UniCa UniCa News Rassegna stampa Domenica 27 novembre 2005

Domenica 27 novembre 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
27 novembre 2005
Ufficio Stampa
Università degli Studi di Cagliari

1 - L’Unione Sarda
Pagina 5 – Cronaca regionale
Manuale per rottamare i manager
Franco Meloni: ecco perché sono stato costretto a dimettermi
di GIORGIO PISANO
Colpito e affondato dall’assessore regionale alla Sanità, Franco Meloni, manager dell’ospedale Brotzu di Cagliari, è uomo di destra che faceva benissimo una cosa di sinistra: garantire un’assistenza civile e decorosa. Considerato capace, anzi bravo, da amici e avversari. Perfino onesto (sport in estinzione). Ma allora perché è stato giustiziato? Figura tra i soci fondatori, se così si può dire, della più grande fabbrica della salute in Sardegna. Il Brotzu era un’incompiuta, un vuoto palazzone grigio quando - snobbando l’aperta ostilità delle cliniche private - hanno deciso di procedere, puntare dritti all’inaugurazione. Duemila dipendenti, gli ultimi quattro bilanci sono stati chiusi con un utile di oltre otto milioni di euro facendo crescere contemporaneamente il numero (+10 per cento) e la qualità dei ricoveri. L’indice di soddisfazione degli utenti sfiora il 94 per cento. Nell’isola nessun ospedale può vantare queste cifre, pochissimi in Italia. Replay: ma allora perché è stato giustiziato? Meloni ha iniziato a mettere il naso in questo campo quando la sanità confinava col far west. Clamorosa, alla fine degli anni ’70, la richiesta che il direttore di Rianimazione rivolse al presidente dello sgarrupatissimo San Giovanni di Dio: gentile signore, servono gatti, possibilmente non timidi, per fronteggiare l’arrembaggio in corsia di topi opulenti e spregiudicati. Anziché gatti piovvero giornalisti da tutta Europa. Preistoria, parentesi chiusa. Nato a Carbonia, Franco Meloni vedeva i capataz delle miniere circolare sulle Alfa 1900 nere. E in quel momento decise che avrebbe fatto l’ingegnere. Si iscrisse al Politecnico di Torino: quindici giorni furono più che sufficienti per suggerirgli la fuga. Laureato in Medicina, è diventato poi assistente all’università. Aveva davanti la classica carriera da barone quando un viaggio in Usa gli ha dato un’altra illuminazione: «Ho capito che non ero fatto per la ricerca. Richiede pazienza e senso dell’attesa: io non ne ho». Cinquantasette anni, sposato a una ricercatrice di Chimica degli alimenti, due figli, ha pulsioni tatcheriane e una fede dichiarata: «Sono un estremista liberale». Estremista che, per ragioni di compatibilità ambientale, ha trovato spazio tra i Riformatori. Ammette che gli capita d’essere arrogante, di non ascoltare abbastanza e con altrettanta serenità dichiara di possedere intelligenza e senso dell’umorismo. Non fa nulla, assolutamente nulla, per non risultare antipatico ma replica assicurando d’essere «in realtà simpaticissimo, talvolta perfino irresistibile». Nella buona e nella cattiva sorte ha sempre ricordato di provenire da una famiglia benestante. «Che c’entra? Diciamo che mi sono liberato dal bisogno fin da piccolo. Con tutto quello che questo comporta». Per esempio finire nel mare mostrum della sanità pubblica, dove galleggiano furti, asini e tangenti. Pur essendo un rispettoso servitore dello Stato (a lui piace dire civil servant richiamandosi ai colletti bianchi