Domenica 23 aprile 2006

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
23 aprile 2006
Rassegna a cura dell’Ufficio stampa e web
Segnalati  6 articoli delle testate L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna

 
 
1 - L’Unione Sarda
Pagina 17 – Lettere e opinioni
Lungo la 554, vivono tra rifiuti e rottami
Quel campo nomadi come una discarica
Non sono razzista, ma quando transito sulla 554, nei pressi del campo nomadi vicino alla Motorizzazione, mi sento sempre più arrabbiato per come sono ridotti quel pezzo di terreno e le accoglienti costruzioni messe a disposizione dei nomadi. Dentro e fuori dal campo, per un raggio di cento metri, c'è di tutto: scheletri di elettrodomestici, batterie, pneumatici e tanti altri materiali altamente inquinanti. I pneumatici bruciati ammorbano l'aria. Un giorno, un pneumatico mi ha attraversato la strada! Mi è andata bene, perché avevo una velocità moderata e ho ancora i riflessi pronti. Qualche anno fa, nell'azienda dove ero Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, durante un controllo su un'area di 150 mila metri quadri, gli ispettori della Provincia notarono nel terreno una ventina di batterie da 1,5 volt, quelle comunemente usate come torce. Mi dissero di toglierle subito perché inquinavano il suolo e le prime falde acquifere. Stavano facendo rispettare la legge e avevano ragione. Mi chiedo però se i nomadi che hanno scelto di stare in Sardegna si possano permettere impunemente di inquinare suolo, aria e falde. E l'esercito dei responsabili della sicurezza e ambiente cosa fanno? Gradirei che chi ha il dovere di controllare faccia rispettare le leggi e lo stesso Codice civile e penale che si applica per tutti noi. Per i nomadi il decreto Ronchi può essere un tabù, ma per le nostre autorità non può essere così, altrimenti sono corresponsabili di un di reato. Noi che facciamo la raccolta differenziata del vetro, carta e cartone, plastica, umido, secco, batterie, olii esausti, medicinali scaduti... siamo solo degli imbecilli?
A. C. - Assemini
Ha ragione, gentile lettore: il campo nomadi della 554 somiglia a una discarica. Pensi in quali condizioni vivono oltre 150 persone, fra cui 30 bambini! In quello spazio, aperto nel 1995 fra speranze e polemiche, dovevano trovare posto 20 famiglie, ce ne sono 37, alloggiate in roulottes e baracche (abusive). Non nuovi arrivati, bensì figli cresciuti che a loro volta mettono su famiglia. Gli anni passano, il campo rimane lo stesso, sebbene sin dall'inizio fosse largamente insufficiente. Sulla 554 i nomadi hanno l'elettricità (in situazioni di sicurezza non sempre ottimali) e i servizi igienici in comune. Sporchi, insufficienti, mal tenuti. D'altronde, ha mai visto un bagno pubblico decente nel mondo "civile" di noi stanziali? Nel caso, ce lo segnali. In queste condizioni, non si stupirà di apprendere che i piccoli nomadi finiscano al Pronto soccorso con una sorprendente frequenza, che soffrano di problemi alle vie respiratorie e di dermatiti; o che le donne abbiano ben più spesso delle cagliaritane doc, gravidanze difficili, aborti, parti prematuri. Questo evidenziano alcune interessanti ricerche dell'Università di Cagliari. È vero, i nomadi bruciano i copertoni: lo fanno per cucinare. E per ricavare metalli che rivendono o lavorano. Così si spiegano anche i cumuli di rottami che tanto disturbano - e giustamente - il suo senso civico ed ecologico. D'altronde, dal mercato del ferro i nomadi campano: o sarebbe meglio che rubassero? Possono forse scegliere di fare i giardinieri, gli impiegati, i magistrati? Per questo le autorità che hanno competenza sul campo chiudono un occhio. Puntano sulla politica dei piccoli passi. Il Comune di Cagliari progetta di realizzare bagni singoli in ogni piazzola. Pagherebbe la Regione, coi fondi della Legge Tiziana (poco utilizzati ovunque, perché "spendere per gli zingari" non porta voti). Nel campo della 554 assistenti sociali del Comune e volontari compiono un'opera di educazione all'igiene. I bambini vengono mandati a scuola. Un'istruzione di base potrà aiutarli forse a costruirsi un avvenire migliore. A integrarsi nel nostro mondo senza rinnegare se stessi. I progressi ci sono, a volerli vedere. Infine, noi che rispettiamo la legge non siamo imbecilli: facciamo il nostro dovere. Ma abbiamo la gran fortuna di non essere nati in un campo nomadi.
