Lunedì 4 dicembre 2006

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
04 dicembre 2006
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 5 articoli delle testate giornalistiche La Nuova Sardegna e Il Sardegna

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 6 - Sardegna
«Un campus universitario proiettato sul Mediterraneo» 
L’architetto Paulo Mendes da Rocha: «Con la Sardegna la natura ha vinto il Nobel» 
Si presenta con sincera modestia (“Minha vida nao tem nada de extraordinario”, la mia vita non ha nulla di straordinario). Disegna una biografia che non sembra quella di uno che comunque lavora col cemento e col ferro armato ma di un ecologista-geografo. «Sono nato in Brasile, in un porto di mare, ho sempre vissuto tra acqua e vento, sogno su una barca a vela». Ammette, e non solo per il fair play di un lord in terra straniera: «Certo, nulla che si possa paragonare alla bellezza di Cagliari, vivete in una città di sogno. Con la Sardegna la natura ha vinto un Nobel», riconosce Paulo Mendes da Rocha, 78 anni, figlio di padre ingegnere navale e di madre italiana, Angelina De Renzi, 104 anni «ancora ben portati», insegnante. A tratti appare un sosia di Garcia Marquez, gli mancano i capelli ricci, ma ha lo stesso viso simpatico latino-americano, sicuramente lo stesso sorriso. Lui, Mendes da Rocha, un Nobel lo ha davvero. È il vincitore del premio Pritzer, il più prestigioso riconoscimento mondiale dell’architettura. Il suo professore per eccellenza: Elisario Bahiana («il più grande, il più bravo, progettava col cuore»). È stato allievo di Oscar Niemeyer e di Joao Batista Vilanova Artìgas, il genio carioca che sognava il compromesso fra arte e politica. Nel 1961 proprio Artìgas aveva chiamato Mendes - acclamato vincitore della sesta biennale - a insegnare alla facoltà di Urbanistica dell’università di San Paolo. Poi si assiste a un continuo crescendo. È suo il progetto del padiglione del Brasile a Osaka, suo il museo della scultura di San Paolo, suo il piano direttivo dell’università di Vigo in Spagna, sarà lui a disegnare la olimpiadi di Parigi nel 2012. E allora: anche questa Sardegna da Nobel può chiamare un professionista di tale levatura solo per progettare un campus universitario, anzi «mille residenze per studenti?». Un Nobel può creare solo un residence, anche se sul modello di quelli che - solo per fare un esempio - Carlo De Caro ha realizzato a Tokyo trasferendo in Giappone la cifra urbanistica del Colle dei Cappuccini di Urbino? L’ex semoleria di viale La Playa, a un passo dal porto e dal ponte in ferro della Scaffa, è certo uno spazio di eccellenza. Ma può bastare?
«No, io non progetto un campus», precisa durante una lunga passeggiata notturna nelle viuzze della Marina e di Stampace e, di primo mattino, davanti al mare di Su Siccu e della gradinata di Bonaria. È in questi scenari che, dice alla Nuova Sardegna, che «la vostra Isola è un’Isola navale, lo è stata al tempo dei Fenici fino ai giorni nostri, di questo passato marinaro dovete farne un pilastro culturale ed economico». Camminando tra via Sardegna e via Azuni, fra palazzine rimesse a nuovo e tante case cadenti, dice: «Un centro storico deve essere antico a Cagliari come a Sassari, come in tutte le città del mondo. Ma antico non deve voler dire vecchio o decadente. Ogni città sarda è una città ideale, ma tutte vanno amate a curate perché sono la casa dell’uomo». Eccolo davanti alla Darsena, sullo sfondo il blu dei monti di Capoterra e Pula. Insiste: «Cagliari deve essere pensata col mare e nel mare, col vento e nel vento, l’architettura può, deve interpretare l’uomo che vive nel mare e nel vento».
