Lunedì 1 maggio 2006

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
01 maggio 2006
Rassegna a cura dell’Ufficio stampa e web
Segnalati  6 articoli delle testate L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna

 
 
1 - L’Unione Sarda
Pagina 10 – Cagliari
Convegno Diritto ambientale: esperti a confronto
In occasione del secondo anniversario dell’entrata in vigore del Codice dei Beni culturali e del paesaggio, e nell’ambito dell’insegnamento di Diritto e legislazione ambientale, il dipartimento di Scienze botaniche dell’Università di Cagliari ha indetto una manifestazione per domani, nell’aula magna dell’Università, in via Università 40, alle16. L’incontro è sul tema: "Tutela e pianificazione del paesaggio in Italia, diritto ambientale e geobotanica". L’evento si aprirà con la presentazione dei docenti Luigi Mossa e Giovanni Cossu. A seguire il professor Franco Gaetano Scoca esporrà la relazione dal titolo "I piani paesaggistici", così pure il professor Edoardo Biondi con "La geobotanica e gli ambiti omogenei per la tutela e la pianificazione del paesaggio". (v. v.)
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 20 – Cultura
A Cagliari Nicolino De Pasquale
La matematica degli Inca: il grande enigma svelato
Nicolino De Pasquale. Ovvero l’uomo che ha scoperto l’enigma della matematica degli Inca, sì quello che per mezzo millennio ha tolto il sonno a generazioni di scienziati. Per chi dell’argomento sa quasi tutto, e per chi non sa niente, il professor De Pasquale domani pomeriggio sarà a Cagliari, aula magna del Liceo Dettori, per una conferenza sul tema "Le yupane Inca: tra enigma e genio matematico". A promuovere l’incontro, che avrà inizio alle 17,30 ed è aperto a tutti gli interessati, il Club Unesco cittadino, presieduto da Antonio Vernier, docente unversitario e ingegnere aeronautico, proprio come De Pasquale. «La matematica andina è nettamente superiore a quella occidentale contemporanea», sostiene lo studioso pescarese col bernoccolo per i numeri. Cinquantasette anni, due figli, docente di materie scientifiche al liceo e all’università, racconta d’aver impiegato circa quaranta minuti per trovare la soluzione dell’enigma Inca. Era la notte di Natale del 2000 quando dopo cena, scartando uno dei doni ricevuti, trovò un libro dedicato agli enigmi a base di numeri. Come dire il suo pane e il suo companatico quotidiano. Sfogliandolo si imbatte in una yupana. Che cosa sia ce lo dirà domani. Carta e penna, De Pasquale si mette a ragionare. Mezz’ora, cinquanta minuti per trovare la chiave di un edificio meraviglioso. «Prima di Capodanno arrivai a capo del tutto». Ma cosa sono le yupane? Sono misteriose calcolatrici di cui parlavano già i Conquistadores spagnoli nel ’500. Blocchi di pietra più o meno di 30 centimetri per 20, con tante piccole vasche scolpite sulla parte superiore e, all’interno, apparentemente a caso, vari fagioli bianchi. De Pasquale ha messo a nudo il segreto senza sapere nulla né degli inca, né delle angosce secolari provocate dal tentativo di decifrare le Yupane. Mosso solo dalla sua passione per i numeri, l’ingegnere di Pescara ritiene di avere battuto sul tempo fior di ricercatori di tutto il mondo. In sostanza ha scoperto che gli Inca contavano in base quaranta (e non dieci come noi) e lo ha dimostrato servendosi di due modellini di Yupana in legno. In poche parole, è una progressione geometrica che riproduce, curiosamente, la moltiplicazione cellulare. Le particolarità sono che non esiste lo 0 e che uno stesso numero si può scrivere in modi diversi. Il metodo funziona, qualunque sia il calcolo richiesto. De Pasquale ne ha dato varie dimostrazioni. A Cagliari racconterà la sua affascinante scoperta e dirà, magari, che è possibile ricostruire il metodo di calcolo di grandi civiltà del passato, passeggiando per la campagna o per i boschi della Sardegna e osservando gli esemplari della flora e della fauna presenti. Le loro rigorose strutture matematiche (il petalo di un fiore, il carapace di una tartaruga) sono casualità o provengono da un "calcolo divino"?