dell’Impero britannico), ha fatto spesso di testa sua. Per i trapianti (rene, cuore, fegato) non ha mai aspettato l’autorizzazione da Roma. «Avevamo le carte in regola ma non ci davano l’okay definitivo per dirottare gli organi su altri centri della penisola». Lobby, interessi palesi e occulti: anche in quel caso. Corruzione. «Sì. Una ditta mi ha proposto di chiudere un concordato per un miliardo di lire. A me sarebbero spettati cento milioni. E’ finita con un lodo arbitrale, si sono dovuti accontentare di 320 milioni». C’entra qualcosa, la politica, con la gestione di un ospedale? «Meno di quello che si pensa. La gente crede che nominiamo un primario perché ce lo chiede un politico». Perché, non è vero? «Non nel mio caso. Eppoi i politici chiedono altro». Cioè? «Squagliano i telefoni per proporti l’assunzione di un’impiegata, di una dattilografa...». Ma l’ospedale è o non è una sorgente di voti? «Non lo è. Dentro un ospedale come il Brotzu, più di 600 posti letto, c’è il medico di Forza Italia e quello dei Ds, c’è il sindacalista di una parte e quello della parte opposta». In che modo si infiltrano i politici? «Chiamano per commuoverti. Ti raccontano che quell’infermiera ha due bimbi piccolissimi: non si potrebbe trasferire? Quell’altra invece è orfana: anche se ha cinquant’anni». Chi ha privilegiato? «Le persone in cui ho creduto. In Medicina nucleare, anticipando la filosofia della Dirindin, ho nominato primario una milanese di 38 anni. Una fuoriclasse». Esiste una mafietta in camice bianco? «Certo che esiste. Esistono interessi in camice bianco, e non necessariamente negativi. Poi c’è anche il primario coglione: fa parte del gioco». Ha respinto molti assalti? «Molti. E qui ci fermiamo». Quanto conta per un manager l’assessore alla Sanità? «E’ fondamentale. Se non hai la fiducia dell’assessore, non puoi lavorare bene. Quello del manager è un mestiere da equilibrista: non lo puoi fare con un fucile puntato sulla schiena». Quella in corso nella sanità sarda è una lottizzazione? «Sì». Uguale a quella del centrodestra. «No, quelle erano meglio sul piano dei titoli e dei curricula». Sta dicendo che i nuovi dg sono miracolati? «No. La qualità di un dg si misura nel tempo. Voglio solo dire che sulla carta uno vale più dell’altro. Chicchi Trincas, manager uscente della Asl di Sanluri, ha molti più titoli di quello entrante. Che poi sarà pure migliore, ma questo è un altro discorso». In campagna elettorale si parlava di meritocrazia. «Si vede che hanno cambiato idea». Conosce Renato Soru? «Sì». Non sia orunese, dica di più. «Ho trovato fascinoso il messaggio che ha trasmesso prima dell’appuntamento elettorale. Io, che non l’ho votato, sono rimasto colpito». E poi deluso. «Tempo al tempo, troppo presto per dire che ha fallito. Sono rimasto deluso solo sul fronte della sanità. Io non contesto il suo diritto di cambiare i dg. Ma aveva detto: i bravi restano. Bene: allora perché me ne vado, perché mi hanno costretto ad andare via?» Che rapporti ha con l’assessore Nerina Dirindin? «Formalmente buoni. Nella sostanza, ho sempre avuto la sensazione di essere sopportato. Salvo una visita-lampo, non è mai venuta a visitare l’ospedale: a differenza di quello che ha fatto in tutta la Sardegna». Il motivo? «Forse aveva problemi a dire che al Brotzu tutto funzionava nel migliore dei modi o quasi. Credo che