 Sono solo idee, idee stimolanti, che possono smuovere le acque sicuramente chete di un capoluogo (e di un’Isola) che sa vivere solo di edilizia e cantieri, che pensa a costruire case su case, ma senza progetto, senza «amare e curare» la città come direbbe Mendes. Il quale sottolinea che a Cagliari «la meraviglia suprema è questa presenza del mare davanti alle case, la spiaggia del Poetto davanti al salotto e alla camera da letto». È ospite del presidente dell’Ersu (Ente regionale per il diritto allo studio) Christian Solinas che voleva gli appartamenti-campus per mille studenti. Va a disegnare e progettare nello studio di un architetto cagliaritano, Francesco Deplano. Conversa con giovani ingegneri e altri architetti. Incontra studenti e politici al T Hotel di piazza Giovanni, parla a lungo col presidente della Regione Renato Soru. È Soru a precisare lo stato dell’arte: «Ciò che dice Mendes non è la proposta della Regione oggi, per Cagliari, o la proposta dell’Ersu, però è uno stimolo per discutere di Cagliari, credo ci inviti a osare, con l’idea di quello che dovremmo fare veramente per Cagliari».
A tarda sera conversa con i cronisti. È una conversazione piacevole, insolita. Parla della città dove è nato, Vitoria, capitale dello Stato dell’Epirito Santo, della sua casa di San Paolo (25 milioni di abitanti) nel quartiere della medio-alta borgesia di Butanta. Si entusiasma parlando di barche a vela e tennis, ricorda le sue partecipazioni alle regate oceaniche “Finis terrae”, si confessa studioso della filosofia («i filosofi sono i veri architetti del pensiero»), è un ammiratore del poeta greco Esiodo, conosce per intero “Le opere e i giorni” e soprattutto la “Teogonia” sull’origine degli dei e del cosmo. Dice che «le parole sono per un poeta come le pietre di una cattedrale per un architetto». In via Roma, davanti al Consiglio regionale, si ferma davanti alle sculture di Costantino Nivola. Chiede:
 - «In quale paese è nato?»
 - A Orani, nel centro della Sardegna.
 - «Un paese di montagne, di rocce?»
- Sì, rocce di granito e di marmo. E cave di talco.
«Nivola è stato un grande. Le sue sculture ricordano il mare, la madre mediterranea, vorrei visitare Orani, vedere i graffiti della sua chiesa. Lo farò quando ritorno in Sardegna».
 - Quando?
 - «Credo presto. Penso di tenere incontri con gli studenti di Ingegneria e Architettura, terrò seminari».
 Dopo la parentesi-Orani si parla di Cagliari e dell’Isola intera. Si capisce che questo quasi ottantenne ragiona e lavora su misure e su spazi che non sono i nostri, ha l’idea della pianura amazzonica non di quella del Campidano, della baia di Rio de Janeiro non del Golfo degli Angeli, della Serra do Mar non del Gennargentu. Per cui anche Cagliari - più piccola del più piccolo rione di San Paolo, - che ha però «la sua forte matrice nella navigazione va pensata e costruita sul fronte sconfinato del mare» con una università «che non può essere dimensionata per la popolazione locale, ma deve essere un’università di eccellenza per l’Europa, per l’America, per l’Asia, per l’Africa che dista da voi quattro bracciate a nuoto. La natura ha regalato alla Sardegna una posizione centrale nel Mediterraneo, va saputa sfruttare».
 - In che modo, architetto? Creando che cosa?
 -«Celebrando il trionfo della cultura, dell’avventura del mare. L’università di Cagliari può manifestare proprio la coscienza delle virtù del mare. Penso a un istituto delle scienze marine che tra l’altro già esiste: biologia marina, fisica marina, meccanica dei fluidi. Sarebbe grandioso concentrare ogni singola iniziativa nell’idea di un istituto della Scienza del mare, pensare ogni minima cosa come strumento di trasformazione della città. Immagino un edificio orizzontale, che sta sopraelevato sulla darsena. Tutto sarebbe in comunione col turismo. Ma stiamo attenti. Perché una città come Cagliari non può dipendere dal turismo».
 - Più concretamente?
 - «Cagliari deve essere bella per i suoi abitanti non per i turisti. I turisti - se è funzionale, se assicura servizi - verranno. Cagliari deve avere la coscienza del mare, del vento, della scienza, della navigazione, dell’importanza di quest’Isola straordinariamente ricca di storia e di arte. È geniale l’idea del museo di archeologia nuragica. Concordo col presidente Soru: Cagliari va vista come un centro mondiale di conoscenza, con una università diffusa, spalmata tra la gente, che venga sentita dai cittadini di Cagliari».
Provi a disegnare o, se vuole, a sognare con un progetto su Cagliari.
