UniCa UniCa News Rassegna stampa Domenica 17 settembre 2006

Domenica 17 settembre 2006

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
17 settembre 2006
Segnalati 2 articoli delle testate L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna

 
 
1 - L’Unione Sarda
Viaggi - Pagina 37
Storia della Santa Maria Bonaventura, e delle inutili precauzioni di Nicolao Pintor
Quando il corsaro Barbarossa imperversava in terra e mare
Quella nave cagliaritana a remi e vela assalita dai mori a Capo Serpentari
Il 18 agosto 1598 la Santa Maria Bonaventura salpò dal porto di Cagliari diretta a Tortolì per caricare 350 quintali di formaggio. Era una piccola nave a vela e a remi chiamata dagli spagnoli saetia. Una "saetta" dalle dimensioni ridotte per guadagnare in velocità e agilità nel caso di approdi difficili. Alla fine del Cinquecento, in Sardegna e con una simile imbarcazione, era meglio prendere il largo in primavera o d'estate. Il periodo era decisamente più favorevole alla navigazione e, nel malaugurato caso di un'incursione di pirati o corsari, sarebbe stato più facile cambiare rotta. Nicolao Pintor, il proprietario della saetta, aveva preso tutte le precauzioni per evitare il peggio. Peccato che fosse tutto inutile. Alla fonda vicino a Serpentara, nascosti e in attesa della piccola nave sarda, c'erano i corsari moreschi, coltello tra i denti e sciabola sfoderata. Fu razzia. La storia della Santa Maria Bonaventura e del suo tragico destino l'ha ricostruita Daniele Vacca, giovane studioso della Sardegna spagnola, nella sua tesi di dottorato discussa recentemente all'Università di Cagliari. Tutti i particolari sulla vicenda riemergono dal fondo "Regia amministrazione delle torri" custodito nell'Archivio di Stato di Cagliari. «Dopo la partenza della detta sagetia dal porto di Cagliari, per caricare nel porto di Tortolì i detti e altri formaggi, è stata svaligiata da due galeote di mori», si legge in uno dei documenti ritrovati dal ricercatore e tradotti dal catalano. «E tra le altre cose hanno preso, rotto o gettato in mare le tretes», le concessioni per la commercializzazione ed esportazione del formaggio. La piccola saetta fu depredata di tutto il carico. Tutto ciò che invece era stato considerato privo di valore fu gettato in mare dai corsari, comprese le due preziose concessioni, essenziali per trasportare e vendere il formaggio, delle quali erano titolari i mercanti cagliaritani Joan Antoni Marty e Montserrat Tristany. L'attacco avvenne di sorpresa anche a causa dell'insufficiente apparato difensivo della zona. È ipotizzabile addirittura che i mori avessero trascorso tutto l'inverno indisturbati nelle vicinanze della costa. Magari acquattati in qualche cala, o appostati dietro uno scoglio. A peggiorare la situazione si aggiungeva il fatto che nel 1598 a Serpentara non esisteva ancora una torre di avvistamento. Solo nel 1605 il luogotenente e capitano generale del Regno di Sardegna, Pedro Sanchez, decise di realizzare la fortificazione. «La costruzione della torre nel detto luogo dell'Isola di Serpentara era una cosa utile e conveniente e necessaria», attesta un documento dell'epoca riportato alla luce da Vacca, «considerando gli enormi danni che i nemici della nostra santa fede cattolica causano ogni giorno ai Cristiani per non aver riparo e luogo sicuro onde potersi ritirare in dette isole e nelle quali ogni giorno ci sono vascelli di nemici non visti dalla terraferma». La Sardegna, assieme a Sicilia e Baleari, poteva essere considerata una frontiera della cristianità nel Mediterraneo occidentale. Esposta ai continui attacchi barbareschi, bersaglio delle scorrerie che