La Ferrari in sinergia
con l’università di Genova
Accordo tra la Ferrari e l’Università di Genova per lo sviluppo di ricerche nell’ambito dei Sistemi intelligenti applicati alla F1. L’accordo, raggiunto con il Dipartimento di Ingegneria Biofisica ed Elettronica (Dibe) dell’ateneo ligure, durerà per 3 anni e prevede una sponsorizzazione del laboratorio ‘SmartLab’ dove si studiano software e hardware intelligenti, in grado cioè di apprendere dall’esperienza e d
È il primo network regionale di associazioni di volontariato. In seguito ne sono nati altri, nel Lazio, in Piemonte che hanno nella loro sigla hanno sempre la parola “solidale”.
Nelle sue sedi può contare su 140 volontari che a tempo parziale prestano la loro opera. In provincia di Oristano i Sa. Sol. Point, questo il nome delle sedi, sono presenti in città, a Bosa, Ghilarza, Terralba e Mogoro.
Ora Sardegna Solidale si prepara a fare un salto di qualità. Svolgere in prima persona la formazione per gli operatori locali di progetto, che comprende un’educazione civica e di protezione civile, riconoscibile anche come credito formativo per l’università.
È un risultato positivo per un’associazione che ha fatto passi da gigante in questi anni: lo documenta anche la sua rivista mensile. (a.p.)
- Professor Macciocco, quando si può parlare di «bel paesaggio»?
«Il termine “bel paesaggio” è piuttosto scivoloso. Inizialmente venivano considerati belli alcuni paesaggi costieri che simulavano vecchi centri storici, poi la sensibilità è cambiata. In definitiva, io credo che i bei paesaggi siano quelli dove è elevata la qualità della vita. Le due cose non si possono scindere. A questo proposito, durante la conferenza proietterò due immagini del pittore medioevale Ambrogio Lorenzetti in cui sono rappresentati due paesaggi differenti intitolati rispettivamente “Effetti del buon governo in campagna” e “Effetti del buon governo in città”».
Buon governo?
«Esatto. Ma non solo nel senso di buona amministrazione pubblica. Anzi, in questo caso per governo s’intende soprattutto la cura e l’attenzione che la popolazione ha nei confronti dei luoghi nei quali vive».
- In Sardegna dove si riscontra questa particolare cura del territorio?
«Decisamente nell’Anglona e nel Rio Mannu, dove ci sono paesaggi agrari molto importanti e si evince un rapporto strettissimo tra popolazione e territorio. Per quanto riguarda i paesaggi urbani, invece, un esempio è Alghero».
- Per operare in questo senso, lei quale strada consiglia?
«Fondamentalmente bisogna adottare modelli economici prudenti, fare sempre più attenzione alla difesa delle produzioni di qualità, all’elaborazione di nuovi modelli di sviluppo turistico e di sviluppo locale».
- Parliamo del prossimo Piano paesistico regionale. Secondo lei quali dovranno essere i punti fermi?
«Io credo che l’iniziativa di creare una Conservatoria delle coste (l’organismo che tutela le aree di pregio attraverso il controllo o l’acquisizione) sia una mossa da condividere pienamente. Per almeno tre ragioni. La prima è la costituzione di riserve fondiarie pubbliche. In secondo luogo, con questo provvedimento si assume una concezione differente dello spazio pubblico, che non è più circoscrivibile a stereotipi consolidati come strade e piazze. La terza ragione è che noi sardi dobbiamo assolutamente sfruttare la grande chance della qualità ambientale. Detto ciò, a mio avviso il Ppt dovrà prevedere spazi di contatto tra le popolazioni urbane residenti in Sardegna e quelle urbane turistiche».
Così l’avvocato nuorese Gonario Pinna chiudeva in tribunale, a Sassari, l’arringa difensiva in uno dei più celebri e clamorosi processi del dopoguerra sardo: quello contro gli «amanti diabolici» di Osilo. Nel 1956, i due avvinti da una passione cieca, avevano tramato per uccidere il marito di lei, Francesco Pilo, inscenando un suicidio sotto il treno, presto rivelatosi un omicidio, come aveva rivelato la perizia calligrafica sul biglietto (falso), trovato accanto al morto. Il penalista nuorese era il difensore della moglie infedele. In questo frammento di discorso - impregnato di una profonda pietas - c’è tutto Gonario Pinna: il travolgente oratore, il brillante avvocato, l’uomo di lettere, l’antropologo, il raffinato intellettuale. Una personalità ricca e interessante, un percorso culturale e politico comune a tutta una generazione di intellettuali meridionali coevi di Pinna (classe 1898): gli studi giuridici, la professione liberale, l’impegno civile, l’antifascismo, la scelta dei partiti di sinistra alla ripresa democratica.