 «Qui, davanti al mare, vedrei, proprio al centro, l’aula magna di questo Istituto delle scienze marittime, con due vetrate sul mare, con apparecchiature scientifiche, microscopi elettronici, centrifughe, vasche, le attrezzature per le ricerche oceanografiche, tutta la scienza di domani».
 - Lei ipotizza un grande reattangolo sul mare, davanti a via Roma.
 - «Questo rettangolo, in scala appropriata, può diventare un centro di incontri internazionali, per la scienza, per il mercato, per i commerci. Le scienze del mare sono discipline universitarie, la storia del declino o del boom economico è legata al mare».
 - E questi cerchi in fronte mare?
 - «Sono un prototipo già sviluppato tra noi architetti per un parcheggio. Immaginiamo una soluzione intelligente con una rampa continua per la circolazione e il parcheggio, di traverso su due lati, fatta con un raggio di 60 metri. Una rampa praticamente orizzontale. Ci sono trenta metri di vuoto all’interno, è come una grande sala da ballo, di feste, commemorazioni».
La conversazione con Mendes si fa tecnica, non facile per un comune cronista. Parla di «grattacieli, proiezioni di sessanta metri di diametro, con un’altezza di 25 metri dove si possono portare 1200 automobili. E con una serranda di metallo, perforata per la ventilazione, sembra un edificio fantasma». Vedrebbe «un teatro, nella darsena, le barche possono entrarci dentro». Disegna «come un maestro navale una piattaforma bassa, scavata, con i navigli sotto il livello del mare. Immagino un ponte, con una dimensione lirica, un lirismo veneziano, la natura ve lo consente».
 - Qual è oggi la funzione dell’architetto?
 - «In questo momento, da qualsiasi parte del mondo, gli architetti sono chiamati per rivitalizzare le aree centrali. Chiedere questo è legittimo, realizzarlo è impossibile. Occorre invece fare in modo che queste aree non siano morte, antiche, ma non vecchie. L’unica maniera è sostenerle sempre, per fare in modo che la città viva. Oggi molte città sono morte, ferme. Immaginando gli edifici previsti nel progetto, alcuni grattacieli, una sopraelevata come la galleria di via Roma. A Cagliari via Roma può assumere un carattere da “Avenida”, l’idea base è sempre quella del fronte del mare visibile, in uno scenario sempre in movimento di navi e costruzioni. Ecco: questo è un progetto anche partendo dal pretesto di fare delle abitazioni per gli studenti universitari. L’idea di fondo è che tutto il mondo si disputi un posto in questa università sardo-cagliaritana, università del mondo dico, questa è l’idea. Tutta la baia del golfo degli Angeli deve essere studiata per accontentare gli interessi, le necessit, le urgenze della conoscenza umana».
 - Ci sono architetture che non le piacciono?
 - «Solo il tempo può dire se una costruzione è bella o brutta. Compito dell’architetto è contraddire la forza della natura. Con una vela si contraddice il vento, alla natura si contrappone la ragione, la filosofia dell’uomo».
 - Esiste una città ideale?
 - «Ogni città è ideale. Purché i centri storici non muoiano, né a Cagliari né a Sassari e neanche nei piccoli villaggi. Nei centri storici ha vissuto e vive l’uomo. L’uomo ha costruito i nuraghi, le piramidi, la cupola del Brunelleschi. L’uomo del 2000 costruisce con altri criteri».
 - Si aspettava il Nobel dell’architettura?
 - «No. Perché minha vida nao tem nada de extraordinario».
