ESTERI
Soldi in prestito per poter studiare è l’incubo degli studenti americani
Viaggio tra gli elettori Usa che tra tre mesi sceglieranno il presidente. Prima tappa: gli universitari costretti a chiedere decine di migliaia di dollari in prestito. Un’ossessione che soffoca il futuro di molti
Washington, 4 agosto 2008 - "Penso che non riuscirò mai a ripagare i debiti che ho fatto per studiare, certi giorni penso che quando morirò avrò ancora le rate dell’università. Oggi ho un piano per restituire il prestito che dura 27 anni e mezzo, ma mi pare troppo ambizioso perché il tasso è variabile e riesco solo a pagare gli interessi. Sono sicura che quando compirò sessant’anni i debiti della scuola di legge saranno ancora lì a farmi compagnia".
Carrie ha 29 anni, è cresciuta in Pennsylvania, in un sobborgo poco fuori Philadelphia, in una famiglia della classe media. Ha fatto il master alla Law School di Villanova, università cattolica di Philadelphia. Vive a Washington dove lavora come assistente legislativo per un deputato al Congresso. Ha finito di studiare da due anni fa e deve ancora pagare 65mila dollari: "Ma ho lo stesso debito adesso di quando ho finito la scuola, perché ogni mese riesco a fare soltanto il pagamento minimo, che copre a malapena gli interessi sul capitale che mi hanno prestato e siccome la rata è anche salita insieme ai tassi d’interesse non ho fatto nessun passo avanti. Ogni mese devo versare almeno 550 dollari, un quarto del mio stipendio, e con il costo della vita che sale e uno sipendio pubblico non riesco a fare di più".
Tra tre mesi esatti gli Stati Uniti sceglieranno il loro presidente, tra poche settimane si terranno le convention dei due partiti che incoroneranno gli sfidanti John McCain e Barack Obama. Ma la corsa per la Casa Bianca non è fatta solo della battaglia tra due candidati, della loro immagine: sarà la scelta di chi si mostrerà più capace di rassicurare i cittadini americani spaventati dalla crisi economica, dal crollo del mercato immobiliare, dal prezzo della benzina e dalla guerra, con i giovani e gli studenti sempre più preoccupati dalla crescita delle rette universitarie e dai debiti che sono costretti a contrarre per poter studiare.
Carrie parla senza sosta, senza incertezze, si vede che non fa che pensare a questo suo debito: "Per sopravvivere ho dovuto trovarmi un secondo lavoro: faccio il tutor per alcuni studenti la sera e durante il fine settimana e accetto ogni lavoretto che mi passa per le mani, solo così posso permettermi di vivere da sola. Prima di fare la scuola di legge avevo lavorato per due anni nel settore non-profit, ma mi ero subito resa conto che senza un master non avrei mai potuto accedere ai livelli di lavoro che più mi piacevano e così la specializzazione in legge mi sembrò la scelta migliore. Ma la mia famiglia non era in grado di pagare la retta né io avevo soldi per farlo, così ho chiesto due prestiti: uno pubblico e uno privato".
"Avevo scelto di andare proprio a Villanova perché lì davano una borsa di studio chiamata public service, che copriva ben il cinquanta per cento della retta se tu ti impegnavi a lavorare nel settore pubblico nei primi cinque anni dopo la fine degli studi. Questo mi impedisce oggi di fare lavori più remunerativi ma ho anche la metà dei debiti dei miei compagni di corso".
Carrie non è un caso isolato, la sua non è una storia particolare ma è esempio comune di una condizione in continua crescita, quella dei giovani oppressi dai debiti contratti per studiare in particolare nelle scuole di medicina, legge e business. Le rette sono triplicate negli ultimi quindici anni mentre gli stipendi di ingresso nel mondo del lavoro sono cresciuti di meno del sessanta per cento.
Oggi l’ottanta per cento di chi termina un master in legge ha 77mila dollari di debito se ha frequentato una scuola privata e 50mila se è stato in un università pubblica. Ancora peggio se la passano i neo-medici: l’indebitamento medio di chi termina la scuola di specializzazione è attualmente di 140mila dollari e questo, secondo uno studio dell’Association of American Medical Colleges, sta cambiando la faccia della professione medica, sempre meno laureati scelgono di fare i medici di famiglia per dirigersi verso specializzazioni che pagano meglio per estinguere i debiti.
Il debito dei ventenni americani è una realtà che soffoca la possibilità di costruirsi un futuro, sposarsi, comprarsi una casa, pensare ad una famiglia o più banalmente andare al cinema o in vacanza. Il problema è stato a lungo fuori dai radar della politica, a metterlo sulla scena sono stati i democratici, Barack Obama - che ha liquidato i debiti scolastici grazie al successo del suo primo libro, ne ha fatto un dato ricorrente di ogni suo comizio, denunciando che "negli ultimi dieci anni due milioni di studenti meritevoli non hanno potuto frequentare l’università perché non avevano i soldi necessari".
"E’ inaccettabile - ripete Obama - un’America in cui non puoi mettere a frutto il tuo talento perché non sei ricco di famiglia, perfino la retta dei college è cresciuta del 40 per cento negli ultimi cinque anni e così l’ingresso al college, che per generazioni di americani è stato il passaporto per un futuro migliore, oggi è un sogno che per molti sta svanendo". Così Obama promette sgravi fiscali consistenti a tutti i neolaureati in cambio di 100 ore annuali di servizio sociale. Anche grazie a questo ha conquistato un’intera generazione di americani, che hanno trovato un politico che parla dei loro problemi e sembra capire la loro più grande angoscia.