partivano dalla costa africana. Khair ed-Din detto "il Barbarossa" o Torghoud Dragut erano nomi che evocavano terrore. «Numerosi i Sardi, pescatori o abitanti della costa, che rapiti dai Barbareschi, andavano ogni anno ad ingrossare le file degli sventurati prigionieri o dei ricchi rinnegati ad Algeri», raccontava Fernand Braudel nel celebre Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II (Einaudi). Tra i tanti che abbracciarono la religione islamica dopo essere stati catturati dagli arabi, ci fu anche Hassan Agà, pastorello dell'isola di Asinara. Venne fatto prigioniero dal Barbarossa mentre portava al pascolo il gregge. Ma in poco tempo diventò pupillo e luogotenente del famoso corsaro di Algeri. Non a tutti però era riservato il trattamento speciale del giovane sardo. Molti dei deportati erano ridotti in schiavitù, come capitò a Miguel de Cervantes, l'autore di Don Chisciotte, poi liberato in seguito al pagamento di un riscatto. Oltre le coste, le spedizioni corsare affliggevano anche l'entroterra. Diversi i paesi del Campidano esposti verso il Golfo di Oristano ad essere raggiunti dai barbareschi: Terralba, Arcidano, Pabillonis, il villaggio scomparso di Bonorcili vicino a Mogoro. Uras fu letteralmente devastata dai predoni del mare. Una lapide in sardo ricorda la "visita" del Barbarossa: «A 5 de arbili 1546 esti istada isfatta sa villa de Uras de manus de turcus e morus effudi capitanu de morus Barbarossa». È anche vero però che questa immagine dell'arabo crudele ammazza cristiani in parte è stata costruita dai predicatori incaricati di riscuotere le imposte a sostegno della politica spagnola in nord-Africa, in parte era basata sulla misconoscenza e sul pregiudizio verso un nemico lontano e diverso. A ben vedere l'impero ottomano era più accogliente verso gli "infedeli" rispetto al mondo mediterraneo cattolico. Cristiani ortodossi ed ebrei in fuga dalla Spagna o da Venezia spesso si rifugiavano nei più tolleranti territori arabi. Tuttavia l'odio ideologico della Cristianità verso l'arabo era diffusissimo e pochissimi la pensavano come il filosofo calabrese Tommaso Campanella, auspice nel 1599 di un intervento liberatore musulmano nel Regno di Napoli allora sotto il controllo spagnolo, e per questa ragione arrestato. A parte sbattere in cella cospiratori come Campanella, dopo il 1574, anno della caduta di La Goletta sotto controllo islamico, una delle principali preoccupazioni della Spagna di Filippo II era quella di rafforzare i presidi del Mediterraneo occidentale. In questo "piano di difesa organico" viene inserita anche la Sardegna, spiega Giuseppe Mele, storico dell'Università di Sassari e autore del recente Torri e cannoni (Edes). Nonostante il suo modesto peso economico e demografico, ma non strategico, l'isola è interessata dal notevole intervento di irrobustimento difensivo. In più a Madrid si temeva anche il peggio. Si riteneva imminente un'invasione turca della Sardegna, fatto che spiega l'intensificazione dei lavori, il via vai di ingegneri militari nelle principali piazzeforti, la creazione di una struttura amministrativa centralizzata. L'invasione non ci fu ma le incursioni dal mare proseguirono. Serpentara è un esempio. Come un esempio sono gli attacchi tunisini a Carloforte, Sant'Antioco, Capo Carbonara sino ai primi anni dell'Ottocento, con annessi saccheggi e prigionieri. In seguito all'assalto all'isola tabarchina, nel 1799, furono catturati tutti gli abitanti. Più di 900 persone trasportate e tenute come schiavi in Tunisia. La liberazione arrivò solo dopo che il papa, i Savoia e altri sovrani cattolici, pagarono il consueto riscatto.
Walter Falgio

