Sabato 2 settembre 2006

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
02 settembre 2006

Segnalati n. 4 articoli delle testate: L'Unione Sarda e La Nuova Sardegna


1 - L'Unione Sarda
Provincia di Cagliari pagina 22
 Chiesto alla Regione un contributo di 7 milioni di euro
 Patto tra i comuni medievali: «Rinascono le ville dei nobili»
Sono trascorsi oltre cinquecento anni eppure a Mandas l'epoca medioevale non passa mai di moda. Soprattutto quando c'è da bussare in Regione per ottenere fondi o finanziamenti utili a risanare il paese. La nuova scommessa è ricostruire le case e le ville dove un tempo vivevano i nobili. Principi e signori che dal feudo di Mandas dettavano legge nell'intero territorio. Con questa strategia legata alla conoscenza storica e alle particolarità (anche architettoniche) del centro d'alta Trexenta negli ultimi cinque anni l'amministrazione ha rivoluzionato il centro storico. Una strada già tracciata dunque che continuerà ad essere percorsa grazie alla collaborazione stretta con gli altri paesi feudali sardi. I Comuni di Mandas, Laconi, Cuglieri, Orani, Sedilo, Villasor e Sanluri hanno predisposto il progetto pilota "Le terre dei feudatari: itinerario tra le grandi sedi feudali della Sardegna" e hanno chiesto alla Regione 7 milioni di euro da spendere per il recupero degli itinerari storici urbani. «In realtà non ci siamo inventati nulla», precisa il sindaco di Mandas Umberto Oppus, «abbiamo solo partecipato ad un bando della Regione denominato "Civis" aperto per rafforzare anche economicamente i centri minori». La novità infatti è un'altra. Il Comune di Mandas ha scelto di partecipare al bando Civis insieme alle amministrazioni legate alla rete feudale sarda ("Titolus") anziché sottoscrivere un accordo con i paesi della Trexenta. «Era un'opportunità che non potevamo lasciarsi sfuggire», continua Oppus. Di sicuro il progetto è ricco di fascino. I Comuni di Titolus hanno stipulato un protocollo con il Dipartimento di Architettura dell'Università di Cagliari per programmare gli interventi. La relazione presentata in Regione parla di «riqualificazione architettonica e urbana dei centri del feudo» e di «sviluppo di una politica turistico-culturale basata sulle grandi risorse del territorio». In pratica Mandas punta tutto sul recupero della via Cagliari: la via principale, già Strada o Camino Reale, dove un tempo risiedevano i nobili. E proprio i vecchi edifici dovranno riacquistare il loro antico splendore. La stessa cosa vale per gli altri centri. Ad esempio a Sedilo si punta alla riqualificazione del percorso urbano legato all'Ardia, a Laconi dell'itinerario devozionale di Sant'Ignazio. Lì dove un tempo risiedevano i nobili.
Severino Sirigu

 
 