Ha fatto bene Antonio Roych, giornalista Rai, pieno di passione «militante» per la sua Nuoro, a raccogliere in questo libro, «Gonario Pinna. Ritratto di un principe», una serie di contributi (Giulio Angioni, Guido Melis, Salvatore Buffoni, Mario Ciusa Romagna, Giuseppe Melis, Gianni Sannio, Mario Melis, Simone Sechi, Giacomino Zirottu, Mario Corda, Salvatore Guiso, Lucia Pinna), nonché memorie, ricordi, testimonianze, documenti, immagini. E anche prese di posizione e scritti dello stesso Pinna, già ardente repubblicano, azionista dopo il 1943, una parentesi parlamentare nella terza legislatura repubblicana (1858-63), eletto nelle liste del Psi. Nella sua corposa introduzione, Roych ricostruisce, a grandi linee, la vita del «principe dei penalisti sardi», un grande protagonista della vita culturale della Sardegna contemporanea. Figlio di Giuseppe, anch’egli avvocato e parlamentare per quattro legislature, nelle file dell’estrema sinistra del gruppo radicale, Gonario aveva dieci anni quando il padre fu ucciso all’uscita dal tribunale, in Corso Garibaldi. Segnato dalla tragedia familiare, il ragazzo compie i primi studi a Nuoro e, quindi, a Sassari, dove, appena sedicenne, si iscrive al circolo giovanile repubblicano «Alberto Mario». Continua quindi i suoi studi a Firenze e, conseguita la maturità, ritorna a Nuoro. Ma, intanto, è scoppiata la guerra. Interventista e volontario, è richiamato con quelli della classe 1898 dopo l’iscrizione alla Facoltà di Giurisprudenza, a Roma. Gli studi però dovranno aspettare la fine del conflitto e il suo ritorno da un campo di prigionia in Ungheria. Gli anni della formazione universitaria sono straordinariamente ricchi di incontri, stimoli, esperienze: frequenta la casa della sua illustre concittadina, Grazia Deledda (che per suo padre, difensore del fratello Andrea, aveva scritto una novelletta, inedita, inserita in questo libro); approfitta dei corsi tenuti da alcuni dei più insigni giuristi ed economisti del tempo, da Scialoja a Pantaleoni al meridionalista De Viti De Marco, a Enrico Ferri, esponente di punta della «Scuola antropologica». E’ sotto la sua guida che sceglie il campo di studio che gli è più adatto: il diritto penale e la criminologia. Dopo la laurea, indirizzatovi dal maestro, frequenta a Berlino un corso di specializzazione in sociologia criminale. Nella città tedesca, anzi, conosce il massimo studioso di lingua sarda, Max Leopold Wagner, e ne frequenta il corso di filologia romanza. E’ lontano dall’Italia quando apprende, con sgomento, della marcia su Roma. Tornato in patria, si trattiene ancora un anno nella capitale, frequentando lo studio legale di Ferri e il Tribunale, accumulando un patrimonio di esperienze, di cultura, di consuetudine di studio e di applicazione che lo accompagnerà nella professione e nell’attività pubblicistica.
Gli anni del fascismo sono anni duri per il brillante avvocato, sorvegliato speciale della Questura, insieme a Pietro Mastino, Luigi Oggiano, Salvatore Mannironi. Il loro era un antifascismo silenzioso, di rifiuto e di condanna, «essenzialmente disarmato - scrive Guido Melis - fondato sulla testimonianza morale e sulla rigida astensione dalle attività pubbliche del regime».
Tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, Gonario Pinna è sicuramente il più famoso penalista sardo. Alle sue arringhe in celebri processi, dedicano intere pagine L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna. Su quest’ultimo quotidiano tiene una seguitissima rubrica nella quale prende in esame, di volta in volta, ciò che della Sardegna, in diversi campi, si scriveva sull’isola: e questo non per uno sterile esercizio intellettuale, ma per trarne motivo di stimolo sia per l’azione politica, sia per quella del mondo della cultura e della società civile. Con l’obiettivo - per riprendere le sue parole - di uscire «dall’isolamento, di rompere il cerchio del ballo tondo che con cadenza monocorde continuiamo a ballare, ed entrare nel folto della vita moderna con le virtù e i difetti della nostra razza, per correggere o attenuare questi ed esaltare e valorizzare quelle, solide, austere, preziose».