 
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 20 - Cultura e Spettacoli
Telecamere negli ambulatori medici
Nella facoltà di medicina cagliaritana nuove tecniche per la formazione
Saranno filmate le visite ai pazienti, l’obiettivo è di rendere più efficaci le relazioni tra i neodottori e gli ammalati
ALESSANDRA SALLEMI
Un ragazzo si iscrive a Medicina, studia con profitto, si laurea, si infila in tutti i tirocinii possibili, alla specializzazione brilla per i voti riportati. Fino a quel momento, di pazienti ne avrà visti, ma sempre con un medico esperto vicino e mai con la responsabilità di gestire la terapia. Poi, un giorno, lo studente ormai dottore incontra finalmente un ammalato «suo». Cosa sarà in grado di fare quando scoprirà che l’interlocutore, magari più anziano, probabilmente ricco di esperienze di vita, forse anche di buona cultura, non riesce a sottomersi all’idea di prendere una pillola ogni giorno per tutti gli anni che gli restano da vivere?
 Finora, l’approccio del medico col paziente è stato interamente affidato alle doti personali di ciascuno. Poi ci sono gli operatori che hanno vissuto la frequentazione del dolore e la necessità di difendersi in misura diversa li ha resi un po’ meno partecipativi sul piano emotivo.
 Vista dalla parte del paziente, la questione da «immensa» diventa assoluta. Grossolanamente si è sempre detto: il buon rapporto con un medico fa la metà della cura. Dunque, oggi, la facoltà di medicina di Cagliari ha deciso di misurarsi col problema. Succede anche a Udine, ma il corso di Cagliari presenta novità nell’approccio accademico. Il preside della facoltà, Gavino Faa, ha colto un segnale che gli è arrivato dall’universo dei malati: serve la scienza, ci vuole la tecnologia, indispensabile, poi, l’organizzazione, ma necessaria come l’aria che si respira è la qualità del contatto degli operatori sanitari coi pazienti.
 La facoltà responsabile della formazione, tra il 2005 e i primi mesi del 2006, ha portato il tema all’interno e ha fatto due scelte: di non perdere altro tempo nel dare risposta promuovendo subito la sperimentazione di un modello di corso universitario; di non chiudere la porta della facoltà a quel mondo esterno che ha prodotto l’istanza in modo pressante e accorato.
 Il corso è così cominciato nei giorni scorsi con il seminario sul tema «Umanizzazione della Medicina» (aula Virgilio Costa, in Anatomia patologica all’ospedale San Giovanni di Dio). Lo staff dei docenti è composito, l’insegnamento sarà impartito attraverso lezioni teoriche, ma soprattutto punterà a fare immergere gli studenti in una serie di situazioni-tipo che verranno rappresentate secondo un modello teatrale dagli studenti stessi con la collaborazione di attori professionisti. Così le scene verranno filmate e un’altra parte delle lezioni sarà dedicata alla discussione tra tutti gli studenti: sia quelli protagonisti delle rappresentazioni nella parte del medico che deve informare il paziente, sia gli altri, spettatori.
 La discussione sarà un momento didattico di fondamentale importanza e verrà condotta sotto la guida dei docenti della facoltà di psicologia che partecipano al progetto e delle figure esterne all’università con una formazione approfondita su alcuni aspetti dell’umanizzazione del rapporto medico-paziente. Gavino Faa spiega ancora che la presa d’atto della necessità di inserire fra le materie l’«Umanizzazione della medicina» è una tappa del percorso cominciato dalla facoltà per «studiare in modo più efficace».
