanto gli fa fare scelte pressapochiste, abborracciate». La sua è la storia di un onorevole nato e finito. «Nient’affatto. Anche se devo ammettere che mi vedo più come professore universitario. O in un giornale: mi piacerebbe dirigerne uno».
 
 

3 - La Nuova Sardegna
UNIVERSITÀ
Iscrizioni prorogate
 
CAGLIARI. Sono stati prorogati al 17 ottobre i termini per la presentazione delle domande di immatricolazione per tutti i corsi di laurea dell’Università di Cagliari, ad accesso libero e a numero programmato con posti disponibili residui, di primo livello e le specialistiche a ciclo unico. La prima rata delle tasse per tutti gli immatricolandi (fatte salve le eventuali date stabilite nei bandi di selezione o da altre decisioni relative ai corsi a numero programmato), dovrà essere versata entro il 20 ottobre.
 
 
4 - La Nuova Sardegna
Pagina 7 - Sardegna
Come ti creo un successo grazie a internet
La singolare storia di Lucio Cadeddu, «guru» dell’alta fedeltà sulle pagine web
 di Andrea Massidda  
  CAGLIARI. E’ grande quanto il palmo di una mano e pesa appena 250 grammi. dai numeri non si direbbe, eppure, «T-Amp», il primo amplificatore portatile capace di generare 15 watt per canale, è ormai considerato dagli audiofili di tutto il pianeta un prodotto di culto in grado di rivoluzionare il mondo dell’Hi-Fi.
 Di più: siccome è fabbricato in Cina da una casa americana e costa solo 29 euro, questo piccolo apparecchio venduto via internet sta scombussolando il mercato del settore. E tutto grazie a un matematico cagliaritano, Lucio Cadeddu, quarant’anni, che ne ha scoperto le straordinarie potenzialità per poi diffonderle sulle pagine bilingue della sua seguitissima rivista online Tnt-Audio.
 Un successo. Tanto che in questi giorni Cadeddu è finito sulle pagine del prestigioso magazine americano Forbes, dedicato alla finanza, che lo cita come artefice del boom planetario del mini-amplificatore, le cui vendite, dopo la recensione su Tnt-Audio sono balzate a quattromila al mese, trasformandolo nel best buy, ossia il migliore acquisto per gli appassionati di Hi-Fi di tutto il mondo.
 Cadeddu, che insegna Analisi superiore al Dipartimento di Matematica dell’Università di Cagliari, si gode questa improvvisa celebrità e racconta come è nata l’idea di creare una rivista online tanto popolare e autorevole (registra 3 milioni di contatti mensili, con lettori in prevalenza statunitensi). «Ho aperto il sito nel’94 affidandomi allo spirito pionieristico di quegli anni - spiega -. Diamo consigli su come sfruttare al meglio le tecnologie Hi-Fi, testiamo i prodotti e così via».
 Un successo quasi immediato, per la sua rivista. «Sì, e credo che i motivi siano principalmente due - continua Cadeddu -. In primis siamo credibili perché non ospitiamo pubblicità e non abbiamo legami con nessuna casa produttrice. Eppoi siamo subito apparsi sul Web con pagine bilingue, in italiano e in inglese, il che ci ha consentito di essere letti e apprezzati davvero in tutto il mondo».
 Anche se il direttore responsabile sta a Cagliari, la redazione è in realtà dislocata ovunque.
 «Collaborano con me tre appassionati inglesi, due americani, due tedeschi, un francese e un belga».
 Tornando all’amplificatore recensito, è davvero rivoluzionario? «Si tratta di un oggetto minuscolo capace di suonare come e meglio di amplificatori che costano venti volte di più - spiega ancora Cadeddu -. «T-Amp» sfrutta una nuova tecnologia che consente di ottenere in pochi centimetri prestazioni che altrimenti necessiterebbero di un prodotto grande quanto una lavatrice».
 La recensione del matematico cagliaritano, che nel settore dell’hi-fi è considerato un vero e proprio mago, ha spiazzato tutte le case produttrici di amplificatori.
 «E’ stata un’operazione coraggiosa - conclude Cadeddu -. E’ come se “Quattro Ruote” avesse recensito una nuova macchina cinese dicendo che va come una Ferrari ma costa dieci volte di meno».
  
