Domenica 24 giugno 2018

24 giugno 2018

L'Unione Sarda

1 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Fondi Investimento (Pagina 24 - Edizione CA)
Conclusa a Cagliari una due giorni di incontri tra ricercatori e mondo produttivo
UNIVERSITÀ E IMPRESE DIALOGANO
Nel 2018 siglati accordi di partnership con 285 aziende

Che ci sia bisogno di un maggiore raccordo tra università e mondo produttivo è un fatto noto. Sarà per questo che centinaia di imprese hanno aderito a UniCa&Imprese, l'iniziativa dell'università del capoluogo che punta a favorire e rafforzare il dialogo tra i ricercatori e gli imprenditori che si è conclusa ieri. Per questo c'era il pienone nel giardino del Centro di Ateneo per l'Innovazione e l'Imprenditorialità, sede dell'iniziativa in via Ospedale a Cagliari. Non a caso per la prima volta, Confindustria Sardegna e Confindustria Sardegna meridionale sono stati partner dell'iniziativa dell'Ateneo cagliaritano che in 4 anni ha coinvolto più di mille imprese.
«ACCORDI CON 285 IMPRESE» «Abbiamo intensificato il dialogo con le aziende, e il nostro Ateneo ha ottenuto anche per questo l'accreditamento da parte del Ministero, con un risultato che ci vede tra i primi in Italia», ha ricordato il rettore Maria Del Zompo.
«Solo quest'anno abbiamo siglato 61 accordi con 285 imprese», ha riferito Maria Chiara Di Guardo, prorettore all'Innovazione. «C'è una comunità trasversale che cresce con il territorio che ha intorno ed è in grado di produrre innovazione. Questi eventi hanno il vantaggio di farci scoprire a vicenda, capire cosa fanno gli altri e imparare tanto ancora», ha aggiunto.
PUNTARE SUL CAPITALE UMANO «Una piccola isola come la nostra non ha molti altri strumenti se non il capitale umano e dunque la preparazione che poi genera l'innovazione tecnologica», ha detto l'assessore regionale alla Programmazione Raffaele Paci. «A noi istituzioni spetta assicurare le risorse per fare in modo che le imprese trovino supporto nelle loro strategie di investimento, e lo stiamo facendo. Penso ai nostri tanti bandi a cui le imprese hanno risposto con grande entusiasmo, proprio quello per l'innovazione l'abbiamo già rifinanziato. Abbiamo una filiera importante che parte dal Contamination Lab», ha aggiunto Paci, «e passa attraverso gli incentivi per le start up, il venture capital, i bandi per l'innovazione, il Digital Innovation Hub. Dobbiamo continuare su questa strada, non ci sono scorciatoie», ha concluso il vicepresidente della Regione. «C'è solo il duro, quotidiano, faticoso lavoro da fare insieme, istituzioni, imprese private e Università: solo così possiamo dare un futuro ai nostri giovani».

 

2 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Provincia di Oristano (Pagina 49 - Edizione CA)
L'INDAGINE. Cossu (Cgil): record sardo per la dispersione scolastica
Boom di iscritti alle Materne
MA SOLAMENTE IL 21% SI LAUREA

Bene alla Materne, meno dalle Medie in su. Tutti i bambini oristanesi frequentano le scuole dell'infanzia ( 99,7 per cento contro il 95,1 della Sardegna e 92 della media nazionale) certifica l'Istat. Ma le percentuali scendono quando si va avanti negli studi. Un oristanese su due dai 25 ai 64 anni arriva al diploma (il 53 per cento), per scendere al 21,8 quando si chiude con la laurea. In generale la Sardegna va pure peggio ( 49,7 per cento per quanto riguarda i diplomati e 18,7 per i laureati) ma quando si va oltre Oristano ripiomba nel burrone con 8 e 7 punti rispettivamente in meno alla media nazionale diplomati-laureati.
Dagli ultimi dati sulla “istruzione e formazione” forniti dall'Istat emerge un quadro con la luce delle scuole per l'infanzia ma anche con tante ombre.
I COMMENTI «Una in particolare - sottolinea Antonello Cossu , responsabile del settore scuola della Cgil e componente la segreteria provinciale del sindacato - riguarda la dispersione scolastica, una delle più alte in Sardegna». La percentuale di ragazzi che hanno abbandonato gli studi prima di conseguire un titolo o un'abilitazione è del 23 per cento contro il dato regionale del 18 per cento e del 14 nazionale.
«In questi ultimi tre anni c'è stato un miglioramento grazie anche al progetto Iscol@ della Regione nato per frenare la dispersione che in provincia ha contribuito ma in misura inferiore rispetto al altri territori. Credo per motivi organizzativi delle varie direzioni scolastiche e per i trasporti piuttosto penalizzanti», spiega ancora Antonello Cossu.
I NUMERI Ma ci sono anche altri dati su cui riflettere. Il 47,8 per cento si limita a un passaggio all'università mentre il 33,4 per cento dei giovani oristanesi non lavora e non studia, semplicemente aspetta. Intanto si conoscono i primi dati sulle iscrizioni al prossimo anno scolastico.
LE ISCRIZIONI Alle medie gli studenti iscritti sono 3.680 contro i 3.687 del 2016/2017; nettamente più marcato il calo che si registra alle scuole superiori: 6.819 contro 6.941.
«Ma il calo maggiore si registra nei Cpia, i Centri di istruzione per adulti, riservato agli stranieri, attivi nel liceo “De Castro” di Oristano, Morgongiori, Mogoro, Terralba e nella casa circondariale di Massama. Le iscrizioni sono diminuite del quarantatré per cento, 219 l'anno scorso, 176 quest'anno. Un fenomeno che interessa anche i centri di accoglienza per migranti che, a fronte di ottocento iscritti, segnala un calo nella frequenza del trentaquattro per cento, in larga parte dovuto alla minore presenza di stranieri», è la riflessione finale di Antonello Cossu.
Antonio Masala