 
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Sardegna
Test a gravità zero made in Sassari
Esperimenti a bordo della stazione orbitale sui linfociti T «pigri»
Il lancio è previsto per domani con la Soyuz TMA-9
 
SANDRO MACCIOTTA
 
SASSARI. Alle 5.08 di domani, dal cosmodromo di Baikonur nel Kazahkistan, partirà la navetta sovietica Soyuz, destinazione la stazione spaziale orbitante Iss. Soyuz, oltre a trasportare la prima turista spaziale, l’imprenditrice iraniano-statunitense Anousheh Ansari, metterà in orbita un box per esperimenti di immunologia predisposto dal gruppo di biologia spaziale dell’università di Sassari.
 In realtà per i ricercatori dell’ateneo sassarese si tratta della seconda missione spaziale del 2006. In marzo, sempre con Soyuz, c’è stata una prima serie di esperimenti e ora, Mariantonietta Meloni e Grazia Galleri, fanno il bis col progetto Leukin, accettato sotto l’egida di un accordo tra Agenzia Spaziale Europea e Agenzia Federale Russa, che, dopo lo stop degli Shuttle, ha riaperto la Stazione spaziale internazionale ai ricercatori europei.
 L’esperimento è stato allestito in parte a Sassari e in parte a Zurigo (responsabile principale l’insigne biologo spaziale Augusto Cogoli) ed è stato quindi preparato per il volo dall’equipe sassarese a Baikonur dove Mariantonietta Meloni e Grazia Galleri si trovano da circa una settimana. Il materiale biologico per gli esperimenti sarà portato sulla Stazione spaziale dal vettore Soyuz TMA-9, l’esperimento sarà eseguito dall’astronauta tedesco Thomas Reiter, in orbita già da luglio.
 “In realtà - spiega la dottoressa Meloni - si tratta in parte di un re-flight, cioè una ripetizione del precedente esperimento andato perduto durante la tragica missione dello shuttle Columbia nel 2003. Gli spazi disponibili su Soyuz sono diversi da quelli dello Shuttle e così tutto l’esperimento è stato riadattato alle nuove condizioni del volo. Un lavoraccio che mi è costato il sacrificio delle ferie. Ma insieme alla mia collega ci gratifica non poco la possibilità di poter verificare, in microgravità reale, i risultati di anni di lavoro”.
 “Lo scopo dell’esperimento è studiare il meccanismo di azione che determina la diminuzione della risposta immunitaria dei linfociti T nello spazio, cioè in condizioni di assenza di gravità, un problema medico osservato negli astronauti fin dal rientro dell’Apollo.”
 “Gli approci sperimentali sul comportamento dei Linfociti T sottoposti a condizioni di assenza di gravità hanno dimostrato che la microgravità ha un drammatico effetto sull’attivazione dei linfociti T verso la risposta immunitaria. Le cellule immunitarie infatti, sono severamente influenzate dall’ambiente spaziale con alterazioni nell’espressione genica, nella produzione di citochine e nel movimento e mostrano una notevole perdita della loro capacità proliferativa con conseguente perdita della loro funzione biologica.”
 “Scoperta - aggiunge la dottoressa Meloni - confermata più tardi, dal nostro gruppo su cellule di sangue in coltura, in diverse missioni spaziali che hanno affrontato alcuni importanti aspetti dell’attivazione linfocitaria a gravità zero. In questa seconda missione Soyuz i linfociti T umani vengono isolati da donatori sani volontari presso il Cosmodromo di Baikonur e sistemati per il volo nelle apposite camerette di coltura. Una volta raggiunta la Stazione Spaziale Internazionale, vengono attivati nei modi e nei tempi stabiliti dall’astronauta, fissati e conservati fino al rientro. Quindi - aggiunge la dottoressa Meloni - saranno esaminati utilizzando sofisticate apparecchiature e metodiche di un grosso laboratorio di ricerca di San Francisco. Ci auguriamo di ricavare dall’esperimento nuove informazioni sulla regolazione genica di molte delle molecole che, impegnate nella difesa dell’organismo, avviano e traducono i segnali che portano alla risposta immunitaria del linfocita T verso gli agenti estranei”.
 “Il fine ultimo dei nostri studi è proprio quello di chiarire le tappe dell’”impigrimento” dei linfociti T a 0g e individuare quali sostanze potrebbero ripristinare la loro normale risposta immune. Anche se la depressione della risposta immunitaria durante e dopo il volo non pone l’astronauta di fronte ad un vero e proprio stato patologico, costituisce un problema biomedico di importanza vitale per il proseguo dell’attività umana nello spazio, in vista delle lunghe permanenze sulla Stazione spaziale e sulla prossima colonizzazione di Marte”.
 
 

 

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