UniCa UniCa News Rassegna stampa Mercoledì 21 dicembre 2005

Mercoledì 21 dicembre 2005

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
21 dicembre 2005
Ufficio stampa
Università degli Studi di Cagliari




1 – L’Unione Sarda
Pagina 19 – Cagliari e provincia
La carica dei sedicimila fuori corso
Un vero e proprio esercito. I fuori corso dell’Università di Cagliari nell’ultimo anno accademico hanno raggiunto il tetto dei 15.647. Quasi la metà degli iscritti che secondo i dati ufficiali dell’ufficio statistiche del Miur, nel 2004/2005, per l’ateneo cagliaritano, sono stati 32.139. Dunque con la riforma universitaria, e con l’introduzione del "3+2" le cose non sono cambiate. Anzi. A scorrere i numeri si nota che la crescita è stata graduale: 14.249 fuori corso nel 2002/2003, 15.089 l’anno accademico successivo, fino a registrare ulteriori 600 studenti che hanno sforato la normale durata del loro corso di laurea. Anche se confrontando i fuori corso con il totale degli iscritti sembra che un passo avanti ci sia stato: nel 2002/2003 gli iscritti erano 33.621, mentre nel 2003/2004 si persero oltre duemila studenti (31.328). L’anno scorso invece se è vero che sono aumentati i fuori corso, è altrettanto vero che sono aumentate le iscrizioni. Più donne che uomini: 20.097 iscrizioni femminili e 12.042 maschili. Dati in linea con il passato, e che si riflettono sui fuori corso, che infatti vedono le studentesse primeggiare con 9.736, contro i 5.911 studenti maschi. La palma della facoltà con il maggior numero di fuori corso spetta a Ingegneria (2.843) che precede di poco Scienze della formazione (2.728). Non a caso sono anche le due facoltà che nell’anno accademico appena concluso avevano più iscritti rispetto alle altre otto facoltà: Ingegneria con 5.733 studenti, Scienze della formazione con 4.808. Dove la percentuale dei fuori corso, rispetto agli iscritti, supera il 50 per cento, oltre a Scienze della formazione, è in Lingue e letterature straniere (923 su 1.717) e Giurisprudenza (2.459 su 3.983). Di poco varca la soglia anche Economia (1.663 su 3.202). Quasi tutte le facoltà hanno visto aumentare il numero dei fuori corso nel passaggio tra l’anno accademico 2002/2003 e 2003/2004. C’è poi chi ha migliorato: Economia, malgrado il dato negativo, ha ridotto i fuori corso di 600 rispetto al 2003/2004, Scienze Politiche di cento e Farmacia di trenta unità. A conti fatti l’ateneo di Cagliari è ancora troppo "vecchio".
Matteo Vercelli
 
Università. Dal 1973 a oggi ha sostenuto più esami di quelli previsti per conseguire il titolo in Scienze dell’educazione
«Inseguo la laurea da 32 anni»
Maddalena Tulifero: lo studio è passione, come la vita
Vita da studentessa. Maddalena Tulifero è fuori corso per scelta: da trentadue anni paga le tasse universitarie e promette a se stessa di discutere una tesi scritta quattro volte. È l’anno buono?
Certe persone si iscrivono all’università con la segreta speranza di non laurearsi mai. L’anno in cui Pinochet instaura la dittatura in Cile, Maddalena Tulifero inizia il suo percorso, durato fino ad oggi trentadue anni e un mese. Per lei studiare è una condizione dell’anima che l’accompagna da una vita. Ha la media del ventotto in ventuno esami, due in più di quelli necessari per la laurea in Pedagogia. Di tesi ne ha chieste tre, discussa neppure una. La quarta è quasi pronta: «Chissà che sia la volta buona». Quando si è iscritta? «In un anno lontanissimo, il 1973-74. Adesso ho quasi 50 anni. Dopo le magistrali scelsi Pedagogia, oggi diventata Scienze dell’educazione. Ho sostenuto gli esami del primo e del secondo anno regolarmente, con voti abbastanza alti. Nel 1976 mi sono sposata e ho avuto una bambina. Nel frattempo, ho trovato un posto di ruolo nella scuola. Nel ’78 ero a buon punto con gli esami, ne mancavano pochi. Poi mi sono occupata di tante altre cose, continuando a frequentare la facoltà. Nell’81 ero pronta a discutere la tesi. La mia vita è un’incompiuta e mi piace così com’è». Frequentava regolarmente le lezioni? «Sì, anche quelle di francese, nonostante non fossero nel mio piano di studi. Mi piaceva la lingua. Ho sempre amato la vita da studentessa». Il primo esame? «Storia del Risorgimento, con Giuseppe Serri, un 29 sul libretto». L’ultimo? «Critica del cinema». Ha sempre pagato le tasse universitarie? «I primi due anni hanno provveduto mamma e papà. Mi limitavo a vivere il ruolo di figlia. Poi la vita è cambiata: da allora ho sempre pagato io, qualche volta con pesanti more e arretrati». Sino ad oggi quanto è costata l’università? «Perché devo farmi del male? Sarei andata diverse volte in vacanza alle Maldive, questo lo posso dire». Negli anni Settanta la politica era sentita. Iscritta a un partito? «Il partito sardo d’azione, lo sono tuttora. Ho fondato anche un’associazione per la tutela degli emigrati sardi». Oggi la laurea vale quanto allora? «Ritengo che il valore non sia cambiato. Il percorso, sì, è stato modificato. Anche il rapporto tra professori e studenti è diverso. C’erano professori che ti affascinavano, ma anche mattoni. La cosa bella è che oggi ti seguono e c’è un contatto vivo con la materia. Il mio sogno è laurearmi e poi iscrivermi