 

2 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Prima Pagina (Pagina 1 - Edizione CA)
«IL CANCRO? LO CURO COL CORPO»
La nuova frontiera della lotta al cancro si basa su un principio semplice quanto rivoluzionario: fare in modo che sia il corpo stesso a distruggere le cellule malate. Si chiama immunoterapia e nel 2013 la rivista Science l'ha messa in cima alla lista delle più importanti svolte in campo medico. Antonio Macciò, primario di Ginecologia oncologica al Businco di Cagliari, spiega come questa cura combatta i tumori, garantendo una migliore qualità della vita agli ammalati.  M. LEDDA A PAGINA 30

3 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Cronaca di Cagliari (Pagina 30 - Edizione CA)
L'INTERVISTA. L'oncologo Antonio Macciò in prima linea nella ricerca internazionale
SE IL CORPO CURA IL CANCRO
L'immunoterapia è la nuova frontiera nella lotta ai tumori
È considerata la nuova frontiera della lotta al cancro, la più promettente. Perché si basa su un principio semplice quanto rivoluzionario: fare in modo che sia il nostro corpo a distruggere le cellule malate.
Si chiama immunoterapia e nel 2013 la rivista Science la mise in cima alla lista delle più importanti svolte scientifiche dei nostri tempi. A distanza di cinque anni, come certificato dalla Società Americana di Oncologia, le promesse sono state mantenute e questa nuova cura si è confermata un'arma efficace per combattere i tumori, garantendo una maggiore sopravvivenza e una migliore qualità della vita ai malati.

«L'immunoterapia consiste essenzialmente nello stimolare le cellule del sistema immunitario che sono deputate alla difesa del nostro organismo, in modo che possano aggredire la cellula neoplastica determinandone la morte». Antonio Macciò, primario di ginecologia oncologica al Businco, è uno dei massimi esperti sardi in materia. Tanto che un suo intervento sulle prospettive future dell'immunoterapia scritto a quattro mani con Clelia Madeddu - ricercatrice della cattedra di oncologia medica dell'Università di Cagliari diretta da Mario Scartozzi - è stato di recente pubblicato dal Jama Oncology , una delle più prestigiose riviste oncologiche internazionali.
«Per noi è un'importante risultato - dice Macciò - che certifica le nostre competenze costruite in oltre trent'anni di ricerche e pubblicazioni iniziate con il professor Giovanni Mantovani, che per primo in Sardegna intuì l'importanza di questo nuovo approccio».
È sbagliato considerare l'immunoterapia una sorta di processo di autoguarigione?
«In un certo senso la si può vedere così, anche se il problema è che il tumore trova dei sistemi che gli permettono di evitare di essere riconosciuto e aggredito dal nostro sistema immunitario. È come una sorta di nascondino: il tumore può essere riconosciuto dall'organismo ma per sfuggirgli organizza una serie di contromisure che gli permettono di controllare il sistema immunitario e di inibirlo».
E qui interviene l'immunoterapia?
«Esatto. La ricerca ha portato a individuare sostanze capaci sia di rafforzare il sistema immunitario sia di contrastare le strategie che il tumore attua per inibirlo. Uno dei farmaci che utilizziamo oggi si chiama anti PD-1 e agisce liberando i punti di blocco delle cellule immunitarie che sono attivati dal tumore stesso. In questo modo l'anti PD-1 impedisce al tumore di sfuggire alla selettiva distruzione da parte delle cellule immunitarie».
Che differenza c'è con la chemioterapia?
«I farmaci chemioterapici agiscono su ogni cellula, anche quelle sane. Operano cioè senza alcuna selettività, interrompendo i circuiti della proliferazione ed è per questo che danno importanti effetti collaterali. Al contrario il farmaco immunomodulante ha in sé proprio il concetto della specificità andando a colpire solo la cellula anomala che viene riconosciuta e uccisa per sue specifiche e peculiari caratteristiche. E gli effetti collaterali sono quasi assenti».
Immunoterapia e chemioterapia sono alternative?
«A nostro avviso questi farmaci di nuova generazione possono essere associati anche alla chemioterapia a bassissimi dosaggi con uno uno scopo antinfiammatorio, essendo l'infiammazione che si associa al tumore un altro meccanismo di immunodepressione. In questo modo si può infatti ottenere un'azione sinergica e nel nostro articolo pubblicato su Jama Oncology viene evidenziato proprio questo aspetto, non a caso nel titolo si parla delle prospettive future dell'utilizzo degli anti PD-1 associati alla chemioterapia a basso dosaggio. Il primo articolo in tal senso venne pubblicato dal nostro gruppo già nel 2000».
Per quali tumori è efficace?
«In particolare nei melanoma, nei tumori al polmone e del rene. Ma si sta cercando di estendere questo nuovo tipo di terapia a tutti i tumori. È per questo - come sottolineato nel nostro intervento - che c'è la necessità di individuare marcatori certi di riconoscimento del tumore da parte del sistema immunitario. Questi farmaci, che hanno costi importanti, devono essere usati laddove siano individuati motivi certi di utilità, evitando così spese onerose per il nostro sistema sanitario. Col professor Gian Benedetto Melis siamo inoltre impegnati a ricercare i marcatori genetici che permettono di individuare i pazienti che più potrebbero beneficiare dell'immunoterapia: ci sono infatti mutazioni genetiche che sono state correlate con una migliore risposta all'immunoterapia, consentendo in alcuni casi una guarigione completa».
Quindi siamo di fronte davvero a una nuova frontiera?
«Sì, l'immunoterapia ha reso curabili tumori che prima non lo erano, permette un'attività lavorativa quotidiana e il mantenimento di una buona qualità della vita, anzi la va a migliorare».
Quale sarà il prossimo passo?
«La vittoria finale sarà avere farmaci in grado di riconoscere la cellula neoplastica come fa una bomba intelligente che colpisce soltanto l'obiettivo assegnato. E lo elimina una volta per tutte».
Massimo Ledda