Daniela Pinna
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 11 – Regione
La ricerca
A convegno anche il medico del Pontefice
Medici di base a lezione di celiachia tra «diagnosi, complicanze e prospettive», un corso di aggiornamento organizzato dall'Aic Sardegna nella sala congressi dell'hotel Cervo. In cattedra, oltre a Fasano, è salito ieri il medico di fiducia di papa Wojtyla, Giovanni Gasbarrini, internista del policlinico Gemelli di Roma, che ha ricostruito la storia della malattia, vecchia di ottomila anni, ma descritta con precisione solo nel 1891, dall'olandese Samuel Gee. Riccardo Troncone, direttore dell'Istituto di pediatria all'Università Federico II di Napoli, ha presentato invece l'altra frontiera della ricerca: lieviti costruiti in laboratorio con l'obiettivo di purificare dal glutine il grano creso. Se si esclude il saraceno, l'unico grano che i ciliaci possono mangiare, è totalmente privo di glutine, come alcuni cereali (mais, riso, miglio e tapioca).

 
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 3 - Nuoro
«Ridiscutere il ruolo dell’università»
NUORO. A sorpresa Antonello Soro ha bollato, con un severo giudizio critico, l’Università nuorese. Si è detto profondamente deluso e amareggiato, giudicando l’attività dell’ateneo fallimentare, soprattutto nel momento in cui non riesce ad attrarre studenti provenienti da altre regioni del Paese. In ultima analisi perchè l’impatto con la nostra economia è pressochè zero. Dunque, occorre rimettere tutto in discussione. (a.b.)
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 16 - Cagliari
UNA TESI DI LAUREA SUGLI SPECIAL OLYMPICS
Tutta la forza dei «ragazzi speciali»
La pratica sportiva come occasione per sfuggire all’emarginazione
GIOVANNI DI PASQUALE
CARBONIA. «Ho provato un’enorme soddisfazione e talvolta, non lo nascondo, commozione, nell’incrociare lo sguardo degli istruttori intenti ad allenare questi atleti. Così come ho provato una emozione nell’ascoltare racconti e sensazioni e nell’apprendere che cosa provano nell’affrontare una gara, loro che hanno dovuto affrontare sfide molto più impegnative».
