UniCa UniCa News Rassegna stampa Mercoledì 11 gennaio 2006

Mercoledì 11 gennaio 2006

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
11 gennaio 2006

RASSEGNA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA E WEB
Segnalati 6 articoli delle testate: L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna


 
1 – L’Unione Sarda
Pagina 17 - Provincia Sulcis
Rifiuti all’Enel ma a caro prezzo
L’Università promuove il termovalorizzatore
Carbonia. Bruciare l’immondezza nella centrale di Portovesme costerebbe un milione in più all’anno
Bruciare i rifiuti nelle centrali dell’Enel? Troppo costoso. Meglio il termovalorizzatore. A spezzare una lancia in favore dell’impianto che dovrebbe incenerire i rifiuti di tutto il Sulcis Iglesiente è uno studio compiuto dall’Università di Cagliari. Ebbene gli esperti del Dipartimento di Ingegneria meccanica guidati dal professor Giorgio Cau hanno preso in considerazione quattro ipotesi di impianti di smaltimento dei rifiuti urbani. Quattro ipotesiLa conclusione è che il termovalorizzatore rappresenta la soluzione più economica (con le stesse garanzie ambientali) per smaltire le decine di migliaia di tonnellate di rifiuti che ogni giorno vengono raccolte nel territorio della provincia di Carbonia Iglesias. E non si tratta di un risparmio di poco conto. Il termovalorizzatore consentirebbe costi inferiori del 30 per cento. Sono bei soldini se si considera che la maggiore spesa (a carico dei cittadini) è calcolata in un milione e 140 mila euro, oltre due miliardi per chi ragiona ancora in lire. ParadossoL’aspetto paradossale di questa storia è che ad avere commissionato e pagato lo studio completato nel 2001 dall’Università di Cagliari è stata proprio la Regione. Aveva incaricato (e finanziato) il Consorzio industriale del Sulcis Iglesiente di mettere a punto un progetto per lo smaltimento del rifiuti urbani di tutto il territorio. Lo studio in questione è costato poco più di 250 mila euro, di soldi regionali. Paga la RegioneMa non basta. Recentemente la stessa Regione ha affidato al Consorzio industriale un altro milione di euro per pagare l’acquisizione dei terreni (alla periferia di Carbonia) dove dovrebbe sorgere il termovalorizzatore. Chi continua a credere ancora nell’impianto di termodistruzione è il presidente del Consorzio industriale Mario Porcu: «Tra le soluzioni possibili è quella che consente i costi di gestione più bassi. Senza considerare che il territorio disporrebbe di un impianto tecnologicamente all’avanguardia che, oltre ad assicurare una quarantina di posti di lavoro, sarebbe in grado, in caso di necessità di bruciare anche i rifiuti provenienti da altri bacini». Una centraleL’impianto al quale sta lavorando il Consorzio industriale non è un semplice inceneritore ma una piccola centrale termoelettrica a letto fluido (come quella dell’Enel) in grado di generare 1O megawatt di corrente bruciando una miscela di carbone e rifiuti. Ovviamente si tratta della parte secca che lo stesso impianto (laddove non funzionasse la raccolta differenziata umido-secco) sarebbe in grado di separare. Trenta euroEbbene secondo lo studio dell’Università smaltire i rifiuti nel termovalorizzatore verrebbe a costare settanta euro a tonnellata mentre per trasformare gli stessi rifiuti in combustibile (il cdr) e trasportarlo fino alla centrale di Portovesme ce ne vorrebbero 100, ossia 30 euro in più. Allora perché accantonare il termovalorizzatore? Non c’è una risposta. A meno che la Regione non abbia deciso di dirottare altrove i 45 milioni di euro destinati all’impianto del Sulcis.
Sandro Mantega

 

 

 