 

4 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Cronaca di Cagliari (Pagina 29 - Edizione CA)
IL DIBATTITO. Il responsabile del Binaghi: «Vietarne l'uso sarebbe una follia»
MARIJUANA CONTRO IL DOLORE
Cannabis terapeutica per combattere la sofferenza

«Vietare l'utilizzo della cannabis a scopo terapeutico sarebbe una follia. Anzi, visto che in Sardegna si produce la qualità migliore sarebbe bene agevolare la coltivazione». Tomaso Cocco, responsabile dell'ambulatorio di Terapia del dolore dell'ospedale Binaghi, sa bene di esporsi a una marea di critiche. Ma non ha dubbi: in molti casi i cannabinoidi, composti derivati dalla marijuana, sono utili per il trattamento di nausea e vomito causati dalla chemioterapia e per contrastare le sofferenze.
Visto il particolare momento politico e la richiesta di vietarne la vendita da parte del Consiglio superiore di Sanità (Css), l'argomento della marijuana curativa è stato uno dei punti focali del convegno “Importanza della multidisciplinarietà nella terapia del dolore”, che si è tenuto ieri al Lazzaretto di Sant'Elia.
DROGA CURATIVA Potrebbe sembrare un ossimoro. Ma è da anni che gli effetti positivi della cannabis sono stati provati scientificamente. «Abbiamo paura della cannabis per uso terapeutico ma sbagliamo», spiega Tomaso Cocco. «Il sistema cannabinoide è già presente nel nostro organismo. I cannabinoidi sono i messaggeri chimici naturali del nostro corpo (endogeni) e servono per riequilibrare e regolare diverse funzioni di base, come umore, appetito, dolore, sonno e altro ancora», precisa il responsabile dell'ambulatorio di Terapia del dolore. Il rischio, e su questo articolano i loro ragionamenti i detrattori, è la dipendenza? «No, somministriamo ai pazienti dosaggi terapeutici molto bassi, che non causano in alcun modo dipendenza». Quali sono le controindicazioni? «Ai pazienti che svolgono particolari lavori sociali facciamo firmare il consenso informato. È chiaro che chi fa l'autista, il pilota o altre professioni dove è richiesta particolare attenzione non può esercitare per alcune ore». Sulla stessa linea Enrico Polati, professore universitario a Verona e uno dei più importanti studiosi di Terapia del dolore in Italia. «Vietarne l'uso è una delle più grandi stupidaggini mai sentite. Certo è che è necessario selezionare i pazienti». E chi fa lavori particolari? «È necessaria una legislazione che nel nostro Paese manca. Un conducente di un bus con un dolore cronico al collo potrebbe guidare meglio con la cannabis terapeutica che non con la menomazione causata dalla sofferenza perché non può ruotare il collo».
Per quali patologie è utile? «I cannabinoidi sono adatti per il trattamento di nausea e vomito, indotti dalla chemioterapia, quando i farmaci non danno i risultati sperati». La Sardegna è una delle poche regioni d'Italia dove la marijuana teurapetica non si paga perché a carico del servizio sanitario. «La cannabis - aggiunge Cocco - è vantaggiosa in tutte le patologie del sistema nervoso centrale come Sla, Parkinson e contro gli spasmi. Anche con la fibromialgia dà buoni risultati». Come si somministra ai pazienti? «I metodi più diffusi sono le gocce, la decozione orale e il nebulizzatore».
PRODURRE CANNABIS Il sole, il terreno e l'aria della Sardegna sono ottimali per la produzione di cannabis. «La marijuana sequestrata dalla forze dell'ordine in Ogliastra ha il più alto tasso di principio attivo registrato in Europa». Tomaso Cocco propone quella che potrebbe essere una provocazione. «Non solo non va vietata ma, anzi, andrebbe incentivata: potrebbe essere utile anche dal punto di vista economico in una zona in crisi».
IN PRIMA LINEA L'ambulatorio di Terapia del dolore è un'eccellenza in Sardegna. «Siamo nati nel 2012 e da allora io e tre infermieri abbiano seguito 1.450 pazienti ed effettuato oltre 9.000 prestazioni. L'anno scorso le prime visite sono state 250 e le prestazioni 3.000». La Legge 38 sancisce il diritto a non soffrire, ma la strada per raggiungere l'obiettivo è ancora lunga. Perché c'è diffidenza? «Le resistenze maggiori arrivano da altri medici che ci considerano come sciamani. Ma il nostro approccio è scientifico: pensate che il 26 per cento dei sardi soffre di dolore benigno e il 2 per certo di dolore maligno ». Chi tormenta? «Le donne in età avanzata, a causa dell'artrosi benigna, ne risentono di più rispetto agli uomini».
Tomaso Cocco si occupa anche di cure di fine vita. «In questi casi, soprattutto oncologici, procediamo alla sedazione profonda con la morfina per abolire lo stato di angoscia causato dalla consapevolezza che la morte sta per arrivare e per abolire il dolore».
Andrea Artizzu

 

5 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Cronaca Regionale (Pagina 7 - Edizione CA)
SMART WORKING. I sindacati: un fenomeno ineludibile, ma da governare
DOVE C'È UN COMPUTER C'È ANCHE IL MIO UFFICIO
Cresce l'impiego da casa, enti pubblici compresi