in Medicina, sono portata, il mio medico dice che ci azzecco..». A quando la laurea? «La tesi è sul fenomeno migratorio sardo. Me l’ha data il professor Aldo Accardo». Il 2006 è l’anno buono? «Chissà. Il piano di studi prevedeva diciannove esami, ne ho dati ventuno: tutti 29 e 30, due ventisette e un venti». Un consiglio a chi frequenta il primo anno? «Sono preoccupata perché ho una figlia di diciannove anni che si è appena iscritta. La più grande è già laureata. Vedo che è disorientata, negli ultimi due anni della scuola superiore gli alunni dovrebbero ricevere molte più informazioni. E invece sia la scuola sia l’università sono piuttosto distratte. Molti dicono: vorrei fare l’avvocato. Ma i giovani lo sanno che cos’è la professione forense? Temo che molti la immaginino più o meno come nei telefilm. Prima, però, molto prima, bisogna studiare il diritto e un sacco di altre belle cose». Professori che non ha stimato? «Sono in imbarazzo». Neppure uno? «Sì, mi pare si chiamasse Muti, insegnava sociologia, l’unico venti. È stato il mio secondo esame, uno choc. Era alto, magro, ossuto, un classico inglese con la faccia grigia, freddo, glaciale. Ero preparata, mi disse: signorina, non si può tentare la fortuna. Studiai ancora, tornai e mi ridiede venti». Possiamo pubblicare una sua foto? «Non mi sembra il caso. Non ho detto bugie, però la pubblicità non mi interessa».
Paolo Paolini
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 41 – Sassari
Sassari Imprenditori a lezione di turismo
Un progetto comunitario finanziato dal piano Interreg, con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo del settore turistico attraverso un corso di formazione per aziende del settore, è stato presentato nel pomeriggio di ieri nella sala Angioy del palazzo della Provincia. Al progetto, oltre all’amministrazione provinciale sassarese, sono stati interessati la provincia di Nuoro, il Bic Toscana e la Camera di commercio di Bastia, in Corsica. Nel corso dell’incontro, la facoltà di economia dell’Università di Sassari, coinvolta nell’iniziativa di cooperazione turistica, ha presentato le venti aziende selezionate che parteciperanno all’attività di formazione e di consulenza prevista da Comet.net. «Per raggiungere l’obiettivo finale - è stato spiegato nel corso dell’incontro - il programma di formazione, predisposto dall’organismo di Cooperazione mediterranea per il turismo per le venti aziende selezionate, opererà su quattro fronti: accrescere le competenze e favorirne lo scambio tra operatori turistici transfrontalieri; definire e condividere standard di qualità in termini di organizzazione, servizi e comunicazione; favorire l’adozione di tali standard; sviluppare un metodo di formazione ripetibile, anche in altri contesti turistici». I lavori sono stati introdotti da Francesco Morandi, preside di economia e docente di Diritto del turismo. Mentre le procedure che hanno condotto alla individuazione delle venti imprese selezionate sono state illustrate da Ornella Porcu, dell’ateneo sassarese. Ad essere ammessi alla selezione sono stati 6 alberghi, 4 agriturismo, 3 residence, 1 campeggio, 2 aziende di servizi turistici e 2 di turismo rurale, una agenzia di viaggi e servizi ed una di trasporti e servizi.
Giuseppe Florenzano
 
3 – L’Unione Sarda
Pagina 5 – Cronaca regionale
Enti Locali
Al via la rete telematica da 9,6 milioni di euro dovrà collegare Regione, Comuni e As
Sarà pronta entro l’estate del 2006 la nuova rete telematica che metterà in collegamento tramite canali in fibra ottica, Regione, Comuni e Asl. L’assessorato regionale degli Enti Locali ha assegnato lo scorso 16 dicembre, per un importo di 9.650.000 euro, i lavori per la realizzazione della nuova Rete Telematica. L’intervento, che sarà avviato dal prossimo anno, prevede la realizzazione di una rete a servizio della Regione, Enti locali, Asl, e pubblica amministrazione in genere, garantendo affidabilità, alte prestazioni ed anche gli opportuni livelli di sicurezza e riservatezza dei dati e delle informazioni. Sarà utilizzata una dorsale in fibra ottica che si sviluppa per oltre 1.100 km che collegherà nove punti di accesso distribuiti in ciascun capoluogo di provincia e sui quali andranno a connettersi le reti telematiche cittadine già realizzate di Cagliari, Sassari e Tempio Pausania, e quelle di prossima realizzazione in altre città. Alla rete saranno connessi i poli regionali per la ricerca scientifica, le università e - con l’interconnessione tra la Sardegna e il continente con un cavo sottomarino in fibra ottica - sarà aperta al mondo Internet. La fibra ottica assicura la disponibilità di banda pressoché illimitata, grazie anche alle tecnologie degli apparati previsti per la trasmissione dei dati, realizzando così la piattaforma idonea per l’interconnessione dei sistemi di telecomunicazione territoriali. Una parte dei costi (in particolare quelli relativi all’acquisizione della dorsale in fibra ottica, saranno compensati con la cessione da parte della Regione di due coppie di fibra ottica sulle tratte sottomarine del collegamento Sardegna Continente che rientrano, con altre, nella disponibilità della Regione attraverso il Consorzio Janna.