Carrie abita da sola in un seminterrato poco lontano dalla Cupola del Campidoglio, l’appartamentino è minuscolo e non molto luminoso, il suo isolato confina con uno dei quartieri più malfamati di Washington, ma ha il pregio di essere vicino all’ufficio. "Io sono la meno indebitata della mia classe: la maggior parte dei miei compagni di scuola, che non hanno avuto la borsa di studio e oggi lavorano come avvocati negli studi privati, devono restituire una cifra che va da 120 a 150mila dollari. Io nel settore pubblico guadagno 45mila dollari lordi l’anno, loro almeno 20mila dollari in più. Però chi ha trovato posto in un piccolo studio legale prende intorno ai 65mila dollari ma avendo il doppio dei debiti se la passa ben peggio visto che deve pagare più di mille dollari al mese. Chi invece è entrato nell’empireo, negli studi con più di 500 avvocati, guadagna oltre 100mila dollari all’anno. Del gruppo di amici con cui ho studiato, eravamo in cinque, ben tre hanno scelto di fare lavori che non amano e che anzi detestano per poter estinguere il debito".
La casa di Carrie è molto ordinata e curata, ma non ci sono lussi: "Sto attentissima a come spendo i soldi, segno su un quaderno ogni spesa che faccio, dal caffè al biglietto dell’autobus, perché devo tenere ogni cosa sotto controllo se voglio arrivare alla fine del mese.
Tutto va programmato: se voglio andare a cena fuori nel weekend allora è meglio che salti il pranzo un paio di volte durante la settimana, la spesa non la faccio nei supermercati fighetti ma giro nei negozi dove ogni prodotto costa meno, viaggio solo con i mezzi pubblici così non ho il problema dell’aumento della benzina e il cinema l’ho abolito, non è pensabile spendere 12 dollari e mezzo per vedere un film, meglio affittare un dvd e dividere il costo del noleggio con i cinque amici che vengono a casa a vederlo.
C’è molta gente che si trova in questa condizione a Washington e questo aiuta, perché si è creata una comunità che ha gli stessi problemi e li affronta insieme in modo creativo. Per esempio non esiste il rito di andare a prendere un aperitivo fuori, i drink costano troppo, così si compra una bottiglia di vino, si divide il prezzo e si va a berla a casa di qualcuno. E poi ci segnaliamo a vicenda i negozi meno cari, le offerte speciali e io la domenica mattina la passo a ritagliare i coupon con gli sconti dalle pagine dei giornali. Non avrei mai immaginato di doverlo fare ma oggi è diventata una cosa necessaria. La cosa che mi preoccupa di più è che non sono in grado di risparmiare nulla, non ho messo da parte un dollaro e il mio debito è sempre lì che mi incombe. Oggi comincia a pesarmi l’idea di non poter costruire un futuro, non posso continuare a vivere a lungo in questo modo, così alla fine sarò costretta a cercarmi un lavoro che mi paghi di più".
Le chiedo se si sia mai pentita, se rifarebbe la scuola di legge e se chiederebbe di nuovo la borsa di studio che la vincola a lavori di pubblica utilità: "Non penso esistesse un altro modo, volevo davvero andare a quella scuola e l’educazione che ho ricevuto mi permette di poter fare il lavoro che desideravo, senza la scuola di legge questa carriera non sarebbe stata possibile. Ma non mi basteranno trent’anni per ripagare il debito: ho un’amica di famiglia che si è laureata a Villanova 15 anni prima di me e aveva un prestito simile, ora ha avuto dei figli e lavora part-time e non riesce sempre a pagare le rate".
Carrie ha parlato tutto il tempo con voce tranquilla, ha elencato ogni cosa nei dettagli, ha spiegato esattamente come sono strutturati i suoi prestiti, che agenzia li eroga, ha detto di essere fortunata perché l’istituto che gli ha dato i soldi è serio e non ha avuto la sfortuna di certi suoi amici che hanno visto il loro debito passare da una banca all’altra e la loro rata mensile crescere da 500 a 800 dollari, ma prima di finire il suo racconto sbotta, non ce la fa più a contenersi: "Io penso che sia osceno che un ragazzo debba indebitarsi per tutta la vita per poter studiare.
Pensa al talento che viene sprecato e perduto perché una famiglia non può permettersi di finanziare un’istruzione che ormai ha dei costi eccessivi ed esorbitanti. L’isolamento crescente del sistema scolastico dalla società e dai suoi bisogni è tremendo.
C’è chi avrebbe le qualità, la passione, la voglia di studiare ma non può farlo, la società dovrebbe incoraggiare e sviluppare il talento, non soffocarlo nei debiti. È una sconfitta per l’America e per tutti, ogni tanto mi chiedo chissà chi sarebbe stato il grande medico che avrebbe fatto un’importante scoperta scientifica o l’avvocato in grado di scrivere una pagina di storia. Non lo sapremo mai perché gli abbiamo bloccato la possibilità di andare a scuola".
Vai al reportage dell’inviato Mario Calabresi