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Nuova scoperta sulle prime coltivazioni in Europa

Grande spazio sulla stampa locale e nazionale per il nuovo ritrovamento effettuato dal Centro Conservazione Biodiversità
18 febbraio 2015

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Cagliari, 18 febbraio 2015 - Non finiscono di sorprendere i pozzi, antichi più di tremila anni, scoperti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano a Cabras, sulla costa centro-occidentale della Sardegna. Il gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) dell’Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta, ha da poco pubblicato i risultati degli ultimi studi incentrati sui semi di vite rinvenuti nel loro interno, fornendo importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa. Ora, grazie anche alla collaborazione con i migliori specialisti nazionali ed internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (CCHS-CSIC) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA-CNR) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza, il contenuto del pozzo più ricco di reperti, il pozzo N, è stato accuratamente studiato sotto tutti i diversi aspetti botanici. 

Il ritrovamento di 47 semi di melone è il risultato di maggior rilievo, poiché fino ad oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa, riferibili all’età del Bronzo, sono stati datati al C14 tra il 1310–1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee del’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia.
 
Il pozzo N di Sa Osa
 
Il contenuto di questi pozzi offre la possibilità di delineare un panorama ampio e variegato della gestione del territorio da parte delle popolazioni nuragiche che abitavano questi luoghi. Sono stati identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime.
 
 

UFFICIO STAMPA ATENEO - mail ufficiostampa@amm.unica.it - Sergio Nuvoli -  tel. 070 6752216

RASSEGNA STAMPA (cliccando sul titolo, si viene reindirizzati all’articolo ove disponibile)

ANSA
 
(ANSA) - CAGLIARI, 18 FEB - Il melone era un frutto molto apprezzato anche dai nuragici. Tanto che per il particolare sapore di quella succosa polpa era coltivato in Sardegna già nel secondo millennio a.C.
    E’ un fatto acclarato e documentato il ritrovamento nei pozzi del sito nuragico di Sa Osa, a Cabras, nell’oristanese, di 47 semi di meloni riferibili all’età del Bronzo. Datati tra il 1310-1120 a.C., costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione di questo frutto nel bacino del Mediterraneo. Al centro della eccezionale scoperta c’è l’equipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità dell’Università di Cagliari, guidata da Gianluigi Bacchetta.
    In questi pozzi non distanti dal luogo dove furono rinvenuti i Giganti di Mont’e Prama, sono stati trovati i semi di melone più antichi del Mediterraneo e molti altri interessanti materiali biologici di specie coltivate in epoca nuragica.
    "I padri dei moderni sardi conoscevano questo frutto con molta probabilità grazie ai continui scambi commerciali intrattenuti con le popolazioni di navigatori del vicino e Medio Oriente", sottolinea Bacchetta.
    E’ di pochi giorni la pubblicazione del risultato della ricerca su Plant biosystems, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore. Questi antichi reperti del frutto sono stati trovati all’interno dei pozzi che avevano la funzione di tenere freschi gli alimenti, i primordiali frigoriferi.
    "Questa scoperta riscrive in parte la storia delle coltivazioni nell’isola - sottolinea ancora il coordinatore dell’equipe - infatti fino a oggi si pensava che la coltivazione del melone fosse arrivata grazie ai romani e i greci che dall’ Asia l’hanno fatta arrivare nello stivale e di lì nel continente europeo".
    Questo ritrovamento fa coppia con un altro recentissimo ad opera della stessa équipe e che interessa lo stesso sito archeologico dove sono stati rinvenuti semi di vite, scoperta che ha fornito importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa. "Questo ritrovamento é ancora più eccezionale - aggiunge Bacchetta - già si sapeva o supponeva che la viticultura fosse già nota ai nostri antenati. Ma mai si poteva supporre che anche il melone fosse coltivato in Sardegna". Il lavoro é stato portato avanti grazie ad un lavoro di equipe che ha coinvolto la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (CCHS-CSIC) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA-CNR) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza.
    Il lavoro di ricerca ha anche permesso di identificare migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. "Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime", conclude Bacchetta. (ANSA).
 