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 39 - Cultura e Spettacoli
Accanto ai corsi dei vari strumenti, un laboratorio con Pino Ninfa, uno dei maggiori professionisti del settore
Come si diventa fotografo di concerti
L’improvvisazione, il passaggio al digitale: trucchi e segreti del mestiere
Durante i concerti che alla sera, nella casa natale di Grazia Deledda, animano i seminari jazz, da un anno a questa parte si agita tra il pubblico un gran numero di giovani fotografi. Sono gli allievi del laboratorio «Come un racconto chiamato jazz», diretto da un fotografo d’eccezione come Pino Ninfa, al suo secondo anno a Nuoro. Appartato e discreto come i grandi artisti, ha alle spalle esperienze da un capo all’altro del momdo. Non solo nel mondo dello spettacolo: ha lavorato per Emergency a un progetto sulle mine antiuomo, ed è solo l’ultimo di una serie di progetti e libri dedicati al sociale.
  Ma Pino Ninfa è soprattutto un fotografo di jazz, insegna la sua materia in vari corsi universitari, ha lavorato a lungo con le maggiori riviste nazionali, è stato il fotografo ufficiale di Umbria Jazz e lo è da dieci anni dell’Heineken Jammin Festival. «Come un racconto chiamato jazz» è anche il titolo di un suo reportage durato mesi e lungo migliaia di chilometri, da New Orleans a New York. Ultimo ma non per importanza, da 25 anni pubblica le sue immagini su Musica Jazz, la bibbia del settore.
  Con lui abbiamo parlato del corso che si svolge a Nuoro. «Il seminario è un po’ il frutto di vari workshop che da diversi anni tengo in giro per l’Italia, sia all’interno di festival sia in varie scuole. Anche se quello che facciamo qui è una cosa piuttosto unica in Italia, perché ci integriamo all’interno di corsi che sono riservati a chi impara o vuole comunque affinare l’uso del proprio strumento musicale. Ho pensato che fosse interessante, visto che mi occupo di musica e soprattutto di jazz, inserire anche la fotografia perché volevo capire cosa potesse accadere situando i corsi all’interno delle lezioni. Quest’anno abbiamo undici studenti, nuoresi e sardi in maggioranza, ma non solo».
  «Quello che cerchiamo di fare - continua Ninfa - è un discorso insieme filosofico e pratico. Tengo molto a far capire che il jazz è davvero un elemento importante per un fotografo, perché offre opportunità uniche. Prima fra tutte l’improvvisazione, che però deve essere frutto dell’esperienza, del saper guardare, ascoltare. Soprattutto di aver lavorato tanto in precedenza».
  - È importante anche conoscere la musica jazz, per esempio particolari tic dei suoi protagonisti?
  «Certo. All’inizio dei corsi ho mostrato il lavoro di Francis Wolf, il professionista americano degli anni ’50 e ’60, fotografo ufficiale dell’etichetta Blue Note. Abbiamo visto con i ragazzi cosa voleva dire fare immagini in quell’epopea del jazz e abbiamo fatto parallelismi con i nostri giorni».
  - Cosa cambia con la fotografia digitale?
  «Da qualche anno uso anche il digitale. Certo, io sono un grande appassionato del bianconero, la mia notorietà è dovuta soprattutto a questo, a come stampo, come propongo certe dinamiche di lavoro. Il digitale stravolge un po’ questa filosofia, la fa diventare altro...».
  - Ci sono però innegabili elementi di praticità...
  «Ci sono lati positivi, ovviamente. Io non demonizzo il digitale. Ma con dei distinguo. Faccio un esempio: all’interno del seminario facciamo un piccolo workshop sul ritratto, e ho notato che i ragazzi scattavano e continuavano ossessivamente a guardare nel visore il risultato ottenuto. Non serve, ho spiegato loro: fidatevi del vostro istinto».
  - L’uso del computer, e di software sempre più sofisticati, ha sostituito la camera oscura?
  «Beh, il computer è diventato fondamentale nel nostro lavoro, anche se non sono d’accordo sul fatto che abbia sostituito la camera oscura. Accade piuttosto che il bravo fotografo ora ha la possibilità di allargare il proprio modo di lavorare a situazioni che prima erano impensabili. E tutti noi “vecchi” professionisti abbiamo praticamente dovuto tornare a scuola per imparare, e dobbiamo aggiornarci in continuazione. E non sempre c’è il tempo per farlo».
  - Un consiglio ai giovani fotografi.
  «Bisogna aver voglia di guardare la vita, le cose. Sintonizzarsi con ciò che si ha intorno, e se poi la macchina ci dà questa possibilità ben venga. Però è necessario guardare, osservare. Resta il fatto che in Italia, rispetto ad altri paesi, esiste un problema di mancanza di cultura della fotografia, forse di sottovalutazione, che va superato». (paolo merlini)
 
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 22 - Sassari
La soddisfazione del sindaco: «L’area diventerà un gioiello» 
 