 «Finora - chiarisce poi il preside - il grande lavoro a Medicina è stato fatto per riorganizzare il corso di studi, i ragazzi riescono a laurearsi in sei anni, non pochi nella prima sessione del sesto anno, e non perché oggi si studi di meno. Nell’ambito di questo lavoro di miglioramento, da tempo si è posto il problema di trasferire ai giovani anche problemi connessi con l’etica medica e la deontologia. Quello del rapporto tra medico e paziente è un approfondimento per noi qualificante, da inserire in modo stabile nel percorso di formazione del medico. Per ora scandaglieremo la comunicazione medico-paziente, medico e familiari del paziente, con attenzione al tema del consenso informato e della verità sul proprio stato da presentare al malato. Il manifesto per l’“Umanizzazione della medicina” ci dice di mettere al centro dell’aiuto medico il ripristino della dignità della persona malata. E a questo si arriva anche promuovendo la formazione del medico sul momento delicato della comunicazione col paziente».
 «Il corso che stiamo varando rappresenta un primissimo tentativo: cominciamo, ma studiamo anche come farlo meglio - è la conclusione del preside della facoltà -. I casi clinici sui quali i ragazzi saranno chiamati a immedesimarsi nella parte del medico e a simulare il momento in cui dovranno spiegarsi saranno studiati attentamente, mirati alla nostra reale situazione sanitaria. Dovrà essere un altro modo per trasferire ai giovani l’importanza dell’osservazione dei bisogni delle persone, punto di partenza obbligato per la comprensione di una realtà complessa come quella dell’essere umano che si ammala. L’innovazione del corso sta anche nell’apertura agli psicologi, abbiamo gettato un ponte verso quella facoltà e intendiamo renderlo ben saldo».
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 22 - Cultura e Spettacoli
Dopo gli esordi giovanili a Sinistra, era presto diventato uno degli esponenti più apprezzati della Destra
Morto il filosofo Jean Francois Revel
E’ stato uno dei punti di riferimento dei conservatori europei
Accademico e intellettuale, ha lavorato anche come giornalista e scrittore. Soffriva di problemi cardiaci Nello scorso gennaio aveva compiuto ottantadue anni
PAOLO CORETTI
PARIGI. In lutto il mondo della cultura francese: Jean Francois Revel, filosofo, scrittore, giornalista nonché accademico, è morto la notte scorsa nell’ospedale di Kremlin-Bicetre, in Val de Marne, all’eta di ottandue anni. Da sempre vicino a posizioni politiche conservatrici, l’intellettuale è stato considerato a lungo un punto di riferimento per vasti settori degli ambienti culturali d’Oltralpe. E non solo. Anche in Italia, dove sono stati tradotti molti dei suoi libri, a volte sotto la forma della divulgazione, altre volte scritti come veri e propri saggi, aveva infatti molti estimatori e tanti ammiratori incondizionati, specialmente tra i politici di Destra.
 Ecco un breve profilo biografico dell’autore. Nato il 19 gennaio 1924 a Marsiglia, Jean Francois Revel negli anni ’50 ha avviato la sua attività parallela di letterato e giornalista come consigliere culturale e responsabile di pubblicazioni. Nel 1978 ha assunto la direzione del settimanale «L’Express», lasciata tre anni dopo. Successivamente ha collaborato con un altro settimanale piuttosto diffuso in Francia, «Le Point».
 Nella sua linghissima attività professionale Revel ha scritto una trentina di opere. Tra loro, «Il monaco e il filosofo» del 1997, nella quale racconta i dialoghi con il figlio buddista.