 
4 – L’Unione Sarda
Pagina 28 - Medio Campidano
Villacidro vuole i trenta e lode in Agraria
Villacidro candidata ad ospitare una sezione staccata della facoltà di Agraria di Sassari. Il progetto è ancora allo stato embrionale, ma negli ambienti della Provincia se ne parla ormai da qualche tempo. In città almeno due fabbricati sarebbero in grado di ospitare le lezioni: il palazzo del Seminario ? ma in questo caso sarebbe necessario il nulla osta del vescovo della diocesi Ales-Terralba, Giovanni Dettori ? e alcuni stabili della zona industriale. Comunque, parlare di dislocazione delle aule universitarie è per Rossella Pinna, assessore alla pubblica istruzione della Provincia, ancora «estremamente prematuro: prima dobbiamo decidere quale sarà il capoluogo del nuovo ente», spiega l’esponente politico, «solo allora si potrà cominciare a progettare l’Università nel Medio Campidano». E’ evidente: Pinna non vuole arroventare ulteriormente il clima politico, ma non nasconde che la facoltà d’Agraria nel Medio Campidano è nei progetti: «Abbiamo iniziato a dialogare con l’Ateneo sassarese», rivela l’assessore provinciale, «perché riteniamo che questo tipo di studi siano i più consoni alla vocazione economica del nostro territorio. Comunque, è ancora una fuga in avanti parlare di Villacidro come la sede di futuri corsi universitari». La prudenza è la stessa degli amministratori di Villacidro. «E’ un’ipotesi che va valutata con molta circospezione», spiega Dimitri Pibiri, assessore comunale alla cultura: «Non apprezzo come gli atenei stanno decentrando i loro corsi. Non solo: prima di parlare di Università a Villacidro, o nel Medio Campidano, è necessario che la Provincia discuta delle esigenze scolastiche del territorio e dei servizi connessi». Frequentare l’Università è per tutti gi studenti un’esperienza formativa di assoluto rilievo, un’esperienza didattica e umana capace di incidere profondamente nel loro futuro. «Credo che affrontare un tema così importante occorra un progetto organico», commenta Teresa Pani, vice sindaco di Villacidro: «Ad elaborarlo devono essere tutte le istanze territoriali: le città del Medio Campidano interessate, ma soprattutto il consiglio e la giunta della nuova Provincia». L’idea di una Università modellata nel territorio non affascina molti docenti universitari di Sassari. «I nostri corsi di studi sono frequentati da un esiguo numero di studenti, l’agricoltura in Sardegna langue», Antonello Cannas, docente della facoltà d’Agraria di Sassari, non ha dubbi: «Abbiamo molte difficoltà a gestire le sedi staccate di Oristano e Nuoro, non vedo perché si debbano sperperare altre risorse economiche importanti. La gemmazione della nostra facoltà non avrebbe alcun senso».
Paolo Salvatore Orru’




5 – La Nuova Sardegna
Pagina 18 - Fatto del giorno
Ricordo di un economista vero, un uomo a tutto tondo
Sylos Labini voleva salvare il capitalismo dai capitalisti
Senza memoria un nome, anche conosciuto, è un guscio vuoto. Vorrei cercare di riempire con un po’ di memoria il nome di Paolo Sylos Labini, morto una decina di giorni fa, affinché i tanto più giovani possano averne un ricordo.
 Un economista. E un uomo vero. Jean Tirole nel suo Theory of Industrial Organization, al capitolo 8, scrive: «Il modello più famoso di barriere all’entrata è il limit-pricing model (Bain 1956; Sylos Labini 1962; Modigliani 1958)». Tirole ha ragione, ma non è accurato nelle date. Oligopolio e progresso tecnico esce in edizione provvisoria nel 1956 (prima del libro di Bain) e nel 1957 nella versione definitiva italiana, che sarà tradotta con qualche revisione e qualche aggiunta negli Harvard Economic Studies nel 1962. L’articolo di Franco Modigliani (JPE, 1958) offre una formalizzazione dei risultati di Sylos Labini (e di Bain), che, come usa dire, furono path breaking nella teoria dell’oligopolio.
 Sylos Labini fu un ostinato economista quantitativo. Certo, non Var e Svar, non Garch e quant’altro. Ma raramente si muoveva senza raccogliere, elaborare, ordinare dati, a conforto e ispirazione delle sue elaborazioni. Più di trent’anni fa produsse un modello econometrico dell’economia italiana: un paleo-modello, oggi, ma uno dei primi allora, con quello bolognese di Nino Andreatta e quello anconetano di Giorgio Fuà.
