Giovedì 26 aprile 2018

26 aprile 2018

L'Unione Sarda

1 - L’UNIONE SARDA di giovedì 26 aprile 2018 / Prima Pagina (Pagina 1 - Edizione CA)
Le accuse del ginecologo Melis: «Noi penalizzati per favorire il Mater Olbia»
SANITÀ, LA GRANDE RIVOLTA
No alla riforma, Moriconi (Pd) chiede gli Stati generali

«La Regione ha penalizzato l'azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari per favorire il Mater Olbia. È un fatto sotto gli occhi di tutti», dice Gian Benedetto Melis, direttore del dipartimento materno-infantile dell'Aou. Da nord a sud dell'Isola sindacati, pazienti e amministratori locali dicono che la sanità sarda è malata e la riforma non va. Cesare Moriconi (Pd) chiede la convocazione degli Stati generali della sanità: «È doveroso comprendere le cause che hanno generato tutte queste criticità». C. COSSU, P. PAOLINI ALLE PAGINE 2, 3

Primo Piano (Pagina 2 - Edizione CA)
LE INTERVISTE DELL’UNIONE
MELIS: «AFFOSSATI PER IL MATER OLBIA»
LA DEROGA La Regione ha dimenticato di precisare che la clinica
universitaria è il riferimento obbligato per le emergenze ostetriche

