Domenica 23 ottobre 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
23 ottobre 2005
Ufficio Stampa
Università degli Studi di Cagliari
 
1 - L’Unione Sarda
Pagina 22– Cagliari
In città i lavori del secondo workshop internazionale
Esperti di neonatologia a congresso
Tre giorni di neonatologia in città: la sala conferenze del T-hotel ospita in questi giorni i lavori del secondo workshop internazionale di neonatologia. L’appuntamento, che si svolge in città per il secondo anno consecutivo, rappresenta l’occasione per discutere sulle tecniche cliniche e di ricerca relative alla scienza neonatale. A fare gli onori di casa ci ha pensato il Vassilios Fanos, direttore del reparto di patologia e terapia intensiva neonatale dell’Università. «È un incontro molto importante per il mondo scientifico e per la Sardegna, dato che intervengono professori e medici da tutta Italia e dalle nazioni dell’area mediterranea», ha spiegato il professor Fanos. «Ad esempio - continua il docente - i colleghi albanesi hanno parlato della mortalità perinatale, che avviene nei momenti immediatamente precedenti o successivi alla nascita del bambino». Tra i temi trattati, la nutrizione e la neonatologia nel Mediterraneo, le infezioni e le malformazioni urinarie, il sistema di sorveglianza perinanatale, l’ecografia cerebrale e la diagnostica ultrasonora. Il board scientifico accademico è composto dai professori Giulio Bevilacqua, Gavino Faa, Giorgio Rondini e Giuseppe Saggese. Grande attenzione anche agli interventi del rettore dell’ateneo cagliaritano, Pasquale Mistretta e del sindaco Emilio Floris. Oggi (8.30) il simposio verrà completato dal Quattordicesimo workshop di nefrologia neonatale.
Michele Ruffi
  
2 - L’Unione Sarda
Pagina 23 – Cagliari
udienza Corte dei conti, sotto esame le spese di Fisica
L’Istituto di fisica nel 1998/99 spese 40 mila euro senza riuscire poi a giustificarne l’utilizzo: questo, per la Corte dei conti (l’istituto è un ente pubblico) significa causare un danno all’erario. Ecco perché il pm Mauro Murtas ha chiesto che gli imputati risarciscano lo Stato: sotto accusa, per il ruolo che rivestivano nella facoltà, ci sono Franco Meloni (allora direttore pro tempore dell’unità di ricerca dell’Istituto) e Angelo Campus (il segretario amministrativo, responsabile della documentazione spese). Il magistrato ha sostenuto, davanti al collegio presieduto dal giudice Enrico Bassareo (a latere Antonio Contu e Salvatore Littarru) che non c’è certezza che quelle spese (gestione delle attività universitarie, pagamento dei dottorati, acquisti dei materiali) fossero state sostenute per il bene della ricerca. I difensori degli imputati (Benedetto Ballero e Maurizio Scarparo, Luisa Giua Marassi, Giuseppe Macciotta e Francesco Corda) hanno ricordato «che l’anno del trasferimento dalla sede di viale Fra Ignazio a quella della cittadella universitaria (2001) si persero tanti documenti. Probabilmente anche le pezze giustificative». Il collegio deciderà entro un mese.
  