Quattro ipotesi i costi
Ecco le quattro le ipotesi prese in considerazione dagli esperti dell’Università per calcolare i colti di smaltimento dei rifiuti urbani. 92,3 Rappresenta il costo in euro a tonnellata per lo smaltimento dei rifiuti in un impianto di combustione "a griglia" che utilizza una tecnologia come quella applicata a Sarroch. 90,3 Sempre in euro a tonnellata, é il costo della termodistruzione in una caldaia a letto fluido alimentata, però, esclusivamente con rifiuti. 85,9 Questo costo si riferisce alla lavorazione della parte secca dei rifiuti per la trasformazione in cdr da bruciare nelle caldaie a letto fluido delle centrali Enel di Portovesme. A questa cifra c’è da aggiungere, però, il costo del trasporto (almeno 20 vecchie lire al chilo) e l’eventuale contributo che potrebbe essere richiesto dall’Enel per bruciare il cdr nella propria centrale. 67,7 Siamo al costo dello smaltimento nel termovalorizzatore. La cifra è decisamente inferiore a quella degli altri impianti e comprende, come nelle ipotesi precedenti, anche il costo dell’investimento.

 

 

 

 

 

2 – L’Unione Sarda
Pagina 15 - Provincia di Nuoro
Prefettura e università
Educazione alla legalità, via al progetto "Force"
Verrà inaugurato domani alle 9 presso l’aula magna dell’univeristà Nuorese di via Salaris il progetto For.C.E. (formazione congiunta per l’educazione alla legalità). Si tratta di un’iniziativa finanziata dai fondi comunitari Pon sicurezza e organizzata dalla prefettura di Nuoro con la collaborazione del consorzio Nova e della facoltà di scienze del servizio sociale del capoluogo. È previsto un laboratorio progettuale di apprendimento attivo di autoinformazione sulle tematiche dell’alcolismo e della tossicodipendenza indirizzato a qualificati partecipanti prescelti anche tra gli operatori delle province di Nuoro e Ogliastra, delle Asl, del Csa, dell’Univeristà, della Prefettura e di una lunghissima serie di Comuni. Il progetto, che impegnerà docenti ed esperti da gennaio a febbraio, mira ad incentivare la formazione di una rete culturale e funzionale tra operatori istituzionali provenienti dagli enti pubblici e dal Terzo Settore impegnati nel sociale.

 

 

 

 

 

3 – L’Unione Sarda
Pagina 14 - Cronaca di Nuoro
inpdap
Borse di studio, domande entro febbraio
È stato pubblicato il bando di concorso dell’Inpdap per l’attribuzione di borse per studi universitari, corsi di specializzazione, master, dottorati di ricerca e stage in azienda. Le domande vanno presentate o inviate all’Inpdap entro il 28 febbraio. Informazioni sul sito www.inpdap.gov.it o telefonando allo 0784-399037 e 0784-258003.


 

 

 