Un tempo c'erano solo gli uffici. Chi ci lavorava, fosse un ingegnere o un impiegato, entrava tra le 7 e le 10 del mattino e usciva tra le 17 e le 20. Ma ora tutto sta cambiando. Spinto dal processo di digitalizzazione, il mondo del lavoro vira verso il cosiddetto smart working , una modalità del rapporto di lavoro subordinato che non prevede vincoli di orario o di sede. La prestazione si può svolgere in parte in azienda e in parte all'esterno, in un luogo scelto dal dipendente (non necessariamente l'abitazione).
SETTORI COINVOLTI Riduttivo pensare che sia solo lavoro fatto “da casa”, sbagliato credere che riguardi una ristretta fascia di lavoratori. Aziende pubbliche e private hanno già cominciato la corsa allo smart working. Entro il 2020 sarà realtà per il 51% delle imprese italiane (fonte InfoJobs) e già oggi sono 350mila gli smart worker in tutto il Paese.
La Sardegna non sfugge alla rivoluzione: l'azienda ospedaliero-universitaria di Sassari e il Comune di Cagliari sono alcune delle realtà pubbliche che lo sperimentano. E ci sono aziende private, come Energit, in cui un terzo dei dipendenti usufruisce volontariamente di questa opportunità. «Siamo di fronte a un processo ineludibile che, come testimoniamo i numeri, crescerà sempre più», spiega Gavino Carta, segretario regionale della Cisl. «Il problema che ci poniamo, e per questo la Cisl ha attivato un Osservatorio per studiare meglio questo fenomeno, è riuscire a governarlo, stabilendo in modo chiaro ambiti, obiettivi e produttività».
Tutti i settori saranno coinvolti. «Lo smart working sta già crescendo e nei prossimi due anni crescerà ulteriormente, perché è una soluzione che presenta diversi vantaggi», sottolinea Massimo Temussi, direttore dell'Agenzia regionale per le politiche del lavoro. «Non solo si hanno costi minori per le imprese, ma anche maggiore produttività da parte del lavoratore», che a livello di sistema Paese si traducono in 13,7 miliardi di euro di benefici complessivi (secondo uno studio del Politecnico di Milano). E poi «più flessibilità, che consente di conciliare più facilmente i tempi della vita professionale con quelli della vita privata. In Aspal siamo quasi pronti e più avanti potremo cominciare a proporlo», aggiunge Temussi.
I DUBBI «Ma questa è solo una faccia del cambiamento del mondo del lavoro», premette Michele Carrus, segretario regionale della Cgil: «Nelle prime forme di sperimentazione, lo smart working trasforma su base volontaria e contrattualizzata i rapporti in essere, concedendo più spazi di autonomia al lavoratore nelle aziende già strutturate. Ma in quelle costituite ex novo rischia di entrare in un cono d'ombra di tutele, diritti e doveri. Per questa ragione», ragiona Carrus, «occorre una revisione complessiva della legislazione del lavoro, che rispetti il lavoro e i lavoratori, e sia in grado di governare il cambiamento che stiamo affrontando».
CHI LO APPLICA Il salto da fare è certamente culturale, oltre che tecnologico. Un salto che al Comune di Cagliari, per esempio, è già realtà: oggi sono 15 i dipendenti smart worker, dal prossimo anno l'obiettivo è coinvolgerne 130 (su 1.300 dipendenti complessivi). Energit ha fatto altrettanto. «Il rilancio dell'azienda passa anche attraverso lo smart working e i risultati economici che presenteremo il prossimo mese di luglio lo dimostreranno», spiega l'ad Luigi Martines. «Se altri seguissero il nostro esempio, si avrebbero benefici per tutta la città di Cagliari, perché ci sarebbero meno spostamenti per raggiungere gli uffici, dunque meno traffico, meno emissioni e inquinamento, mezzi pubblici più efficienti e comodi».
Mauro Madeddu

Le testimonianze: stare soli può aiutare la concentrazione e la produttività
«Senza i colleghi si rende di più»

Due giorni alla settimana di smart working da gestire in totale flessibilità: a Energit, l'azienda sarda che offre servizi elettrici, questa formula viene utilizzata dal 35% dei dipendenti. Tra loro c'è Silvia Casti, due figli piccoli, che segue sia la parte commerciale che la parte informatica.
«Il vantaggio principale è la totale flessibilità», dice, «alcuni colleghi hanno stabilito a priori i giorni in cui devono lavorare da casa, io invece per lavorare in remoto devo semplicemente avvertire il giorno prima. Con mio marito che insegna lontano da Cagliari, io utilizzo lo smart working anche per fronteggiare alcuni momenti di emergenza familiare, per esempio quando i bambini si ammalano».
Dopo la titubanza iniziale («quando l'azienda ce l'ha proposto ho storto il naso»), assicura che la formula funziona benissimo. «Il vantaggio non sta solo nell'avere maggiori possibilità di rispettare anche le esigenze della famiglia, ma anche nel fatto che a casa non ho distrazioni. Non è cambiata la retribuzione né il regime di ferie, permessi, e così via: è aumentata invece la mia produttività».
La concentrazione è un aspetto che sottolinea anche Alessandro Suergiu, informatico, dipendente del Comune di Cagliari che ha accettato di lavorare in remoto. «Esistono operazioni che devo svolgere nel silenzio più assoluto, in ufficio basta una distrazione e devo ricominciare da capo. A casa questo non accade». La flessibilità, per gli smart worker, è la parola d'ordine. «L'unico limite è un orario bloccato, che può comunque essere modificato, durante il quale dobbiamo essere a disposizione dei dirigenti dell'ufficio». Anche per lui, quindi, sì pieno allo smart working: «Si tratta di un'esperienza positiva che mi consente di lavorare più serenamente e conciliare le esigenze del lavoro e quelle della famiglia». (ma. mad.)