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 19 - Cultura e Spettacoli
I relatori al recente convegno internazionale 
Il cammino dei sardi tra arcaismi e modernità 
Si è svolto di recente, per iniziativa della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere e del Dipartimento di Scienze dei Linguaggi dell’Università di Sassari, il Convegno Internazionale di Studi Isola-Mondo. La Sardegna fra arcaismi e modernità (1718-1918). A questo importante appuntamento oltre a vari docenti dell’Ateneo sassarese hanno partecipato studiosi provenienti da diverse università italiane ed europee. Hanno aperto i lavori del convegno il Prorettore, Attilio Mastino, la Presidente della Provincia Alessandra Giudici e la Preside della Facoltà di Lingue Giulia Pissarello, nella sua veste di promotrice e organizzatrice dell’iniziativa. Per l’Ateneo di Sassari hanno presentato intervenuti Raffaele D’Agata, Giuseppe Contu, Fiamma Lussana, co-organizzatrice del Convegno, Carlo Schirru, Luigi Matt, Giovanni Lupinu, Maria Rita Fadda, Patrizia Manca, Simona Cocco, Giuseppe Serpillo, Giulia Pissarello, Giorgio Sale, Klaus Vogel, Simonetta Sanna, Stefano Brugnolo, Monica Farnetti, Massimo Onofri. I relatori esterni sono stati Éamonn Ó Ciárdha (Università dell’Ulster), Fiorenzo Toso (Università di Saarbrücken), Marco Santoro (Università di Roma “La Sapienza”), Károly Morvay (Università di Budapest), Stefano Adami (Università di Siena), John Douthwaite (Università di Genova), Giuseppe Marci e Mauro Pala (Università di Cagliari). Tema generale dell’iniziativa, condotta sulla base di diversi approcci metodologici e disciplinari, è stato il rapporto fra l’isola e il continente nella difficile transizione alla modernità, tipica dei due secoli della dominazione sabauda. Arcaismi/modernità, Lingue locali/lingua nazionale, Immagini dall’Isola/immagini dell’Isola, Periferia/mondo, sono state le quattro aree tematiche che hanno dato il titolo alle sessioni del Convegno. Storia, lingua e letteratura sono dunque state le chiavi interpretative per dar conto del difficile passaggio al moderno, dei suoi costi, ma anche delle sue prospettive. Dal confronto Isola-Mondo sono emersi caratteri, miti e riti della cultura regionale sarda che, anziché appiattirsi nella nebbia grigia e multiforme della società globale, si sono rivelati simboli forti e vitali di una tradizione culturale secolare e ricchissima. Un esempio dell’espressività forte di tale cultura è stato l’applauditissimo spettacolo dei Tenores di Bitti che si è svolto a conclusione della prima giornata del Convegno. Il rapporto Isola-Mondo è stato inoltre al centro della performance The International Storytelling, messa in scena da Richard Martin e Vera Spillner.
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 19 - Cultura e Spettacoli
Il ricercatore belga Guy Demortier sostiene che furono costruite sul posto 
Piramidi, una nuova teoria 
I blocchi furono modellati accanto ai monumenti 
Calcoli, grafici, ricostruzioni e un pò di fantasia: così Guy Demortier, dell’Università belga di Namur, va diritto per la sua strada nonostante debba confrontarsi con le teorie di schiere di predecessori che da secoli si misurano sul mistero delle piramidi e della loro costruzione. Come sono state edificate, come furono trasportati e sollevati i blocchi di pietra? Demortier sostiene che i blocchi sono stati modellati e realizzati sul posto, accanto ai monumenti, e non sulla riva destra del Nilo. Fra l’altro, il trasporto dei blocchi per via fluviale è un interrogativo rimasto ancora insoluto (vedi il peso dei blocchi). Il docente è giunto alle sue conclusioni, destinate a far discutere. «All’interno c’è del calcare naturale - ha detto al quotidiano La Derniere Heure - con una presenza di acqua dell’ordine del 10-15%, mentre il livello residuo nel calcare naturale non supera 1-2%». Stando a Demortrier, le forme usate per modellare le pietre al millimetro erano delle tavolette con scanalature e linguette che si incastravano l’una nell’altra. C’erano ingredienti solidi, trasportati sul fiume con le reti, e i liquidi che venivano travasati in otri e poi versati nelle forme già pronte. Queste erano rese assolutamente stagne dall’applicazione di un impasto nelle fessure: «gli ingredienti solidi erano soprattutto calcare degli immediati dintorni, il resto è costituito da un preparato a base di acqua con bicarbonato e carbonato naturale di sodio». Ma Demortier non si è fermato alla sua teoria sul trasporto dei materiali, ha praticamente simulato tutta l’attività e la fatica necessarie per la costruzione di edifici quali le piramidi in quell’epoca. La simulazione prende per buone le teorie finora esistenti dei blocchi approntati sull’altra riva del Nilo e poi trasportati e fatti salire di piano in piano per realizzare la piramide. Al professore belga, però, non tornano i calcoli concreti, quelli che tengono conto soprattutto che in tre o quattro secoli sono state costruite una trentina di piramidi: «quella di Keope è un edificio da due milioni e 600 mila metri cubi. Se è stata costruita in ventisei anni - la media descritta da Erodoto - significa 100 mila blocchi all’anno, ossia 300 al giorno. Considerando una giornata di lavoro di 10 ore vorrebbe dire che veniva trasportato un blocco ogni due secondi». 