4 – La Nuova Sardegna
Pagina 16 – Sassari
«Trasloco a Mamuntanas? Grande idea»
Entusiasta il preside di Veterinaria, il collega di Agraria invita alla prudenza
SASSARI. I protagonisti principali della vicenda viaggiano su lunghezze d’onda differenti: entusiasta Sergio Coda, preside della facoltà di Veterinaria, molto prudente Pietro Luciano, al timone di Agraria. Il progetto di trasferimento nell’ex azienda agricola di Mamuntanas, dove la Regione vuole realizzare un polo agro-zootecnico d’eccellenza, è visto da angolature opposte. «Un’occasione imperdibile per il territorio e per l’università, che acquisirà il prestigio che merita», dice Coda. «Un bel sogno che rischia di svanire in una bolla di sapone per mancanza di fondi», replica Luciano. Che per questo invita a ridimensionare il progetto faraonico.
 Il problema è legato esclusivamente alla disponibilità finanziaria. Entrambi i presidi, infatti, apprezzano l’idea portata avanti con forza dalla giunta regionale, che vuole fare del settore agro-zootecnico il fiore all’occhiello del Nord Sardegna. Partendo dalle due facoltà universitarie, considerate di altissimo livello, ma che hanno bisogno di essere sostenute per restare al passo con le cugine europee. Le norme sono severe e tutti gli atenei hanno l’obbligo di adeguarsi: stabiliscono che le facoltà di Veterinaria e Agraria possano contare su spazi aperti sufficienti dove ospitare le strutture destinate all’attività di laboratorio e di ricerca. Gli oltre 350 ettari dell’ex azienda agricola di Mamuntanas, attualmente in stato d’abbandono, rappresentano un sito molto appetibile.
 «È questa la strada da seguire - dice Sergio Coda, preside di Veterinaria - bisogna pensare al futuro, investire nella formazione dei nostri giovani. Abbiamo bisogno di spazi, reclamiamo il diritto di ampliare le nostre ricerche: in città non è possibile, in un contesto urbano le possibilità sono limitatissime. Non possiamo correre il rischio che una facoltà storica come la nostra, nata nel 1928, venga considerata di serie B. Per questo motivo il consiglio dei docenti ha votato all’unanimità a favore del progetto regionale: finalmente avremo una clinica, un’azienda zootecnica, un mattatoio. Il minimo indispensabile, insomma. Anche gli studenti sono entusiasti - aggiunge Coda -: studieranno e lavoreranno in una grande azienda, a contatto quotidiano con gli animali». Senza per questo sentirsi isolati dal resto del mondo, dalla città sede dell’università. «Gli studenti viaggeranno sui pullmini della facoltà - precisa il preside - e nel frattempo ci auguriamo che vengano migliorati i collegamenti. Solo i ragazzi dell’ultimo anno, impegnati nel tirocinio, avranno a disposizione una foresteria».
 Anche la questione dei finanziamenti, esigui per ora, non costituisce un ostacolo insormontabile. «L’università deve considerare la possibilità di contribuire al progetto attraverso la vendita di alcuni dei suoi beni - dice Sergio Coda -: se Veterinaria e Agraria andranno via, si libereranno due aree magnifiche. Per esempio, in via Vienna potrebbero trasferirsi gli studenti di Lettere e Lingue, penalizzati negli spazi angusti di via Roma. Che però, una volta immessi sul mercato, farebbero gola a parecchi».
 Pure fantasie, secondo il preside di Agraria. «L’università vive in perenne emergenza - dice Pietro Luciano - qualsiasi spazio libero verrebbe immediatamente utilizzato per la didattica. Certo, sarebbe bello garantire a tutte le facoltà una sistemazione idonea e dignitosa, basti pensare in che condizioni si trova Economia e Commercio: ma il discorso è molto più complesso, bisogna essere prudenti». E andare avanti a piccoli passi, «volando basso» per evitare pericolose cadute. «Il progetto di Mamuntanas è suggestivo - dice Luciano - ma attualmente non è realizzabile. Non ci sono soldi. I quarantasette milioni a disposizione sono una briciola: al presidente Soru l’università ne ha chiesti molto di più. Oltre che alla realizzazione delle strutture, bisogna pensare al personale che dovrà essere impiegato: come saranno garantiti gli stipendi? E poi - aggiunge il preside di Agraria - gli studenti come verranno trasportati? E dove dormiranno? Ancora, che fine faranno le sedi gemmate? Converrà chiuderle? Tutte domande rimaste per il momento senza risposta». Motivi più che validi, secondo Pietro Luciano, per rivedere il progetto. E individuare un’area più piccola, magari vicina ad altre strutture che già lavorano nel settore. «Come Ottava - conclude Luciano - o La Crucca , dove opera una grossa azienda zootecnica. E in questo modo, altro aspetto da non sottavalutare, gli studenti non sarebbero costretti a vivere in campagna».
Silvia Sanna

 