 

6 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Cronaca Regionale (Pagina 15 - Edizione CA)
Dodici Comuni della Penisola e sei sardi siglano l'accordo: valorizzare questo patrimonio
IL “POPOLO DI PIETRA” IN UN CIRCUITO
È nata a Laconi la Rete nazionale dei musei delle statue stele

Patrizia Mocci INVIATA
LACONI Il popolo di pietra racconta un passato ancora vivo. Dal Portogallo alla Crimea, con al centro la Sardegna, ma anche numerosi territori della Penisola, da Bolzano a Foggia, uniti dal filo conduttore del megalitismo. Menhir, dolmen, incisioni rupestri e statue stele che raccontano la preistoria, tornando indietro di duemila anni rispetto alle civiltà più conosciute, come quella etrusca. Ieri questo patrimonio è stato al centro di un accordo, siglato non a caso a Laconi nel museo dei menhir, che mette insieme sei comuni sardi accanto ad altri peninsulari. È nata, così la Rete nazionale dei musei di statue stele.
L'OBIETTIVO «È valorizzare un patrimonio poco conosciuto - spiega Giorgio Murru, direttore del museo dei menhir - come tutti i fenomeni culturali della preistoria italiana, ma dalla forza prorompente, non esclusivo di una regione o di una nazione, ma europeo e pan mediterraneo». L'idea nasce in Sardegna due anni fa, si sviluppa a Pontremoli, viene ratificata a Firenze in occasione del TourismA e ufficializzata e presentata al pubblico a Laconi, al Museo della statuaria preistorica della Sardegna. Nella sala al primo piano del Palazzo Aymerich (che da vent'anni ospita la magnifica esposizione di menhir) la firma del protocollo al quale hanno aderito i musei di Aosta, Trento, Riva del Garda e Arco di Trento, La Spezia, Pontremoli, Bolzano, Teglio-Sondrio, Mupre Lombardia, Museo dell'Arte Preistorica della Valle Camonica, Museo di Bovino in Puglia, la Regione Sardegna, la Rete Sarda dei Musei e dei luoghi delle statue menhir - Comune capofila Allai.
L'ACCORDO «È una giornata importantissima, quella di oggi, perché sigla un protocollo per valorizzare un patrimonio immenso, la nostra storia e la nostra identità» ha detto Paola Zaccheddu, sindaca di Laconi. L'attenzione per il megalitismo in Sardegna ha avuto un grande impulso con il professor Enrico Atzeni, ha ricordato Riccardo Cicilloni docente universitario a Cagliari. «Un fenomeno misterioso che pose la Sardegna al centro dei contatti con il resto del mondo. Oggi nasce la rete dei musei, ma già all'epoca esisteva una rete di scambi quanto mai attuali». Il legame col passato è ancora vivo, come ha ricordato Franco Marzatico, soprintendente della Provincia autonoma di Trento; citando il grande Luciano Canfora, ha detto: «Gli antichi ci riguardano e in questo caso il fenomeno del megalitismo ci accomuna e diventa stimolo di riflessione sulla nostra identità». In chiusura Giorgio Murru ha avanzato una ipotesi singolare: «Oetzi era un pastore sardo, i suoi tratti somatici sono identici a persone della nostra zona».

 

7 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Speciale (Pagina 26 - Edizione CA)
Sardegna andata e ritorno
Dopo la laurea, il lavoro in Romania. La scelta coraggiosa della cagliaritana Carlotta Loi
Sono Carlotta Loi, ho trent'anni e come tanti altri ragazzi cinque anni fa, dopo la laurea, non sapevo che strada intraprendere. Una cosa era certa: volevo partire all'estero. Ma cos'è l'estero nella testa di una giovane donna? È fare un primo passo per cambiare la propria vita, è la voglia di avventura che ti infiamma il cuore e sopravvivere al di fuori del proprio guscio affrontando con coraggio tutte le sfide. Partii così alla volta della Romania, a Bucarest per un tirocinio della durata di 5 mesi in Confindustria che divenne il mio posto di lavoro per i tre anni a seguire. Passavano le settimane, i mesi e gli anni... mi sentivo a casa, con le mie nuove abitudini, il mio locale preferito in cui far colazione e leggere un libro, la spa il sabato con le mie amiche romene e le feste Erasmus il giovedi nel Centro Vecchio. In ufficio ero la responsabile della comunicazione e coordinavo i tirocinanti che lavoravano al Centro Studi di Confindustria. Ero felice sotto ogni punto di vista. Allo stesso tempo avevo imparato ad amare ancora di più la mia città, Cagliari. La vedevo più bella riflessa negli occhi dei miei amici romeni che guardavano le foto che mostravo del panorama ripreso dal Bastione o delle nostre splendide spiagge. E iniziavo a fare i conti con la nostalgia. Bucarest per me era come un´avventura, un'esperienza costruttiva all´interno del mio percorso di vita, ma era un punto di partenza e non di arrivo. Volevo tornare a casa con le mie nuove idee e nuovi sogni. Decisi così di cercare lavoro in Sardegna. Fortunatamente il mio cv fu apprezzato da varie aziende e con grande stupore scoprii che il fattore comune del loro interesse nei miei confronti era soprattutto dato dalla mia esperienza all'estero. Ora lavoro per un'agenzia di comunicazione strategica di Cagliari, ADDV DMCS, dove ci metto cuore e testa. Affrontando ogni sfida con maggiore sicurezza. Ma con vista sul porto di Cagliari.
Carlotta Loi, relazioni esterne

ALLO SPECCHIO. «Io, mamma»
L'amore e i figli «Il sogno? È qui»
Mi chiamo Francesca, ho 38 anni e amo definirmi una vera sarda!