5 - La Nuova Sardegna
Pagina 28 - Sassari
«Palazzo Pietri? Un affare»
Cubeddu replica alle accuse sui fondi per Veterinaria
All’inaugurazione grandi assenti i rappresentanti di Regione e Provincia Il 17 prenderanno il via le lezioni
 
 OZIERI. Nel bene o nel male, il corso universitario in Produzioni animali di Ozieri è una realtà. Dal 17 i locali dell’ex Convento di San Francesco ospiteranno i docenti e i trenta studenti ammessi alla frequenza. Tutti i relatori intervenuti alla cerimonia inaugurale hanno posto in evidenza la validità della scelta operata. A fronte di tanto entusiasmo, come ha peraltro evidenziato il cardinale Pompedda, vi è però da rilevare l’assenza dei rappresentanti istituzionali della Regione e della Provincia, e della stessa minoranza del consiglio comunale cittadino, evidentemente poco o niente propensi a gioire per l’iniziativa.
 Laconico, al riguardo, il commento del sindaco: «Ognuno dà quel che può. A me interessa che dopo tanti lustri di vana attesa e di sterili battaglie sul nulla Ozieri abbia finalmente una sede staccata dell’università». Al di là delle polemiche, per l’amministrazione comunale si pone ora il problema di una corretta gestione di quella che molti definiscono la “creatura” di Giovanni Cubeddu. Il quale, a dire il vero, non sembra preoccupato delle critiche e delle perplessità create dal decollo del corso. Fra le osservazioni avanzate in merito alla possibilità che il corso possa avere gravi ripercussioni sulle finanze comunali, il capo dell’amministrazione che è anche docente della facoltà, non ha dubbi nel ritenere le stesse delle semplici affermazioni gratuite. «È stato un nostro fermo intendimento - ha precisato Cubeddu nel corso della cerimonia inaugurale - cercare quelle fonti economiche che permettessero di coronare quel sogno di sempre. Per questo non abbiamo lesinato l’impegno per individuare delle forme di finanziamento alternative e “indolori” per il bilancio comunale dell’ente locale». Ma da più parti si dice che tale obiettivo sia stato mancato e che per poter avviare il corso si sia seguita la strada della vendita dei “gioielli di famiglia”, uno dei quali è il palazzo romano lasciato al comune dalla famiglia Pietri. «A questo proposito mi preme sottolineare innanzitutto che la messa in vendita dell’immobile, ormai antieconomico per il Comune, era stata decisa dall’amministrazione di centrosinistra che ha governato Ozieri sino al 1998. Io non ho fatto altro che definire una trattativa già avviata, ma a prezzi molto più vantaggiosi rispetto alla perizia della prima ora». Un’altra precisazione che il sindaco intende ribadire è quella relativa alla possibilità di utilizzare la somma ricavata da quella vendita per scopi culturali. «La volontà dei benefattori - dice Cubeddu - era quella di destinare i proventi del lascito per scopi socio-assistenziali nonchè per la crescita socio-culturale della città. L’arrivo dell’università ad Ozieri, per me e per la maggioranza che mi sostiene, rappresenta una formidabile occasione di crescita per Ozieri e per il suo territorio». Ma insomma, chi pagherà i costi di gestione del corso? «Nonostante le affermazioni di qualche Cassandra le spese per il funzionamento del corso triennale sono garantite da fonti alternative ben lontane dalle casse comunali». Altra perplessità sulla sede decentrata dell’ateneo sassarese è data dalla presunta inutilità del corso e dall’approssimazione con cui si sarebbe giunti alla sua attivazione. «Come hanno precisato i miei illustri colleghi, il rettore Maida e il preside Coda - risponde Cubeddu -, al corso hanno aderito ben quarantasette candidati, per i trenta posti programmati. Non deve essere considerato un caso se alcune domande provenivano dall’intera isola, e altre addirittura dalla penisola: un riscontro che equivale all’interesse suscitato dalla materia e dalla richiesta di nuove figure professionali che l’indirizzo di studi intende formare. L’amministrazione comunale è già impegnata, d’intesa con l’Ersu e con l’università, per dare la dovuta assistenza agli studenti».
Angela Farina
  
6 - La Nuova Sardegna
Pagina 8 - Cagliari
COMUNE E UNIVERSITÀ
Un master sul recupero architettonico
  CARBONIA. La giunta comunale di Carbonia punta sulla cultura e approva due importanti convenzioni che permetteranno alla città di ospitare il master universitario di II° livello in “Recupero del patrimonio architettonico moderno” ed il “Laboratorio della qualità urbana-Agenzia per il recupero del patrimonio storico urbano e architettonico” in collaborazione con il Dipartimento di Architettura della facoltà d’Ingegneria dell’ateneo cagliaritano.
 Il Master, che sarà attivato a breve, accoglierà tra i 20 ed i 30 giovani laureati e avrà l’obiettivo di promuovere gli studi e le ricerche specializzate sul tema dell’edilizia moderna e delle città di fondazione, mentre il “Laboratorio della qualità urbana” avrà lo scopo di favorire il recupero sostenibile della città di Carbonia tramite la progettazione particolareggiata della riqualificazione dei tessuti edilizi storici, la pianificazione attuativa della periferia della città storica e delle sue connessioni con i nuclei minerari e l’attivazione della partecipazione sociale al processo di riqualificazione urbana ed edilizia.
 Il finanziamento si inserisce nell’ambito del bando “Progetti di Qualità”, a cui il Comune aveva partecipato raggiungendo una valutazione d’eccellenza e ottenendo i fondi necessari per la realizzazione dell’intero programma presentato. Prosegue, in questo modo, la proficua collaborazione dell’amministrazione comunale con il dipartimento di Architettura dell’università di Cagliari che, sin dal 2001, affianca il Comune nella soluzione di problematiche edilizie di ampie proporzioni e nella consulenza progettuale. Un ultriore passo verso una rinascita della città mineraria che punta a recuperare il tessuto urbanistico originale della città di fondazione.
 