 Brillante e anticonformista esponente della Destra intellettuale, Jean-Francois Revel si descrive da studente in collegio come «un artista della finta influenza, un virtuoso del mal di pancia, un prestigiatore del termometro». Queste attitudini non gli impediscono di approdare all’Ecole normale e di essere accolto nel corso di filosofia. Insegna in Algeria a fine guerra, poi in Messico, a Firenze, a Lille e Parigi. Nel 1963 lascia l’insegnamento universitario per dedicarsi completamente a letteratura e giornalismo. All’inizio viene collocato culturalmente a sinistra, dirige il «France Observateur» e poi nel ’65 passa come consigliere letterario alle edizioni Julliard. Fonda e dirige la collezione «Libertes», da Pauvert. Il suo primo libro, «Pourquoi des philosophes?», demolisce allegramente il marxismo, Heidegger e Lacan. Seguono poi saggi su Proust e sull’Italia. Sono opere talora anche di successo come nel caso di «Né Marx né Gesù», «La tentazione totalitaria» o, ancora, «Come finiscono le democrazie». Bestia nera della Sinistra lo era diventato specialmente da direttore del settimanale «L’Express», per il quale aveva scritto in precedenz come collaboratore. Lasciò poi la testata nel 1981, per solidarietà con il redattore capo cacciato da Jimmy Goldsmith e cominciò appunto a lavorare per «Le Point». Nel 1977 fu eletto all’Accademia di Francia.
 Differenziate e varie sono state anche le esperienze umane. Due mogli e numerosi figli, uno di questi diventato appunto monaco buddista. E’ così che lui, ateo, racconta nel libro «Il monaco e il filosofo» i dialoghi col figlio. Conversazione sviluppata in uno scambio di opinioni ed esperienze a metà tra le convinzioni religiose più profonde e i richiami alla razionalità e all’idealismo laico.
 Revel era stato ricoverato alcune settimane fa nell’ospedale di Kremlin- Bicetre, vicino a Parigi, dove è morto per problemi cardiaci nella notte tra sabato e domenica. Per il ministro della Cultura farncese Ronaul Donnedieu de Vabres se ne va «una persona emblematica e indipendente del pensiero moderno», un «uomo libero, testimone e attore del suo tempo».
 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 11 - Attualità
Morto Galbraith, l’ economista «sociale»
Lo studioso aveva 97 anni: insegnò che benessere non significa ricchezza
WASHINGTON. Era un economista liberal e non s’era mai sottratto a quell’etichetta che, nell’America degli ultimi vent’anni, quella degli yuppies prima e adesso deineo-cons, dimentica del New Deal e della Nuova Frontiera, ha progressivamente acquisito una connotazione negativa, quasi denigratoria. John Kenneth Galbraith è morto ieri a Boston all’età di 97 anni: professore ad Harvard, economista di professione, politico dietro le quinte, ambasciatore, viaggiatore, scrittore, Galbraith, nel 1992, affermava: «Non c’è speranza per i liberal se si limitano a cercare di imitare i conservatori e non c’è neppure ruolo». La citazione viene da un articolo per Modern Maturity, una pubblicazione dell’Associazione dei Pensionati. A dare la notizia della morte ai media è stato il figlio Alan: il professor Galbraith è deceduto all’ospedale Mount Auburn di Cambridge, alle porte di Boston, per «cause naturali». Era ricoverato da due settimane. Canadese di origine -era nato a Iona Station, nell’Ontario, il 15 ottobre 1908-, Galbraith si laureò all’Università di Toronto, nel 1931, già nel pieno della Grande