Cagliaritana di nascita, vivo a Carbonia da 35 anni e qui ho creato la mia famiglia. Sono diventata mamma 19 anni fa per la prima volta e da subito mi sono resa conto che era la cosa che più mi piaceva fare nella mia vita: infatti oggi di figli ne ho 5! Come ogni madre, soprattutto italiana, ho dovuto far presto i conti con la società. A fine 2016 dopo 9 anni di lavoro, causa forte mobbing sono stata costretta a rassegnare le dimissioni. Non mi perdo d'animo, raccolgo tutta la mia forza di volontà e mi rimetto in gioco: riprendo gli studi universitari e a febbraio del 2017 apro il mio blog, LaFrack.com.
È un successo, migliaia di visite a 2 ore dalla pubblicazione del mio primo post, tanti messaggi e richieste. Dopo un anno di vita il blog è lettissimo. Le tantissime visualizzazioni mi convincono a fare il salto, renderlo più professionale e più personale. Oggi questo blog parla non solo di me, ma dà voce al mio territorio e alle donne di Sardegna con le quali adoro interfacciarmi. Tante soddisfazioni, prima di tutte la nomina di Ambasciatrice del My Mellin Blog per il 2018.
Appagata? Sì. Ho sposato Roberto, il mio primo amore, ho 5 figli stupendi, il mio impegno viene riconosciuto. Un sogno mi resta: la laurea.
Francesca Marongiu LaFrack.com.

 

8 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Provincia di Oristano (Pagina 48 - Edizione CA)
RIFIUTI
Consorzio premiato

Il Consorzio provinciale industriale ha ottenuto il premio “Comuni ricicloni 2018” per la produzione del miglior compost, realizzato negli impianti di Masangionis. Il premio viene assegnato ogni anno da Legambiente nell'ambito delle attività legate al recupero dei rifiuti urbani. La cerimonia di consegna dei premi si svolgerà a Roma mercoledì 27 e la ritirerà il presidente Massimiliano Daga. L'impianto di trattamento dei rifiuti di Arborea è stato visitato il mese scorso da una delegazione di docenti e studenti dell'università di Boston, per studiare uno degli impianti all'avanguardia in Sardegna nel trattamento e riciclaggio dei rifiuti. ( e. s. )

 

9 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Speciale (Pagina 41 - Edizione CA)
Affitti brevi
Ma sugli investimenti fatti nell'Isola pesa anche il successo degli affitti brevi in una regione come la Sardegna gettonatissima da turisti, anche in bassa stagione. Non a caso i territori nei quali si sono registrate più pratiche di mutui seconda casa sono stati Cagliaritano, Sassarese e Gallura. Sui primi due incide anche la presenza nei capoluoghi di poli universitari che attraggono studenti fuori sede, sempre in cerca di appartamenti; mentre tra Olbia e Tempio sono più che altro le richieste di case per la villeggiatura a spingere più di un investitore a scegliere l'acquisto di un secondo immobile. Studenti e vacanzieri trainano quindi il mercato, uno stimolo confermato inoltre dalla scelta di Milano e Firenze, centri turistici ma anche universitari, come le due città preferite dai sardi per l'acquisto di un immobile fuori dall'Isola.
Luca Mascia

 

10 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Provincia Sulcis (Pagina 45 - Edizione CA)
SANTADI. Oggi un seminario per ricordare la scoperta
La Grotta Pirosu festeggia 50 anni

Fu una delle scoperte archeologiche più importanti del Sulcis. Cinquant'anni fa, durante un'escursione nella grotta di Su Benatzu, a Santadi, un gruppo di speleologi dell'Asi di Iglesias s'imbatté in un vero e proprio tempio ipogeico del periodo nuragico.
Era quella che venne ribattezzata come “la grotta del tesoro”, anche se in tanti la conoscono come grotta Pirosu. Oggi a dieci lustri da quell'evento, il centro del Basso Sulcis, propone alcune manifestazioni. In primo luogo un seminario, organizzato dal Comune con Pro loco, Parco geominerario, Sémata, Mibact, Asa, Grotte Is Zuddas e Su Corumeddu, a partire dalle 9.30 a Is Zuddas. Oltre al vice sindaco Marco Loi, Sabrina Cisci della Soprintendenza archeologica di Cagliari, Oristano e Sud Sardegna, Mauro Villani (“Martel” di Carbonia) e Nicola Pinna (gruppo speleo Su Benatzu) che parleranno del progetto “Panoramiche sferiche di Su Benatzu”, Pasquale Zucca e Antonio Assorgia che presenteranno il libro “Il tempo nuragico di Su Benatzu”, Carlo Lugliè dell'Università di Cagliari, Giampaolo Merella (“Martel” di Carbonia) e lo studioso Alberto Marini. Dalle 9.30 sono previste attività ludiche e laboratori a cura de Su Cormumeddu, alle 16 il laboratorio di ceramica curato dalla Sémata e alle 18 visita al Museo archeologico.
Maurizio Locci

 

11 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Fondi Investimento (Pagina 24 - Edizione CA)
NOTIZIE IN BREVE
FORMAGGI FRESCHI E NUTRIZIONE

Martedì a Nuoro presentazione di “Minuforte”, progetto dedicato al miglioramento nutrizionale dei formaggi freschi da latte di pecora e capra e alla garanzia della loro identità territoriale. Il progetto è promosso e finanziato da Sardegna Ricerche ed è gestito dal dipartimento di Agraria dell'università di Sassari, collaborano 14 aziende. L'incontro si svolgerà in via Colombo, località Terra Mala, con inizio alle 11.

