ROMA (3 maggio) - Mai più concorsi locali, banditi dai singoli atenei, per posti destinati ai raccomandati. Il sistema attuale, che ha prodotto tanti guasti, sarà archiviato. Il disegno di legge che sta per essere presentato a Palazzo Chigi riforma la governance e il sistema di reclutamento, perché non rispondano più a logiche corporative. Sono stati studiati dei vincoli per dare garanzie nella formazione delle commissioni, costituite con il criterio del sorteggio. Ciascun commissario non potrà restare in carica per più di due anni e per tre anni dalla conclusione del mandato non potrà partecipare ad altri collegi giudicanti. Ai ricercatori verrà dato il titolo di professore aggregato ma dovranno guadagnarselo svolgendo anche attività didattica (di fatto già lo fanno senza riconoscimenti). Dopo quattro anni di attività di ricerca e di didattica, i ricercatori saranno valutati da una commissione e solo se supereranno le prove entreranno nella fascia dei ricercatori confermati. Se, invece, il giudizio sarà sfavorevole, dopo un biennio dovranno sottoporsi a una nuova verifica. Se anche questo secondo giudizio fosse negativo il ricercatore cesserà di appartenere al ruolo.
Stop al conflitto di interessi
Il disegno di legge quadro per la riforma del sistema universitario al punto a) dell’art. 1 prevede che «gli atenei adottino entro sei mesi (dall’entrata in vigore della legge) un codice etico che individui tra l’altro in modo puntuale i casi di incompatibilità e di conflitto di interesse e predisponga opportune misure per evitarli». La norma, preliminare a tutte le altre, è un esplicito richiamo volto a promuovere pratiche virtuose, per combattere lobby e nepotismo e per riaffermare il merito calpestato dai sistemi di cooptazione individuale sulla base di rapporti clientelari e di parentela. Gli atenei, consapevoli che sulla questione morale si gioca il futuro, si sono già mossi.
Membri del cda, vietate altre cariche
Poteri nettamente separati tra Cda e Senato accademico, oggi con troppe commistioni. «Divieto per i componenti del consiglio di amministrazione, eccettuato il rettore, di ricoprire altre cariche accademiche, e essere componenti di altri organi dell’università ad eccezione del consiglio di dipartimento, divieto di rivestire alcun incarico politico per la durata del mandato e far parte del consiglio di amministrazione di altre università». In carica per un massimo di 4 anni e non rinnovabili. Istituita la figura del direttore generale, sarà un manager, scelto tra personalità di elevata qualificazione. Il Senato accademico sarà sovrano in materia di didattica e ricerca.
Chiamata diretta, facilitati i rientri
«Le università possono procedere alla copertura di posti di professore ordinario mediante chiamata diretta di studiosi di chiara fama, in possesso di uno dei seguenti requisiti: occupino, da almeno un triennio, analoga posizione in università straniere; siano stati insigniti di alti riconoscimenti scientifici in ambito internazionale; abbiano ricoperto per almeno un triennio incarichi direttivi in qualificati istituti di ricerca. La proposta di chiamata deve contenere una motivata relazione che illustri analiticamente la qualità e la personalità scientifica dello studioso, i contributi scientifici apportati, i risultati ottenuti e il loro riconoscimento in ambito internazionale».
Rettori, basta "monarchi", non oltre due mandati
E’ previsto che «il rettore sia eletto o nominato tra i professori ordinari di università italiane in possesso di comprovata competenza ed esperienza di gestione, anche a livello internazionale, nel settore universitario o delle istituzioni culturali. La carica di rettore non potrà durare per più di due mandati e un massimo di otto anni, oppure sei anni nel caso di mandato unico». La norma è per impedire i mandati “a vita” di quei rettori che non favoriscono il ricambio. Al rettore spetta la rappresentanza legale dell’università e di tutte le attività istituzionali, con particolare riferimento alla qualità dell’offerta scientifica e didattica.
Bilanci più sani con le risorse in rete
«Al fine di migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’attività didattica, di ricerca e gestionale e di ottimizzare l’utilizzazione delle strutture e delle risorse una o più università viciniori possono fondersi, ovvero aggregarsi in strutture federative sulla base di un progetto» comune che illustri le motivazioni e gli obiettivi della fusione o aggregazione. Il progetto, deliberato dal senato accademico e dal Cda, sarà sottoposto all’esame del ministero e dell’Agenzia di valutazione. Servirà a far fruttare meglio gli stanziamenti, ad avere bilanci più sani e ad agevolare gli atenei medio-piccoli che potranno utilizzare insieme delle risorse.