proprio questo abbia ritardato la mia fucilazione». Lei ha dato le dimissioni. In realtà è stato licenziato? «Dimesso, licenziato: che senso ha? Volevano che me ne andassi e me ne sono andato». Cosa pretendeva da lei l’assessore? «Mi ha chiesto di compiere un atto che consideravo poco dignitoso per me e addirittura distruttivo per la salute dell’ospedale». Le ha chiesto per caso di resuscitare un primario silurato e inquisito? «Non entro nei dettagli di quello che è stato un colloquio riservato. Dico solo che un certo atto avrebbe offeso la mia dignità e il buon nome del Brotzu». Perché non ha chinato il capo? «I civil servants non disobbedivano. Davanti a certe scelte, potevano scegliere se restare o andarsene. Ho scelto di andarmene». Si può dire che lei è stato bocciato per incompatibilità politica? «No. No perché non c’è un solo atto nella mia attività che sia stato contrario alla politica sanitaria della Giunta». Allora perché le hanno dato gli otto giorni? «Chiedetelo all’assessore Dirindin. Lei conosce sicuramente le ragioni». Mostri la pagella professionale. «Il Brotzu, ospedale che ho diretto per una ventina d’anni, ha una media di degenza pari a 5,4 giorni. Quella nazionale vola oltre i sei. Facciamo, facevamo, trentottomila ricoveri l’anno chiudendo in attivo». Quanto costa un ricovero? «In Medicina generale, il meno caro, oscilla fra i 300 e i 400 euro al giorno. In Rianimazione o in Terapia intensiva tocca i duemila». Perché questa differenza? «Macchine a parte, la Medicina è un reparto che ha bisogno di 25 infermieri per 40 posti letto. In Rianimazione ce ne sono trenta per dieci posti letto». Le attese. «Sono migliorate. In cardiochirurgia erano di diciotto mesi, oggi non arrivano a sessanta giorni». Assenteismo. «Nei limiti dell’accettabile». Un capolavoro. «Il Brotzu. Vent’anni fa la sanità pubblica di Cagliari era nei casermoni del Santissima Trinità, le stalle del vecchio ospedale civile. Il Brotzu è stato un esempio trainante per migliorare e migliorarsi». E i privati? «La medicina privata oggi è residuale rispetto alla sanità pubblica. Contrariamente a quanto teme l’assessore, siamo stati e siamo resistenti alle pressioni delle lobby». Mai denunciati colleghi alla Procura? «Sì, quattro o cinque volte. E’ una scelta dolorosa, che costa moltissimo». Licenziamenti? «Due. Uno per furto, un altro perché si esagerava con le telefonate porno. Con gli apparecchi dell’ospedale». Dove si può rubare in ospedale? «Sulle forniture. Riuscendoci, si guadagna bene». Quanti hanno remato contro? «Pochi. Penso e spero che la stragrande maggioranza dei dipendenti mi riconoscesse competenza e onestà». Quanti sono gli ospedali in attivo oggi in Sardegna? «Credo nessuno. Riescono a farcela le cliniche private che però non hanno il peso delle urgenze (Rianimazione, Pronto soccorso eccetera) e delle guardie (23 medici a turno)». Dove ha sbagliato? «Sicuramente in alcune nomine. La qualità professionale non mi ha fatto vedere difetti caratteriali. E’ un bel guaio se succede con un primariato». Rimpianti? «Nessuno. In Italia ci sono venti ospedali da Champions League. Il Brotzu arriva subito dopo. In quattro anni potrebbe fare il salto». Si sente in età da pensione? «No, però mi rendo conto che non ci sono le condizioni perché uno come me stia nella sanità pubblica. In questa sanità pubblica».