 È la forza di Special Olympics: emozionare, commuovere, convincere. Convincere che il metodo è vincente, nella lotta all’emarginazione dei disabili mentali attraverso la pratica sportiva. Tiziano Serpi, ispettore di polizia, ha visto da vicino il lavoro del team Special Olympics nella redazione della tesi di laurea in Sociologia politica, conseguita all’università di Teramo. È la prima tesi ad analizzare i risultati conseguiti dal gruppo guidato dal direttore Carlo Mascia. «La pratica sportiva: funzioni di integrazione sociale e politica», una quarantina di pagine piene di contenuti e dati: le vicende di Special Olympics in Sardegna, in particolare della polisportiva Olimpia, occupano la parte finale dell’opera, suggello emozionale che, per uno scienziato delle dinamiche sociali, potrebbe apparire inconsueto ma che regala una ricchezza inusitata in ambiti di questo genere. «Nel panorama sardo - ha scritto Serpi - le esperienze vissute e narrate dagli atleti dell’Olimpia rappresentano forse l’esempio più indicativo di come la pratica sportiva possa aiutare le persone con disabilità mentali ad inserirsi ed integrarsi nella società, riappropriandosi della propria vita e di un ruolo sociale che spesso e volentieri viene loro negato». Segue uno spaccato di questa realtà che, come scrive Serpi, ha dovuto affrontare le difficoltà poste dalla «totale impreparazione» delle istituzioni a aiutare i disabili mentali e le loro famiglie: i risultati sono stati tali da sorprendere gli stessi dirigenti dell’Olimpia. Le storie di due “ragazzi speciali” chiudono il capitolo Special Olympics: vicende raccontate da Luciano Scandariato (nella foto, a sinistra), oggi vicepresidente dell’Olimpia, e da Bruno Lardieri, campione della squadra di calcetto, quel quintetto terribile di cui è stato bomber indiscusso, nonché aiutante di campo di un tante squadre di calcio cittadine, in particolare del settore giovanile. Luciano è stato chiuso in casa per 11 anni: «Avevo paura delle altre persone. Nel 1996 conobbi Carlo Mascia». Da lì è partita la sua rivoluzione umana, con lo sport, le medaglie, la gestione della palestra, che sono la sua vita ritrovata: «Sono riuscito a coinvolgere anche mia madre - conclude Scandariato - che oggi è responsabile regionale per le famiglie». Bruno Lardieri ha conosciuto Special Olympics grazie all’amico Luciano: vive da solo, e l’Olimpia è diventata la sua famiglia: «Affronto ogni attività con la massima serenità, e divido il mio tempo fra la squadra e il volontariato rivolto agli anziani e agli ammalati».
 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 35 - Cultura e Spettacoli
Dibattito a Sassari su etica e patrimonio naturale da difendere: l’idea di una moderna eco-sostenibilità
«Nuove virtù salva-ambiente»
Parla il docente di genetica e biotecnologie Enrico Berardi
Nel ventesimo anniversario di Chernobyl interrogativi su altri scenari apocalittici e sulle soluzioni politiche per scongiurarli
PIER GIORGIO PINNA
«Servono nuove virtù: anziché una crescita economica smodata, una società compatibile con l’ambiente». Enrico Berardi ritorna su temi cruciali a pochi giorni dal ventesimo anniversario del disastro nucleare di Chernobyl: libertà dell’uomo e dominio del mondo nell’era post moderna. Lo fa da docente di genetica e biotecnologie: insegna al dipartimento di agraria nell’università politecnica delle Marche. Di famiglia nuorese, Berardi si è laureato a Sassari, ma vive da anni ad Ancona. E’ uno dei giovani professori italiani che più si occupa delle problematiche che vanno dagli organismi geneticamente modificati al futuro e ai rischi della ricerca.
 Qualche tempo fa, nel centro Sardegna, aveva rilanciato l’allarme su un pericolo evidente anche nell’isola: i condizionamenti imposti alla scienza dai poteri forti. E si era soffermato sul ruolo giocato dalle case farmaceutiche, sulle difficoltà per la ricerca di restare al di sopra delle parti, sulle manipolazioni delle multinazionali. Ieri è intervenuto a Sassari. Occasione: il convegno organizzato dall’Ordine provinciale dei medici e dal Comitato di bioetica presieduto da Mario Oppes. Insieme con Carlo Petrini, Berardi era uno dei relatori (nel dibattito è stata ricordata la figura di Francesco Giuffrida, avvocato impegnato nel sociale e difensore civico: alla sua memoria sono stati assegnati diversi riconoscimenti). Tema centrale sviluppato da Berardi: ecologia e tecnica. Un percorso «fra autonomia dello spirito e dignità della natura». Con una non casuale citazione di Bertolt Brecht riferita all’ottusità di certi tecnocrati: Segavano i rami sui quali erano seduti/ E si scambiavano a gran voce le loro esperienze/ Di come segare più in fretta, e precipitarono/ Con uno schianto, e quelli che li videro/ Scossero la testa segando e/ Continuarono a segare». E, poco dopo, una premessa conseguente: «La popolazione mondiale aumenta così tanto da far prevedere che presto la Terra non avrà più risorse. Risorse che oggi, in ogni caso, sono distribuite in maniera asimettrica dal punto di vista geografico e sociale. Ma un’adozione generalizzata del modello “di sviluppo” occidentale che si rivelerebbe difficile da realizzare. Quel che è necessario più di ogni altra cosa è dunque individuare le soluzioni per rendere compatibile la difesa del patrimonio ambientale con l’evoluzione scientifica».