3 - L’Unione Sarda
Pagina 23 – Cagliari
Organizzati dall’Università
Corsi di sostegno agli alunni disabili: una strada in salita
Partenza col freno a mano tirato per il corso di sostegno agli alunni disabili, organizzato dall’università di Cagliari, rivolto alle maestre della scuola dell’infanzia e primaria. Da ieri sono iniziate le lezioni teoriche, con tre mesi di ritardo, ma solo sei insegnamenti su quindici sono stati attivati: «Una situazione assurda - si lamentano le docenti precarie ? ancora non è stata fissata la data d’inizio per le altre materie». Per ora i corsisti torneranno sui banchi il venerdì dalle quattro del pomeriggio alle otto, e il sabato, mattina e sera: orari rigidi e poco adatti per le maestre che finiscono di lavorare alle cinque, e che poi devono raggiungere il Duca degli Abruzzi di Elmas (le insegnanti della materna), l’istituto Deledda di Cagliari o il Besta di Monserrato (le docenti delle elementari). Da lunedì verranno attivati i laboratori: le maestre dei piccoli dai 3 ai 6 anni dovranno raggiungere le sedi di Carbonia, Sanluri o Quartu, mentre le altre docenti si divideranno tra Cagliari, Quartu, Sanluri, Carbonia e Oristano. Le 300 lavoratrici, che già hanno maturato 360 giorni su posto di sostegno, la settimana scorsa hanno raggiunto Roma per denunciare il grave disagio in cui si trovavano: «Con l’aiuto del sindacato Cgil ci siamo recate al ministero dell’Istruzione, abbiamo spiegato che il corso non era ancora partito ? raccontano le rappresentanti del comitato corso di sostegno ? e solo così si è sbloccata la nostra situazione. Quello che occorreva fare in un anno dovrà essere svolto in sette mesi». Ulteriori lamentele arrivano per il costo del corso: «Inizialmente la quota era di 1250 euro, poi è aumentata a 1560, ma ora pare che col contributo della Regione i 300 euro in più non vengano chiesti». Le maestre iscritte al corso hanno partecipato mercoledì scorso alla presentazione del piano di lavoro: «Dalla direzione scolastica regionale ci hanno promesso un aiuto. Ci verranno incontro per gli orari e per l’attivazione del tirocinio». Ora ai corsisti non resta che dividersi fra lavoro e corso, da una sede all’altra, e iniziare a studiare le materie per ora attivate: psicologia dell’handicap e della riabilitazione, didattica speciale dell’integrazione, pedagogia speciale dell’integrazione, pedagogia della famiglia e lavoro di rete, psicopatologia e didattica del calcolo e della soluzione dei problemi, psicologia dello sviluppo e dell’educazione. Ogni insegnamento si concluderà con un esame finale.
Francesca Ghezzo
 
 
 

 
4 - La Nuova Sardegna
LAVORI
Divieti a Castello
CAGLIARI. Per consentire il trasporto di materiali destinati ai lavori di recupero dell’ex Teatro Civico, da mercoledì prossimo a martedì 1 novembre compreso, via Università sarà chiusa al traffico dalle ore 7,30 alle 17 all’altezza dell’incrocio con via De Candia. Per permettere il passaggio dei mezzi pesanti, sarà inoltre istituito il divieto di sosta con rimozione su entrambi i lati di via Cammino Nuovo, nel tratto compreso tra il cancello del Rettorato (al numero civico 11) sino all’incrocio con via Università. Il divieto sarà in vigore da martedì prossimo a martedì 1 novembre nella stessa fascia oraria (7,30 - 17). Nelle altre ore della giornata l’autogrù resterà parcheggiata in via Università, con conseguente restringimento della carreggiata.
  