Depressione. Si specializzò in economia all’Università di California e insegnò poi ad Harvard e a Princeton prima di entrare nell’ Amministrazione durante la guerra. Nel 1948, Galbraith tornò ad Harvard e vi rimase come docente fino alla pensione, nonostante numerose altre esperienze. Sposatosi nel 1937 con Catherine Atwater, ne ebbe tre figli: Alan, Peter e James. Fu consigliere economico dei presidenti democratici Franklin D. Roosevelt e Bill Clinton e fu ambasciatore in India del presidente John F. Kennedy. Di lui, il figlio Alan dice: «Ha avuto una vita meravigliosa e piena». I presidenti Harry Truman nel 1946 e Clinton nel 2000 gli assegnarono la Medaglia della Libertà, massima onorificenza civile statunitense. Galbraith, uno degli autori più letti nella storia delle scienze economiche, scrisse 33 libri, tra cui il più famoso è’The affluent Society’,’La societa’ opulentà, pubblicato nel 1958, dopo che aveva già scrittoThe Great Crash nel 1955. Secondo il New York Times, La società opulenta costrinse la nazione americana a riesaminare i suoi valori. Galbraith vi sostiene che gli Stati Uniti erano diventati ricchi in merci di consumo, ma erano rimasti poveri di servizi sociali: erano in grado di produrre benessere individuale, ma non avevano adeguatamente risolto necessità collettive come scuole e strade, perchè politici ed economisti continuavano a pensare e ad agire come se il Mondo fosse ancora quello dell’Ottocento dove la povertà era un dato di fatto universale. Galbraith credeva nella contrapposizione delle forze in economia e alla necessità di gruppi di pressione come i sindacati per conseguire equilibri politici e sociali. Nel 1999, una giuria allestita da Modern Library collocò La società opulentà fra i 50 migliori libri in inglese di tutti i tempi, narrativa esclusa. Alto, gran lavoratore, avido viaggiatore, Galbraith era scrittore fluido ed in grado di spiegare con semplicità anche gli argomenti più complessi: i politici lo consultavano molto spesso, anche se raramente ne seguivano il parere. Ma, in ogni caso, l’economista partecipò per quasi 70 anni al dibattito politico americano, influenzando le idee dei dirigenti del partito democratico. Con il presidente Lyndon Johnson ruppe sulla guerra in Vietnam, ma, in precedenza, aveva contribuito a elaborare il suo programma di’Grande societa e scrisse il discorso in cui quel programma venne illustrato. La sua prosa gli valse almeno tanta ammirazione quanto le sue teorie. Richard Neustadt, un collega di Harvard che fu pure consigliere di presidenti, prima Truman e poi Kennedy, racconta che, quando Galbraith era ambasciatore in India, Kennedy ne apprezzava talmente i messaggi che voleva vederli tutti, anche quelli che non gli erano direttamente indirizzati. Andato in pensione come docente nel 1975, Galbraith divenne conduttore e divulgatore televisivo: dalla serie The Age of Uncertainty ricavò un altro best seller, così come lo fu il divulgativo Almost Everyone’s Guide to Economics. Nel 1992 pubblico The Culture of Contentment. Nel gennaio 1987, in un articolo su Atlantic Monthly, predisse il crollo dei mercati di quell’anno, basandosi sui paralleli con il crollo di Wall Atreet del 1929. Nel 1996, uscì The Good Society, una guida a rendere l’America più ricca economicamente e socialmente, e nel 1999 l’autobiografico Name-Dropping: from FDR on, una galleria dei personaggi da lui incontrati.