 - Come fare quindi, professor Berardi, per raggiungere l’obiettivo?
 «L’etica è impotente nei confronti della tecnica. Non riesce a impedirle di fare ciò che può né a scegliere i fini da realizzare. Invece la tecnica associa alla sua autonomia operativa la capacità d’imporre se stessa per il solo scopo di proporre ciò che sa fare. Questo rende tutto più difficile».
 - E allora?
 «Ci si deve muovere verso una prospettiva diversa. Sarà essenziale riguadagnare il presupposto secondo cui l’uomo mantiene il potere sui mezzi tecnici per orientarne gli usi. E’ l’etica del fine: passa per una nuova consapevolezza politica. Ci si si muoverà dal constatare che l’uomo di oggi ama l’individualità e opera in base ai propri interessi. In definitiva, occorrono meccanismi che consentano di giungere all’interesse individuale solo dopo un percorso di azioni collettive. Meccanismi miranti alla salvaguardia sociale».
 - Basterà?
 «No. C’è bisogno inoltre che chi sinora non si è mai posto certe questioni avverta lo scarso valore intrinseco delle sue azioni, e non soltanto la mancanza di valore delle conseguenze».
 - Che significa con esattezza? Come orientarsi su questa strada?
 «Credo, e l’ho sostenuto in altre occasioni, che l’uomo, per ripensarsi come parte della natura, debba prima di tutto riconoscere un limite: la sostenibilità energetica delle sue attività. E quindi accettare di farsi condizionare, in nome di un futuro compatibile anziché di un futuro circolare sfociante nel nulla».
 - Con quale percorso?
 «Un percorso che paarte da una nuova razionalità e dalla scoperta di un fine».
 - Ma come faranno la frammentazione dei saperi e degli obiettivi politici statali, tanto diversi, a venire guidati per concorrere alla tutela comune dell’ambiente?
 «C’è naturalmente da trovare una via alternativa rispetto a quelle seguite fin qui. Mantenendo in qualche modo aperta la porta al libero arbitrio. E tentando nello stesso tempo di ottenere contenuti concreti».
 - Tradotto nella pratica quotidiana?
 «Alla vita delle persone andrà assegnato il massimo valore. Ciò non implica, però, che l’uomo possa disporre della Terra per togliersi ogni capriccio: le altre specie, vegetali e animali, contengono un elevatissimo grado di saggezza naturale, per cui la loro distruzione è morale solo se mira a preservare l’esistenza dell’uomo. Com’è stato sottolineato da autorevoli pensatori, invece, nell’era ecologica la questione centrale sta in comportamenti adeguati alle nuove norme: si dovranno insegnare il recupero delle bellezze naturali e, lo ripeto, nuove virtù per una società compatibile con l’ambiente».
 - Tuttavia, si sa una cosa: nel mondo la stessa idea di virtù è piuttosto oscillante.
 «Eppure questo concetto, sin dall’inizio, è stato sempre legato al riconoscimento degli altri: altri uomini, altre culture, tradizioni etiche diverse. Credo che da quest’incontro possiamo guadagnare d’identità e cominciare a costruire».
 - In che modo?
 «Oggi più che in passato è indispensabile costituirsi come soggetti morali. Soprattutto adesso che, mentre diventa non più rinviabile la salvaguardia ambientale, la complessità dei fenomeni mondiali ha disarticolato antichi riferimenti e codici di condotta».