 Sylos Labini colloquiava incessantemente con i più giovani, anche quando accademicamente non era nessuno e lo si andava a trovare a casa di sua madre, e li incoraggiava ad andare fuori d’Italia, a nutrirsi di quello che egli chiamava il brodo di cultura e di dibattito che un’università anglosassone poteva offrire. L’accademia ufficiale gli frappose pesanti barriere all’entrata (che solo Federico Caffè e pochissimi altri cercarono di rimuovere). Era considerato, Sylos Labini, non omogeneo col sistema, quasi un rivoluzionario.
 Rivoluzionario? Bisogna intendersi. Dell’ideologia, di ogni ideologia, da quella dei marxisti puri e duri a quella, più misera, degli studenti del ’68, era nemico insofferente; si ispirava agli economisti classici, ma non incoraggiò il programma della lost generation della disputa sulla teoria del capitale. Ma, per discendenza salveminiana e per fratellanza con Ernesto Rossi, non sopportava l’opportunismo perbenista ed era ragionato nemico di monopolisti protetti e di piccoli e grandi percettori di rendite private garantite dal potere pubblico: dei «padroni del vapore», come li chiamava Rossi, degli incumbents, come si direbbe oggi; dei «topi nel formaggio», come diceva lui. Da «onesto riformista», come si definiva, voleva (come voleva Ernesto Rossi) «salvare il capitalismo dai capitalisti», e anche l’Italia dagli italiani: un vaste programme, avrebbe detto Charles De Gaulle; ma un programma al quale Sylos Labini dedicò le sue energie, per comprendere mali e per suggerire rimedi.
 Servono alla comprensione i suoi saggi, del tutto innovativi, sulle classi sociali in Italia, ove, con uno sforzo straordinario di raccolta e classificazione di dati, dimostrava «l’ubiquità della piccola borghesia» - di una piccola borghesia ambigua e instabile, spalmata fra destra e sinistra - come carattere peculiare della realtà italiana. Fece scandalo, a sinistra, questo abbandono delle partizioni tradizionali. E tuttavia quel contributo si rivelò uno strumento potente per comprendere tante caratteristiche, sovente degenerative, della storia recente e della politica del nostro paese.
 Sylos Labini praticò incessantemente un riformismo di marca fabiana: quello che, se piove, cerca di trovare un ombrello invece di rinviare, bagnandosi, ai «ben altri» problemi che sono «a monte». Rifiutò prebende e incarichi - semmai era incline a sbattere porte - ma passò tanto tempo a cercare problemi specifici a cui proporre specifiche soluzioni, di cui sollecitava l’accoglimento con ansia quasi missionaria.
 Fu un economista vero; soprattutto - il che non necessariamente segue - fu un uomo vero, a tutto tondo. Paolo Sylos Labini merita memoria, e non solo il ricordo di un nome.
 
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 3 - Olbia
Progetto Moire, la società del dialogo
Sindacati e imprenditori al workshop promosso dall’Agenzia regionale del lavoro
Confronto sulle relazioni industriali, sulla flessibilità e sulla precarietà L’esperienza degli altri paesi europei
OLBIA. Promuovere il dialogo sociale europeo in Sardegna per migliorare le politiche del lavoro. E’ quanto si propone il progetto transnazionale «Moire» promosso dall’Agenzia regionale del lavoro e finanziato dall’Unione europea, approdato ieri in città dove si è svolto uno dei quattro workshop territoriali previsti (nelle province di Cagliari, Nuoro, Sulcis e Gallura). L’incontro si è tenuto nell’aula consiliare della Provincia, ed è stato sviluppato dai rappresentanti dell’Agenzia regionale del lavoro, Michele Valle (direttore), Marcello Cadeddu e Roberta Massidda.
 Valle, Cadeddu e Massidda hanno illustrato i contenuti e le finalità del progetto gestito in partnership con Cgil, Cisl e Uil della Sardegna, con i quattro sindacati di Belgio, Malta, Romania e Spagna, con il Centro studi relazioni industriali dell’Università di Cagliari e con l’ufficio della consigliera di parità regionale.
 Il dialogo sociale e la qualità delle relazioni industriali, è stato spiegato nell’incontro, sono al centro del modello sociale europeo, e sono indispensabili per contribuire alla crescita e all’occupazione: su questo concetto si basa il progetto che si propone, appunto, di promuovere il dialogo sociale nei paesi partner. Gli obiettivi comuni da raggiungere riguardano tre fenomeni tipici della modernizzazione e del cambiamento: la flessibilità e la precarietà, l’impegno delle lavoratrici madri nel loro duplice ruolo, e l’uscita morbida dal mondo del lavoro.
 Temi che vengono analizzati dal progetto nell’ottica di una nuova concezione del lavoro e che rappresentano tre moderne opportunità per migliorare il dialogo sociale a livello territoriale. Nel progetto vengono raffigurati dal mito delle 3 Moire: Cloto (tesse il filo della continuità tra i vari contratti), Lachesi (avvolge il filo tra i due ruoli di madre e lavoratrice), e Atropo (taglia il filo, ossia riduce l’orario di lavoro in maniera progressiva delle persone che si avvicinano al pensionamento).
 Su questi concetti si è sviluppato l’appuntamento di ieri (aperto dalla vice presidente della provincia Elena Burrai), al quale hanno dato il loro contributo anche i rappresentanti dei paesi partner, in particolare il Belgio con l’intervento di Vera Dos Santos Costa che ha parlato del ruolo delle organizzazioni sindacali nella crisi di un distretto industriale proponendo l’esempio specifico della regione di Limbourg.