di Paolo Paolini
ppaolini@unionesarda.it

«La Regione ha voluto punire l'azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari e centinaia di pazienti. La penalizzazione è sotto gli occhi di tutti». Gian Benedetto Melis, direttore del dipartimento integrato materno-infantile, scandisce le parole al centro dell'ufficio inondato di sole, terzo piano del policlinico di Monserrato affacciato su giardini malconci. Mentre sgancia il siluro è consapevole di aprire un fronte politico: «È stata fatta una scelta sbagliata e contro la legge».
Settant'anni e millecentoventitré pubblicazioni scientifiche conteggiate nel curriculum, sferra l'attacco senza sollevare la voce di mezzo tono: «Nonostante le norme prevedano che le Aziende universitarie siano il riferimento per tutte le attività connesse con l'urgenza-emergenza, quella di Cagliari è stata esclusa. Questa scelta improvvida ha provocato un grandissimo problema all'Ostetricia, ai punti nascita. Il nostro è quello che ha il maggior numero di parti in Sardegna, ha superato i millesettecento, a livello nazionale viene considerato un hub, come quello di Sassari. Ma - siccome hanno attribuito al policlinico solo il primo livello - anche la clinica ostetrica ufficialmente è considerata due gradini sotto quello che in realtà è il potenziale espresso quotidianamente».
Chiede una deroga?
«È doverosa. La Regione ha dimenticato di chiarire che il riferimento obbligatorio per le emergenze ostetriche è la nostra clinica. Un errore grave che getta alle ortiche un patrimonio di esperienza e professionalità».
Gli effetti del vostro declassamento?
«C'è una legge nazionale sintetizzata nell'accordo Stato-Regione del 16 dicembre 2010 che riconosce il nostro ruolo. Stranamente non se ne fa cenno nel Piano. C'è il mancato riconoscimento di ciò che facciamo anche per l'oncologia ginecologica. Eravamo sede dello screening dei tumori di colon, collo dell'utero e mammella. Non sappiamo per quale ragione siamo stati cancellati».
Chi se ne occuperà?
«L'Ats ha deciso che gli screening devono essere effettuati dal Centro donna del Binaghi. Con costi aggiuntivi da non credere».
Un complotto contro l'Aou di Cagliari?
«Sto ai fatti. Il Piano non parla delle reti oncologiche preesistenti. Nelle tante dichiarazioni pubbliche l'assessore regionale alla Sanità Luigi Arru non ha mai citato gli ospedali universitari di Sassari e Cagliari, che da anni hanno istituzionalizzato percorsi di ginecologia oncologica di ottimo livello».
Un esempio?
«Il nostro ospedale ha una collaborazione con l'Oncologia del Businco e la clinica ginecologica di Sassari: con il professor Salvatore Dessole e il dottor Antonio Macciò lavoriamo assieme. Come nei loro ospedali, anche nel nostro esiste una commissione che analizza ogni caso di tumore scegliendo per ciascuno il tipo di trattamento, la terapia chirurgica e quella medica, gli esami post intervento. Facciamo riunioni quindicinali con l'anatomopatologo Gavino Faa, l'oncologo Mario Scartozzi, il radiologo Luca Saba, i colleghi che si occupano della radioterapia al Businco. Abbiamo un centro che si occupa del cancro alle ovaie e non ha ottenuto alcun riconoscimento. Andiamo avanti solo per le nostre pazienti».
Quante?