CASTELSARDO. È visibilmente soddisfatto il sindaco di Castelsardo Franco Cuccureddu per i ritrovamenti negli scavi archeologici nell’area situata vicino agli spalti Manganella. «Non mi aspettavo un patrimonio così ricco - dice -: centinaia di reperti in una zona che per tantissimi anni era stata completamente abbandonata, ha stupito un po’ tutti».
 «Le risorse che il comune ha ottenuto tramite finanziamenti comunitari - continua il sindaco di Castelsardo - sono stati riversati per finanziare tale iniziativa, compresa all’interno di un progetto più ampio e complesso. Rientra infatti tra gli undici inseriti nella valorizzazione delle sette città regie, e più precisamente si tratta del progetto relativo agli studi storici e agli scavi archeologici. Naturalmente è stato fondamentale il supporto del dipartimento di storiologia dell’Università di Sassari e alla supervisione e collaborazione della Sovrintendenza. Inoltre - aggiunge il sindaco - devo ricordare che sempre più Castelsardo fa parte di un circuito di turismo culturale e storico. Quest’anno abbiamo avuto incrementi di presenze turistiche in tutto l’arco dell’anno, in particolare a partire da maggio».
Giulio Favini
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 22 - Sassari
La storia antica del borgo dei Doria
Ritrovati i resti di uno scheletro e di una fortificazione
Consistente il patrimonio di reperti, le mura di cinta risalgono al 1300, periodo di dominazione genovese
 CASTELSARDO. Si concluderà oggi la campagna di scavi estiva sulle roccaforti medievali che non cessa di regalare sorprese di interesse storico e archeologico: il tesoro rinvenuto comprende una fortificazione muraria precedente al periodo spagnolo, reperti ceramici e un misterioso scheletro.
 L’équipe di esperti all’opera nel borgo dei Doria unisce le energie di Soprintendenza, nella persona del direttore Giuseppe Pitzalis (responsabile sullo scavo è invece Giovanni De Murtas), e Università, con la direzione dello scavo assegnata a Marco Milanese, docente dell’ateneo sassarese, che si affida sul posto alla competenza degli archeologi Giuseppe Padua e Luca Sanna.
  Prezioso e qualificato l’apporto di studenti e specializzandi delle Università di Sassari, Cagliari, Pisa, Viterbo e Napoli, e dagli atenei esteri di Valencia e Lugano approdati alla costa sarda con i progetti Erasmus. I lavori, con doverose interruzioni dovute alle stagioni, procedono dalla metà dello scorso anno e hanno già portato alla luce interessanti reperti ceramici: frammenti di piatti, vasi, vassoi, ma anche pipe e monete, sicuramente gettati nei pressi delle mura sin dal medioevo. Com’è infatti noto nella parlata castellanese il termine “muraglia” è sinonimo di “discarica”. Già dal medioevo la zona si riempiva di spazzatura e detriti tanto da costituire, in alcuni periodi, persino un pericolo per la sicurezza della città visto che il cumulo di rifiuti facilitava eventuali scalate alle mura di cinta.
  Interessante e di sicuro rilievo storico è invece la scoperta di una fortificazione precedente a quella medievale costruita dagli spagnoli, che sinora si pensava essere l’unica mai esistita. Qualche metro più arretrata è infatti venuta alla luce una precedente muraglia, databile attorno al 1350 e che fa pensare a una maggiore importanza assunta dal centro di Castelgenovese dopo la caduta di Alghero in mano catalana, nel 1354.
  In quest’ottica, il nuovo peso strategico assunto dalla piazzaforte potrebbe infatti aver reso necessario l’innalzamento di mura di cinta a difesa della città in uno dei pochi punti dove la natura non aveva già provveduto. La seconda fase, quella già nota che più o meno ricalca le mura conosciute ed evidenti, si potrebbe invece far risalire alla metà del 1600 quando le frequenti incursioni francesi sulle coste sarde convinsero gli spagnoli, che governavano l’isola a rinforzare le piazzaforti esistenti e a fortificarne di nuove per resistere ai tentativi di penetrazione transalpina. Una sorpresa, ancora misteriosa, è stato invece il rinvenimento di uno scheletro, integro, e databile, secondo i reperti ceramici che lo circondavano, alla metà del 1600. Si tratta senza alcun dubbio di un uomo, alto e robusto, deposto parallelamente al mare con il volto rivolto verso la città. L’utilizzo dell’area come luogo di sepoltura risale ai primi del 1800. Le ragioni per le quali un uomo sia stato sepolto in terra sconsacrata, invece che sotto il pavimento della chiesa come si usava allora, danno adito a numerose ipotesi: che fosse un infedele? Un suicida? Un operaio caduto mentre era impegnato nel luogo di lavoro? E la direzione della testa verso la città è data solo da un cedimento strutturale delle ossa o ha un significato particolare?
  Per il momento si possono solo azzardare ipotesi, più o meno verosimili, sino a un’attenta analisi dello scheletro che ora è custodito nei depositi della Soprintendenza ai beni archeologici.
Donatella Sini
 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 6 - Sardegna
Ricercatore sassarese sperimenta due minicapsule per la diagnosi precoce del carcinoma gastrico
Tumori, c’è una speranza in più
Pietro Muretto, che lavora a Pesaro, spiega il suo «metodo innovativo»
 