 Al termine dell’illustrazione del progetto si è svolto il dibattito a cui hanno partecipato le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria locali.
Tiziana Simula
 
7 – La Nuova Sardegna
Pagina 27 - Sassari
UNIVERSITÀ
Pietro Luciano nuovo preside di Agraria guiderà le sedi di Sassari, Oristano e Nuoro
 SASSARI. È Pietro Luciano il nuovo preside della Facoltà di Agraria. Succede a Gavino Delrio, che ha lasciato l’incarico dopo averlo ricoperto per nove anni. Il nuovo preside, eletto con il 75 per cento dei voti dei 100 componenti il consiglio di facoltà (90 docenti, 3 rappresentanti del personale tecnico-amministrativo e 7 studenti), dovrà governare una struttura didattica particolarmente complessa con circa 1.200 studenti iscritti alle 7 lauree attualmente attivate, 3 delle quali gemmate a Nuoro (Scienze e tecnologie forestali ed ambientali) e Oristano (Tecnologie alimentari e Viticoltura).
 Pietro Luciano è nato nel 1952 a Sassari, città nella quale ha conseguito nel 1975 la laurea in Scienze Agrarie ed ha intrapreso la carriera universitaria, divenendo nel 2000 professore ordinario di Entomologia generale ed applicata. Ricopre da 10 anni anche l’incarico di docente di Entomologia forestale presso la sede gemmata di Nuoro. Profondamente legato alla Gallura, sua terra d’origine, ha da subito orientato l’attività di ricerca allo studio dell’entomofauna delle sugherete ed in particolare alla dinamica di popolazione delle specie più dannose di lepidotteri defogliatori, per le quali ha anche definito tecniche di monitoraggio e di lotta microbiologica.
 Attualmente è coordinatore del progetto Interreg Italia-Francia “Difesa del patrimonio boschivo a Quercus suber nella zona transfrontaliera sardo-corsa”.
 Nel programma del nuovo preside è posto in particolare risalto l’impegno a migliorare l’efficienza didattica della facoltà e il potenziamento delle sedi gemmate, con la creazione di posti di ruolo.
 Enfasi particolare è posta anche nel sottolineare l’opportunità che la Facoltà rilanci il rapporto con i nuovi enti regionali di ricerca in agricoltura (Agris) e di assistenza tecnica (Laore) nonché con le associazioni professionali agricole per concorrere attivamente alla soluzione dei gravi problemi che attualmente penalizzano l’agricoltura sarda.
 Si ipotizza infine la possibilità che la facoltà assuma una dimensione internazionale, offrendo attraverso risorse comunitarie, come attualmente già fatto in piccola scala, borse di studio e ospitalità a studenti stranieri ed in particolare a quelli dei paesi del Nord-Africa, con i quali diversi docenti e ricercatori di Sassari già cooperano.
 
8 – La Nuova Sardegna
Pagina 24 - Sassari
Antonello Mattone nominato nuovo presidente dell’Ersu
Il docente universitario scelto da Soru con l’avvocato Giuseppe Masala e Antonello Peru
SASSARI. Il professor Antonello Mattone è il nuovo presidente dell’Ersu (ente regionale studi universitari) che sarà affiancato dall’avvocato Giuseppe Masala, espresso dal centrosinistra e dall’ex vicesindaco di Sorso Antonello Peru, espresso dal centrodestra.
 La nomina del professor Mattone era nell’aria da tempo, ma è stata firmata soltanto ieri mattina dal presidente della Giunta regionale, Renato Soru, a causa di alcuni contrasti sorti all’interno della coalizione di centrosinistra.
 Antonello Mattone è professore universitario, direttore del Dipartimento di storia, vicepreside della facoltà di Scienze politiche e delegato del rettore per le attività culturali dell’università di Sassari. È stato presidente del Conservatorio musicale «Luigi Canepa» fino al 2000 e attualmente è vicepresidente dell’Ente concerti «Marialisa De Carolis».
 L’ultimo universitario a ricoprire l’incarico di presidente dell’Ersu è stato il professor Giuseppe Scanu, docente di geografia nella facoltà di Lettere. Ma prima ancora, quando ancora si chiamava Opera universitaria, presidenti sono stati altri due illustri professori che sono stati anche Rettori magnifici dell’università di Sassari: Antonio Milella e Giovanni Palmieri.
 Il professor Antonello Mattone prende il posto di Maria Paola Pasella e arriva all’Ersu in un momento particolarmente delicato e difficile visto che da mesi l’ente per il diritto allo studio era privo di consiglio di amministrazione.
 Il cda era stato sciolto a settembre e da allora mancava soltanto la nomina dei tre componenti politici perchè sono già stati eletti il rappresentante degli studenti, Simone Campus, e quello dei docenti, Giorgio Pintore.
 Gli altri due componenti di nomina poltitica sono l’avvocato Giuseppe Masala, espressione del centrosinistra e l’ex vicesindaco di Sorso Antonello Peru che di recente è stato anche eletto nel consiglio nazionale dell’Anci.