«Il numero può variare in base a come vengono classificati i casi oncologici trattati».
Cioè?
«I tumori per i quali c'è la necessità di interventi chirurgici importanti sono ottanta-novanta l'anno, ma arriviamo ad oltre centocinquanta considerando le donne che si rivolgono a noi con una diagnosi iniziale di carcinoma al collo dell'utero».
Il disegno della Regione?
«Plasmare la sensazione di arretratezza sino a trasformarla in una necessità impellente di nuovi centri, quasi un passo indifferibile. Nel frattempo non esiste neppure un registro dei pazienti oncologici che fornirebbe dati importanti».
Forse servono nuovi centri perché voi non avete i requisiti di legge per essere giudicati un hub.
«Li abbiamo tutti, e infatti siamo già hub. Però è evidente che è stata costruita a tavolino l'urgenza di un polo oncologico al Mater Olbia. Non un ospedale pubblico ma privato con forti interessi del policlinico Gemelli e della Fondazione Qatar».
La Regione favorisce il Mater Olbia?
«Per quanto riguarda la ginecologia non c'è di certo bisogno di novità. Sarebbe più vantaggiosa e produttiva una campagna di tutela e rinforzo dei centri che già operano con risultati verificabili».
Cosa pensano i colleghi dell'Oncologico e della clinica universitaria di Sassari?
«Sono d'accordo con questa interpretazione. All'Oncologico, per dirne una, a fronte di una richiesta di ampliamento dell'attività non si risponde in alcun modo con il miglioramento della struttura. Invece la situazione sta peggiorando per potenzialità, liste d'attesa e percorsi».
La Regione punta a evitare le trasferte oltre Tirreno dei pazienti.
«In realtà sta completando un percorso discusso con nessuno che non avrà alcun ruolo nel ridurre i viaggi della speranza. Temo che sia una situazione simile a quando il progetto della clinica di Olbia era sotto l'ombrello del San Raffaele e avrebbe dovuto avere perlopiù la funzione di anticamera del più celebre ospedale lombardo».
In che senso?
«Una volta visitati i malati a Olbia, sarebbe stato più facile suggerire controlli più approfonditi da eseguire al San Raffaele di Milano».
Ne ha parlato con l'assessore Arru?
«L'ho incontrato solo come presidente regionale del Comitato nascite».
Forse non sa esattamente ciò che fate.
«Chi decide conosce per filo e per segno la nostra attività».
Sicuro?
«Francesco Pigliaru e Raffaele Paci, presidente della Regione e vice, sono ex professori universitari. Il primo è stato responsabile della commissione Ricerca scientifica dell'ateneo cagliaritano. Sa che siamo un punto di riferimento nazionale e internazionale. La ginecologia in Sardegna, tutta la ginecologia, è di ottimo livello. È una delle discipline che scientificamente produce di più. Quale interesse spinge a fare scelte che appaiono irrazionali? Mistero. Di sicuro non ci hanno chiesto un contributo di idee».
Eppure c'è chi sostiene che la Regione abbia premiato il policlinico penalizzando gli altri ospedali.
«Un'emerita stupidaggine. L'ho sentita dire anche al presidente della commissione regionale sanità e mi sono meravigliato».
L'Ats è...?
«Inutile e dannosa. Non si capisce a cosa serva un'unica, gigantesca Asl. Si rischia di non entrare più nel dettaglio, nell'analisi delle varie situazioni. È questa la sanità che vogliamo? Penso di no».