 

12 - L’UNIONE SARDA di domenica 24 giugno 2018 / Commenti (Pagina 56 - Edizione CA)
A proposito dell'Europa
TUTTI I LIMITI DEL NEO-SOVRANISMO

Vale la pena rilevare che il discorso sulle categorie politiche che ha permeato la storia italiana ed europea del Novecento, alimentando un appassionato dibattito ideale sui significati di termini quali “popolare”, “popolarismo” e “populismo”, è stato rivitalizzato negli ultimi decenni in coincidenza coi profondi mutamenti politici, come anche le recenti elezioni politiche italiane hanno dimostrato. È in particolare assurto a modello di riferimento il messianismo politico di novelli tribuni proclamatisi a guidare il popolo contro le istituzioni, identificate come il nemico naturale e la causa diretta dei suoi mali, che si contrappone alla tradizione popolare dove il ruolo delle istituzioni è fondamentale perché inteso come argine all'arbitrio dei politici. Così le categorie politiche hanno subito una profonda rivisitazione e, non senza qualche errore, sono entrate nel linguaggio comune definizioni come popolare e populista, trainate dalla forza trascinatrice di “uomini nuovi”.
Oggigiorno, in tempi nei quali diversi paesi europei e limitrofi (come la Turchia) hanno subito il fascino di leader che si presentano come l'incarnazione del popolo e sperimentano forme di governo autodefinitosi come l'avvocato dei cittadini contro l'arbitrio dei politici, è utile ricordare come profondamente diversa sia la concezione del “popolarismo”.
Essa è infatti l'unica categoria che ha al centro della sua azione il popolo, che assume il prezioso ruolo di forza morale di controllo e luogo di resistenza etica attraverso la sua articolazione in partiti, operatori dell'informazione e società civile. Nel dibattito politico attuale, al di là delle differenze programmatiche, occorrerebbe una più chiara e distinta demarcazione tra popolarismo e populismo, affinché risulti chiara la distinzione tra Unione Europea e Stato-Nazione.
In Europa il populismo si è affermato in molti paesi (Ungheria, Austria, Italia) come proposta capace di superare la frattura consumatasi tra società civile e politica; un'alternativa reale e concreta che ha raccolto crescenti consensi e che, a nostro giudizio, si presenta come una risposta giusta e sbagliata insieme. Giusta perché, maturata nel clima di insicurezza generato negli europei dalla globalizzazione e dall'incapacità della classe dirigente a individuare risposte in grado di regolare e contrastare fenomeni mondiali quali le migrazioni di massa e la deregolamentazione del mercato del lavoro, può fungere da stimolo per tutte quelle forze politiche oggi in crisi di rappresentanza, affinché possano recuperare il contatto con l'elettorato di riferimento e cogliere le priorità di intervento. Tuttavia sul lungo periodo il populismo si presenta come la risposta sbagliata perché la crescente insofferenza dell'elettorato non si risolve né con l'illusione del neo-sovranismo - che si scontra inevitabilmente con l'interdipendenza degli avvenimenti economico-sociali nei paesi dell'Unione, limitando e condizionando l'esercizio del potere sovrano - né con una guerra senza quartiere contro problematiche complesse con implicazioni su scala globale e interconnessa.
L'unica alternativa valida che si presenta è dunque, ancora una volta, la vituperata Unione Europea: così come all'alba del secondo dopoguerra la nascita dell'Europa era stata promossa come la più valida risposta condivisa al senso di insicurezza collettiva, così oggi deve essere favorita una reale politica europea.
Compensati gli squilibri interni, un'efficace e coordinata cooperazione internazionale appare come l'unica scelta capace di garantire a tutti i cittadini un'efficace difesa da quei poteri forti rappresentati dalle multinazionali, motrici di una globalizzazione selvaggia che minaccia la società europea dall'interno e alimenta crescenti squilibri sociali ed economici.
Luca Lecis,
Docente di storia contemporanea Università di Cagliari

 

La Nuova Sardegna

 

13 - LA NUOVA SARDEGNA di domenica 24 giugno 2018 / Primo Piano - Pagina 3
L'indagine della Svimez sulla crisi degli atenei del Mezzogiorno
UNIVERSITÀ, LA FUGA AL NORD
In 10mila fuori dall'isola

di Gianna Zazzara
SASSARI Pochi studenti, finanziamenti ridotti, scarso sostegno al diritto allo studio. E un territorio che offre pochissime opportunità di lavoro. L'elenco dei mali dell'università sarda è lungo. Ma ce n'è uno che simboleggia più di altri la cronicizzazione del malessere: l'esodo degli studenti più bravi verso gli atenei del nord. Accade alla fine del liceo, oppure dopo il primo ciclo di università. Ma cosa cercano i ragazzi che vanno a studiare fuori dall'isola? Corsi in linea con le nuove richieste del mercato del lavoro (ingegneria e informatica in testa) e, soprattutto, maggiori opportunità di lavoro una volta laureati. Basta un dato a spiegare il fenomeno: secondo Almalaurea il tasso di occupazione è del 52,5% tra i laureati del Nord e del 35 al Sud. A un anno dalla laurea i ragazzi del Nord hanno uno stipendio più alto del 24% rispetto ai colleghi meridionali. Ecco perché i ragazzi vanno via. Per avere un futuro, dal momento che qui non hanno la possibilità di percorrere la loro strada. Il treno per il nord. In Sardegna il 20% degli studenti residenti prosegue gli studi in un ateneo del nord (in testa i politecnici di Milano e Torino e la Bocconi per economia) oppure del centro. Nell'anno accademico 2016-17 sono 9.528 i ragazzi che hanno deciso di studiare fuori dall'isola. Il restante 80% - 37.701 su 47.229 - ha invece deciso di restare. A stimare la perdita degli studenti da parte delle università sarde sono stati i ricercatori dell'istituto Svimez. I dati sono contenuti in un'indagine dal titolo «L'università nel Mezzogiorno» che sarà presentata oggi a Roma.«Il fenomeno ha assunto connotazioni preoccupanti - scrivono i ricercatori - A fare la scelta di migrare sono i cosiddetti best and brightest, cioè i migliori e i più intelligenti». Quelli che escono dal liceo con 100, e magari anche la lode, e quelli che conseguono la laurea triennale col massimo dei voti. «In particolare negli ultimi 15 anni il saldo della migrazione intellettuale è risultato pesantemente negativo per le regioni del Mezzogiorno - si legge nella ricerca - Il movimento opposto è praticamente assente: la quota di giovani residenti nelle regioni del Centro-Nord che frequenta un'università del Mezzogiorno è infatti appena dell'1,9%, solo 18mila studenti». Tutto questo comporta per il Mezzogiorno un costo di 3 miliardi l'anno, tra i 75 e i 95 milioni per la Sardegna. Come spiega l'istituto di ricerca, «si tratta in sostanza della decisione di anticipare la decisione migratoria già al momento della scelta universitaria: l'obiettivo è avvicinarsi ai mercati del lavoro che vengono ritenuti maggiormente in grado di assorbire capitale umano ad alta formazione». E se la perdita di una quota così rilevante di giovani ha, già di per sé, un effetto sfavorevole sull'offerta formativa delle università meridionali, secondo Luca Bianchi, direttore Svimez, «ben più gravi sono le conseguenze che derivano dalla circostanza che, alla fine del periodo di studio, la maggior parte degli studenti emigrati non ritorna nelle regioni di origine, indebolendo le potenzialità di sviluppo dell'area attraverso il depauperamento del cosiddetto capitale umano, uno degli asset più importanti nell'attuale contesto». I costi per le famiglie. Per mantenere uno studente universitario fuori sede ogni famiglia spende in media dagli 8 ai 10mila euro l'anno. Il totale della spesa può raggiungere i 95 milioni. Sono soprattutto i ragazzi galluresi (36%), nuoresi (31%) e ogliastrini (26%) ad decidere di andare a studiare fuori dall'isola. Meno grave, invece, l'emorragia intorno ai due grandi poli di Sassari e Cagliari, dove ci sono le sedi delle due università storiche. Pochissimi invece gli studenti che decidono di trasferirsi per motivi di studio nell'isola: sono appena 585 gli studenti non sardi.