 
9 – La Nuova Sardegna
Pagina 24 - Sassari
Parte Comet.net scuola di turismo per venti aziende
SASSARI. Aziende a scuola di turismo, con un percorso formativo disegnato su misura. Parte Comet.net, un progetto comunitario finanziato dal piano Interreg, che coinvolge la Provincia di Sassari, quella di Nuoro, il Bic Toscana e la Camera di commercio di Bastia, in Corsica. Nei giorni scorsi la facoltà di Economia dell’università di Sassari (che lavora all’iniziativa di cooperazione turistica attraverso una convenzione con la Provincia), ha completato la selezione delle venti aziende inserite nell’attività di formazione e di consulenza prevista da Comet.net. Obiettivo del progetto comunitario quello di accrescere le competenze e favorirne lo scambio tra operatori turistici transfrontalieri, insieme con la definizione degli standard di qualità in termini di organizzazione, servizi e comunicazione, e lo sviluppo di un metodo di formazione trasferibile e ripetibile anche in altri contesti. Ieri, nella sala Angioy della Provincia, il primo incontro con le imprese turistiche selezionate, in occasione del workshop organizzato per presentare il progetto e le attività programmate per i prossimi mesi. Il programma di Comet.net è stato presentato dal presidente della Provincia di Sassari, Alessandra Giudici, dall’assessore provinciale al Turismo, Marco Di Gangi, da Francesco Morandi, preside di Economia e docente di Diritto del Turismo, da Marco Caredda, rappresentante della Item, da Ornella Porcu e Andrea Franco della facoltà di Economia. Al centro dei lavori anche l’importanza della certificazione delle imprese in campo turistico e il rapporto tra certificazione e qualità dell’offerta. Hotel Alma Pilastru, Motus in Sardinia, L’isola che c’è, Albergo Ariadimari, S’Aidu, Equorea-servizi turistici, Gesaral, Agriturismo Desole, Agriturismo I vigneti, Agriturismo Nuraghe Tuttusoni, Agriturismo, Jannelias, Hotel Angedras, Gredos, Grindi tourist service, Vista Villane, Hotel Borgo di campagna, Albergo Corallo, Camping La Liccia, Club Hotel Baia Verde, sono le venti aziende che parteciperanno al progetto, che prevede anche iniziative di marketing e promozione, con l’inserimento nel circuito e nel sito web degli operatori turistici corsi, sardi e toscani e nella rete dei punti di informazione e accoglienza della Provincia.
Angela Recino
 
10 – La Nuova Sardegna
Pagina 6 - Sardegna
ENTI LOCALI
Telematica, sì alla nuova rete
CAGLIARI. L’assessorato agli Enti Locali ha assegnato per un importo di 9.650.000 euro, i lavori per la realizzazione della nuova rete telematica.
 L’intervento, che sarà avviato dal prossimo anno, prevede la realizzazione di una rete a servizio dell’amministrazione regionale, degli Enti locali, delle Asl, e della pubblica amministrazione in genere, garantendo affidabilità, alte prestazioni ed anche gli opportuni livelli di sicurezza e riservatezza dei dati e delle informazioni. Sarà realizzata con l’impiego d’una dorsale in fibra ottica che si sviluppa per oltre 1.100 km sull’intero territorio regionale, e che collegherà nove punti di accesso distribuiti in ciascun capoluogo di provincia e sui quali andranno a connettersi le reti telematiche cittadine di Cagliari, Sassari e Tempio già realizzate, e quelle di prossima realizzazione in altre città. Alla rete telematica saranno connessi i poli regionali per la ricerca scientifica, le università e, grazie all’interconnessione tra la Sardegna ed il continente con un cavo sottomarino in fibra ottica, sarà aperta al mondo Internet e virtualmente estesa a livello internazionale. L’impiego della fibra ottica assicura la disponibilità di banda pressochè illimitata, grazie anche alle tecnologie degli apparati previsti per la trasmissione dei dati, (fonia, immagini, ecc.), realizzando così la piattaforma idonea per l’interconnessione dei vari sistemi di telecomunicazione territoriali.
 Con il completamento del progetto si potrà disporre di una capillare copertura territoriale a servizio della pubblica amministrazione.
 
11 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Sardegna
«Giudici indipendenti per salvaguardare i principi costituzionali»
Parla l’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky, a lungo docente anche a Sassari
di Pier Giorgio Pinna
«Non seguirai la maggioranza per agire male». E’ il monito lanciato ai giudici di ogni tempo dalle pagine dell’«Esodo». All’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky la citazione della Bibbia serve per far meglio comprendere le funzioni della Consulta nel suo nuovo saggio. Libro che è anche lo spunto per una intervista su temi di stretta attualità. Il volume, pubblicato da Einaudi, s’intitola «Principi e voti - La Corte costituzionale e la politica». Tocca argomenti e problemi davvero interessanti: l’autonomia dei magistrati, le basi dell’ordinamento giuridico, gli equilibri tra poteri dello Stato, i differenti modi d’interpretare le attività di chi li esercita. Con spiegazioni all’altezza della levatura del personaggio. Ecco perché.
 Quando nel gennaio 2004 viene eletto presidente della Corte costituzionale, Zagrebelsky chiarisce subito due aspetti che gli sono sempre stati a cuore. Il primo: «La Consulta non esprime alcun indirizzo politico». Il secondo: «Nessuno pensi che la scelta riguardante la mia persona in quest’occasione possa essere interpretata come una decisione di natura politica».