 
CHI È
Gian Benedetto Melis ha compiuto 70 anni a febbraio, è direttore del Dipartimento Maternoinfantile e della clinica di ostetricia e ginecologia dell’Azienda ospedaliera universitaria Presiede la Commissione regionale Percorso Nascite
 

2 - L’UNIONE SARDA di giovedì 26 aprile 2018 /Cronaca Regionale (Pagina 8 - Edizione CA)
A maggio si laureerà in Medicina nel prestigioso ateneo di Boston
PRIMA YALE POI HARVARD, LA SCALATA DI ENRICO FERRO

La tesi di laurea l'ha già difesa un mese fa. Il risultato glielo comunicheranno a metà maggio ma sa già di aver preso il massimo dei voti, visto che ha superato tutti gli esami con HD, che significa Honor with distinction , il top in una delle università più prestigiose al mondo: Harvard, a Boston.
Manca solo il dettaglio della lode che dipende dalla performance durante la discussione: 10 minuti di presentazione su power point e 60 minuti di domande. Dal 24 maggio, giorno della cerimonia ufficiale di graduation , Enrico Giuseppe Ferro sarà formalmente un medico e dal giorno dopo inizierà il suo percorso di specializzazione nell'ospedale che ha scelto tra i tanti nei quali ha superato il concorso di ammissione: il Brigham and women's hospital di Boston, uno dei centri di eccellenza mondiale per la cardiologia.
SEMPRE IL MIGLIORE Cagliaritano, 26 anni, Enrico Ferro ha un percorso di grande prestigio in due delle tre migliori università del mondo. Maturità nel liceo dell'Istituto salesiano Don Bosco (massimo dei voti), nel 2010 è stato uno dei 12 europei e dei due italiani ad essere ammesso all'università di Yale, dove è entrato superando la concorrenza di 28mila studenti. Ogni anno è stato tra i migliori studenti, ha ricevuto premi e borse di studio e nel 2014 ha conquistato, summa cum laude (cioè il massimo della lode), il baccalaureate , la nostra laurea breve (che però è quadriennale) in Biologia molecolare ed evolutiva. Poi, tra esperienze formative in Perù, in Marocco, ha fatto domanda nelle migliori università degli Usa ed ha scelto la Harvard medical school per i quattro anni successivi: due pre-clinici e due clinici con un lavoro quotidiano durissimo, sino a 80 ore alla settimana in reparto con responsabilità vere, seppure supervisionate. Oltre alle quali bisogna trovare il tempo di preparare gli esami.
Durante l'ultimo anno ha fatto uno stage di due mesi a Ginevra, nella sede dell'Organizzazione mondiale della sanità, e oggi ne sta completando un altro al St Bartholomew's hospital di Londra.
LA MISSIONE Enrico Ferro ha sempre saputo che avrebbe fatto il cardiologo. «Ho un fratello nato con una cardiopatia congenita e sono cresciuto percependo fin da bambino la sofferenza della malattia, la paura associata con l'eventualità della morte. Ho toccato con mano come la vita delle persone può essere stravolta dalla disabilità e tutto ciò mi ha motivato a ricercare l'eccellenza nella pratica medica, con l'obiettivo di migliorare il futuro delle prossime generazioni».
LE DIFFICOLTÀ Il fatto che sia sempre stato eccellente tra i migliori fa pensare a un genio, a una macchina che macina record e premi senza difficoltà. Non è così. «In ogni giorno di questo percorso ho avuto e continuo ad avere difficoltà. Per vari motivi: il ritmo estenuante di studio e di lavoro, sino a 80 ore alla settimana, mette a dura prova mente e corpo. Inoltre la continua competizione in un ambiente affollato da persone estremamente capaci e motivate può rendere difficile ritagliarsi lo spazio per continuare ad inseguire il proprio sogno: l'effetto collaterale della meritocrazia è che il rischio di essere tagliati fuori rimane sempre presente. Infine la distanza dalla propria famiglia, dalla propria casa e dalla propria terra. Nonostante gli anni continuino a scorrere, rimane sempre difficile l'aver lasciato la stabilità affettiva, economica e socioculturale del proprio mondo, per partire di fatto alla scoperta dell'ignoto».
IL SOGNO DI RIENTRARE E infatti nonostante abbia le porte dei migliori ospedali del mondo spalancate, sogna di tornare in Italia. «È nel mio Paese che vorrei poter condividere le conoscenze ed abilità acquisite durante il mio percorso, anche collaborando con la classe politica o dirigente per migliorare il sistema sanitario».
I CONSIGLI AI COETANEI Enrico Ferro è un ragazzo umile. E se gli si chiede che cosa consiglia ai suoi conterranei risponde innanzitutto di essere disponibile ad essere raggiunto su twitter (@enricogferro). Poi aggiunge: «Iniziate a costruire il vostro percorso prima possibile, cercate di individuare ciò per cui siete portati e valorizzate da subito le vostre abilità. Nessun grande obiettivo si può raggiungere senza pianificare come affrontare le tante piccole sfide che si presentano nel proprio percorso», dice. «È importante individuare una figura-modello da seguire: che sia un ragazzo più grande di noi, un genitore o un premio Nobel, sarà di grande aiuto trovare un esempio concreto. Un altro consiglio», prosegue, «è essere umili nel rapporto con il prossimo: abbiamo qualcosa da imparare da tutti. Infine studiate le lingue: rappresentano la chiave di accesso per diventare cittadini del mondo, e ci permettono di entrare in contatto con opportunità professionali, culture e modi di pensare». Lui ne parla tre: inglese, spagnolo e tedesco.
Fabio Manca