 
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 5 - Sardegna
In Sardegna le vittime furono le verdure
La tragedia russa fu vissuta nell’isola attraverso i disagi alimentari
Decreti contradditori e proibizioni inutili danneggiarono gli agricoltori
ROBERTO PARACCHINI
CAGLIARI. «Anche senza verdure, di fame mon moriremo», lamentò con rassegnazione una massaia nel mercato di San Benedetto, a Cagliari. Era il 13 maggio del 1986, la nube radiottativa prodotta dall’esplosione del quarto reattore della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina (allora Unione Sovietica), aveva invaso sia l’Europa orientale che la Scandinavia.
 E si era sentita anche in Italia, contaminando di paura un po’ tutti.
 Il ministro della Sanità di vent’anni fa, Costante Degan, pochi giorni dopo il 26 aprile (giorno dell’esplosione) aveva posto, prima il veto all’importazione di verdure dalle zone contaminate, poi il «no» generalizzato alla commercializzazione di quelle a foglia larga e, per precauzione, del latte.
 Furono giorni di paura e confusione, di notizie che si accavallavano e rincorrevano in un girotondo di timore. Il governo presieduto da Bettino Craxi fece di tutto anche contraddicendosi (il ministro Degan fu rigido nei divieti, Giuseppe Zamberletti, Protezione civile, più permissivo).
 Il 9 maggio di quell’anno, però, il «no» alla vendita di verdure e latte, ma solo di quelle prodotte nell’isola, venne revocato (e analogo provvedimento interessò la Sicilia). Ma nei mercati la paura continuò a fare da padrona. Una sorta di principio precauzionale che «tra vedere e non vedere» diceva che era meglio astenersi dalle verdure.
 Così lattughe, romanelle, coppettone e bietole, pur prodotte localmente, restarono sui banconi di San Benedetto, a Cagliari, e lo stesso avveniva in tutte le città della Sardegna. Tutti avevano timore di quella cosa strana che poteva piovere dal cielo assieme all’acqua e che gli esperti chiamavano isotopi (atomi dello stesso elemento chimico) che da stabili erano diventati radiattivi (pericolosi) e in grado di arrivare sino in Sardegna.
 Paure, si seppe, per la regione infondate, ma il timore era stato tanto e il nemico oscuro divenne ansia diffusa. La tragedia per tutta l’area di Chernobyl era più che reale, ma dall’isola restò lontana. Secondo i dati allora raccolti dall’istituto di Fisica per medici dell’università di Cagliari, a suo tempo diretto da Mario Ladu, la radioattività in Sardegna non aveva subito variazione di rilievo e, anzi, era rimasta sotto la soglia di rischio. Per avere un’idea, dissero gli studiosi, la presenza nel latte di nano curie (indicatore di inquinamento radioattivo) era nell’isola dello 0,2 per litro e di 5 per chilogrammo di verdura, contro il 62 dell’Italia centrale e i 150 indicato come soglia di sicurezza. «Per questo possiamo benissimo essere esclusi dal divieto», commentò allora il fisico Ladu. Ma nonostante la presenza di dati rassicuranti il provvedimento, ai primi di maggio, era ancora in vigore.
 L’Aima (l’agenzia per gli interventi nel mercato agricolo) ebbe il compito di raccogliere le verdure non commercializzabili: da distruggere. Gli agricoltori però, iniziavano a sentire il peso della crisi. Così l’8 maggio, giorno di inizio da parte dell’Aima della raccolta, a Serramanna successe di tutto e gli amministratori dovettero faticare per riportare la calma: i coltivatori si erano allineati, minacciosi, coi loro automezzi pieni di carciofi davanti al centro Aima. Oltre alla perdita, gli agricoltori dovettero subire anche una beffa perchè i Comuni inziarono il gioco dello scarica barile: rifiutandosi, ognuno, di mettere a disposizione un’area per le merci da eliminare. Alla fine venne utilizzata la discarica di Villasor.