I soldi in cassa sono ancora pochi
L’università chiede un impegno superiore alla Regione
GLI OSTACOLI. Scarsa copertura finanziaria
Nei prossimi giorni è previsto un nuovo incontro sull’argomento con il presidente Renato Soru: alle sue risposte è legata la decisione finale. Che dipende esclusivamente dal senato accademico: in assenza di un pronunciamento favorevole il progetto verrà annullato.
SASSARI.
Il senato accademico, nella seduta dell’11 ottobre scorso, aveva accolto la novità con entusiasmo. Il progetto di realizzazione del polo d’eccellenza di Veterinaria e Agraria negli spazi dell’ex azienda agricola di Mamuntanas, era stato valutato positivamente sotto tutti gli aspetti. Il senato, cioè, aveva espresso parole d’apprezzamento per gli obiettivi perseguiti dalla giunta regionale: potenziare l’università di Sassari dotandola di strutture all’avanguardia e, contemporaneamente, creare nuova occupazione in un’area del Nord Sardegna da diversi anni abbandonata al suo destino. Allo stesso tempo, nella delibera immediatamente successiva alla seduta, il senato aveva fatto intendere di accettare di farsi carico della sua parte di oneri di un progetto così grandioso. L’università sembrava avere accolto senza problemi la necessità di dare il proprio contributo economico, proporzionato alle disponibilità, all’operazione sostenuta e portata avanti dalla giunta Soru. In occasione di un incontro avvenuto alcuni mesi fa (presente anche il preside della facoltà di Veterinaria), il rettore Alessandro Maida aveva manifestato la disponibilità dell’ateneo al presidente della Regione.
Nelle settimane successive la situazione si è ingarbugliata. L’entusiasmo iniziale si è affievolito, di fronte alla paura di non avere in cassa tutti i soldi necessari per mettere le ali al sogno. Secondo il senato accademico, i finanziamenti stanziati dalla Regione non sono sufficienti per un progetto di così ampie proporzioni. Sinora il futuro polo d’eccellenza può contare su cinque milioni destinati alla realizzazione del centro di ricerca veterinaria con annessa un’azienda zootecnica sperimentale, due milioni per l’apertura di un centro di competenza sulla biodiversità animale, e venti milioni (fondi Cipe) stanziati per l’annualità 2005: altri 20 sono stati programmati per il 2006. Il totale ammonta appena a 47 milioni di euro, a fronte dei 100-150 necessari secondo le prime stime. L’incertezza finanziaria ha provocato la retromarcia dell’università: che non ha cambiato idea sulla bontà e validità del progetto, ma chiede soltanto maggiori garanzie sulla copertura economica. La paura è che alle promesse della Regione (altri stanziamenti sono stati annunciati nei prossimi anni) non seguano fatti concreti. E che all’università venga chiesto uno sforzo non alla portata delle sue tasche. Al momento l’ateneo può contribuire dirottando a Mamuntanas il finanziamento stanziato alla facoltà di Veterinaria per la realizzazione dell’ospedale per animali in via Vienna: circa 2,5 milioni di euro. Stop: il bilancio non permette ulteriori elargizioni. In questo senso, la proposta di vendere alcuni beni, che verrebbero liberati con il trasferimento delle due facoltà ad Alghero, potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per le casse dell’ateneo. Ma anche in questo caso, l’università non potrà diventare il maggiore finanziatore della mega operazione. Per questo chiederà impegni certi da parte della Regione e della Comunità europea.
(si. sa.)

 

5 – La Nuova Sardegna
Pagina 16 – Sassari
ERSU. Ufficializzata la nomina del nuovo cda
SASSARI.
L’Ersu ha ufficialmente un nuovo consiglio d’amministrazione. Il presidente della Regione Renato Soru ha firmato il decreto di nomina dei cinque componenti, scelti qualche giorno prima di Natale. Sulla poltrona del presidente siederà il professore universitario Antonello Mattone, indicato dal rettore dell’Università Alessandro Maida. Gli altri due componenti di nomina politica sono Giuseppe Masala (centrosinistra) e Antonello Peru (centrodestra), consigliere comunale di Sorso. Il rappresentante dei docenti è Giorgio Pintore, quello degli studenti Simone Campus.
Nel collegio dei revisori dei conti sono stati eletti Giorgio Porqueddu, Giovanni Francesco Angius e Antonio Serra.
Il consiglio d’amministrazione non si riunisce da due mesi. Il precedente cda presieduto da Maria Paola Pasella è stato sciolto a settembre e ha continuato a operare, in regime di proroga, sino a metà novembre. Per i prossimi giorni il nuovo cda ha annunciato un incontro per fare il punto sulla situazione dell’Ente e chiedere chiarimenti alla Regione a proposito di una “sospetta” spartizione di contributi, che danneggerebbe l’Ersu di Sassari a vantaggio di quello di Cagliari.