 

La Nuova Sardegna


 

3 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 26 aprile 2018 / Primo piano - Pagina 3
In Sardegna 59 rifiuti per ogni chilometro quadrato
UN MARE DI PLASTICA RISCHIA DI SOFFOCARE I FONDALI DELL'ISOLA
La ricerca su un'area che va da zero a meno 800 metri

di Antonello Palmas
CAGLIARI Plastica e ancora plastica, in quantità industriali: buste, taniche, reti, bottiglie. Ma anche barili in metallo, bottiglie. Una vista sconfortante per chi ama l'ambiente. Il fondo del mare usato come discarica, anche quello bellissimo della Sardegna. È quanto emerge (è il caso di dire) dalla ricerca del biologo marino Andrea Alvito per conto dell'Università di Cagliari, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica britannica Waste management. Trent'anni, di Cagliari, Alvito ha terminato nel 2017 il dottorato di ricerca coi cui fondi ha condotto lo studio e con esso la collaborazione con l'ateneo, ma è grande la soddisfazione per il riconoscimento («postumo», scherza lui) ai suoi sforzi.«Si tratta del primo completo lavoro sul tema dei rifiuti nei fondali marini in Sardegna, in cui ci sono mappatura, caratterizzazione, censimento e distribuzione a una batimetria (profondità) da 0 a 800 metri, dove l'occhio normalmente non riesce ad arrivare» spiega Alvito. «È durato tre anni e ha suscitato interesse in parecchi comuni costieri, che mi hanno contattato per saperne di più sulle condizioni delle loro aree, ma anche nei centri diving. C'è grande attenzione sull'argomento, anzi possiamo dire che si tratta dell'unica "moda" di cui sono contento».Andrea e altri studiosi hanno compiuto il periplo dell'isola effettuando tre anni di campionamenti, dal 2013 al 2015, con partenza e arrivo a Cagliari. Grazie a un accordo dell'Università con i pescherecci, in periodo estivo («per motivi di meteo, ma il mare grosso l'abbiamo trovato lo stesso...») sono stati compiuti centinaia e centinaia di rilevamenti con le reti a strascico su fondali molli, sabbiosi, quelli tipici dei territori di pesca. Qualche anno fa l'Unione europea aveva emanato la Marine strategy framework directive, che impegna tutti gli Stati a produrre il maggior numero possibile di dati su vari argomenti , tra i quali i rifiuti marini inquinanti. La mia ricerca è inserita in quest'ottica e fa parte del lavoro compiuto dal gruppo di ricerca di Angelo Cau, allora direttore del dipartimento di scienze dell'ambiente dell'Università di Cagliari, che comprendeva anche Andrea Bellodi, Alessandro Cau, Davide Moccia, Antonello Mulas, Francesco Palmas, Paola Pesci, Maria Cristina Follesa».Le cale a strascico sono state ripetute per tre anni per vedere come variavano le quantità e le tipologie di rifiuti. «Ciò che viene fuori - dice Alvito - è che in un confronto con altre regioni del Mediterraneo in cui sono stati compiuti studi analoghi, la Sardegna è messa non dico bene, ma meno peggio». Nei mari dell'isola ci sono in media 59 oggetti per kmq, contro ad esempio i 97 di Malta, i 913 dell'Adriatico, i 240 di Patras (Grecia), i 179 del Portogallo. E ciò nonostante le reti con maglie da 20 millimetri, le più strette utilizzate in questo genere di studi. Perché meno rifiuti? Probabilmente per la minore densità abitativa dell'isola e il fatto che i fiumi maggiori siano solo Tirso e Flumendosa, comunque dalla portata inferiore rispetto ad esempio a quelli del Continente ». E i corsi d'acqua hanno un grande ruolo nel fenomeno. C'è poco da gioire, i rifiuti ci sono comunque, e in gran quantità. Le presenze maggiori si segnalano al largo di Sant'Antioco: l'area è nella fascia dai 571 ai 66 oggetti per kmq. La spiegazione risiederebbe in una corrente che costeggia l'isola da nord a sud trasportando i rifiuti, in particolare plastica leggera. Alta concentrazione anche a sud di capo Teulada (da 285 a 380), mentre altre aree sono meno "affollate" di oggetti (da 95 a 190 nel Golfo di Cagliari, al largo del Sinis e di Alghero, nel Golfo dell'Asinara, al largo di Olbia, zona che però spicca per la presenza di vetro. La costa orientale da Olbia in giù ha solo zone con 0-95 oggetti. La plastica è una presenza preponderante, è il 60 per cento del materiale pescato dalle reti, il 10% è composto da vetro, il 9% da metallo, il 6% da tessuti, il 4& da legno, il 2% da gomma, l'1% da cartone, l'8% da altro materiale. Relativamente alla plastica, il 35% sono buste, il 20 % bottiglie, il 19% contenitori per alimenti, il 17% plastica dura, il 9% materiale da pesca).
«L'Ue a partire da questa direttiva sta facendo sempre più pressione perché si elimini la plastica, che ha tempi di degradazione di millenni e in questo processo frantumandosi è capace di entrare nelle reti trofiche e quindi nella catena alimentare, causando danni enormi - dice il biologo - dagli anni 50 a oggi è stata capace di invadere l'ambiente. Sarebbe interessante uno studio sulla provenienza delle plastiche. All'interno della mia tesi del dottorato di ricerca si parla di una campagna sperimentale che riguarda cale a strascico su fondali di quasi 2000 metri, lontani dalle coste e si accerta la presenza di quantitativi di plastica molto superiori: evidente la responsabilità di mercantili e navi da crociera, che ripuliscono le stive lontano da occhi indiscreti». Che fare? «Sono i primi passi verso la conoscenza del fenomeno - risponde Alvito - ma si devono adottare misure gestionali per affrontare il problema. I danni all'ambiente si ripercuotono sul turismo e in una regione come la nostra non è pensabile restare a guardare».

Questionario e social

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