 Montagne di carciofi, lattughe e altre verdure vennero distrutte tra San Sperate, Villasor e Serramanna. Samassi, coi suoi seicento ettari di carciofeti, venne messa in ginocchio, San Sperate dovette bloccare l’esportazione delle nuove lattughe iceberg, con tremila e cinquecento quintali andati perduti. Così in gran parte della Sardegna: i danni e la rabbia fu alta. In provincia di Sassari venne registrata una perdita di circa tre miliardi di vecchie lire conseguenza delle migliaia di quintali di ortaggi distrutti. E il presidente della Confcoltivatori, Eugenio Maddalon, organizzò un ufficio legale per contrastare le iniziative delle istituzioni che stavano «inginocchiando la produzione locale».
 Lo stesso giorno, l’allora presidente della Regione, il sardista Mario Melis, domandò al ministro Degan di tornare sui suoi passi per i prodotti locali sardi. Armato dei risultati dell’istituto di fisica per medici e accompagnato dagli assessori all’Ambiente (Giorgio Carta) e alla Sanità (Billia Pes), l’8 maggio Melis ribadì la richiesta a Roma, alla conferenza delle Regioni appositamente convocata per esaminare la situazione. Oltre alla revoca immediata, che venne concessa il giorno successivo, la delegazione sarda chiese anche la certezza del risarcimento in tempi rapidi (ma così non fu).
 Chernobyl in Sardegna fu, soprattutto, paura, pur con qualche («lievissimo») segnale: «Maggiormente sull’erba», precisò Mario Ladu. In molti, poi, parlarono di un aumento del fondo naturale di radiazioni e di un futuro cupo, anche per l’isola, accompagnato dall’incremento delle leucemie. Ma il direttore dell’istituto di Fisica per medici di Cagliari, gelò quelle voci affermando che si trattava di «discorsi privi di senso».
 Per quel che riguarda la Sardegna, precisò, «è come dire che ha più probabilità di fare tredici al totocalcio una persona che gioca dieci colonne, che non una che ne fa solo una. Il problema è che per entrambi si tratta di una probabilità irrisoria».
 La revoca delle restrizioni del ministro Degan per i prodotti sardi non fermò subito l’ansia e il timore. Il pericolo, per il mondo, fu reale, e fu dal disastro di Chernobyl che anche da noi iniziarono i dubbi sull’energia nucleare, che allora produceva pure l’Italia. Poi con gli anni, vi fu la solidarietà per i bimbi bielorussi che hanno trovato in Sardegna dignitosa ospitalità.
 
7 – La Nuova Sardegna
Pagina 23 - Sassari
IL CONVEGNO
Influenza, epidemie e pandemie tra allarme e prevenzione
SASSARI. «Influenza, epidemie e pandemie tra passato e presente. Allarme e prevenzione», è il tema di un voncengno in programma per venerdì 28 aprile alle 16,30 nell’aula magna dell’università.
 Durante i lavori, che saranno moderati dal rettore e ordinario di Igiene Alessandro Maida e da Piero Cappuccinelli, ordinario di Microbiologia nell’ateneo sassarese, interverranno Eugenia Tognotti (associato di Storia della medicina) che parlerà di “Pandemie e paure interpandemiche fra ’800 e ’900”, Stefano Lazzari (responsabile per l’Organizzazione mondiale della sanità delle epidemie e pandemie nazionali) affronterà il tema della “Strategia globale dell’Oms di fronte all’influenza pandemica”, Pietro Crovari (ordinario di Igiene all’università di Genova e presidente della 3ª sezione del Consiglio superiore di sanità) illustrerà le “Nuove possibilità di contenere una pandemia di influenza offerte dal progresso scientifico”.
 Il convegno è organizzato dall’Università, dalla facoltà di Medicina e dalle scuole di specializzazione in Igiene e medicina preventiva, Malattie infettive e Microbiologia e virologia e sostenuto dalla Fondazione Banco di Sardegna.