5 - La Nuova Sardegna
Pagina 45 - Cultura e Spettacoli
Lo scrittore Murid al-Barghuthi, uno dei maggiori scrittori di lingua araba, al convegno sulle «Letterature altre»
«Ma la civiltà non è una fortezza»
La situazione in Palestina, tra violenza e apertura al dialogo
La narratrice iraniana Marjane Satrapi: «Musulmano e cristiano non significano nulla»
DALL’INVIATO PAOLO MERLINI
Tortolì «La civiltà non è una fortezza. E’ un tappeto pieno di disegni diversi, che in una visione complessiva rappresentano un’idea visibile, dove però le identità dei particolari sono chiare, così come lo sono le differenze. Non esiste, non è mai esistita un’unica civiltà, che non fosse in qualche modo parte a sua volta di un’altra civiltà, e così all’infinito per secoli e secoli. Questo per dire che non può esistere un conflitto di civiltà. O civiltà che siano superiori ad altre. Chi lo dice cerca solo un alibi per i propri soprusi verso i suoi simili». Parole di Murid al-Barghuthi, uno dei maggiori scrittori di lingua araba, presente ieri a Tortolì al convegno sulle «Letterature altre» organizzato dall’associazione Mediterranea. Barghuthi è un poeta palestinese che per oltre trent’anni ha vissuto la condizione d’esiliato, e che è stato costretto per un determinato periodo a lasciare anche il paese che l’ospitava, l’Egitto, per le sue idee politiche, che poi a qualsiasi latitudine è un eufemismo per dire che non è consentito esprimere liberamente il proprio pensiero. L’editrice nuorese Ilisso ha tradotto, per la prima volta in Italia, il suo unico romanzo, «Ho visto Ramallah», dove racconta il suo rientro in Palestina dopo decenni di esilio (e non è un caso che la prefazione del libro sia stata scritta da Edward W. Said, forse il simbolo della diaspora palestinese, poco prima della sua morte). Barghuthi racconta la sofferenza del suo popolo, spiega come la follia dei kamikaze sia anche l’evoluzione della guerra a colpi di pietre dell’Intifada «contro un nemico che ora schiera venti missili a testata nucleare».
 Ma il punto, in un convegno che si occupa di traduzioni e, com’è ovvio, può sconfinare in un discorso più generale sul rapporto, oggi delicatissimo, tra Oriente e Occidente, è un altro. E’, anche, cercare una via d’uscita a una situazione che appare senza sbocco, attraverso il dialogo e - non paia retorico - la cultura. Paola Boi, dell’associazione Mediterranea, ricorda l’importanza della traduzione come strumento di incrocio dei linguaggi, dei popoli e delle loro culture, veicolo di mescolanze e di arricchimento reciproco. Cita il caso limite degli Stati Uniti, dove il 90 per cento dei libri è di autori anglosassoni, e gli scrittori orientali coprono l’0,3 del mercato editoriale. Ricorda il pensiero cosmopolita di Jacques Derrida (ebreo, nato in Algeria e vissuto in Francia) sulla forza delle parole che, attraverso la traduzione, conservano in sé un seme portatore di mutamento che cresce in altre lingue e culture.
 Spetta a Monica Ruocco, docente di letteratura araba all’università di Lecce, traduttrice di Barghuthi e tanti altri autori arabi, ripercorrere il cammino della traduzione nel corso della storia. Un percorso in cui essa esercita, prima di tutto, un’opera di mediazione. «Nel X secolo Bagdad era una metropoli, come oggi possono esserlo Londra o New York, dove operava una Casa della Sapienza che non aveva preclusioni geopolitiche o culturali. Più tardi, a metà Ottocento, quando si assiste a una rinascita del mondo arabo, il ruolo dei traduttori ritorna fondamentale. La frattura è degli ultimi decenni, quando l’accademia e l’università monopolizzano la traduzione e la vivono quasi come un esercizio filologico, e non più come un’opera di mediazione fra popoli e culture. Oggi si registra un certo risveglio, perché si è capito che serve anche come azione per smascherare falsità, abbattere stereotipi pure banali come quelli secondo cui tutti gli uomini arabi hanno la barba lunga e le donne indossano tutte il velo, o peggio che sono tutti possibili terroristi».
 Amara Lakhous è un giovane autore algerino, scappato dieci anni fa dal suo paese quando i fondamentalisti uccidevano, letteralmente, ogni forma di dissenso. Faceva parte di una categoria a rischio, quella dei giornalisti. Arrivò a Roma, dove oggi lavora alla sezione araba dell’agenzia Adn Kronos, e scrive libri. Scrive in arabo, poi riscrive in italiano. Si autotraduce, insomma, anche se poi si rende conto di aver scritto due libri in parte diversi. Ha pubblicato «Le cimici e il pirata arabo», e poi, per ora soltanto in arabo, «Come farsi allattare dalla lupa senza che vi morda». Lo ha presentato di recente ad Algeri, dove in questi dieci anni la situazione è cambiata. «Sono scappato via dal mio paese - spiega - ma sia pure in esilio ho scritto in arabo per dire ”ecco, il mio corpo è andato via, ma non siete riusciti a scacciare il mio pensiero”». Il romanzo uscirà fra qualche mese anche da noi per le edizioni E/O. Titolo italiano: «Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio», dove il quartiere romano è il simbolo di un’Italia multiculturale che è già una realtà. E a chi si fosse mai interrogato su quel melting pot che è il popolo della Sardegna, segnala che il porto di Tortolì, Arbatax, in arabo significa «il quattordicesimo».
 Radhouan Ben Amara a dispetto del nome e delle origini tunisine è un nome ben noto ai sardi. Direttore di Mediterranea, è docente di letteratura inglese all’università di Cagliari. Dal 2001 è consigliere comunale, oggi nei banchi dei comunisti unitari. La sua relazione è un viaggio affascinante nei significati plurimi del termine traduzione e della sua etimologia nella lingua araba. Dove tradurre significa trasportare qualcosa, come versare un liquido da un vaso all’altro sapendo che perderà un po’ del suo gusto originario; ma tradurre è anche tradire, caricandosi sulle spalle un senso di colpevolezza, compiere un gesto di follia. E infine, sempre in senso etimologico, lapidare la propria lingua.
 Di seguito, Yvonne Fracasetti, direttrice dei servizi culturali del consolato generale d’Italia a Lione traccia una storia della letteratura coloniale, di quella dei colonizzati e della mescolanza inevitabile tra questi due ”generi”. Giuseppe Serpillo, docente di letteratura inglese all’università di Sassari, definisce la traduzione un atto creativo, e ricorda l’orgoglio di James Joyce, il quale, irlandese, scriveva in inglese ma diceva ai ”colonizzatori”: «la mia lingua non sarà mai la vostra lingua», ed è difficile dargli torto.
 Al pomeriggio Bastiana Madau, direttore editoriale della collana Ilisso contemporanei, che a un anno dalla nascita vanta già una decina di titoli dedicati al mondo arabo, ricorda che «i libri permettono di attraversare confini e limiti geografici, sociali, politici e culturali, facilitando la conoscenza reciproca tra i popoli». Dice che la cultura è, prima di tutto, confronto, ascoltare le ragioni dell’altro, abbattere frontiere anziché erigerne di nuove.
 Dice Marjane Satrapi, la scrittrice iraniana (in esilio, va da sé) autrice di quel capolavoro letterario che è il fumetto «Persepolis», che gli occidentali ormai hanno dei musulmani una «nozione astratta». «Islamico - spiega - non significa nulla, come non significa nulla cristiano. In Occidente è inconcepibile che possano esistere donne che, pur essendo musulmane, portino la minogonna; o che un uomo musulmano non abbia molte mogli. Sembra inconcepibile che possa esistere un musulmano ”secolarizzato”. Il messaggio che ne consegue è pericolosissimo: i musulmani non sono esseri umani. Diventano una nozione astratta». E noi ”occidentali”, inevitabilmente, appariremo alla stesso modo per chi sta dall’altra parte del Mediterraneo.
  