MEDICINA Le nuove frontiere terapeutiche
MARCO DELIGIA
 SASSARI. Due minicapsule, destinate rispettivamente alla diagnosi precoce del carcinoma gastrico e all’identificazione dell’helicobacter pylori,un batterio causa di gastriti e ritenuto il più insidioso agente cancerogeno dall’Organizzazione mondiale della sanità, sono il frutto di una significativa e preziosa ricerca medica che porta con sè un pezzo di Sassari.
  La strada che ha condotto alla sperimentazione per la diagnosi dei tumori allo stomaco, è stata infatti aperta dall’equipe guidata da Pietro Muretto, da 27 anni primario di Anatomia, Istologia e Citopatologia all’ospedale «San Salvatore» di Pesaro. Il professor Muretto, marchigiano d’adozione, è nato nel 1941 a Sassari e tiene particolarmente alle sue origini sarde e turritane che non manca di coltivare riapprodando a cadenza annuale nell’isola, nelle pause ricavate dai molteplici impegni professionali.
  E nella facoltà sassarese di Medicina, il primario e ricercatore si è laureato nel 1968. Pietro Muretto, sposato con due figli, dopo la laurea si è specializzato in Anatomia patologica, Oncologia ed Ematologia all’università del Sacro Cuore di Roma. «Ho poi lavorato in diversi ospedali in Italia, prima di approdare nelle Marche, a Pesaro, nel 1979 - racconta Muretto - Grazie a un’equipe affiatatissima, ho potuto dedicarmi all’approfondimento sui metodi di diagnosi precoce e di individuazione delle cellule tumorali. Si sono registrati l’apporto dell’istituto di Biochimica dell’università e la collaborazione dell’ospedale di Urbino. Siamo giunti a una tappa significativa di una strada biologicamente valida, sulla quale proseguiremo, anche se esistono problemi nei finanziamenti. Ma andremo comunque avanti».
  La minicapsula per la diagnosi precoce del carcinoma gastrico consente l’analisi sul Dna delle cellule prelevate. «Cellule prelevate dal succo gastrico - spiega Muretto - Il materiale genetico estratto si rivela come un identikit molecolare del tumore allo stomaco. Il risultato della nostra ricerca, pubblicato sulla rivista Annals of Oncology, apre la strada a un metodo innovativo per lo screening del tumore allo stomaco».
  La capsula-spia è lunga 14 millimetri e ha un diametro di 5 millimetri, rivestito all’esterno da uno strato di gelatina che rende più agevole l’ingestione. Al suo interno c’è del materiale assorbente che è avvolto da una capsula in plastica forata, alla quale è collegato un filo di nailon che termina con un bottoncino. Il paziente la ingerisce trattenendo il filo. La gelatina si scioglie nello stomaco e i succhi gastrici penetrano nella capsula di plastica, imbevendo la carta assorbente. Insieme ai succhi gastrici, alla capsula aderiscono le cellule che si sfaldano dalla mucosa dello stomaco e da cui i ricercatori vanno a caccia del Dna alterato, considerato spia del tumore.
  «La prima spia molecolare del tumore dello stomaco sinora identificata è l’alterazione del gene addetto alla produzione della E-Cadherina,,una molecola che permette normalmente l’adesione delle cellule dello stomaco e che, se alterata, può essere indicativa della presenza di una manifestazione tumorale - osserva Pietro Muretto - La microcapsula è stata sinora sperimentata su dieci casi in uno studio pilota ma i dati genetici sono piuttosto importanti. E sono promettenti anche i primi risultati della sperimentazione della minicapsula per l’helicobacter pylori,condotta su venticinque pazienti e sempre descritta dalla rivista Annals of Oncology, che riporta gli atti dell’ottavo convegno sul cancro gastrointestinale svoltosi di recente a Barcellona in cui sono stati presentati i nostri lavori»

Questionario e social

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