 
Agi.it
 18:19 18 FEB 2015
 
(AGI) - Cagliari, 18 feb. - I semi di melone piu’ antichi el Mediterraneo sono stati trovati in Sardegna nella localita’ Sa Osa, nell’Alto Campidano a 2 chilometri dal Golfo di Oristano.
 La scoperta e’ del gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversita’ dell’Universita’ di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta. Il ritrovamento di 47 semi di melone e’ un risultato di particolare rilievo perche’ fino ad oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie riguardavano solo Vicino e Medio Oriente. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa, riferibili all’eta’ del Bronzo, sono stati datati al C14 tra il 1310-1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo.
 Prima d’oggi la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto piu’ recenti. (AGI) Red/Sol
 

 
La Stampa.it
18/02/2015
NICOLA PINNA
CABRAS (ORISTANO)
 
Coltivavano il melone e la vite, ovviamente bevevano il vino, poi raccoglievano noci, nocciole e fichi. La dieta mediterranea, i nuragici, l’avevano inventata più di tremila anni fa: ancor prima che i Fenici, i Greci e i Romani iniziassero a trasportare e commercializzare gli alimenti da una riva all’altra del Mediterraneo. I loro cibi, compresa la carne di cervo e il pesce, i “protosardi” li custodivano all’interno di frigoriferi naturali: profondi pozzetti scavati nella roccia, dove ora gli archeologi hanno recuperato più di 15 mila semi ancora in perfetto stato di conservazione. Il Carbonio14 ha consentito di ricostruire l’origine di ciascun ritrovamento e dopo 5 anni di studio si è potuto capire quanto fosse importante la scoperta. 
Quella che stupisce di più riguarda il melone. Nella zona di Sa Osa, nelle campagne di Cabras, sulla costa occidentale della Sardegna, gli studiosi hanno trovato 47 semi che a distanza di molti secoli sono ancora in grado di raccontare una storia a dir poco meravigliosa. «Fino ad oggi le prime notizie sulla coltivazione di questa specie arrivavano dal Medio Oriente – spiega Gianluigi Bacchetta, direttore del Centro di conservazione delle biodiversità dell’Università di Cagliari - I semi di melone ritrovati nell’Oristanese sono riferibili all’età del Bronzo, datati tra il 1310 e il 1120 avanti Cristo. Costituiscono la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti».
Gli studi sulla dieta nuragica non sono finiti. Anche perché c’è da ricostruire la storia di tutti gli altri alimenti conservati nelle “celle frigo” di pietra. In campo ci sono equipe di scienziati provenienti da mezza Europa. L’Università di Cagliari, ma anche il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del legno e delle specie arboree di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e della Sardegna, ma anche il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università La Sapienza di Roma. «L’eccezionalità di questa ricerca – sottolinea il professor Bacchetta – è anche lo stato di conservazione di questi prodotti: praticamente perfetti, grazie all’assenza di ossigeno e alla forte umidità».
Grazie agli scavi di Sa Osa, anche l’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada dell’Università Politecnica di Valencia ha già certificato un’altra importante scoperta. In Sardegna, al tempo dei nuraghi, si coltivava anche l’uva. La vernaccia e la malvasia, produzioni di eccellenza delle cantine isolane, hanno origine davvero molto antica: la vite silvestre, infatti, cresceva nel Sinis già tremila anni fa. Ancor prima che Dioniso donasse il vino ai Greci. 
 

 
Repubblica.it
di MONICA RUBINO
 
ROMA - Dopo la sensazionale scoperta degli archeosemi di vite che riscrivono la storia della viticultura dell’intero Mediterraneo occidentale i pozzi del sito nuragico di Sa Osa, nel territorio di Cabras (Oristano), non smettono di rivelare sorprese. Questa volta nei "paleo-frigoriferi" per alimenti, antichi più di tremila anni, il gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) dell’Università di Cagliari, diretto dal professor Gianluigi Bacchetta, sono stati ritrovati semi di melone.
La scoperta è ancor più sensazionale perché fino a oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I 47 semi di melone ritrovati all’interno del pozzo ’N’ di Sa Osa, riferibili all’età del bronzo, sono stati datati al c14 tra il 1310-1120 a.C. E costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. "Prima d’oggi - ci spiega il professor Bacchetta - la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee dell’instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (Comav) dell’Università Politecnica di Valencia".
Il team del CCB di Cagliari sta studiando il contenuto dei pozzi nuragici, e in particolare di quello più ricco di reperti, il pozzo N, è stato accuratamente studiato sotto tutti i diversi aspetti botanici grazie alla collaborazione con i migliori specialisti nazionali ed internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (CCHS-CSIC) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA-CNR) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza. Finora sono stati identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. "Il quadro generale che è emerso - conclude Bacchetta - evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime. Il contenuto di questi pozzi offre la possibilità di delineare un panorama ampio e variegato della gestione del territorio da parte delle popolazioni nuragiche che abitavano questi luoghi".
 