 
4 – La Nuova Sardegna
 Pagina 19 - Cultura e Spettacoli
Una selezione di novelle per capire al di là degli stereotipi il mondo raccontato dal premio Nobel 
Deledda oltre la solitudine 
Imitata, rinnegata o ignorata resta ancora un modello 
La poetessa Antonella Anedda, premio Montale nel 1999, rivisita l’opera della scrittrice nuorese con uno sguardo volto alla modernità 
di Cristina Lavinio
Antonella Anedda è una ormai affermata poetessa romana di origine sarda. Autrice di varie raccolte di versi, ha vinto nel 1999 il Premio Montale. Quest’anno, intervistata da Lella Costa, è stata ospite del festival di poesia di Seneghe. Ha appena pubblicato, con Donzelli Editore, una propria scelta di novelle di Grazia Deledda, raccogliendole sotto il titolo «Come solitudine. Storie e novelle da un’isola».
 Nello scritto introduttivo, sotto l’egida della S., iniziale non solo della parola solitudine, ma anche di Stoccolma, senza sorriso, senza ironia?, scrivere, sonos’e memoria, sconforto, sorelle, selvatica, silenzio, stile, spaesamento, scelta, in brevi paragrafi introdotti di volta in volta da una o due di tali parole o espressioni, Antonella Anedda propone veloci e frammentarie annotazioni sulla Deledda e sulle novelle antologizzate. Il suo è un percorso volutamente e dichiaratamente soggettivo, fatto di impressioni e riscontri con suggestioni ricavate da altri numerosi scrittori e artisti sardi di ieri e di oggi: da Antonio Gramsci a Emilio Lussu o Giuseppe Dessì, da Sergio Atzeni a Luigi Pintor o a Maria Giacobbe, assieme a Maria Lai, Gianfranco Cabiddu, Paolo Fresu, tanto per citare alcuni dei tanti evocati e chiamati a raccolta per convalidare l’immagine ormai stereotipa dell’isola che Anedda finisce col ribadire: una Sardegna terra di silenzi e di pastori, dai grandi spazi battuti dal vento, dalle donne forti, energiche, capaci di grandi passioni.
 L’immagine della Sardegna che la narrativa deleddiana ha tanto contribuito a costruire è quella cui i lettori ‘continentali’ sono ormai abituati e affezionati. In fondo, proprio questo fatto sembra spiegare anche il successo recente di Salvatore Niffoi o quello, che data da più tempo, di Marcello Fois, i più deleddiani degli attuali scrittori nostrani, che non a caso la stessa Anedda cita più volte. Con la tranquilla certezza che quella deleddiana sia un’immagine profondamente vera e, soprattutto, ancora rispondente a una realtà sarda perennemente uguale a se stessa, Anedda procede a una rivisitazione di quello che per lei è anche un paesaggio dell’anima, visto con gli occhi di una sorta di propria ancestrale memoria. Guarda con ammirazione alla tenacia e determinazione della scrittrice che - dopo una giovinezza trascorsa in una Nuoro ancora più isolata e ‘sola’ di tutti gli altri luoghi, data la sua collocazione nel cuore remoto dell’isola - finì per saltare il mare e approdare alle glorie del Nobel, facendo della scrittura il modo per continuare a coltivare e, insieme, rompere la solitudine, compresa quella della “lontananza”, una volta abbandonata un’isola di cui però continuò sempre a scrivere. La scrittura infatti, secondo Anedda, ha bisogno di solitudine e, nello stesso tempo, serve per combatterla.
 Così dunque, ben cinquantacinque novelle della Deledda, disposte in ordine sparso e non corredate di alcuna informazione sulle raccolte e edizioni da cui sono state prelevate, vengono offerte ai lettori che, guidati anche dal titolo del volume, sicuramente potranno ritrovarci il tema della solitudine lì evidenziata. E vi troveranno tutti gli elementi del paesaggio umano, gli uomini e le donne dell’isola - sostiene Anedda - riproposti nella loro stretta contiguità con il mondo animale e con la natura tutta; potranno cogliere il loro carattere e vederne, per esempio, l’amarezza fatalistica, non propensa al sorriso; oppure le grandi passioni, le colpe, le vendette, le crudeltà e le violenze. Novelle molto note (come Il cinghialetto o La martora) e altre meno note (come Pace, L’esempio, La Melagrana, tanto per citarne alcune a caso) sfilano in questa antologia, con testi probabilmente ricavati dalla raccolta completa della produzione novellistica deleddiana curata anni fa, per i tipi della Ilisso, da Giovanna Cerina.