 Ventisettesimo presidente, vice in precedenza per due anni (dal dicembre 2002), il docente esercita le funzioni di guida dell’istituzione per 8 mesi, fino al settembre 2004, quando scade il mandato di 9 anni alla Corte. Nato nel 1943 vicino a Torino, nel capoluogo piemontese l’ex presidente si laurea in Giurisprudenza nel ’66 (tesi in Diritto costituzionale con Leopoldo Elia, giuristi che ha fatto scuola). A nominarlo giudice costituzionale, il 13 settembre 1995, è il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. In precedenza, una carriera ricca di riconoscimenti. Che inizia come ricercatore al Cnr e poi assistente a Torino di Istituzioni di diritto pubblico nella facoltà di Economia e commercio.
 Nel 1967, diploma di primo grado della Facultè Internationale de Droit comparè di Strasburgo. Dal ’69 libero docente di Istituzioni di diritto pubblico, arriva a Sassari all’età di appena 26 anni, per l’epoca il più giovane professore universitario d’Italia. Nell’anno accademico successivo diventa incaricato di Costituzionale italiano e comparato nella facoltà di Legge. Dove in seguito tiene i corsi di Istituzioni di diritto pubblico e Costituzionale. Sempre a Sassari, è poi professore di Diritto costituzionale, ancora in Giurisprudenza, per altri tre anni. Nel ’78 è chiamato a Torino in Scienze politiche, cattedra di Diritto costituzionale italiano e comparato.
 Schivo e riservatissimo, Zagrebelsky ha sempre limitato al massimo incontri pubblici e rapporti con la stampa. Socio dell’Accademia dei Lincei, dopo i nove anni alla Consulta ha ripreso l’attività di docente a Torino.
 - Professor Zagrebelsky, leggendo il suo saggio si ha l’impressione che lei parli dell’attività della Corte costituzionale come di un’istituzione quasi non collocabile nel nostro Paese: lontana, nel giusto e corretto operare, dalla realtà italiana di oggi.
 «A volte si può ricavare questa sensazione. In effetti io ho fatto parte di un collegio di persone che mi hanno stupito per qualità e impegno nel lavoro. Non so se, altrove, si operi con analoga dedizione e consapevolezza dei propri ruoli».
 - Lei, in premessa, spiega che la Consulta è forse la meno nota tra le istituzioni nazionali: il suo intento è dunque divulgativo?
 «C’è sì quest’aspetto: far conoscere meglio la Corte. Ma non è l’unico. Esiste soprattutto un valore di testimonianza. Un elemento che mi ha sempre colpito in maniera negativa è una diffusa considerazione secondo cui la Corte va considerata alla stregua di un organo politico, come il Parlamento o il Governo. Direi allora che sussiste un interesse di tipo teorico: l’idea che la Corte, come ogni altra istituzione, ha un “carattere” particolare, un suo spirito, uno specifico modo d’intendere il proprio ruolo».
 - Andrea Manzella ha rilevato su «Repubblica» che lei ricostruisce l’impasto di persone e regole, di bilanciamenti di forza e debolezze, di aperture e chiusure verso gli altri mondi di vita che costituisce l’«in sé» dell’istituzione come categoria angolare del diritto.
 «Le istituzioni sono sempre la somma, e la sintesi, tra norme giuridiche e persone. Persone con i loro rapporti, le loro relazioni. Così, entrando alla Corte, non tutti ne hanno la stessa idea. Io ho descritto la “mia”, quella di cui ho fatto parte. Può darsi che l’attuale sia diversa, senza che siano cambiate le norme: semplicemente tra i componenti può mutare la percezione dei propri ruoli».
 - Lei spiega come la Costituzione fissa «una volta per tutte» i principi di libertà e giustizia: quelle garanzie sono dunque immutabili sul piano più elevato del diritto?
 «La Costituzione stabilisce in via ordinaria diritti e principi. Questi vigono fino a quando, attivate procedure speciali e complesse previste dalla stessa Carta, non vengano modificati».
 - Le garanzie stabilite dalla Costituzione non appartengono alla politica, ma hanno una funzione politica: per quale ragione comprendere quest’apparente paradosso significa, come lei stesso afferma, «penetrare l’essenza della democrazia»?
 «Perché la funzione della Corte è politica, ma allo stesso tempo non appartiene alla politica. E’ essenziale al nostro modo d’intendere la democrazia, ma allo stesso tempo non viene dalla democrazia. Non sono controsensi, sebbene capirli non sia semplice. Soprattutto in un Paese come il nostro, dove la cultura politica è poco più dell’idea secondo cui tutto è questione di potere, di scambi di favori e dispetti tra le parti».
 - Può chiarire ulteriormente il concetto?
 «Esistono due nozioni di politica. Con la prima s’intende la politica come competizione per il potere. Ci si riferisce quindi ai confronti elettorali, a una concezione che vede contrapporsi avversari uno contro l’altro: uno vince, il secondo perde».
 - E l’altra nozione?
 «E’ più classica. Nelle sue prime enunciazioni viene addirittura da Aristotole. In questo caso s’interpreta la politica come un’attività che tende a creare non competizione, ma unità, convivenza. Persino amicizia, come dice lo stesso filosofo greco».
 - Dunque...
