Domenica 30 luglio 2006

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
30 luglio 2006
Rassegna a cura dell’Ufficio stampa e web
Segnalati 5 articoli delle testate L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna

 
 
1 - L’Unione Sarda
Pagina 45 – Provincia Sulcis
Iglesias
Nuovo apparecchio all’Università del Sulcis
I laboratori dell’Università di Monteponi si arricchiscono: nei giorni scorsi la Portovesme srl ha donato all’Ausi (l’Associazione per l’Università del Sulcis Iglesiente) un difrattometro a raggi x, strumento indispensabile per i laboratori dove vengono condotte ricerche nel campo della scienza dei materiali. Un’apparecchiatura importante (del valore di circa 250 mila euro) che servirà agli studenti per l’attività di ricerca e studio, alle aziende per le analisi tecniche nei processi di lavorazione. Diventano così sempre più stretti i rapporti di collaborazione tra Portovesme srl e Università del Sulcis Iglesiente. L’azienda fa parte dell’associazione per lo sviluppo industriale (Asvisi) che, sin dal 1998, è uno dei soci dell’Ausi. (c. s.)
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 34 – Cultura
Scienza. Sarà in grado di autoripararsi e di imparare: molteplici gli scopi a cui potrà essere adibito
È italiano il cucciolo di robot
Avrà un cervello ibrido, biologico e artificiale
Avrà le dimensioni di un bambino di 2 anni e mezzo. Sarà in grado di auto-riparare i suoi tessuti principali e avrà un cervello ibrido: metà biologico e metà artificiale. Fantascienza? No, è Robot Cub ("cucciolo di robot") un ambizioso progetto, finanziato dall’Unione Europea, che nel giro di pochi anni permetterà di vedere in azione un robot del tipo di quelli anticipati in libri e pellicole. Le attività sono coordinate dall’ideatore del progetto, Giulio Sandini, dell’Università di Genova, direttore di ricerca all’Istituto Italiano di Tecnologia (che ha sede nel capoluogo ligure all’interno del tecnopolo di Morego). Si tratta di un progetto da 8,5 milioni di Euro finanziato dall’Unione Europea e sviluppato da un gruppo internazionale che comprende oltre ai due centri genovesi altri importanti istituti di ricerca italiani (come la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’Università di Ferrara) e esteri (le Università di Salford, Lisbona e Tokyo, l’MIT di Boston), vedrà uno sviluppo del RobotCub aperto e trasparente, nella stessa ottica del software open source. Un prototipo replicabile, quindi, sul quale sarà possibile inserire applicazioni frutto del lavoro di diversi gruppi di ricerca. In quest’ottica, nei prossimi mesi, l’Istituto italiano di tecnologia (Iit) potrà offrire il proprio contributo allo sviluppo del progetto con le strutture e ricercatori. I primi componenti del robot sono stati presentati a Ventimiglia nei giorni scorsi, in occasione di un seminario internazionale che ha radunato i principali esperti mondiali delle discipline interessate, mentre a Genova, al tecnopolo di Morego, sede dell’Iit, sono state illustrate le linee di attività dell’Istituto italiano di tecnologia, che oltre le nanotecnologie e le neuroscienze, prevedono di dare nuovo slancio alla robotica. Ma quali sono le principali novità introdotte dal Robotcub? Innanzitutto la possibilità di portare oltre gli attuali confini tecnologici la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale, grazie alla coesistenza di parti organiche e parti sintetiche nel cervello del robottino. L’istituto italiano di tecnologie a questo scopo sta sviluppando una nuova tecnica di creazione di reti neuronali che prevede l’inserzione di cellule nervose di animali su piastre di vetro e di silicio. Una simile mente artificiale sarà capace di interagire con l’ambiente, di apprendere e creare risposte sempre nuove. Il primo prototipo ha un’intelligenza ancora basata su transistor e componenti elettronici tradizionali. Altre novità riguardano i materiali utilizzati per assemblare l’androide: Robotcub sarà costruito con sistemi innovativi e a seconda delle esigenze avrà parti molli, flessibili, resistenti, elastiche. Il corpo sarà così in grado di interagire con l’esterno, e, come accade ai cuccioli d’uomo, nei quali l’intelligenza si sviluppa di pari passo alla manipolazione, il cucciolo di robot saprà sfruttare le sue abilità motorie anche per apprendere, che è in fondo il cuore del progetto. Robotcub avrà anche la capacità di intervenire, autonomamente, riparando tessuti danneggiati, il che lo renderebbe adatto a compiere missioni in zone rischiose (ad esempio in prossimità di incendi, alluvioni o altre calamità) oppure su altri pianeti, dove fra l’altro non avrebbe bisogno di respirare e di nutrirsi. Sono state immaginate svariate applicazioni per questo simpatico robot: dalle segreterie telefoniche intelligenti alla partecipazione a missioni impossibili. Inoltre Robotcub servirà a sperimentare microcircuiti in grado di sostituire parti di tessuto nervoso per fornire nuove capacità motorie agli invalidi (come arti e midollo spinale lesionato) e nano-trasmettitori ideati per intervenire con precisione nella parte del corpo interessata aumentando enormemente l’efficacia di farmaci a uso locale, limitando gli effetti collaterali. L’Iit (che oltre alla robotica sperimenta nuovi sistemi ottici artificiali) ha presentato i nuovi direttori di ricerca, che affiancheranno il direttore scientifico, Roberto Cingolani. Sono Darwin Caldwell (Università di Manchester) esperto di robotica di movimento, Guy Fontaine (Università di Parigi) si occupa di tecnologie robotiche industriali, il già citato Giulio Sandini, esperto di robotica, apprendimento e visione, Fabio Benfenati (Università di Genova) specialista in neuroscienze.
Andrea Mameli
 