 
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 14 - Nuoro
Gli uomini più longevi? Sono a Villagrande Strisaili
Dati e statistiche sono stati diffusi durante un convegno chiuso da un intervento del demografo Poulain
Michel Poulain, il demografo che arriva da Louvain in Belgio e che in tutto il mondo studia i centenari, non ha un solo dubbio: «Villagrande è il paese dove la longevità degli uomini è la più alta al mondo». E spiega: «Dopo il 1947 i centenari di questo villaggio dell’alta Ogliastra sono stati ventidue di cui quattro ancora viventi». I loro nomi? Basta rivolgersi all’anagrafe comunale: Angelina Scudu che ha compiuto 102 anni lo scorso dicembre e abita ancora nella casa dov’era nata, a Santu Iacu. E poi c’è nonna Barbara Mossudu, 101 anni, quartiere di Filicorìa. E ancora una coppia, marito e moglie, Giuseppe Murino ed Efisia Serreli, lui compirà cent’anni lunedì 8 maggio, lei ha già festeggiato i 101 nella casa della frazione di Villanova Strisaili, quella del lago del Flumendosa, quella da dove si ammira il torrione di calcare di Perda Liana, alle falde del Gennargentu con la croce di Punta La Marmora. Dice il professor Poulain, giovane di 58 anni, nato in un paesino di nome Sart-Eustacke che sta a cinque chilometri da Charleroi, la città bagnata dal Sambre: «A Villagrande va assegnato d’ufficio il Guinnes della longevità. Per i maschi è più elevata di quanto registriamo nel Tibet, nell’isola giapponese di Okinawa, siamo di fronte a un fatto eccezionale. Ne ho parlato nella rivista specializzata Experimental Gerentology». E perché qui si vive più a lungo? «Non lo so, è una ricerca che devono fare anche i medici, forse i genetisti ogliastrini del Dna ci saranno d’aiuto, ma ci dovranno studiare antropologi e sociologi. Certo è che questo è un paradiso fra monti e mare, fra laghi e fiumi. Anche il mio paese è bagnato da un corso d’acqua come il Flumendosa, ma da noi di centenari non ce ne sono proprio, beati voi». E dà una notizia, finora inedita: il primo centenario di Villagrande, a partire dai primi decenni del 1600, è stato un ex pastore di pecore e mucche, al secolo Antonio Francesco Pasquale Orrù, noto come “ziu Farìgu”, nato nel 1847 e morto proprio nel 1947. Il boom a partire dall’immediato dopoguerra: ventidue centenari, come si è detto, per certificare un primato internazionale.

Il professore belga non lavora da solo. È in contatto con l’Università di Sassari e collabora col team guidato da Luca Deiana,Giovanni Maria Pes e Ciriaco Carru. E poi c’è un’altra ricercatrice in condominio fra l’Università di Cagliari (facoltà di Scienze politiche, sezione Statistica) e l’ateneo di Louvain. È Luisa Salaris, 26 anni, nata a Terralba, diploma in un Istituto tecnico di Oristano, con Intercultura aveva trascorso alcuni mesi a Klimosk, 48 chilometri da Mosca, e così questa giovanissima ricercatrice parla benissimo tre lingue (russo, francese e inglese), studia il tedesco e vuol «imparare bene il cinese, la lingua del futuro». Si era laureata (110 e lode) con una tesi sui centenari, subito dopo un master in “Studi sulle popolazioni” all’università di Groningen in Olanda. E adesso eccola qui, fare la pendolare fra Belgio e Italia, tra viale Fra Ignazio a Cagliari dove collabora con la professoressa Anna Maria Gatti e le case di Villagrande e di Villanova, a spulciare documenti non solo negli uffici comunali ma negli archivi parrocchiali e diocesani. Sono state la Gatti e la Salaris a pubblicare (settembre 2004) un quaderno del Dres (Dipartimento di ricerche economiche e sociali, coordinatore scientifico Giuseppe Puggioni) dal titolo: “Grandi vecchi in Sardegna tra Ottocento e Duemila. La longevità attraverso i censimenti della popolazione”. Un documento scientifico che esalta anche le ricerche fatte dallo studio epidemiologico (Akea) dell’Università di Sassari guidate da Luca Deiana e altri ricercatori (“The Sardinia study of estreme longevity” e, con Rossella Lorenzi, “Secret of Long Life Found). Studi che in un primo tempo segnalavano “la popolazione sarda come quella a più alto tasso di longevità fra le popolazioni studiate. Tale asserzione si basava sul fatto che erano stati rintracciati nell’isola 222 centenari, numero che - rapportato a quello dei censiti in Sardegna nel 1991 - forniva un tasso di 13,56 centenari per centomila abitanti con un massimo nella provincia di Nuoro (24.35) e un minimo in quella di Cagliari (9.71)”. Poi il primato isolano perde smalto e si legge: «Secondo gli ultimi tre censimenti della popolazione i tassi di longevità dei sardi sembrano alquanto ridimensionarsi, risultando pari a 4.3; 7.8 e 11.5 centenari per centomila abitanti rispettivamente nel 1981, nel 1991 e nel 2001. Secondo quest’ultimo censimento il tasso regionale non si discosta da quello nazionale, 11.1. Mentre il tasso registrato nella provincia di Nuoro- 18.5 - pur essendo il più elevato delle altre province risulta alquanto inferiore a quello citato prima, cioè 24.35”.