 

 
Lettera43.it
AMBIENTE
 
Il melone era un frutto molto apprezzato anche dai nuragici.
Tanto che per il particolare sapore di quella succosa polpa era coltivato in Sardegna già nel secondo millennio a.C.
È un fatto acclarato e documentato il ritrovamento nei pozzi del sito nuragico di Sa Osa, a Cabras, nell’Oristanese, di 47 semi di meloni riferibili all’età del Bronzo (guarda le foto).
PRIMA TESTIMONIANZA. Datati tra il 1310-1120 a.C., costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione di questo frutto nel bacino del Mediterraneo.
Al centro della eccezionale scoperta c’è l’equipe archeobotanica del Centro conservazione biodiversità dell’Università di Cagliari, guidata da Gianluigi Bacchetta.
In questi pozzi (avevano la funzione di tenere freschi gli alimenti) non distanti dal luogo dove furono rinvenuti i Giganti di Mont’e Prama, sono stati trovati i semi di melone più antichi del Mediterraneo e molti altri interessanti materiali biologici di specie coltivate in epoca nuragica.
RICERCA PUBBLICATA SU PLANT BIOSYSTEMS. Il risultato della ricerca è stato pubblicato su Plant biosystems, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore.
Il lavoro è stato portato avanti grazie alla soprintendenza per i Beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano, il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (Cchs-Csic) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del legno e delle specie arboree (Ivalsa-Cnr) di Sesto Fiorentino, la soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana e il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza.
 

 

 
LA NUOVA SARDEGNA
La Nuova Sardegna di giovedì 19 febbraio 2015
Prima pagina
LA SCOPERTA DELL’ATENEO DI CAGLIARI
In un pozzo nuragico a Cabras i semi più antichi d’Europa
I sardi i primi a coltivare meloni
 
Dopo la vite, il melone. Non finiscono di sorprendere i pozzi nuragici scoperti dalla Soprintendenza a Cabras. Il gruppo di archeobotanica dell’Università di Cagliari hanno ritrovato 47 semi riferibili all’Età del Bronzo (tra 1300 e il 1100 Avanti Cristo) che sono la prima testimonianza della coltivazione nel Mediterraneo.
 
Pagina 9 – Sardegna
I sardi sono stati i primi a coltivare i meloni
Ricercatori dell’Università di Cagliari hanno trovato a Cabras 47 semi, i più antichi del Mediterraneo
 
CAGLIARI Dopo la vite, il melone. Non finiscono di sorprendere i pozzi, antichi più di tremila anni, scoperti dalla Soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano a Cabras, sulla costa centro-occidentale della Sardegna. Il gruppo di archeobotanica del Centro conservazione biodiversità (Ccb) dell’Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta, ha da poco pubblicato i risultati degli ultimi studi incentrati sui semi di vite rinvenuti nel loro interno, fornendo importanti indizi sull’origine della viticoltura in Sardegna e in Europa. Ora, grazie anche alla collaborazione con i migliori specialisti nazionali ed internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (Cchs-Csic) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (Ivalsa-Cnr) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza, il contenuto del pozzo più ricco di reperti, il pozzo N, è stato accuratamente studiato sotto tutti i diversi aspetti botanici. Il ritrovamento di 47 semi di melone è il risultato di maggior rilievo, poiché fino ad oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa, riferibili all’età del Bronzo, sono stati datati al C14 tra il 1310–1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee del’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (Comav) dell’Università Politecnica di Valencia. Il contenuto di questi pozzi offre la possibilità di delineare un panorama ampio e variegato della gestione del territorio da parte delle popolazioni nuragiche che abitavano questi luoghi. Sono stati identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime.
 