3 – L’Unione Sarda
Pagina 42 – Provincia di Cagliari
Progetto ecologico nella laguna
Anelli nei pulli di fenicottero
L’evento si è ripetuto ieri all’alba nelle saline Contivecchi di Macchiareddu. Così 495 pulli di fenicotteri hanno ricevuto nelle zampe gli anelli di riconoscimento. Serviranno per studiarne le abitudini e le varie fasi di vita compresi gli spostamenti «tra la Tunisia, la Francia, Portogallo», come sottolinea Nicola Baccetti ricercatore dell’Istituto regionale per la fauna selvatica. Organizzato dall’Ufficio intercomunale che comprende Assemini, Cagliari, Elmas e Capoterra e dall’Infs, l’evento ha visto all’opera 90 volontari. «Per la prima volta - commenta Paolo Malavasi, responsabile dell’ufficio intercomunale e lui stesso impegnato nella battuta insieme agli altri volontari- abbiamo organizzato l’evento insieme con l’Infs e i risultati sono stati ottimi». Diciassettemila euro il costo dell’operazione. «E’ stata la mia prima esperienza», commenta Simona Buccoli, 27 anni, di San Sperate con un dottorato di ricerca in Biologia animale accompagnata dal fidanzato Luciano Schirru, 32 anni, maresciallo dei carabinieri. Divisi per squadre si è proceduto ad andare nelle postazioni prestabilite da cui si doveva far convergere la colonia di fenicotteri nel recinto delimitato da pali e rete posto ad alcune centinaia di metri di distanza. Un’operazione durata poco meno di un’ora: i fenicotteri adulti volavano via mentre i piccoli finivano nel grande recinto. Qui sono stati poi acchiappati, misurati. «In tutta questa operazione - spiega Vincenzo Lecca, responsabile della produzione delle saline - c’è anche il lavoro di preparazione dei nostri 33 dipendenti». «Io non escluderei di favorire la partecipazione ordinata del pubblico che vuole assistere all’operazione di inanellamento davvero coinvolgente- sottolinea il responsabile di Legambiente di Assemini, Alberto Nioi- e attrezzando le postazioni e ordinando gli ingressi potrebbe essere un’attrazione per molti».
Gian Luigi Pala

 
 
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Cagliari
.Un potenziale business improduttivo da sette anni
Economia a passo di gambero
Obiettivo: puntare sull’allevamento per costruire lavoro
CARLOFORTE Il destino incerto dell’impianto per la produzione delle larve unico in Italia
 
