Giovedì 7 febbraio 2019

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
07 febbraio 2019

L'Unione Sarda

Rassegna quotidiani locali
a cura dell’Ufficio stampa e redazione web


L’UNIONE SARDA

1 - L’UNIONE SARDA di giovedì 7 febbraio 2019 / Provincia di Cagliari (Pagina 23 - Edizione CA)
PULA
Borse di studio

Oggi, alle 18, nella sala conferenze di Casa Frau, si terrà la premiazione della quattordicesima edizione della borsa di studio intitolata a Giacomo Pisu e destinata ai giovani laureati e diplomati del paese. (i. m.)

 

2 - L’UNIONE SARDA di giovedì 7 febbraio 2019 / Cagliari (Pagina 16 - Edizione CA)
SANTA GILLA. Il Consorzio ittico: tutelare i fondali e salvare il prodotto locale
Contro le arselle filippine in laguna i pescatori schierano la “cocciula”
Orti-gabbie per allevare le vongole veraci e combattere l'invasione

Sa Cocciula resiste. Cerca di farsi strada sul fondale della laguna invaso da una nemico infestante che da qualche anno ha occupato ogni metro quadro. L'avversaria è la vongola filippina che in questi ultimi sei-sette anni si è moltiplicata. Tutto è iniziato con un tentativo scellerato (e purtroppo riuscito) fatto da alcuni pescatori per ripopolare i fondali di Santa Gilla. La nuova arrivata sta occupando la laguna, sostituendosi alla ben più pregiata arsella autoctona, vanto della gastronomia cagliaritana. Battaglia ardua, quella della vongola verace di fronte a una specie originaria dell'Oceano Indiano e del Pacifico, la filippina appunto, importata volontariamente negli anni Ottanta nella laguna di Venezia per mantenere una fetta consistente del mercato messo in crisi dalla morìa delle vongole mediterranee.
L'ESPERIENZA  Allora accadde in Adriatico, oggi a Santa Gilla. Stessa storia, identici risultati. E così i 120 pescatori che fanno capo alle sette cooperative del Consorzio ittico hanno deciso di cambiar rotta, tentando di restituire alla laguna - per quanto sarà possibile - i molluschi che crescevano e si sviluppavano prima dell'invasione. «Stiamo predisponendo i cosiddetti orti, i recinti di circa trentasei metri quadri ognuno, alti dai due metri e mezzo ai tre, dove sistemeremo la vongola verace sarda. Non prima, però, di aver bonificato queste zone dai granchi e dai bocconi, veri divoratori di vongole. Non sarà - ne siamo pienamente coscienti - un progetto facile. Il carattere infestante della vongola filippina è purtroppo noto e a Santa Gilla si è pienamente dimostrato. Però ci tentiamo, grazie anche alla consulenza dei ricercatori dell'Università», racconta Stefano Melis, presidente del Consorzio.
LE CARATTERISTICHE  Una cosa è certa, la “filippina” è davvero un mollusco biologicamente resistente, in grado di sopportare grandi variazioni di salinità. Ma soprattutto ha una capacità riproduttiva doppia rispetto alla specie mediterranea. Una caratteristica che fa diventare la Tapes philippinarum una specie particolarmente ambita da un punto di vista commerciale. In due anni la vongola d'oriente raggiunge la taglia commerciabile che la mediterranea raggiungerebbe in tre.
IL GIUDIZIO  «In effetti, almeno per quel che concerne la resistenza agli sbalzi ambientali delle lagune, la nostra esperienza ci dice che la vongola verace si è dimostrata più capace di sopportare i cambiamenti di salinità. Mesi fa, quando ci sono stati i violenti nubifragi che hanno scaraventato dentro Santa Gilla una grande quantità di acque dolci tra l'altro cariche anche di fango, la filippina è praticamente scomparsa, tanto che abbiano smesso di lavorare per mesi», ricorda Melis. «Una volta sistemati gli orti-gabbie subentrerà la parte più delicata del progetto, e non solo sul piano biologico e ambientale. Il pericolo sono le razzie, i furti. Questa volta, però, saremo intransigenti. Piazzeremo i cartelli con il divieto di pesca e organizzeremo un servizio di guardianìa. I razziatori sono avvertiti».
Andrea Piras

 

La Nuova Sardegna

 