 

14 - LA NUOVA SARDEGNA di domenica 24 giugno 2018 / Primo Piano - Pagina 3
BORSE DI STUDIO
la Regione aumenta la dote finanziaria

L'obiettivo è far crescere la percentuale di laureati, oggi ferma al 17,2%, tra le più basse in Europa, insieme alla Romania. Per questo la Regione ha deciso di aumentare, già dal prossimo anno accademico, la dotazione finanziaria delle borse di studio per i ragazzi che decidono di iscriversi all'università. Non solo. La Regione è decisa a sostenere in tutti i modi gli studenti sardi capaci e meritevoli, ma privi di mezzi. Oggi il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, e l'assessore della Pubblica istruzione, Giuseppe Dessena, illustreranno i contenuti della delibera della giunta nel corso di una conferenza stampa in programma, alle 10.30, nell'aula magna della facoltà di scienze economiche, giuridiche e politiche dell'università di Cagliari.Il provvedimento era molto atteso dagli universitari sardi che più volte sono scesi in piazza per chiedere un aumento degli importi delle borse di studio - tra le più basse d'Italia, addirittura al di sotto dei minimi previsti dal ministero dall'Istruzione - oltre a un ampliamento della platea dei beneficiari, oggi limitata a chi ha un reddito Isee inferiore ai 20mila euro.

 

15 - LA NUOVA SARDEGNA di domenica 24 giugno 2018 / Primo Piano - Pagina 3
Da Sassari a Cagliari aumentano "le lauree magistrali" per favorire gli sbocchi occupazionali
La risposta dei rettori: più specializzazioni

SASSARI Gli atenei sardi non si sono fatti trovare impreparati. Anzi, da anni a Sassari e a Cagliari si studiano soluzioni utili per limitare la fuga dei neodiplomati ottenendo, per altro, risultati più che positivi. La ricetta è semplice e passa dall'offerta formativa che le due università propongono agli studenti. «Sapere che il 20 per cento dei neodiplomati lascia la Sardegna è una pessima notizia - spiega Massimo Carpinelli, rettore dell'università di Sassari - anche se purtroppo in linea con una tendenza nazionale in cui la aree più forti economicamente attraggono studenti e lavoratori conviti di avere maggiori possibilità. Per quanto riguarda Sassari devo però dire che il numero degli iscritti è aumentato più del 10 per cento e che la nostra offerta formativa è stata integrata con corsi studio che rispondo alle esigenze del mondo del lavoro, come l'informatica. E poi se il 20 per cento lascia l'isola vuol dire che l'80 per cento resta in Sardegna, un dato da non sottovalutare nel rapporto con le altre regione che soffrono un ritardo economico. In ogni caso, il nostro ateneo garantisce qualità e servizi di alto livello. Non abbiamo nulla da invidiare al resto degli atenei». A Sassari negli ultimi anni sono aumentate le la percentuali degli studenti regolari del 6 per cento, un dato ottenuto dal confronto tra l'anno accademico 2014/15 e quello 2016/17. Anche il numero degli studenti è ritornato sopra le 13mila unità, oggi sono 13.500, che arrivano a 16mila se si aggiungono i master, i dottorati, le scuole di specializzazione e gli altri percorsi formativi. Anche Maria Del Zompo, rettore dell'università di Cagliari, lavora da tempo per aggiornare l'offerta formativa: «Conosciamo il problema, molti credono che spostandosi possa aumentare la possibilità di trovare lavoro dopo la laurea. La nostra risposta è stata potenziare l'offerta nelle lauree magistrali e negli ultimi 3 anni abbiamo attivato 4 nuovi corsi. Si tratta di data scientist, magement del turismo sostenibile, multimedialità, websecurity e intelligenza artificiale - spiega il rettore - e siamo convinti che il potenziamento dell'offerta formativa possa essere l'unica risposta da dare alla fuga dei neodiplomati. Per questo motivo posso dire di essere ottimista perché i dati, che comunque assumeranno contorni più definiti solo nei prossimi anni, ci dicono che il rapporto dei neolaureati con il mondo del lavoro è più diretto e che l'aumento delle iscrizioni ai corsi di laurea magistrale è un altro aspetto che ci permette di considerare giusta la nostra strategia e di aiutare la crescita della regione». (c.z.)

Questionario e social

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