SIMONE REPETTO
 
CARLOFORTE. Nelle bianche stradine di campagna che contornano località Geniò, è recentemente passato un veicolo non comune per quelle zone rurali. Era un tir, un grande camion proveniente dall’Albania, diretto al Ceprigap, il Centro provinciale per la riproduzione dei gamberi peneidi. Già, dall’Albania, perché pare siano in pochi, nel territorio, a conoscere e manifestare interesse su una struttura unica a livello nazionale, che rischia di trasformarsi in una grande occasione mancata di sviluppo. Questo perché l’avannotteria del Geniò, nonostante abbia davanti a se un potenziale enorme di crescita economica, a distanza di anni stenta ancora a decollare, stretta com’è tra un passaggio di proprietà (dalla Provincia di Cagliari a quella di Carbonia Iglesias), una lite giudiziaria in corso col precedente gestore e un preoccupante stato di inerzia generale.
 Tutto questo, nonostante il proprietario uscente (la Provincia cagliaritana), oltre ad aver creduto in questa iniziativa economica, ha costruito e manutenzionato struttura ed attrezzature, elaborato il know-how necessario e formato il personale, lasciando un impianto efficiente e funzionale, che attende solo di finalizzare un lungo e costoso progetto, con la promozione locale di impianti di ingrasso. E’ questo il passaggio che consentirebbe di fare il salto di qualità, facendo decollare la gambericoltura evitando di esportare per l’ingrasso (come avviene oggi) i gamberi in Albania, Veneto, Puglia e Sicilia, mentre quasi niente resta in Sardegna. Che resta un territorio quanto mai propizio per questo genere di attività.
 Solo nel Sulcis, uno studio universitario ha individuato molteplici siti idonei all’allevamento, tra i quali Bio Cerbus, Bruncuteula, Sa Terredda, Is Collus-Santa Caterina, le saline di Sant’Antioco e San Pietro. A Carloforte, l’area delle saline appare ideale per realizzare un progetto integrato, che coniughi conservazione dell’ambiente e valorizzazione produttiva, come quello della Provincia di Cagliari (Life ambiente), con destinazione di circa 20 20- 30 ettari alla gambericoltura.
 Ma tutto è ancora in alto mare, nonostante nel territorio siano presenti impianti che vantano esperienza nell’allevamento di gamberi (vedi Cooperativa La Sulcitana e Società Ittica Sardegna).
 Inoltre, adattare spazi già esistenti per la nuova attività, non comporta radicali modifiche ai siti e consente il recupero, a fini produttivi, di aree ormai in disuso o degradate. Per capire perchè il grande valore aggiunto sulla produzione di gamberi avvenga con l’ingrasso, basta osservare come mentre 40 postlarve rendono al Ceprigap poco più di un euro (a 3 centesimi l’una), dopo tre mesi, quei gamberetti divenuti adulti (25 grammi ciascuno), saranno pagati 30 euro all’ingrosso, con un incremento di valore di 2.500 volte in poco tempo.
 Il centro, oggi è costretto a vendere circa 3 milioni di avannotti per coprire i soli costi di produzione (vi lavorano 3 operatori), ma se potesse ingrassare quei milioni di gamberetti, essi frutterebbero la bellezza di 2 milioni e 250 mila euro, facendo fronte ai costi vivi con la vendita di soli 120 mila esemplari. Un business incredibile, purtroppo ancora imbrigliato tra pastoie burocratiche e lassismo di coloro che avrebbero dovuto e hanno il compito di non mandare alle ortiche una simile opportunità di crescita economica per un intero territorio.
 L’obiettivo è chiaro: tutelare e potenziare la produzione del Ceprigap, attivando l’allevamento del gambero imperiale in loco (e chiudendo il ciclo economico in Sardegna), con benefici occupazionali e reddituali estesi al vasto indotto che potrà essere interessato.
 