LA NUOVA SARDEGNA
3 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 7 febbraio 2019 / Sassari - Pagina 19
Ecco i primi dettagli del nuovo progetto di riqualificazione
NELL'ANTICO CONVENTO UNA CASA PROTETTA E ALLOGGI UNIVERSITARI
L'ingresso darà sulla piazza, spazi a biblioteca e sala convegni

di Antonio Meloni
SASSARI Chissà se il beato Francesco Zirano avrebbe mai immaginato che un giorno la sua stanza sarebbe diventata parte di un museo. Sì, perché a breve il complesso di Santa Maria di Betlem sarà sottoposto a un profondo restyling e se nella parte cinquecentesca, dove c'è la cella del martire, sarà realizzato uno spazio espositivo, il convento, dove ora alloggia la fraternità, nell'ala di via Artiglieria, diventerà una residenza universitaria e una casa di accoglienza destinata a minori in difficoltà. Le stanze dei frati saranno spostate, come in antico, attorno al chiostro, a ridosso del «conventino», il nucleo originario del primissimo insediamento francescano che risale al XII secolo. L'ingresso del «nuovo» convento darà sulla piazza principale, proprio di fianco al portale della chiesa che fa da tappa finale alla Faradda del 14 agosto. Ma ci sarà spazio anche per una sala convegni e, naturalmente, un posto speciale sarà riservato alla biblioteca del centro studi, fondato a suo tempo dal compianto padre Marco Ardu. Le notizie sono ancora scarse e frammentarie e al momento non è dato sapere di più perché il progetto di riqualificazione del complesso, che presto sarà consegnato al Comune e alla Soprintendenza, sarà presentato in dettaglio durante un convengo a cui parteciperanno, fra gli altri, i tecnici della Geoserving, società cassinese, specializzata nell'analisi e nella diagnostica dei materiali da costruzione, incaricata dalla Provincia francescana di realizzare lo studio di fattibilità e la redazione del progetto che darà nuovo lustro al complesso di Santa Maria. Va da sé che la priorità assoluta sarà data alla messa in sicurezza dell'edificio sacro che da tempo ha rivelato tutti gli «acciacchi» di un'età più che veneranda. Prima, però, sarà necessario avviare una serie di operazioni preliminari come, ad esempio, lo smontaggio del mastodontico organo sopra la cantoria. Non da ultimo dovrà essere affrontato il problema dell'acqua: pare, infatti, che nel sottosuolo di Santa Maria ci sia una falda acquifera soggetta a riempimento in concomitanza con l'arrivo delle piogge. Recenti rilevazioni su alcuni fori di carotaggio, praticati verso la fine di novembre, avrebbero rivelato la presenza di acqua assente al momento della trivellazione. Resta da capire se e quanto l'acqua nel sottosuolo possa intralciare i programmi dei lavori. Potrebbe essere necessario, per esempio, deviarne il corso, ma queste sono valutazioni di carattere tecnico affidate agli specialisti che, ormai da mesi, studiano le condizioni dello storico complesso. Sul piano della sostenibilità, l'idea di fondo che qualifica il progetto, è soprattutto quella di ordine economico. All'antico complesso architettonico, infatti, una volta restaurato, dovrebbe essere garantita una certa autonomia resa possibile solo dalla presenza di infrastrutture in grado di generare quelle economie capaci di creare utili da reinvestire per sostenete le spese. Da qui l'idea di utilizzare gli ampi spazi del convento attualmente sovradimensionato per una comunità di sette confratelli che troveranno sistemazione ugualmente dignitosa attorno al chiostro. Un progetto, tra l'altro, in sintonia con la collocazione originaria che vedeva lo spazio aperto, caratterizzato dalla cinquecentesca fontana del «Brigliadore», fungere da elemento centrale e le stanze dei frati affacciate sul chiostro. Nessun accenno, al momento, al cimitero sotterraneo la cui presenza era stata accertata dalle rilevazioni fatte alla fine dell'anno scorso con il georadar, che aveva rilevato la presenza di ambienti dalla struttura riconducibile a quella della cripta. Riguardo alla tempistica, salvo complicazioni, dovrebbe essere quella già annunciata a suo tempo: affidamento dei lavori e apertura del cantiere entro la primavera per dare avvio a un'operazione assai delicata che richiederà diversi mesi.