 
8 – La Nuova Sardegna
Pagina 6 - Sardegna
I suoi effetti illustrati a Porto Cervo dal direttore della ricerca, Alessio Fasano
Pillola killer della celiachia
Solo nell’isola i casi diagnosticati sono duemila
LUCA ROJCH
PORTO CERVO. Sarà una pillola a riaprire il cassetto del pane per milioni di celiaci. Serviranno ancora un paio d’anni, ma la pastiglia miracolosa, la stampella chimica che ridarà una vita normale e piena di carboidrati a milioni di persone è già in fase sperimentale sull’uomo. La speranza arriva da uno studio fatto negli Usa dall’équipe di Alessio Fasano, direttore del biology research centre all’università del Maryland. Il ricercatore italiano ha concentrato le sue ricerche su questa malattia. La sua pillola è ora sotto l’esame della “food and drug administration”, che la testa su volontari con ottimi riscontri. La patologia è scomparsa in chi assume la compressa. Scorpacciate di pasta e panini non hanno nessun effetto sui soggetti che prendono il farmaco. I risultati sono stati annunciati dal padre della pastiglia miracolosa, Alessio Fasano, in un convegno internazionale organizzato dall’associazione italiana celiaci, a Porto Cervo.
 L’incontro è servito anche per fornire le cifre sui pazienti sardi. Nell’isola è allarme rosso, sono 2mila i casi diagnosticati, ma si ipotizzano più di 16mila pazienti. L’incidenza è quasi il doppio di quella nazionale: un caso ogni 80 persone. Nelle zone dell’interno si ha un vero e proprio record negativo. Manca ancora uno screening sulla popolazione, ma analisi a campione hanno dato risultati sconfortanti. In provincia di Nuoro su 156 controlli in 6 sono risultati positivi. Sotto accusa è sempre il dna dei sardi che mette assieme primati di longevità e tare ereditarie. Diabete, sclerosi multipla e anemia mediterranea hanno un’incidenza record nell’isola. «Nelle popolazioni insulari dove il dna è rimasto cristallizzato - spiega Fasano- gli errori presenti nel codice genetico non sono stati diluiti attraverso la mescolanza». La celiachia è una malattia delle società industrializzate. Ma non si può ridurre a una semplice intolleranza al glutine. «La rivoluzione è cominciata quando abbiamo smesso di considerare questa patologia come un disturbo alimentare, ma siamo riusciti a comprenderne la sua origine genetica autoimmune - dice Fasano -. Questa malattia è in realtà un incidente. È figlia di una scoperta non contemplata nel nostro codice genetico: l’agricoltura. 7mila anni fa l’uomo ha inventato la coltivazione ed è riuscito a produrre quantità di frumento che l’organismo non era preparato a sintetizzare. L’evoluzione aveva portato l’individuo verso un’altra direzione. Ecco perché la celiachia colpisce solo l’uomo e non gli animali».
 Dalla ricerca si creano nuove prospettive anche per la cura di altre patologie. Celiachia, diabete e sclerosi multipla sono legate tra loro a doppio filo. «Il futuro è nel vaccino - spiega il consigliere nazionale dell’associazione celiachia, Gianfranco Alloni -. Ma ci vorranno ancora 10 anni. Aspettiamo l’arrivo della pillola della trasgressione, da prendere in occasioni speciali». In attesa di questo Viagra della pastasciutta i celiaci devono continuare a fare lo slalom tra i cibi proibiti. «Il farmaco blocca l’effetto tossico dei farinacei - spiega Fasano -. Agisce sulla “zonulina”, la proteina che regola l’assorbimento del glutine nell’intestino. È una specie di chiave che apre le porte tra le cellule. L’intestino è protetto da una barriera di cellule, nei celiaci la protezione non c’è, e le porte che dovrebbero rimanere chiuse e impedire che il glutine venga assorbito, restano spalancate».
 
 
 

Questionario e social

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