 6 – La Nuova Sardegna
Pagina 13 – Cagliari
«Università e imprese, matrimonio indispensabile»
L’esempio degli Usa, i problemi dell’Italia, la piccola esperienza di Monteponi
IGLESIAS.
Imprese e università, anche nella provincia del Sulcis-iglesiente, dialogano, ma non come dovuto e soprattutto non come il territorio si aspetta.
Nell’università a Monteponi, ci sono alcuni corsi di laurea gemmati dall’Università di Cagliari, ma sinora i vantaggi sono pochi.
«Non basta che gli studenti si laureino con stage nelle aziende, devono poi mettere a frutto delle imprese il loro lavoro, essere partecipi di progetti comuni, magari facendo parte di gemmazioni imprenditoriali (in gergo spin-off, ndr) promosse da consorzi universitari e le stesse imprese. Altrove questa è la norma per chi vuole crescere, sia studente o Ateneo. Da noi - continua Giacomo Cao - in questi anni ci si è dedicati molto alle necessarie infrastrutture materiali, ma si è rimasti indietro sulle infrastrutture immateriali; si dovrebbe vivere maggiormente nell’era digitale, e si dovrebbero attuare politiche di gestione tipiche delle moderne aziende. Serve una nuova missione sia per le aziende che per l’università, devono imparare a dialogare di più e meglio, attingendo insieme alle risorse, che ormai non arrivano solo dal ministero per l’università e la ricerca, ma anche dal dicastero delle attività produttive, da quello degli esteri e soprattutto dalla Commissione Europea. Negli altri atenei, gli studi su tecnologie innovative, bonifiche e impatto delle imprese sull’ambiente, avvengono in collaborazione con importanti istituzioni finanziarie internazionali, come la Banca Europea per gli Investimenti o la stessa Banca Mondiale. Da noi tutto questo non avviene, semmai si rischia di riuscire a spendere i fondi per la ricerca presenti nel programma operativo regionale».
 Insomma, per rendere feconda la collaborazione tra imprese e atenei non basta solo la buona volontà delle imprese, sinora ai minimi termini, serve anche un ateneo ancora più credibile, agile, innervato di sistemi digitali, con un rapporto diverso con il mondo economico, più attento all’innovazione e al mercato.