 
 2 -  L’Unione Sarda
Pagina 36 – Provincia di Cagliari
Capoterra. Sul Pai critica l’opposizione di centrodestra
Piano idrogeologico e vincoli: «La giunta ora dica la verità»
Saranno rimossi davvero i vincoli imposti dal Piano di assetto idrogeologico? E se sì, quando avverrà? Da più di un anno l’edilizia capoterrese è bloccata dal Pai. Per questo la giunta guidata dal sindaco Giorgio Marongiu, oltre a ricorrere al Tar, aveva commissionato all’Università di Cagliari uno studio che ha dimostrato come i rischi idrogeologici, grazie alle opere pubbliche realizzate in questi anni a seguito dell’alluvione del ’99, sia eccessivi e quindi vadano ridotti. «Gran parte del nostro territorio non è più a rischio», ha spiegato il sindaco, e siamo certi che la Regione rivedrà il Pai». Lo scontroMa l’opposizione contesta questo ottimismo e non rinuncia a criticare le dichiarazioni troppo ottimistiche dell’amministrazione comunale. «Stanno illudendo i capoterresi», tuona Pino Baire di Alleanza nazionale, «ci vorranno anni prima che i vincoli siano tolti perché bisognerà attendere il collaudo dei canali di guardia che non sono stati neanche completati». La giunta avrebbe voluto discutere lo studio dell’Università nel Consiglio comunale di venerdì. Ma la seduta è saltata per mancanza del numero legale. In aulaL’opposizione, infatti, ha approfittato di alcune assenze nella maggioranza e ha abbandonato l’aula. «Ci volevano imporre questo studio senza darci il tempo di valutarlo», protesta Gigi Frau di Capoterra città turistica. «Il documento era stato presentato in una seduta della commissione urbanistica convocata alle otto del mattino, in corrispondenza con altre riunioni, per impedirci di discuterne». Una scelta che ha scatenato la reazione di Nello Cappai (Udc): «Non conosco il merito del provvedimento, ma non accetto il metodo utilizzato dalla maggioranza, e perciò ho abbandonato l’assemblea». Ma dal centrosinistra arriva il contrattacco: «Nello Cappai, per quanto ci riguarda, non appartiene più a questa maggioranza», taglia corto Efisio Demuru (Ds), «lui e la minoranza dovranno spiegare ai loro elettori perché non hanno voluto votare un documento così importante per tutti i capoterresi. Un documento che sarà approvato comunque nel prossimo consiglio». Il centrodestra«Ogni volta che si è affrontata una questione importante per Capoterra abbiamo contribuito», sottolinea Mariano Marras (FI), «ma in questo caso sono stati loro a non coinvolgerci». Per l’altro esponente azzurro Franco Magi, «la verità è che è iniziata la campagna elettorale ed è in atto da parte della maggioranza un’ipocrita mistificazione della realtà: sanno benissimo che una delibera consiliare non potrà rimuovere i vincoli». Risponde Ettore Gasperini (Margherita): «L’opposizione dimentica un fatto oggettivo, e cioè i lavori che sono stati realizzati e che ci consentiranno di ottenere dalla giunta regionale, in tempi brevi, una rimozione dei vincoli».
Giuseppe Elia Monni
 
 


3 – La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Cagliari
Tumori, la speranza si fa strada
In un convegno il punto sulla ricerca: cure personalizzate e vaccini. Diminuisce la mortalità, raddoppiano le guarigioni
CAGLIARI. La ricerca per la lotta al cancro è a una svolta. Mentre sino a qualche anno fa l’attività era finalizzata alla malattia, ora si prende in considerazione il malato, con il riconoscimento che il trattamento delle patologie non può più essere generico ma deve essere personalizzato. La prevenzione, però, resta l’arma più efficace. E’ quanto emerso nell’incontro «La Ricerca che cura: presente e futuro», organizzato in città dal comitato regionale della Sardegna dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), nell’ambito della Giornata per la ricerca che ha coinvolto contemporaneamente 22 città italiane e che celebra i 40 anni dell’associazione.
 Un dibattito che ha stimolato i tanti interventi dei giovani presenti, soprattutto studenti della facoltà di Medicina e chirurgia, che hanno chiesto notizie sulle nuove cure e si sono interrogati sul loro ruolo come futuri medici. Angela Santoni, ricercatrice del Dipartimento di medicina sperimentale e patologia dell’Università «La Sapienza» di Roma, ha fatto il punto sulla ricerca di base portando all’attenzione i nuovi risultati sull’uso dei vaccini per alcuni casi di tumore. «Una vaccinazione antitumorale - ha spiegato - può essere terapeutica o preventiva e si deve sviluppare attraverso farmaci intelligenti e mirati che riconoscano i bersagli tumorali. L’ultima scoperta è il vaccino tetravalente, in grado di agire su quattro ceppi virali. Ci sono ancora piccoli numeri e piccoli casi da cui i ricercatori devono prendere spunto per estendere la ricerca e la cura a tanti casi». La classe medica futura, perciò - è stato sottolineato - deve essere consapevole, aperta e aggiornata attraverso lo studio perchè la scienza avanza. In attesa del vaccino, in questi anni la ricerca ha realizzato concreti passi in avanti. La guaribilità dal cancro è passata dal 30 al 60%, mentre la mortalità in Italia, negli ultimi dieci anni, è diminuita del 2%: 2.300 vite salvate. In Sardegna ogni anno si registrano 8.000 nuovi casi di tumori, in massima patologie che colpiscono il polmone, l’intestino e la mammella nelle donne. In genere il 5-10% dei casi è di natura ereditaria (genetica), mentre sale al 15-30% nel fattore ambientale. Nell’isola sono quattro i maggiori centri oncologici, due a Cagliari e due a Sassari.
