Mercoledì 18marzo 2020

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
18 marzo 2020

L'Unione Sarda




 

1 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 18 marzo 2020 / Primo piano - Pagina 7

Monserrato. Ostetricia
Nasce nel pre-triage del Policlinico

Non solo coronavirus, non solo brutte notizie. Ieri mattina al Policlinico di Monserrato è nato il primo bambino nel pre-triage del reparto di Ginecologia e Ostetricia.

«È un bellissimo maschietto di 2 chili e 180 grammi in salute, accudito con amore da medici, ostetriche e oss del reparto diretto dalla professoressa Anna Maria Paoletti», fanno sapere dall'azienda ospedaliero-universitaria.

«Un simbolo di forza e speranza per tutti - si legge in un messaggio pubblicato sui social -. Insieme possiamo sconfiggere il virus, #iorestoacasa».

La mamma, a causa dell'emergenza in corso, è stata accolta nel pre-triage del pronto soccorso di Ostetricia. Il piccolo aveva fretta di nascere ed è venuto alla luce prima ancora di raggiungere il reparto, negli spazi al piano terra della struttura dove avviene il primo contatto con i pazienti.







2 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 18 marzo 2020 / Primo piano - Pagina 7

Università. A Cagliari con il virus
Positivo al tampone indiano ospite dell'Ateneo

I primi sintomi li ha avuti pochi giorni dopo l'arrivo a Cagliari, negli ultimi istanti in cui porti e aeroporti erano ancora aperti. Il giovane indiano di circa trent'anni, ospite dell'Università cittadina nella quale ha iniziato un dottorato, è ora ufficialmente un nuovo caso di coronavirus nel capoluogo sardo. L'ufficialità è giunta dopo che è stato sottoposto al tampone nell'ospedale “Santissima Trinità”, dov'è ora ricoverato in condizioni non gravi.

Era stato lo stesso giovane asiatico, un paio di giorni dopo l'arrivo a Cagliari, a rendersi conto che qualcosa non andava. Ospite dell'Università nella foresteria ricavata nell'ex clinica Aresu, in via San Giorgio, il trentenne ha deciso di chiamare il 118, che ha inviato un'ambulanza. Ma forse era ancora allo stadio iniziale: i medici non hanno riscontrato sintomi certamente collegabili al Coronavirus, così gli hanno consigliato di rimanere in stanza e di non avere contatti con nessuno. E lui l'ha fatto: i pasti gli erano lasciati davanti alla porta, nella sua stanza nessuno è più entrato e il trentenne non ha messo il naso fuori.

Lunedì pomeriggio, però, i sintomi si sono aggravati e al giovane iscritto al dottorato di ricerca è apparso chiaro che fosse giunto il momento di richiamare il 118. A quel punto, è stato adagiato su un'ambulanza e trasportato all'ospedale in via Is Mirrionis, dove la prova del tampone ha tolto ogni dubbio: il trentenne indiano è positivo al coronavirus, quindi è stato necessario ricoverarlo. Le sue condizioni generali sono comunque buone, al momento non destano preoccupazioni.

In una nota stringata, l'Università cagliaritana conferma solo il ricovero di un ospite della foresteria e che sono state prese tutte le precauzioni previste in questi casi: nient'altro. Si sa comunque che è iniziata la sanificazione della foresteria, che in questi giorni non aveva altri ospiti. È però scattata la misura della quarantena preventiva per il personale universitario che è entrato in contatto. Da voci non confermate, pare che i due lavoratori ora isolati siano persone del servizio di portineria e vigilanza dell'ex clinica Aresu.

Luigi Almiento






3 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 18 marzo 2020 / Mondo - Pagina 21

IL CAIRO. Lo studente egiziano iscritto a Bologna incarcerato per “sovversione”

«FATEMI USCIRE IL PRIMA POSSIBILE»
L’appello di Zaky dopo il rinvio dell’udienza sulla scarcerazione

IL CAIRO «Fatemi uscire il prima possibile da qui, voglio tornare all'università a studiare». Patrick George Zaky, lo studente egiziano dell'Università di Bologna arrestato al rientro in patria per una vacanza, è in carcere ormai da un mese e mezzo. Ha rotto il silenzio con questo appello, si apprende da fonti vicine al ragazzo, per tornare ad accendere i riflettori sulla sua situazione, con la custodia preventiva rinnovata di 15 giorni in 15 giorni.