6 - La Nuova Sardegna
Pagina 10 - Sardegna
Un centro sperimentale per l’olio di colza
Sarà Oristano (prima in Sardegna) a ospitare gli impianti per il combustibile
ENRICO CARTA
ORISTANO. Zona di confine, tra agricoltura, ambiente, economia e scienza. Si chiama olio di colza, è la nuova frontiera dei carburanti ecologici, ma è anche la scommessa dell’assessorato regionale all’agricoltura. Il progetto è in via di definizione, ma conta già su alcuni punti fermi che porteranno alla nascita di un centro sperimentale per la produzione di carburante che deriva dall’olio che si ricava da questa coltura.
 Ad ospitare l’impianto sarà un capannone della zona industriale a ridosso del porto di Oristano, dove confluiranno idee e macchinari per avviare la catena produttiva che porta alla produzione di quello che è stato ribattezzato come biodiesel e che in tempi, in cui il prezzo del petrolio vola alle stelle, sembra potersi candidare per sostituire i più tradizionali carburanti.
 L’Italia, in questo campo, è indietro. Deve ancora macinare chilometri ecologici per colmare la strada che separa la sperimentazione nazionale da quella di altre realtà come quella tedesca o francese, giusto per citare gli esempi più illuminanti in materia di carburanti alternativi e dal bassissimo potenziale inquinante. Basti pensare che nel nostro paese il rifornimento con carburanti alternativi a quelli convenzionali viene considerato fuori legge.
 Però si avvertono segnali di un cambiamento di rotta che va insinuandosi anche tra le grandi aziende. Non è un caso che anche la Saras, che andrà ad affiancare la Regione e la facoltà di Chimica dell’Università di Cagliari, dovrebbe avere un ruolo di primo piano nella fase finale, cioè della trasformazione del prodotto agricolo in carburante.
 Il progetto comunque è ancora in fieri e i dettagli che precedono la fase di avvio devono ancora essere definiti. Per ora, una serie di incontri tra addetti ai lavori e alcuni seminari hanno chiarito gli estremi di una sperimentazione che deve ancora essere scritta per intero, ma che andrà a ricalcare l’esempio di Livorno, dove già esiste un laboratorio sperimentale - unico in Italia - e dove tecnici, scienziati ed economisti lavorano già fianco a fianco.
 Sebbene il progetto si perda in vari ambiti, andando appunto a spaziare nel campo economico, in quello ambientale e in quello prettamente scietifico, l’idea nasce nelle stanze dell’assessorato all’agricoltura. I primi benefici infatti dovrebbero riguardare proprio uno dei settori produttivi più importanti dell’isola, ma che da tempo si vede costretto a confrontarsi con realtà troppo competitive per resisterne all’onda d’urto.
 Così si cercano nuovi spazi e nuove fette di mercato in cui inserirsi. L’Unione Europea finanzia infatti la produzione della colza, la cui coltura, che sarebbe tra l’altro facilitata da un clima come quello isolano, viene spesso utilizzata dai produttori di cereali, nelle annate in cui i campi devono essere messi a riposo secondo i cicli tradizionali dell’alternanza delle colture.
 L’Unione Europea non paga tantissimo (appena poche decine di euro per ettaro), ma, legando la coltivazione alla sperimentazione del biodiesel, si potrebbe aprire un ciclo produttivo interessante anche dal punto di vista economico.
 Sui vantaggi dal punto di vista ambientale, si è detto tanto in questi ultimi anni, nonostante il voluto ostracismo delle multinazionali del petrolio che, sino a poco tempo fa, non vedevano di buon occhio la produzione di carburanti alternativi. Poi la guerra e la crisi del prezzo del petrolio sembrano portare verso la direzione degli eco-carburanti.
 Ci si sta provando con la colza, ma anche col girasole. L’impatto ambientale legato al consumo di questa benzina è praticamente nullo - questo è ovviamente il primo e irrinunciabile vantaggio -, la compatibilità coi motori delle automobili è perfetta, il costo al litro è all’incirca pari alla metà di quello della benzina derivata dal petrolio.
 Lo stesso Diesel, inventore del motore a scoppio, credeva che nel giro di pochi anni il petrolio sarebbe stato soppiantato da nuovi carburanti. In ritardo di un secolo, il mondo ci sta provando.
 