Giudizi in maggioranza dagli esterni
Dovrà essere discussa l’attivazione dell’Agenzia nazionale di valutazione, intanto il ddl prende in esame la valutazione interna di ateneo. «La maggioranza dei membri del nucleo di valutazione non dovranno appartenere ai ruoli dell’università, nel caso in cui il presidente vi appartenga, tutti gli altri componenti siano esterni». Così sarà più obiettivo e attendibile il giudizio sulla qualità dell’offerta didattica (da concordare con l’Anvur) e la formulazione di specifiche proposte per migliorarla. Inopltre i Dipartimenti dovranno comprendere una pluralità di settori scientifico-disciplinari affini, con almeno 30 tra professori e ricercatori a tempo indeterminato.
I ricercatori diventano professori aggregati
Ai ricercatori anche compiti didattici su richiesta dell’università, acquisendo per la durata degli stessi il titolo di professori aggregati. Dopo 4 anni sono «sottoposti a un giudizio di conferma da parte di una commissione nazionale composta, per ogni settore scientifico-disciplinare, da tre professori ordinari scelti dall’Anvur». La commissione valuta l’attività scientifica del ricercatore nel quadriennio. Se il giudizio è favorevole, il ricercatore è immesso nella fascia dei ricercatori confermati». Se il giudizio è sfavorevole, previsto nuovo giudizio di conferma dopo un biennio. Se anche il secondo giudizio è sfavorevole, il ricercatore cessa di appartenere al ruolo.
Nuovo iter anti concorsi pilotati
«Verrà istituita l’abilitazione scientifica nazionale, distinta per le funzioni di professore ordinario e associato», attesterà «il possesso della qualificazione scientifica adeguata ai rispettivi ruoli» e costituirà «titolo necessario». L’abilitazione sarà data «sulla base di un motivato giudizio» con valutazione dei titoli e delle pubblicazioni, «alla luce di parametri stabiliti per ogni ruolo e area da apposito decreto del ministero». L’abilitazione non darà diritto (automatico) «all’accesso ai ruoli né alla progressione di carriera» e avrà durata quadriennale. Norme rigorose sulle commissioni: ogni commissario al massimo in carica per due anni.
La commissione, trasparena 8 membri col sorteggio
Chi giudicherà i candidati all’abilitazione scientifica nazionale? Prevista la «formazione di un’unica commissione di nove membri (uno interno) per ciascun settore scientifico-disciplinare mediante sorteggio di otto commissari nazionali scelti all’interno di una lista contenente un numero triplo di professori ordinari», in precedenza eletti dai professori del settore, i quali «abbiano presentato apposita candidatura» e ricevuto la designazione dall’Anvur. Ciascun commissario «resta in carica al massimo per due anni» e gli è inoltre fatto divieto di far parte di una commissione, anche per un settore diverso, per tre anni dalla conclusione del mandato.
Definiti i livelli di prestazione degli atenei
La legge quadro prevede uno o più decreti legislativi di riforma del sistema del diritto allo studio universitario volti a «definire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) tali da assicurare gli strumenti e i servizi per il conseguimento del pieno successo formativo di tutti gli studenti dell’istruzione superiore e rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’accesso ed il conseguimento dei più alti gradi di istruzione superiore agli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi». Inoltre, maggiore «raccordo tra le istituzioni al fine di potenziare i servizi, per dare agli studenti la più ampia libertà di scelta».