 Ma non si può dimenticare che, a monte dei testi selezionati per comporre questo volume, ci sono il gusto e le convinzioni della curatrice: i lettori finiranno così per leggere Grazia Deledda e Antonella Anedda insieme. Questa lettura potrà servire ad avvicinarli alla scrittura novellistica deleddiana se non la conoscono (e anche a capire meglio la poesia di Anedda). Indubbiamente, però, ci sarà bisogno di seguire percorsi ulteriori, se si vorrà sfuggire al pericolo di considerare come ‘statica’ e uniforme, appiattita in una dimensione atemporale, non solo la Sardegna narrata, ma anche una scrittrice come Grazia Deledda, che ebbe invece, nel corso degli anni, una notevole maturazione stilistica, oltre che svariate aperture tematiche, scrivendo cose notevoli anche di ambientazione non sarda. Al di là degli assaggi rapsodici e casuali, la sua produzione amplissima e variegata andrebbe conosciuta e studiata più attentamente, aiutandoci a capire meglio anche il panorama letterario della Sardegna di oggi, che continua a fare i conti con il modello deleddiano, sia che lo si accolga, sia che lo si rinneghi o si finga di ignorarlo. Come, dice a ragione Anedda, avviene per ogni madre.
1 – Il Sardegna
Grande Cagliari – pagina 27
L’innovazione. Un campus wi-fi per navigare nella rete senza connessione
Il futuro entra nell’università: internet senza fili in Cittadella
L’esperimento parte da Odontoiatria, presto attivo pure nell’orto botanico e in Ingegneria 
A passeggio per l’università mentre si naviga su internet. Così la cittadella universitaria diventa un campus wi-fi. Dove studenti e professori, dal mese di marzo, potranno connettersi gratuitamente anche stando seduti all’aperto. È il progetto nato nella facoltà di Odontoiatria, che si inserisce in un’iniziativa ancora più ampia che vedrà l’ateneo trasformarsi - entro la fine del 2007 - in una piattaforma multimediale con lezioni virtuali, gruppi di studio tra studenti che vivono in diverse parti del mondo, e la possibilità di avere un canale diretto con i docenti. Insomma , la tecnologia abbatte le barriere geografiche e nasce una comunità virtuale senza più confini. Ma i nuovi servizi non sono riservati solo agli studenti della cittadella di Monserrato: tra gli altri, si potrà utilizzare la tecnologia wi-fi anche nell’orto botanico, nella facoltà di Ingegneria o di Economia. «Il lavoro che abbiamo svolto», ha spiegato Vincenzo Piras, preside di Odontoiatria, «è a disposizione di tutti gli studenti e i docenti. Si è voluto migliorare e modernizzare le risorse». L’idea nasce proprio in Odontoiatria, dove già si utilizza il meccanismo informatico per le diagnosi, soprattutto per quelle delle patologie particolari. Quindi, si è deciso di spingere lo sguardo più avanti e creare un nuovo sistema accessibile a tutti. O meglio, solo ai docenti e agli studenti universitari. Che, già al momento dell’iscrizione, avranno una password che gli permetterà di utilizzare i nuovi servizi gratuiti. «Ci saranno», ha proseguito il professor Piras, «dei sistemi di sicurezza, per evitare che chiunque possa accedere alle aree riservate». Come quelle della segreteria o quelle dei singoli docenti. «La velocità di connessione», ha aggiunto l’ingegner Roberto Porcu, responsabile dei sistemi di comunicazione nell’università di Cagliari, «è ottima, e si può continuare a navigare anche spostandosi per il campus. Per utilizzare il sistema basta solo avere un computer portatile. Non solo internet gratuito: si creerà per la fine del 2007 «una vera comunità virtuale», ha precisato Porcu, «dove non ci saranno più confini e si potranno creare team di lavoro tra studenti di altre nazionalità».
Alessandra Loche

Questionario e social

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