 
L’UNIONE SARDA
L’Unione Sarda di giovedì 19 febbraio 2015
Cronaca di Oristano (Pagina 13 - Edizione OR)
Cabras
Il primo melone ha l’età del bronzo:
scoperti 47 semi in un pozzo nuragico
 
Il primo melone del Mediterraneo era made in Sardegna. Nuove sorprese dai pozzi, antichi più di tremila anni, scoperti dalla Soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano a Cabras. In uno dei pozzi sono stati rinvenuti 47 semi di meloni risalenti a oltre tremila anni fa. Sino a oggi la coltivazione era attribuita al periodo greco e romano, ma diversi secoli dopo. I nuragici già nell’età del bronzo, a quanto pare dalle ultime scoperte, avevano già confidenza con il delizioso frutto. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa sono stati datati al C14 tra il 1310-1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Il gruppo di archeobotanica del Centro conservazione biodiversità dell’Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta, ha da poco pubblicato i risultati degli ultimi studi incentrati sui semi di vite rinvenuti nel loro interno, fornendo importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa. Ora, grazie anche alla collaborazione con i migliori specialisti nazionali e internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia di Madrid, l’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza, il contenuto del pozzo più ricco di reperti, il pozzo N, è stato accuratamente studiato sotto tutti i diversi aspetti botanici.
 

 
LA NUOVA SARDEGNA
La Nuova Sardegna.it
 
CAGLIARI. Anche gli abitanti nuragici della Sardegna apprezzavano i meloni. Tanto che per il particolare sapore di quella succosa polpa era coltivato in Sardegna già nel secondo millennio avanti Cristo. Lo documenta il ritrovamento nei pozzi del sito nuragico di Sa Osa, a Cabras, nell’Oristanese, di 47 semi di meloni riferibili all’età del Bronzo. Datati tra il 1310-1120 a.C., costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione di questo frutto nel bacino del Mediterraneo.
Al centro della eccezionale scoperta c’è l’equipe archeobotanica del Centro conservazione biodiversità dell’Università di Cagliari, guidata da Gianluigi Bacchetta.
In questi pozzi non distanti dal luogo dove furono rinvenuti i Giganti di Mont’e Prama, sono stati trovati i semi di melone più antichi del Mediterraneo e molti altri interessanti materiali biologici di specie coltivate in epoca nuragica. «I padri dei moderni sardi _ spiega Bacchetta _ conoscevano questo frutto con molta probabilità grazie ai continui scambi commerciali intrattenuti con le popolazioni di navigatori del vicino e Medio Oriente».
Il risultato della ricerca è stato pubblicato sulla rivista scientifica Plant biosystems.
Gli antichi reperti del frutto sono stati trovati all’interno dei pozzi che avevano la funzione di tenere freschi gli alimenti, i primordiali frigoriferi. «Questa scoperta _ sottolinea ancora il coordinatore dell’equipe _ riscrive in parte la storia delle coltivazioni nell’isola. Fino a oggi si pensava che la coltivazione del melone fosse arrivata grazie ai romani e i greci che dall’ Asia l’hanno fatta arrivare nello stivale e quindi nel continente europeo».
Questo ritrovamento fa coppia con un altro recentissimo a opera della stessa équipe e che interessa lo stesso sito archeologico dove sono stati rinvenuti semi di vite, scoperta che ha fornito importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna e in Europa. «Questo ritrovamento è ancora più eccezionale _ aggiunge Bacchetta _ già si sapeva o supponeva che la viticultura fosse già nota ai nostri antenati. Ma mai si poteva supporre che anche il melone fosse coltivato in Sardegna».
Il lavoro è stato portato avanti grazie ad un lavoro di equipe che ha coinvolto la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (CCHS-CSIC) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA-CNR) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza.
Il lavoro di ricerca ha anche permesso di identificare migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. «Il quadro generale che è emerso _ conclude Bacchetta _ evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime».
 