ROMA (3 maggio) - Il punto di partenza è la questione morale. Il disegno di legge sulla riforma del reclutamento e del governo universitario che la Gelmini presenterà tra pochi giorni in Consiglio dei ministri prevede che ogni ateneo abbia «un codice etico». Servirà a individuare «i casi di incompatibilità e di conflitto di interesse e a predisporre opportune misure per evitarli». E’ chiaro il richiamo alle cordate di figli e nipoti, che sulle orme di padri eccellenti hanno colonizzato interi dipartimenti. Troppe cattedre barattate, troppe facili promozioni. Troppi parenti stretti nelle stesse facoltà. L’invito rivolto agli atenei è quello di moralizzare il sistema di governo. Altrimenti sarà tutto vano. Senza l’adesione a nuove regole, se non ci sarà la volontà di combattere le degenerazioni e gli accordi scellerati, i patti sottobanco e i concorsi pilotati, se non si uscirà dalle logiche del familismo amorale cresciuto all’ombra delle lobby, qualunque riforma rischierà il naufragio. Ecco perchè la Gelmini al primo punto dell’articolo 1 del ddl, ancor prima di parlare dei nuovi statuti, pone la premessa del codice etico. Il ministro vuole scoraggiare comportamenti illeciti, che danneggiano tanti studiosi di valore. Solo l’8% dei professori associati e l’1% degli ordinari hanno meno di 40 anni. Un fenomeno legato al nepotismo e al “localismo” dei concorsi e delle carriere, che frena l’ingresso dei giovani.
«Concordiamo con gli obiettivi di riforma del ministro - ha detto Enrico Decleva, alla guida della Statale di Milano e presidente della Conferenza dei rettori - anche se ci riserviamo di leggere il testo. Quanto al codice etico ci stiamo muovendo, abbiamo raccolto l’invito del ministro e non aspetteremo l’iter legislativo. Lo ha deliberato la Crui, già la prossima settimana saremo al lavoro, ma dovremo trovare un equilibrio, un sistema di garanzie, non si può impedire al figlio di un professore di aspirare alla cattedra».
Secondo la Gelmini anche la gerontocrazia è un problema, è nemica dell’innovazione. Per questo riformando il reclutamento il ministro vuole avviare il ricambio generazionale dell’università. Per chiudere il capitolo dei concorsi truccati viene introdotta l’abilitazione scientifica nazionale rilasciata sulla base di un giudizio oggettivo, sganciato dalla logica della copertura del posto, che terrà conto dei titoli e delle pubblicazioni secondo i criteri del merito (nella commissione ci saranno esperti super partes). L’abilitazione sarà preliminare alla chiamata degli atenei. «Chiunque potrà farsi valutare - sostiene Andrea Lenzi, presidente del Cun, il Consiglio universitario nazionale - senza le pressioni e i condizionamenti dei concorsi legati ai posti. Il meccanismo di reclutamento sarà meno emotivo, si valuteranno le credenziali del candidato, il merito, e il candidato stesso saprà se ha i numeri per aspirare alla carriera universitaria». L’abilitazione non prevede automatismi. Ottenerla non comporta l’assunzione, gli atenei attingeranno dalla lista degli abilitati scegliendo le figure di cui hanno bisogno.
Il ddl è ancora in bozza. Ma c’è stato un confronto con la Conferenza dei rettori e il Consiglio universitario nazionale. La Gelmini ha raccolto alcune indicazioni e con il suo staff sta limando le ultime cose. Poi la presentazione a Palazzo Chigi (probabilmente l’8 maggio) e l’invio del testo alle Camere.
«I rettori non potranno restare in carica per più di due mandati e un massimo di otto anni, sei anni nel caso di mandato unico», questo è uno dei commi più importanti. Anche ai rettori si chiede più rigore. L’obiettivo è quello di impedire che diventino “monarchi” a vita facendosi rieleggere con sistemi talvolta discutibili. Insomma, una stretta per ridare all’università la capacità di competere a livello europeo. Un altro punto-cardine riguarda la separazione dei poteri tra Cda e Senato accademico. Al momento ci sono commistioni e sovrapposizioni di poteri e persone che pur avendo cariche accademiche ricoprono ruoli chiave nel Cda. Questo non sarà più possibile. Nel ddl c’è un esplicito «divieto» per i componenti del consiglio di amministrazione di avere il piede in due staffe. C’è anche un altro paletto. Il Consiglio di amministrazione durerà in carica non più di quattro anni, non rinnovabili, e ciascun consigliere non potrà essere eletto per più di una volta. Nel Cda, cui sono attribuite «funzioni di programmazione strategica e gestione finanziaria», è prevista anche l’istituzione di una nuova figura, il direttore generale. Con i conti in rosso di tanti atenei il ministro avverte la necessità di un manager scelto tra «personalità di elevata qualificazione» che si occuperà della organizzazione complessiva dei servizi e del personale tecnico-amministrativo. Mentre al Senato accademico è riconosciuta la sovranità in materia di ricerca e didattica e in materia di statuto e regolamenti.