 Se queste sono statistiche che interessano non poco gli studiosi di tutto il mondo, resta accertato comunque che il regno mondiale dei centenari è proprio Villagrande, paese della nuova ribollente Provincia dell’Ogliastra. Un paese che segue con metodo queste indagini e che nelle scorse settimane ha dedicato al «tema-centenari» un convegno scientifico concluso proprio con l’intervento del professor Poulain che, non appena ha assegnato il Guinnes della «quasi immortalità» è stato travolto da un applauso frenetico.

Tutto è avvenuto nel salone parrocchiale di don Franco Serrau, lo stesso che nei giorni tragici dell’alluvione della sera del 6 dicembre 2004, era diventato il quartier generale della Protezione civile e dei soccorsi coordinati da una pattuglia intrepida dei vigili del fuoco di tutta l’Isola. Questa volta si è parlato invece di scienza della vita, di Dna e di marcatori genetici, di biodemografia e di «compressione della morbilità nei vecchi». Un’altra ricercatrice dell’Università di Cagliari, Rossana Rubiu, villagrandese doc, ha spiegato le ragioni di queste indagini su «Memoria e identità» volute dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Gabriele Basoccu e finanziata dalla Regione sarda. Il tutto è stato inserito in un contesto più generale con un’altra docente universitaria salita in cattedra, Maria Lepori, che insegna Storia moderna a Cagliari e che ha approfondito i suoi studi sulla Sardegna con la pubblicazione del libro Giuseppe Cossu e il riformismo settecentesco e - più recentemente - Dalla Spagna ai Savoia, Ceti e corona nella Sardegna del Settecento. E così la microstoria ogliastrina è stata letta con le vicende di Beraudo di Pralorno e del Bogino, delle famiglia Zapata e Zatrillas, dei Todde e dei Simon, del marchese di Quirra e di Manca Guiso marchese d’Albis, delle popolazioni rurali in tumulto e della duplice sconfitta del dispotismo regio e di quello feudale.
 Più «locale» è stato Carlo Pillai, ex dirigente dell’Archivio di Stato di Cagliari, oggi presidente del «Centro sardo di studi genealogici e di Storia locale» (rigorosamente scritto in sardo). Il dottor Pillai, tra i conoscitori più profondi delle piccole e grandi storie di città e villaggi, ha dispensato le «fonti per la storia di Villagrande e Villanova Strisaili» con le «prime risultanze relative al periodo sabaudo». In sala attenzione massima da parte di anziani e giovani perché Pillai ha ricordato- con dati certi - i dissidi col vicino Comune di Fonni per la contesa dei pascoli di Monte Novu, per la delimitazione dei confini con Desulo e Arzana, ha ricordato processi, omicidi, rivolte sociali contro gli esattori di tasse, il peregrinare dei pastori verso le zone a mare di Castiadas e di Villaputzu, le loro transumanze invernali verso la distesa immensa del Planu Alùssera fra il monte Cardìga e Perdasdefogu. Vicende che Pillai inserirà in una pubblicazione che verrà donata al Comune. Attentissimo a questi racconti il demografo belga Poulain e la sua assesistente Luisa Salaris.