 7 - La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Cagliari
LA FACOLTÀ TEOLOGICA
La Pontificia apre all’Europa
Un corso di tre anni più due con quasi 250 iscritti
 
CAGLIARI. La Pontificia facoltà teologica della Sardegna diventa “europea”. Tra quattro anni, infatti, anche i titoli rilasciati dall’università papale con sede in città (baccellierato, licenza e dottorato) e dagli Istituti di scienze religiose di Cagliari e Sassari, che da essa dipendono, avranno patente continentale. È una delle rivoluzioni prodotte dal cosiddetto “processo di Bologna”, che mira ad armonizzare gli studi universitari nell’area Ue e quindi riconosce validità ai titoli accademici conseguiti in uno degli stati aderenti all’accordo, tra i quali figura la Santa Sede. Si rafforza così nel mondo culturale sardo la presenza della facoltà teologica del “Sacro Cuore”, che martedì prossimo inaugurerà il settantanovesimo anno accademico.
 In previsione della sua europizzazione l’ateneo cattolico dovrà riorganizzarsi. Direttive in tal senso sono già arrivate al Gran Cancelliere, monsignor Pier Giuliano Tiddia, e al preside, il gesuita padre Maurizio Teani, dalla Congregazione per l’Educazione cattolica, l’ organismo vaticano che sovrintende e coordina l’attività dei seminari e delle facoltà teologiche di tutto il mondo. “Saranno sostanzialmente tre - dice Teani - i correttivi da introdurre: l’adozione di un sistema di titoli di facile lettura e comparazione; l’articolazione del quinquennio istituzionale in due cicli (3+2) e la messa a punto di un quadro di crediti comune, che favorisca la mobilità degli studenti. L’intento è di procedere all’adeguamento degli standard curriculari a quelli europei affinchè i titoli da noi rilasciati siano riconosciuti in Europa e in particolare in Italia”. Forse non tutti sanno che con i “gradi” accademici ottenuti nelle Facoltà teologiche, in Italia si può insegnare solamente religione. Al massimo si è ammessi a partecipare ai concorsi per l’abilitazione all’insegnamento di lettere e filosofia nelle scuole parificate dipendenti da enti religiosi.
 L’europeizzazione dei corsi porterà nuove immatricolazioni. Soprattutto nell’ultimo decennio il numero degli iscritti all’Università di via Sanjust è sempre rimasto costante, cioè poco oltre 200 studenti. L’anno scorso sono stati 243, di cui 43 preti e diaconi diocesani, 84 seminaristi e 28 religiosi. Buona la rappresentanza di laici: 82 nel 2004-2005. L’apertura al laicato rappresenta la vera nuova frontiera ecclesiale, per la verità un po’ trascurata in Italia. Forse è bene che vi dedichino maggiore attenzione anche le facoltà teologiche, a cominciare da quest’anno, quarantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II. “I padri conciliari - ricorda il preside Teani - stabilirono che il dato primario della Chiesa, comunità di fratelli, è l’uguaglianza e la dignità di tutti i battezzati. Un concetto ribadito nel 1985 dal sinodo straordinario dei vescovi con queste parole: poiché la Chiesa è comunione, deve esserci partecipazione e corresponsabilità in tutti i suoi gradi”.
 La cultura teologica, cenerentola nella scuola, nella società isolana dovrebbe invece essere più visibile, se non altro perché ai 900 sacerdoti e religiosi presenti in Sardegna, alle due mila suore in servizio in istituti, asili e ospizi vari, si aggiungono diverse centinaia di laici insegnanti di religione (solamente nella diocesi cagliaritana 261), tutti con in tasca il diploma di istituto superiore di scienze religiose, titolo conseguito al termine di 4 anni di studi impegnativi, articolati in corsi quest’anno frequentati da centocinque laici a Cagliari e centoventisette a Sassari.
 Novità nel corpo accademico di quest’anno. Dopo 28 anni in cattedra, padre Umberto Burroni, tra i più noti docenti italiani di bioetica e teologia morale, lascia l’insegnamento per limiti di età. Al suo posto due suoi giovani allievi: Paolo Sanna, parroco della parrocchia del “Margine rosso”, e Stefano Mele, che entrano a far parte di un collegio formato da trenta docenti tra stabili e incaricati e dieci invitati.
Mario Girau

Questionario e social

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