 «Bonificare è possibile, ma le aree restano compromesse»
inquinamento parlano i tecnici
All’estero preferiscono insediare altre fabbriche nei siti compromessi
IGLESIAS. «La scienza mette a disposizione delle imprese sistemi e processi di riduzione dell’impatto inquinante sull’ambiente, ormai collaudati e significativi. Sta a loro, e agli enti pubblici coinvolti decidere se applicarli o meno, ma è importante che si sappia che anche le più radicali e moderne opere di bonifica possono contenere il danno, non eliminarlo del tutto. I siti inquinanti, quelli pesantemente inquinati, rimarranno tali, ma possono svolgere funzioni utili».
L’utile funzione di cui parla il professor Giacomo Cao, è la permanenza in quelle aree di attività industriali, foss’anche inquinanti, che se non altro non estenderanno ulteriormente i loro carichi venefici in zone che inquinate non sono ancora. Sembrerà un ragionamento forse cinico, ma è quello che le nazioni più industrializzate, come gli Stati Uniti, o sensibili all’ambiente come il Giappone fanno, riducendo al minimo i costi di interventi di bonifica e facendo insistere nelle aree “ripulite” altre iniziative industriali altrettanto inquinanti, secondo il principio che la bonifica reale e assoluta sulle aree inquinate vale solo se il valore ricavato copre i costi del processo. Il territorio del Sulcis-Iglesiente non risponde ai requisiti certi per condividere un processo di questo genere: non ha un territorio di pregio, almeno per le aree a ridosso di quelle industriali, grazie al maestrale in un ampio raggio la presenza di industrie inquinanti e di centri abitati risulta compatibile, e soprattutto ha un territorio inquinato ampio e diversificato. I problemi di Portovesme, in questo caso sono emblematici; in paese la possibilità di realizzare nel territorio il gassificatore dell’eventuale nuova centrale a carbone è vista come una iattura, proprio per l’elevato carico di inquinanti presenti ora sul territorio. Impossibile, secondo la maggior parte dei consiglieri comunali, costruirvi un ulteriore impianto energetico.
- Professor Cao, ma è possibile bonificare siti produttivi inquinati, e soprattutto è conveniente?
«Assolutamente sì, ma solo se c’è un rientro economico certo; sono processi complessi e costosi, ma in aree particolari, come Bagnoli (l’acciaieria che si trovava a insistere nel cuore di Napoli) o il bresciano, o la stessa Marghera, località ad alto valore aggiunto, dove i metri quadri poi si vendono come l’oro, le bonifiche vere si fanno. Nel caso di Portovesme o Portoscuso, la soluzione migliore rimane la perimetrazione con muri di contenimento che scendono nel terreno. Le tecnologie in questi ultimi anni sono così affinate da lasciare poco al caso; che siano sistemi chimico-fisici o biotecnologici, a seconda di quelli scelti più efficaci per capacità di eliminazione, o più efficenti per la tempistica, il risultato è certo, ma solo se la falda acquifera viene monitorata e studiata con precisione. Più difficile, da noi come in altre aree europee, intervenire nelle zone minerarie dismesse, molto estese e poco redditizie».
- Perché all’estero i siti inquinati non vengono abbandonati?
«Meglio usare i siti compromessi che comprometterne altri. Spesso si riutilizzano le aree inquinate, dopo una bonifica non definitiva, per gli stessi fini originari. Perché proprio lì? Perché quando le aree sono degradate, recuperarle in toto può essere quasi impossibile. Semmai ha senso renderle più attraenti sulla logistica e l’innovazione. Per Portovesme la barriera di contenimento è la soluzione migliore. Costerà molte decine di milioni di euro? Sempre meno che sbancare, portare altrove, decontaminare e ricollocare una vera montagna di terra. Impensabile anche il solo progetto; nel caso di Portovesme si dovrebbero ipotizzare migliaia di camion in azione».
- Ma l’università sarda e la ricerca, cosa hanno fatto per ridurre, se non eliminare i fenomeni di inquinamento in un territorio compromesso come il Sulcis-iglesiente?