 È dopo questo excursus storico che si è passati al tema forte del giorno: quella della longevità. Alla quale è stato dedicato il “Calendariu de Iddamanna 2006” sul quale campeggia una foto di anziani, uomini e donne, scattata nei primi anni del secolo scorso da un fotografo francese e conservate dal “Sociu Amistade” di via Deffenu di Villagrande.C’è una poesia in limba di Antonello Cannas che racconta di un paese che ha sempre avuto molti anziani (“sa idda nostra de gente anziana numeru mannu ‘nd’a sempre contau”) e ricorda la prima pluricentenaria Damiana Sette morta a 110 anni (“su primu postu aur godangiau candu aus tentu a thia Damiana”). Nel retrocalendario 19 ritratti del club dei grandi vecchi e delle grandi vecchie. Con Pasquale Orrù morto a 102 anni di età, e po - al centro - zia Damiana, e ancora Giovanni Antonio Angelo Melis (101), Carolina Domenica Luigia Demurtas (102), Maria Pasqua Mulas (103), Antonio Orrù (103), Maria Leonarda Mulas (cento), Maria Sebastiana Comida (107), Tomaso Salvatore Giacomo Brundu (cento), cento anche per Atonia Maria Lucia Stochino, e 104 per Giovanni Tomaso Agostino Bidotti. Ecco la foro sorridente di Maria Pasqua Grabrielina (103) con Luciano Domenico Antonio Casari (101), Fortunato Floreddu (101), cent’anni per Gabriele Paolo Conigiu, e 101 per Maria Barbara Antonica Lai e altri cent’anni per Serafina Maria Buttau, Francesco Staffa e Sebastiano Striccialu. E poi trovate gli ingradimenti, con le foto prese dagli archivi casa per casa e che potrebbero disegnare una storia della moda locale: zia Damiana detta «Tomiana» ha tra le mani un fuso di lana e un fazzoletto in testa retto da una catenella in argento.

Peppino Murino sembra un patriarca, la moglie «Fisia» indossa una camicia bianca che lascia trasparire una canottiere ricamata, Barbara Mossudu ha le mani conserte e una catenina d’oro al centro del petto, Angelica Scudu si mostra sorpresa davanti al fotografo. Altre immagini del secolo scorso con uomini nel costume classico, barbe fluenti e berritte, donne con bottoni in oro e argento. E perché non restare ammirati davanti a Sebastiano Striccialu noto «Cacciòla» con la moglie Elisa Boe, lui poggiato su un bastone di olivastro e lei ornata di gioielli in filigrana? E il sorriso di Angelicu Mele, noto «Cuccumeo», seduto su una panca in legno? È come se fosse festa in ogni casa, candeline in ogni rione, col sindaco che va a portare gli auguri della popolazione, il parroco che porta la comunione, stuoli di nipotini e nipotini. E tutti ancora a chiedersi il segreto della longevità. C’è chi dice che «è la nostra acqua che ci fa campare a lungo», chi ne approfitta per sponsorizzare carni di manzo e di maiale fra le più saporite, e perché tralasciare il prosciutto dei maiali del Gennargentu dove cresce il timo e il serpillo? Per altri il miracolo lo fa sua maestà la capra, questo splendido, elegante, saltellante animale che regala uno dei latti più digeribili al mondo. Nei bar davanti al Comune c’è un vecchio novantenne che di cognome fa Demurtas e di nome Antonio e dice, in perfetto italiano: «Ho fatto il pastore per una vita e quindi ho fatto grandi camminate in campagna, saltando fiumi e scavalcando muri e rocce. Ho un nipote medico che ordina ai suoi pazienti grassi di fare trekking.
 Io l’ho fatto senza consiglio medico e sto bene. E ancora faccio lunghe camminate, il passo è più lento ma i muscoli rispondono bene. Merito del latte di capra, dell’acqua e delle corse per riportare all’ovile le pecore smarrite. Non siete convinti? Chiedetelo ai professori».

Questionario e social

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