 
Sardiniapost.it
 
Il melone era un frutto molto apprezzato anche dai nuragici. Tanto che per il particolare sapore di quella succosa polpa era coltivato in Sardegna già nel secondo millennio a.C. E’ un fatto acclarato e documentato il ritrovamento nei pozzi del sito nuragico di Sa Osa, a Cabras, nell’oristanese, di 47 semi di meloni riferibili all’età del Bronzo. Datati tra il 1310-1120 a.C., costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione di questo frutto nel bacino del Mediterraneo. Al centro della eccezionale scoperta c’è l’equipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità dell’Università di Cagliari, guidata da Gianluigi Bacchetta. In questi pozzi non distanti dal luogo dove furono rinvenuti i Giganti di Mont’e Prama, sono stati trovati i semi di melone più antichi del Mediterraneo e molti altri interessanti materiali biologici di specie coltivate in epoca nuragica.
“I padri dei moderni sardi conoscevano questo frutto con molta probabilità grazie ai continui scambi commerciali intrattenuti con le popolazioni di navigatori del vicino e Medio Oriente”, sottolinea Bacchetta. E’ di pochi giorni la pubblicazione del risultato della ricerca su Plant biosystems, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore. Questi antichi reperti del frutto sono stati trovati all’interno dei pozzi che avevano la funzione di tenere freschi gli alimenti, i primordiali frigoriferi. “Questa scoperta riscrive in parte la storia delle coltivazioni nell’isola – sottolinea ancora il coordinatore dell’equipe – infatti fino a oggi si pensava che la coltivazione del melone fosse arrivata grazie ai romani e i greci che dall’ Asia l’hanno fatta arrivare nello stivale e di lì nel continente europeo”. Questo ritrovamento fa coppia con un altro recentissimo ad opera della stessa équipe e che interessa lo stesso sito archeologico dove sono stati rinvenuti semi di vite, scoperta che ha fornito importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa. “Questo ritrovamento é ancora più eccezionale – aggiunge Bacchetta – già si sapeva o supponeva che la viticultura fosse già nota ai nostri antenati. Ma mai si poteva supporre che anche il melone fosse coltivato in Sardegna”. Il lavoro é stato portato avanti grazie ad un lavoro di equipe che ha coinvolto la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (CCHS-CSIC) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA-CNR) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza. Il lavoro di ricerca ha anche permesso di identificare migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. “Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime”, conclude Bacchetta.
 

 
Alguer.it
 
CABRAS - Non finiscono di sorprendere i pozzi, antichi più di tremila anni, scoperti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano a Cabras, sulla costa centro-occidentale della Sardegna. Il gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) dell’Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta, ha da poco pubblicato i risultati degli ultimi studi incentrati sui semi di vite rinvenuti nel loro interno, fornendo importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa. Ora, grazie anche alla collaborazione con i migliori specialisti nazionali ed internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (CCHS-CSIC) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA-CNR) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza, il contenuto del pozzo più ricco di reperti, il pozzo N, è stato accuratamente studiato sotto tutti i diversi aspetti botanici.
Il ritrovamento di 47 semi di melone è il risultato di maggior rilievo, poiché fino ad oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa, riferibili all’età del Bronzo, sono stati datati al C14 tra il 1310–1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti.
Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee del’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia. Il contenuto di questi pozzi offre la possibilità di delineare un panorama ampio e variegato della gestione del territorio da parte delle popolazioni nuragiche che abitavano questi luoghi. Sono stati identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime.
 

 
LinkOristano.it
 
Non finiscono di sorprendere i pozzi di Cabras, antichi più di tremila anni, scoperti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano. Il gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) dell’Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta, dopo i semi di vite, ha ritrovato ora 47 semi di melone all’interno del pozzo N di Sa Osa. Così come la scoperta dei semi di vite ha fornito importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa, ora la scoperta dei semi di melone pone nuova luce sulla coltivazione di questa specie, le cui evidenze erano relative solo al medio Oriente. Riferibili all’età del Bronzo, i semi sono stati datati al C14 tra il 1310–1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti.
Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee del’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia.
Tra le altre collaborazioni anche quelle con i migliori specialisti nazionali ed internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (CCHS-CSIC) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA-CNR) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza, che stanno studiando sotto tutti i diversi aspetti botanici il contenuto del pozzo più ricco di reperti: il pozzo N.
Mercoledì, 18 febbraio 2015

 
L’UNIONE SARDA

L’Unione Sarda on line

 

 
Non smettono di stupire i pozzi, antichi più di tremila anni, scoperti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano a Cabras.
I semi di melone, riferibili all’età del Bronzo (tra il 1310-1120 a.C.) sono stati trovati nel pozzo N di Sa Osa (Cabras) e sarebbero la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. La scoperta è stata fatta dal gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità dell’università di Cagliari.
Prima di questa scoperta la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto recenti.
 