Una metafora che sarà ripresa da Antonio Pigliaru nel primo numero della rivista «Ichnusa», di cui Pinna fu collaboratore, scrivendo sui grandi temi che affronta, più distesamente, in alcuni saggi: «Analfabetismo e delinquenza in Sardegna» (1955) e «Il pastore sardo e la giustizia» (1967), in cui spiega come la società pastorale barbaricina percepisce il tema della giustizia e quali sono i suoi atteggiamenti verso gli apparati dello Stato. Vigoroso polemista, osservatore attento della realtà sociale segue da vicino le tumultuose trasformazioni prodotte dall’industrializzazione: l’emigrazione, l’urbanizzazione disordinata, il disarticolarsi della cultura tradizionale, sottoposta al bombardamento di messaggi e segnali dei mezzi di comunicazione di massa. I limiti e le contraddizioni di questo modello di sviluppo sono già evidenti all’inizio degli anni Settanta. Nell’introduzione a «Il pastore sardo e la giustizia» Pinna osserva che l’autonomia non aveva dato tutti i frutti che era lecito attendersi e che lo sviluppo era avvenuto a pelle di leopardo, lasciando fuori alcune zone come la Sardegna interna che restava «un’isola nell’isola».
Già avanti con gli anni, pubblica «La criminalità in Sardegna» (1980). Si spegne a Nuoro nel 1990.
Vale la pena di leggere questo libro curato da Roych. Percorsi di vita e di impegno etico e civile come quello di Gonario Pinna, quel suo sentire come un dovere quello dell’analisi e della partecipazione integrale ai problemi posti di volta in volta dalla vita collettiva, fanno riflettere su quanto preziosi siano, per una comunità regionale, questi trasmettitore di valori e di coscienza critica.
APPELLO - L’appello suona cone una chiamata alle armi rivolta a tutti i singoli docenti che hanno a cuore le sorti dell’università. Le Istituzioni non riescono a realizzare alcuna riforma? L’alta formazione sembra destinata ad un rapido declino? Per chi lavora negli atenei, scrivono i dodici intellettuali, è venuto il momento di assumersi delle responsabilità, di uscire allo scoperto , di affermare la propria volontà riformatrice in nome dell’interesse generale».
Il nemico da sconfiggere non è cambiato: quelli «del no, senza se e senza ma», associazioni di studenti e organizzazioni di docenti che a parte dire no a tutto, a volte anche a ragione, non hanno mai avanzato alcuna proposta concreta.
La riforma dello stato giuridico dei docenti universitari è ferma da diversi mesi durante i quali si sono alternate mobilitazioni, scioperi, trattative, richieste di natura corporativa, che non hanno visto però, come accade da tanti anni, «nessuna proposta concreta nè alcun suggerimento in positivo di portata generale e destinata a durare». Ancora una volta si sta ripetendo il vecchio film.
EFFETTO - Programmi dettagliati? Questo non è il momento. Il gruppo bipartisan attende di vedere quale sarà l’effetto del suo appello. C’è un intento costruttivo. Meglio una piccola riforma di nessuna riforma. «Vogliamo batterci contro i progetti sbagliati proposti dall’alto, ma batterci anche a favore di proposte in positivo - si legge nell’appello -. Sappiamo per esperienza diretta che l’università è giunta a un punto limite: vogliamo cercare di riformarla, di migliorarla. Non ci interessa mettere alla gogna il ministro o il governo di turno». E soprattutto c’è un’idea di Università: «Il luogo dove si trasmette e si elabora la cultura. Il luogo cioè dove la nostra società acquista conoscenza e consapevolezza della sua storia, dei suoi valori».
L’idea dei dodici professori piace. Per il rettore della Luiss di Roma, Adriano De Maio il metodo è quello giusto. «Non esiste la non decisione, esiste semmai la decisione di non cambiare nulla - spiega De Maio -. Siamo arrivati a un punto limite. Come in molti altri campi anche noi dobbiamo fare i conti con la competizione globale. Se non cambiamo c’è il rischio che i migliori, che siano professori, ricercatori o studenti, non trovino piu spazio e non crescano più nei nostri atenei».
ALLE ORIGINI - Per Sabino Cassese, ordinario di Diritto amministrativo a «La Sapienza» di Roma è venuto il momento di «uscire dai piagnistei e mettersi al lavoro». Cassese cita Von Humboldt: «L’università è una comunità di studiosi e studenti, occorre tornare alle origini». «Dobbiamo entrare nel merito dei problemi - afferma Salvatore Settis, rettore della Normale di Pisa - invece di usare le so lite formule: no al precariato, via questo, abbasso quest’altro. Studiamo l’università nel confronto con le altre istituzioni. Non possiamo permetterci di non essere competitivi. Dobbiamo lavorare sui dati e confrontarci sulle cose». «Un appello condivisibile, ma generico» per il matematico Alessandro Figà Talamanca. «Non si indicano i problemi dell’università».
Giulio Benedetti