 

4 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 7 febbraio 2019 / Cultura e spettacoli - Pagina 37
Un'opera curata dall'Isre (un libro più un cd) con le registrazioni raccolte da Ignazio Macchiarella ed Emilio Tamburini
LE VOCI DEI SOLDATI SARDI DELLA GRANDE GUERRA

di Luca Urgu
NUORO La guerra con le sue atrocità non cancella tutto. I sentimenti più nobili e tra questi il canto e la poesia, spesso un'unica cosa, possono salvarsi e arrivare fino a noi come una forma estrema di ribellione e resistenza. Ma anche per rimarcare identità e uno spirito di appartenenza che non si dimentica nemmeno a migliaia di chilometri di distanza dalla propria piccola patria. Ovviamente per conservare questo tesoro occorreva la lungimiranza degli studiosi di allora e la volontà degli attuali di riprendere in mano un percorso iniziato da altri con gli stessi nobili obiettivi.Per questo il lavoro "Le voci ritrovate" (volume più cd), curato dal professor Ignazio Macchiarella (Università di Cagliari) e da Emilio Tamburini (Humboldt-Universität zu Berlin) e dedicato al ritrovamento di uno speciale corpus di registrazioni di prigionieri di guerra italiani durante il periodo della Grande guerra assume un significato particolare. Proprio per questo oggi il risultato appare ricco di pathos e suggestioni ma anche di importanti aspetti dal punto di vista etnomusicale e linguistico. Le registrazioni, realizzate dalla tedesca Phonographische Kommission, hanno permesso la realizzazione di un volume di più di 300 pagine, arricchito da quattro compact disc contenenti le voci di quarantadue militari italiani di diverse regioni. Tra loro ci sono anche quelle di tre prigionieri sardi registrati dai prussiani: Giuseppe Loddo di Fonni, Enrico Spiga di Monserrato e Gustavo Varsi di Cagliari. Le loro testimonianze sonore, comprendenti tra l'altro interpretazioni sconosciute di modelli esecutivi noti e diffusi ancora oggi, hanno uno speciale risalto storico per gli studi linguistici e sulla musica di tradizione orale nell'Isola. Uno spazio particolarmente significativo sono occupate dalle registrazioni di Giuseppe Loddo, il primo dei prigionieri italiani ad essere registrato e tra quelli con il maggior numero di tracce musicali raccolte. Per gli studiosi tedeschi, la Sardegna godeva senza dubbio di una particolare attenzione dal punto di vista linguistico. Fra l'altro, tra gli addetti alle registrazioni compare anche il glottologo Max Leopold Wagner (1880 - 1962), specialista di lingue romanze fondatore della linguistica sarda, specialista nella lingua campidanese, il quale aveva cominciato le proprie ricerche nell'isola, giovanissimo già dal 1905. A Nuoro lunedì hanno illustrato il lavoro alla biblioteca dell'Isre il professor Ignazio Macchiarella che è appunto uno degli autori di questo importante volume e gli etno musicologi Sebastiano Pilosu e Diego Pani.La presentazione del libro è stata anche l'occasione per un ascolto guidato dei materiali sardi contenuti nell'opera e per un confronto con i convenuti, alcuni arrivati proprio da Fonni, paese d'origine di Loddo (e una delle patrie del canto a tenore) dove la presentazione del volume è saltata nei giorni scorsi a causa delle abbondanti nevicate. Incuriosisce certo come in tempo di guerra una speciale équipe di ricerca composta da linguisti, musicologi ed etnologi, direttamente finanziata dal Kaiser Wilhelm II, si prodighi a raccogliere, attraverso le voci dei prigionieri, elementi sulla lingua, la musica, la cultura dei popoli i cui eserciti combattevano contro la Vierbund (quadruplice alleanza). I canti proposti da Loddo riguardano diverse tipologie, «quasi avesse voluto proporre una sequenza di brani non casuale ma con l'intenzione di far conoscere diverse tipologie di canto», è l'interpretazione di Sebastiano Pilosu, passando dai settenari dei mutetus campidanesi, alla battorina lugudorese. Tutti modi espressivi tipici della cultura musicale isolana. «Le emozioni sul piano personale sono state tantissime: è stata una bella esperienza di studio, così come importante è stata la collaborazione con Britta Lange la maggior esperta di questi materiali d'archivio, che ci ha fatto capire tante cose», ha detto Ignazio Macchiarella, che anche da questo lavoro ha rafforzato alcune convinzioni. «In definitiva, l'etnomusicologia insegna che ciascuno di noi quando canta è ciò che canta, si identifica con ciò che sta cantando: è un corpo sonoro. Con queste registrazioni, frutto di un lavoro lungo e rigoroso, siamo riusciti a conosce un pezzettino di corpi sonori del passato, con la forza del suono che dà tante informazioni, molte di più di quanto si possa dire e scrivere con le parole».

 

Questionario e social

Condividi su:
Impostazioni cookie