LA SCHEDA
Un laboratorio di ricerca con porte aperte sulla scuola
CARLOFORTE. Il Ceprigap, è l’unica struttura esistente in Italia, a livello industriale, in grado di produrre postlarve (giovani gamberi) da destinare all’allevamento. Nell’impianto, detto anche schiuditoio, si svolge l’intero ciclo riproduttivo dei gamberi peneidi, in particolare della specie Marsupenaeus japonicus, la cosiddetta”mazzancolla” o”gamberone imperiale”, dal mantenimento e condizionamento degli esemplari adulti (riproduttori), sino al raggiungimento della taglia di postlarva. A questo stadio, i giovani gamberi sono pronti per essere venduti ad impianti di allevamento per “l’ingrasso”, dove raggiungeranno la taglia commerciale. L’impianto, rappresenta il punto nevralgico del sistema produttivo del gamberone, essendo la produzione di novellame alla base del processo di allevamento, caratterizzato da un elevato contenuto tecnologico e cospicui investimenti, destinati alla realizzazione di strutture e formazione di personale altamente specializzato. L’Isola di San Pietro, venne individuata, negli anni Novanta, come luogo ideale dove ubicare il Ceprigap, per l’alta vocazione allo sviluppo dell’attività di gambericoltura grazie alla conformazione naturale del territorio, ricco di zone umide, stagni, ex saline e coste pianeggianti, tutti ambienti ideali per l’allevamento dei gamberi. Oltre che per scopi produttivi, il centro è stato creato per sviluppare ricerche applicate, finalizzate alla promozione della gambericoltura (è iscritto all’Anagrafe Nazionale delle Ricerche), attivando la collaborazione con il Consorzio Nazionale per la Ricerca in Gambericoltura (Conarga). Dopo la sua costruzione, nel 1999 l’impianto ha cominciato a produrre e fornire gamberi a strutture di allevamento, dislocate sul territorio nazionale e all’estero, avviando un’attività che continua a tutt’oggi. La potenzialità complessiva, è di circa 8 milioni di postlarve, ripartita in vari cicli riproduttivi consecutivi (circa un milione di avannotti per ciclo), da marzo fino a luglio. Inoltre, Ceprigap, avvalendosi di personale altamente qualificato, presta attività di consulenza e assistenza agli allevatori, dalla preparazione dei bacini al trasporto, semina, allevamento, mangimistica e recupero alla taglia commerciale. Nel Centro si svolgono anche lezioni didattiche, a seconda del livello di istruzione, dalle medie inferiori ai corsi universitari di specializzazione
 
 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 6 - Sardegna
Su quelle pietre è impressa la storia dell’isola quando i conquistatori erano i nostri padroni
Uno sguardo indietro verso la Spagna
Il nobile casato valenziano fu una calamita per gli appetiti dei mercanti
 
La Sardegna Autonoma di oggi e la Spagna dominatrice di ieri. La Sardegna di 500 anni fa, regno sottomesso da chi tra il Gennargentu e il Golfo degli Angeli non aveva alcunché da spartire e la Spagna di oggi, guidata dal premier forse più moderno d’Europa. La storia isolana imposta dagli invasori e la cronaca più o meno immutata di chi vuol decidere il proprio futuro senza il visto di proconsoli. E poi, lontani anni luce dal feudalesimo, clima da sabato culturale del villaggio, la chiesa con una cupola che poggia su un tamburo ottagonale, torre campanaria e campanile a vela, palazzi padronali e musei dell’arte contadina al centro dell’antico granaio di Roma. Più in là, nascosta da un bel muro di recinzione, la reggia nuragica, quella battezzata e scavata, pietra su pietra, da Giovanni Lilliu, il Sardus Pater vivente della cultura sarda.
 Così Barumini ha indossato ieri l’abito delle grandi occasioni, i Quattro Mori e il tricolore con il blu e le stelline della bandiera europea, case con pietre a vista, giardini verdi, palme svettanti e olivi secolari, strade ordinate. In questa cornice - col presidente della Regione Renato Soru, turisti a gogo, tanta gente dai paesi vicini, molti giovani, annullo filatelico, documenti storici sui “baroni” e fotografie antiche - è avvenuta l’inaugurazione e la visita a casa Zapata, esempio elegante di architettura civile rurale, costruita sulle rovine di un nuraghe del tempo che fu per dare residenza proprio ai potenti, gli Zapata. I più arditi nelle fantasie dicono: “Erano del gremio dei calzolai i primi, perché non lo può essere, oggi, José Luis Zapatero?”.
 In una calda serata di fine luglio, finalmente addolcita da piacevoli carezze di maestrale, fra nastri, aspersori e stole vescovili, si respira un’aria carica di mistero e di intrighi fra queste stanze. Pianta rettangolare, due livelli collegati da una rampa esterna in muratura, un grande portale in trachite, conci di arenarie e capitelli a canestro, quattro finestroni incorniciati da colonne con decori tra il corinzio e il barocco. Storia dell’arte e cronaca. Da oggi la casa feudale diventa un nuovo monumento-museo della Sardegna, soprattutto di quella legata a doppia mandata con la dominazione spagnola che da noi si è protratta per quasi mezzo millennio (1323-1714). Il tutto nel rione “Santu Perdu”, proprio di fronte alla chiesa parrocchiale dedicata prima alla Beata Vergine Assunta e poi affidata all’Immacolata. Chiesa e nobiltà vicine, sempre vicine, come la storia e la cronaca insegnano.