 
 

  
7 - Il Mattino
Laurea honoris causa in Economia
al comandante generale della Guardia di finanza
Capua. Un milione e mezzo di euro: è il volume di affari della contraffazione e della pirateria audiovisiva in Italia. Ma secondo alcune associazioni di categoria, la cifra sarebbe approssimata per difetto: per i falsi bisognerebbe parlare addirittura di valori compresi tra 3,5 e 7 miliardi di euro. Lo ha detto ieri a Capua il comandante generale della Guardia di finanza, Roberto Speciale, che ha ricevuto - è la prima volta nella storia delle Fiamme Gialle - la laurea honoris causa in Economia e commercio della Seconda Università di Napoli dalle mani del Rettore Antonio Grella. Nella sua lectio magistralis (presenti tra gli altri i sottosegretari Giuliano e Zinzi, gli assessori regionali Montemarano e Armato, il presidente del consiglio regionale Sandra Mastella e i più alti ufficiali del corpo), Speciale ha offerto un’aggiornata analisi del fenomeno. Il Napoletano resta la capitale della produzione di merci contraffatte ma l’hinterland milanese e la provincia di Prato, dove è preponderante la presenza di cinesi, non sono da meno. Sono aumentati per la verità gli interventi della Finanza (oltre 25 mila nel periodo 2003-2004, sequestrati 129 milioni di pezzi) ma non basta. Non solo, ha spiegato Speciale, per l’effetto Cina ma anche perché questi fenomeni «non sono evidentemente percepiti quali fenomenologie criminali da parte dei cittadini, non bene informati sui rilevanti effetti negativi che ne derivano». La consegna della laurea è coincisa con l’inaugurazione della nuova sede di Economia di cui è preside Vincenzo Maggioni, ricavata da un ex convento risalente al decimo secolo dopo Cristo. n.sant.
 

Questionario e social

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