 

 
 
Sardinews.it
By Giacomo Mameli on 18 febbraio 2015 Quotidiano
 
Non finiscono di sorprendere i pozzi, antichi più di tremila anni, scoperti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano a Cabras, sulla costa centro-occidentale della Sardegna. Il gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) dell’Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta, ha da poco pubblicato i risultati degli ultimi studi incentrati sui semi di vite rinvenuti nel loro interno, fornendo importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa. Ora, grazie anche alla collaborazione con i migliori specialisti nazionali ed internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (CCHS-CSIC) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA-CNR) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza, il contenuto del pozzo più ricco di reperti, il pozzo N, è stato accuratamente studiato sotto tutti i diversi aspetti botanici.
Il ritrovamento di 47 semi di melone è il risultato di maggior rilievo, poiché fino ad oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa, riferibili all’età del Bronzo, sono stati datati al C14 tra il 1310–1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee del’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia.
Il contenuto di questi pozzi offre la possibilità di delineare un panorama ampio e variegato della gestione del territorio da parte delle popolazioni nuragiche che abitavano questi luoghi. Sono stati identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime.
Cagliari, 18 febbraio 2015
 

 
Sardegnaoggi.it
 
CABRAS - Non finiscono di sorprendere i pozzi, antichi più di tremila anni, scoperti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano a Cabras, sulla costa centro-occidentale della Sardegna. Il gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (Ccb) dell’Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta, ha da poco pubblicato i risultati degli ultimi studi incentrati sui semi di vite rinvenuti nel loro interno, fornendo importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa.
Il ritrovamento di 47 semi di melone è il risultato di maggior rilievo, poiché fino ad oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa, riferibili all’età del Bronzo, sono stati datati al C14 tra il 1310–1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee del’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (Comav) dell’Università Politecnica di Valencia.
Il contenuto di questi pozzi offre la possibilità di delineare un panorama ampio e variegato della gestione del territorio da parte delle popolazioni nuragiche che abitavano questi luoghi. Sono stati identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime.
 

 
Castedduonline
Autore: Redazione Casteddu Online il 18/02/2015 10:29
 
Non finiscono di sorprendere i pozzi, antichi più di tremila anni, scoperti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano a Cabras, sulla costa centro-occidentale della Sardegna. Il gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) dell’Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta, ha da poco pubblicato i risultati degli ultimi studi incentrati sui semi di vite rinvenuti nel loro interno, fornendo importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa. Ora, grazie anche alla collaborazione con i migliori specialisti nazionali ed internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia (CCHS-CSIC) di Madrid, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA-CNR) di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ed il laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Roma La Sapienza, il contenuto del pozzo più ricco di reperti, il pozzo N, è stato accuratamente studiato sotto tutti i diversi aspetti botanici.
Il ritrovamento di 47 semi di melone è il risultato di maggior rilievo, poiché fino ad oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa, riferibili all’età del Bronzo, sono stati datati al C14 tra il 1310–1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee del’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (COMAV) dell’Università Politecnica di Valencia.
Il contenuto di questi pozzi offre la possibilità di delineare un panorama ampio e variegato della gestione del territorio da parte delle popolazioni nuragiche che abitavano questi luoghi. Sono stati identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime.
 

 
Admaiora Media
 
Non finiscono le sorprese nei pozzi, antichi più di tremila anni, scoperti a Cabras dalla Soprintendenza per i Beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano. Il gruppo di archeobotanica del Centro conservazione biodiversità dell’Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta, ha pubblicato i risultati degli ultimi studi incentrati sui semi di vite rinvenuti nel loro interno, fornendo importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa. Il contenuto del pozzo più ricco di reperti, il pozzo N, è stato accuratamente studiato sotto tutti i diversi aspetti botanici, grazie anche alla collaborazione coi migliori specialisti nazionali ed internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia di Madrid, l’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana ed il laboratorio di palinologia e paleobotanica dell’Università La Sapienza di Roma.
Il ritrovamento di 47 semi di melone è il risultato di maggior rilievo, poiché fino ad oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa, riferibili all’età del Bronzo, sono stati datati tra il 1310 ed il 1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi, la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee del’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana dell’Università Politecnica di Valencia.
Il contenuto di questi pozzi offre la possibilità di delineare un panorama ampio e variegato della gestione del territorio da parte delle popolazioni nuragiche che abitavano questi luoghi. Sono stati identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime.
(red) (admaioramedia.it)

 

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