 
 4 – La Nuova Sardegna
Pagina 23 - Sassari
Tumori, scarseggiano i fondi per la ricerca
SASSARI. Quarant’anni portati bene e l’orgoglio di avere operato sempre in prima linea nella lotta contro il male oscuro. Quest’anno la Giornata per la ricerca coincide con il quarantennale dell’Airc, l’Associazione della ricerca sul cancro fondata nel 1965 dall’ex ministro della Salute Umberto Veronesi. A Sassari la ricorrenza è stata celebrata con un convegno scientifico nell’aula magna della facoltà di Medicina.
 In Sardegna l’Airc, presieduta dall’avvocato Luigi Concas, è sbarcata quattordici anni fa, raccogliendo subito il consenso di undicimila persone. Oggi i soci sardi sono cinquantamila, ma ancora troppo pochi i progetti finanziati: solo 120mila euro a fronte di una popolazione di un milione e mezzo di abitanti. Lo ha rimarcato ieri, a margine del convegno, Giovanni Manca di Villermosa, presidente onorario dell’Airc Sardegna, che ha colto l’occasione per lanciare un appello. «Il contributo e la partecipazione dei giovani - ha detto Manca di Villermosa - sono determinanti nella lotta contro i tumori». La scaletta del convegno, a cui ha partecipato una folta delegazione di studenti delle superiori, prevedeva un collegamento in videoconferenza con la sala della Protomoteca del Campidoglio di Roma. Erano attesi gli interventi dell’ex ministro Umberto Veronesi e del presidente nazionale dell’Airc, Piero Sierra. Ma un disguido tecnico ha interrotto bruscamente la trasmissione.
 I lavori sono andati avanti con le relazioni di Francesco Feo e Rosa Maria Pascale del dipartimento di Scienze biomediche e di Roberto Manetti e Gianni Sanna della clinica Medica dell’Università di Sassari. I relatori hanno ripercorso la storia degli ultimi quarant’anni di ricerca per arrivare alle più recenti scoperte legate alla terapia genica.
 «Oggi si parla con disinvoltura di alterazioni delle cellule - ha spiegato Francesco Feo -, ma non va dimenticato che dietro quelle scoperte ci sono decenni di ricerche». L’Airc in Italia finanzia gran parte della ricerca oncologica e negli ultimi quarant’anni ha contribuito a cambiare radicalmente il concetto stesso di cancro. La diagnosi precoce e la farmaco-prevenzione sono solo due delle strade aperte dai ricercatori Airc, veri e propri agenti speciali con licenza di guarire.
 Le nuove tecniche diagnostiche permettono di individuare il male dalle origini mentre la medicina molecolare procede a passo sempre più spedito. La ricerca oggi viaggia nella direzione del potenziamento della risposta immunitaria e nella individuazione di terapie sempre più personalizzate. «Anche se a essere colpito è lo stesso organo - ha spiegato Rosa Maria Pascale - il tumore si sviluppa sempre in forme diverse a seconda dell’individuo». Per avere un’idea basti pensare che le forme tumorali censite sono oltre cento e ognuna presenta storie e sviluppo diversi.
 L’Airc, con sede a Milano, in Italia conta un milione e ottocentomila soci. Diverse le manifestazioni organizzate nel corso dell’anno per raccogliere fondi a sostegno della ricerca. Le più conosciute sono l’Azalea e le Arance della ricerca, che vedono impegnati soci e volontari nelle piazze e nei centri commerciali di tutta Italia.
Antonio Meloni

Questionario e social

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