 «Dunque, la Corte costituzionale si preoccupa della politica in quest’ultima accezione. Ecco: si preoccupa della convivenza, della tutela dei principi comuni, di quei principi che devono essere rispettati da tutti perché solo così si crea un contesto di reciproca fiducia. In questa chiave, le elezioni non sono una competizione, diciamo così, all’ultimo sangue. Per cui, se uno le perde, non deve temere che il suo antagonista gli conculchi i diritti essenziali, lo metta alla berlina, lo proscriva, come avveniva nell’antichità. Al contrario, in questa concezione costituzionale della vita politica, chi vince sa che non può fare tutto. Come sa che ci sono cose intoccabili, al di fuori dei suoi poteri: i principi garantiti dalla Costituzione, appunto, su cui non si vota».
 - Le descrizioni che nel libro lei fa dell’attività della Consulta appaiono spesso caratterizzate da rituali quasi simbolici. E’ uno dei casi nei quali la forma e la prassi diventano sostanza giuridica?
 «Certo. La vita di tutte le istituzioni è interamente circondata da simboli. L’etimologia ci può essere d’aiuto per capire meglio: i simboli sono deliberazioni comuni. Elementi normalmente spirituali, rappresentazioni di concetti comuni sui quali tutti convengono».
 - Lei chiarisce che la Consulta decide «non sulla Costituzione, ma secondo la Costituzione»: che cosa intende con esattezza?
 «La Corte non è come un legislatore costituzionale che “fa la norma”: insomma non la produce ponendosi sullo stesso piano della Carta. Assume invece la Costituzione come qualcosa che sta al di sopra di sé: può dire soltanto ciò che dalla Costituzione risulta. In altri termini, la Corte applica la Costituzione, non la crea».
 - Lei si sofferma, e a lungo, sui meccanismi di formazione delle decisioni, precisando che i voti a maggioranza, nell’ambito dell’attività della Consulta, si rivelano comunque un errore. Per quale ragione?
 «Un errore è forse un po’ troppo. In realtà, quando non si forma un consenso molto ampio, appare inevitabile ricorrere alle votazioni. Però, proprio per la funzione della Corte, il più delle volte quelle votazioni si cerca di superarle. E, se esistono larghe convergenze, persino di renderle superflue. E’, questo, un fatto conforme all’idea secondo la quale sulla Costituzione non si vota: sempre per il motivo che la Carta, a causa della sua stessa “natura”, contiene principi sui quali non ci si pronuncia più».
 - Professor Zagrebelsky, lei scrive che i giudici costituzionali devono essere sempre loro stessi e non considerarsi «propaggini»: che cosa significa?
 «Vuol dire semplicemente che devono curare in modo particolare la loro indipendenza. Anzi, dovendo essere del tutto disinteressati, è nella maniera più assoluta necessario che agiscano in proprio, che non facciano insomma riferimento a “terzi”, siano essi delegati di parti politiche o rappresentanti di altri interessi sociali. Questo è del resto un principio che vale per tutti i giudici».
 - Dalla sua ultima opera emerge un quadro di comportamenti virtuosi e un quadro di situazioni effettive: come si concilia l’azione della Consulta con la realtà italiana attuale?
 «Una premessa, a costo di ripetermi: ho fatto parte di una Corte nella quale mi riconoscevo, specie per quanto concerne la regola di comportamenti conformi alla giustizia costituzionale. Non è detto che questa sia sempre stata la situazione del passato o quella che si concretizzerà. Io certo lo auspico, ma nessuno può scommettere sul futuro».
 - Ritiene che la riforma costituzionale varata dal Parlamento sia compatibile con la sostanza dei principi fissati dalla Carta? E che cosa pensa delle procedure di revisione utilizzate?
 «Preferisco intervenire solo sull’argomento al centro di questa conversazione, e cioè il ruolo dei giudici costituzionali. Con le innovazioni apportate cresce il numero dei membri della Corte di estrazione politica, siano designati dal capo dello Stato o vengano eletti dal Parlamento ha poco rilievo ai fini del discorso. A far sollevare interrogativi non è tanto un problema di rapporti tra Quirinale, maggioranze parlamentari e Corte: i giudici costituzionali restano in carica 9 anni, i componenti delle Camere 5, il presidente della Repubblica 7. Quindi col tempo mutano le situazioni di partenza e arrivo».
 - Allora quali sono le ragioni di preoccupazione?
 «Il pericolo è che nascano - al contrario di quanto può avvenire oggi - piccoli drappelli di giudici, magari tre o quattro, destinati ad arrivare alla Corte con una caratterizzazione politica molto netta. Con la conseguenza che al suo interno sorgano dei primi nuclei organizzati con maggioranze su basi politiche. Il che è la contraddizione dello spirito di un’istituzione dove ciascuno deve operare in solitudine, anche se poi le diverse opinioni si registrano e si considerano».
 - Un quadro allarmante già sul solo piano ipotetico.
 «E’ così. Guai a pensare che la Corte costituzionale possa diventare una sorta di Consiglio comunale, con un gruppo di maggioranza e uno di opposizione. Perché a quel punto si avrebbe un organo politicizzato. Ma nel senso della politica come competizione per il potere, non della politica come convivenza e unità alla quale si è fin qui ispirata la Corte nelle sue decisioni».

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