Quella degli Zapata è una delle tante pagine che hanno visto la Sardegna eternamente eterodiretta dai grandi domini del Sud e del Nord dell’Europa. Ma gli Zapata - una delle “famiglie più illustri e titolate in Aragona e Valenza” - non sono i soli ad approdare e mettere radici nelle coste sarde che certo non erano note per le dune di Piscinas o i fiordi di Santa Teresa di Gallura. Con loro - siamo nel 1323, ai tempi della spedizione catalano-aragonese capitanata da Alfonso il Magnanimo, quello adottato dalla regina di Napoli Giovanna II d’Angiò - la Sardegna è una calamita potente per tutta la piccola ma rampante nobiltà catalana.
 I mercanti valenzani comprano i feudi, sfuma il potere delle grandi famiglie catalano-spagnole. La Sardegna non dava lingotti in oro, forniva però spazi, terre, “feudi”. Chi non trova fortuna, chi non ottiene beni al sole tra i Pirenei e Gibilterra monta in caravella, varca il Tirreno sperando almeno nelle “mercedes”, le pensioni, i vitalizi che la Corona di Spagna garantiva ai sudditi ossequiosi. È Giacomo II a dover realizzare il “Regnum Sardiniae et Corsicae” e così - con un obiettivo tanto pomposo nel nome quanto modesto nei suoi fini - arrivano gli Aymerich e i Castelvì, creano i marchesati di Laconi e di Teulada, giungono gli Asquer e gli Arquer, i Zatrillas e i Carroz, quelli che con una amazzone bella e intraprendente, donna Violante, domineranno a lungo da Cagliari fino al castello di Quirra tra Villaputzu e Tertenia.
 Un passato non esaltante per i sardi. È già stata combattuta “la battaglia di Sanluri” del 1409, il giudicato d’Arborea viene annientato dai catalano-aragonesi, naufragano le antiche aspirazioni all’autonomia sarda. La Sardegna non è sarda, è spagnola.
 Ci sono tante pagine da leggere dietro e dentro le mura e le stanze di questo palazzo invaso di gente e di autorità. Piacciono i soffitti, gli arredi, i pavimenti, le stalle. Ma è bene affidarsi agli storici di professione, come Giovanni Serreli che ha studiato in prodondità le vicende della “Baronia di Las Plassas” che da Barunimi dista pochi chilometri. Serreli ci dice che è Açor Zapata, un ex sindaco di Cagliari, l’alcalde, ad acquistare questa zona nel 1529, a far costruire questo palazzo. L’atto di investitura è firmato a Ratisbona il 6 maggio 1541 da Carlo V, l’ultimo vero imperatore europeo, quello che rientrando da Tunisi si ferma anche a Cagliari, sale in Castello, va in cattedrale a rendere omaggio al vescovo, poi arriva ad Alghero dove pronuncerà la frase “todos caballeros”. Carlo V è il re sul cui regno non tramonta mai il sole. Isole comprese.

La Sardegna, anche per il suo dna spagnolo, non è isolata, entra comunque nel circuito europeo. In questo stesso periodo approda tra i nuraghi il grande commediografo Miguel Saavedra de Cervantes, l’autore del capolavoro “Don Chisciotte”. Cambieranno poche cose anche dopo l’abdicazione di Carlo V a favore del figlio: il padre era un viaggiatore instancabile, Filippo II era più stanziale, se ne stava nelle sale dorate del suo regno dell’Escorial, è lui a costruirlo. In Sardegna aveva chi lo serviva e riveriva. Fedelmenente. Procuratori, avvocati, fiscales, ecclesiastici, feudatari e via elencando.
 Gli storici dell’Università di Cagliari - Bruno Anatra, Giovanni Murgia, lo stesso Serreli - rivelano notizie sconosciute ai comuni mortali. Fermandoci alla famiglia che oggi Barumini fa conoscere a tutta l’Isola, sappiamo che “il capostipe era Garcia Zapata, nel 1216 ricoprì la carica di alcalde della città di Calahorra”, in Spagna. Ovviamente con tanto di araldica: lo stemma della famiglia era formato da tre o cinque calzari (in spagnolo zapatas) d’argento o d’oro su campo rosso, disposti rispettivamente a triangolo o in croce di Sant’Andrea, ed era bordato di rosso con otto scudetti d’argento o d’oro”. Un altro Zapata, Rodrigo, fu tra i capitani della spedizione dell’Infante Alfonso. Una famiglia potente. Scrive Serreli: “Gli Zapata si distinsero nella tormentata scena militare e politica in Sardegna e negli altri stati della Corona d’Aragona nei secoli XIV e XV”.