«È stato fatto il possibile. Si è lavorato a un progetto che destinava la metà della produzione di fanghi rossi (cioè quelli prodotti da Eurallumina, ndr) a materia prima per laterizi, con il sostegno degli stessi produttori sardi, che trovano difficoltà a reperire la materia prima; ci sono idee per l’inertizzazione dei fanghi rossi misti ai residui contenenti metalli pesanti, ma si tratta di processi a valle del sistema produttivo, non a monte per ridurre il carico inquinante. Da questo punto di vista si può fare poco; i processi tecnologici sono standardizzati, e non credo che le multinazionali presenti a Portovesme abbiano allo studio processi innovativi. Noi nel nostro piccolo abbiamo completato nel 2002, con un finanziamento del Consiglio Nazionale dell Ricerche, un processo per la vetrificazione a basso costo di residui di lavorazione contenenti metalli pesanti. Questi residui poi vetrificati, e quindi “impermeabili” agli agenti atmosferici, erano pronti per essere utilizzati in altri campi. Il progetto ha raggiunto i suoi scopi, è stata testata l’apparecchiatura, sono stati compiuti anche gli studi per il business-plan dell’impianto, ma poi tutto si è fermato. Bastavano forse centomila euro per completare l’operazione: avremmo “assemblati” scarti della lavorazione del ferro e del silicio, alluminio di scarto e le polveri dei processi minero-metallurgici rendendoli veramente inerti, per poterli applicare in questo caso alla realizzazione di sottofondi stradali o altro. La nostra è una tecnologia sotto brevetto, che si affianca a quella russa, che ingloba scarti radioattivi, o giapponese, che fa analoghi trattamenti con scarti di fonderia».
- Non avete completato l’intervento per poche migliaia di euro?
«Purtroppo è andata così. Questo è il risultato della mancata sinergia tra aziende, territorio e università, e delle difficoltà che la ricerca applicata ha nella nostra isola. Forse l’università avrebbe dovuto in questi anni supportare meglio le politiche di brevettazione, ma la verità è che tra aziende e atenei il dialogo è ancora fermo al tutoraggio per i laureandi, manca lo scambio di informazioni continuo che altrove, e non bisogna per forza citare l’Università di Stanford in California che vive solo di contributi privati, per ipotizzare un sistema virtuoso dove anche le imprese possono e devono svolgere un ruolo importante. C’è anche la via italiana, basti pensare ai due politcnici di Torino e Milano, per capire che con le imprese, da noi si può e si deve lavorare».
- Ma è possibile che nel futuro si possano individuare tecniche capaci di risolvere una volta per tutte i problemi di inquinamento in aree compromesse come quella di Portovesme?
«Forse, ma non è che siamo all’anno zero. In questi anni le imprese hanno fatto tanto. Sui fumi provenienti dai camini Enel ed Eurallumina e in Alcoa i passi avanti sono stati molti, costosi e oggettivamente efficaci. In quel territorio, ma non è molto diverso a Porto Torres dove sono quasi cento gli ettari coinvolti, nel passato, in assenza di una adeguata normativa non è stato possibile proteggere adeguatamente il territorio. Adesso bonificare aree non di pregio non è conveniente, semmai ha senso renderle agibili per nuove iniziative, con una bonifica che consenta di non caricare su chi arriva le colpe del passato. Certo, preferirei che la nuova industria non fosse la fotocopia di quella attuale, con la petrolchimica, la raffinazione e il sistema metallurgico a far da padrone su tutti i fronti, ma non possiamo pretendere tutto. Queste sono le imprese che abbiamo, dobbiamo supportarle a stare con maggior sicurezza sul mercato, tutelando l’ambiente e intervenendo bene e in tempi ragionevoli. Le bonifiche ambientali devono essere una opportunità non un ostacolo».

 il personaggio. Innovazione tra Cagliari e gli Usa
Il ricorso ai privati per lo sviluppo dei programmi di ricerca all’estero è pratica comune, qui è una eccezione
IGLESIAS. Giacomo Cao, 45 anni, è professore ordinario del raggruppamento concorsuale “Principi di Ingegneria Chimica” dal 2001 all’università di Cagliari. Ha studiato e insegnato negli Stati Uniti, alla università di Notre Dame.
Si occupa principalmente di ingegneria delle reazioni e dei reattori chimici, della sintesi di materiali innovativi, delle tecnologie di assorbimento e scambio ionico, e di bonifica di siti contaminati.
È rappresentante per l’Università di Cagliari nel Consorzio Interuniversitario “ La Chimica per l’Ambiente” dal 1994, è stato fondatore e direttore del centro interdipartimentale di ingegneria e scienze ambientali dal 1996 al 2004. Componente di alcuni consigli scientifici in Italia e all’estero è titolare di diversi brevetti; ultimo quello di un superconduttore a base di diboruro di magnesio, ottenuto con una apparecchiatura di fabbricazione giapponese, unica in Italia e presente in un solo esemplare anche negli Stati Uniti, in California.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questionario e social

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