Ma chi era questo “signorotto” del palazzo che da oggi diventa museo? Forse non era uno stinco di santo, ma un personaggio con pochi scrupoli e che oggi potremmo definire tra il faccendiere e il furbetto del quartierino nella Baronia di Las Plassas, Barumini e Villanovafranca. Personaggio da gossip. Gli storici raccontano di un Açor Zapata allegro nella gestione delle sue finanze, spendeva molto più di quanto guadagnasse. Stando ad alcune cronache sembra di vederlo come protagonista-arraffattore di una appaltopoli in piena regola fra Cinquecento e Seicento. È Zapata, ad esempio, nella seconda metà del Cinquecento, insieme al mercante cagliaritano Antonio Ledda, a ottenere dal “real patrimonio” di poter coltivare lo sfruttamento dei banchi di corallo di Villasimius, “esistenti en los mares de Carbonara”, dice Murgia. Zapata poteva sfruttare anche la tonnara. È Zapata a costruire una torre di difesa, edifici per la custodia delle attrezzature, per la conservazione dei prodotti. Faceva man bassa di appalti e subappaltava: alcuni lavori della odierna Villasimius vengono «affittati alla famiglia genovese dei Vivaldi».
 Un monopolista che dava fastidio. C’è profonda tensione tra gruppi contrapposti di famiglie. Ancora Murgia: «Eclatante è il caso Arquer, esponente del ceto togato cagliaritano, giudice della reale udienza, acerrimo nemico delle famiglie Aymerich, Castelvì, cui erano legati gli Zapata». C’era la lotta fra “poli”, due autentici blocchi di potere: «uno conservatore, costituito dalla feudalità e dal clero, e l’altro, di nuova formazione, rappresentato dal ceto togato urbano che controllava, attraverso la Reale Udienza, il governo del Regno».
 Si potrebbero leggere le pagine e gli ultimi romanzi dello scrittore Giulio Angioni. È di questo periodo, siamo nel 1571, la condanna al rogo a Toledo di Sigismondo Arquer. I Castelvì, gli Aymerich e gli Zapata, con l’Inquisizione, colpiscono i loro avversari, spesso puntando molto in alto senza rinunciare a notizie piccanti. Una femminista del tempo, Domenica Figus, bella amante di Fruisco Casula, “grande agrariu” di terra e di armenti, contesta gli Zapata, ne denuncia i soprusi. Scatta l’indagine giudiziaria ad orologeria. Domenica Figus finisce nei guai, è subito sospettata di “sortilegios, maleficios y invocaciones de demonios”. L’inchiesta cresce a macchia d’olio, pesca a piene mani negli ambienti popolari di Cagliari e del Campidano. Lo scandalo esplode quando viene messa all’indice addirittura la viceregina Maria Requesens, moglie del viceré Cardona chiamato “Oloferne”. Tra i suoi accusatori spunta senza troppe riserve Zapata da Barumini. Non accetta competitors. Come per Domenica Figus viene aperta un’altra “indagine inquisitoiriale per stregoneria” contro la viceregina. La burocrazia ecclesiastica e amministrativa è con i forti. Tutti condannati. Il manovratore non va disturbato. Né oggi, né ieri.

Dal Campidano alla Nurra. Con gli interessi della fazione cagliaritana degli Aymerich si saldavano quelli di esponenti della nobiltà sassarese, i Manca e i Cariga, il ricevitore Ravaneda (non a caso patrocinato dall’Arquer) contendeva i possessi feudali in Logudoro. Tra le fazioni in lotta ci sono gli Alagon (imparentati coi Cardona) e i Cervellon, feudatari di più antica data. Poi, come in tutti i regni, il sole tramonta anche sugli Zapata, dal capostipite agli eredi. Verso il 1640 il feudo di Lasplassas, per le spese incontrollate e per i debiti del suo signore (Francesco), è posto sotto sequestro. L’erede di Azore II, sarà costretto a fare la fame. Pagine che non sono state certo rievocate nella festa di Barumini. Sono le pagine della tormentata storia sarda. Una storia - ha detto Giovanni Lilliu- che dovrà essere “nuova”.
Giacomo Mameli
 
 

Questionario e social

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