Le accuse e le torture

A complicare una situazione già drammatica è l'emergenza coronavirus, che riguarda ormai anche l'Egitto. Lunedì al Cairo era in programma una nuova udienza che avrebbe dovuto decidere sul suo destino: inizialmente fissata per il 21 marzo, poi precipitosamente anticipata. Da Tora - il maxi complesso penitenziario alla periferia del Cairo dove è stato trasferito dopo la detenzione nella sua Mansoura - nessun detenuto è stato fatto uscire dopo lo stop imposto dalla pandemia, e anche Zaky non è comparso davanti alla procura che doveva decidere se rinnovare la sua detenzione preventiva. Rischia fino a 25 anni di carcere: è accusato di «incitamento alla protesta» e «istigazione a crimini terroristici».

Patrick Zaky è iscritto a un master universitario sugli studi di genere all'Università di Bologna (una materia che, secondo i suoi accusatori, fa parte integrante dell'incriminazione) e venne arrestato un mese e mezzo fae, secondo i suoi legali, sottoposto a un interrogatorio fiume con torture. Nel suo Paese avrebbe dovuto trascorrere una breve pausa accademica in compagnia dei suoi cari.

«Liberatelo subito»

L'emergenza coronavirus oltre a complicare la vicenda giudiziaria aggrava le preoccupazioni per la sua salute. A Patrick, denunciano gli amici, è stata perfino negata la consegna di prodotti alimentari e per l'igiene personale da parte della famiglia.

L'appello di Zaky è stato raccolto da Erasmo Palazzotto, presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni: «Patrick oggi rompe il silenzio e ci chiede aiuto. Rinviata l'ennesima udienza che avrebbe dovuto decidere della sua vita. L'Egitto liberi Zaky, subito».

 

 

 

 

4 - L’UNIONE SARDA di mercoledì 18 marzo 2020 / Sport - Pagina 45

Il commissario reggente Pinna: “Qui per rispettare il programma di Fara”

IL CONI TIENE LA POSIZIONE
Lo sport sardo è fermo ma si lavora per ricominciare

Il Coni Sardegna è una specie di governo di Vichy dello sport in questi giorni. Sui cancelli di palestre, campi sportivi e piscine è affisso il cartello “chiuso per coronavirus” e altrettanto negli uffici di via Fais, a Cagliari. Eppure, lo staff di Sport & Salute, il responsabile Stefano Esu (che è ancora anche segretario di Coni Sardegna) e i suoi cinque collaboratori (due a Cagliari, uno a Nuoro, Oristano e Sassari) lavorano da casa in smart working. E altrettanto fa il commissario reggente Antonio Pinna, che dopo la scomparsa di Gianfranco Fara è chiamato a ricoprire le funzioni di presidente e di Giunta (che pure continua a essere convocata, discorso sull'emergenza a parte).

Progetti in stand by

L'ultimo progetto, la seconda parte di “Linee guida per il risparmio energetico negli impianti sportivi”, in collaborazione con l'Università di Cagliari, si sarebbe dovuto presentare ieri in Rettorato. Altri due, sempre in continuità, sono quelli di “A chent'annos in salude” e “Sport gioventude”, assieme agli altri progetti scolastici che adesso sono evidentemente sospesi. Il Coni è vivo e continua a garantire sostegno allo sport che si dibatte in una situazione che è per tutti inedita e che lo stesso Pinna vive con doppio disagio: «Perché mi sono ritrovato a fare il commissario unico per la scomparsa di Gianfranco Fara, e mai me lo sarei aspettato, e per questa situazione. Cerco di rispettare il programma del mio predecessore (e amico) e trovare soluzione ai problemi chi si pongono». E adesso ce n'è uno di non facile risoluzione: «Stiamo seguendo le direttive del Governo e del Coni», dice l'attuale presidente di lungo corso della Federbocce. «Però vedo che non sempre le società sono disponibili a capire», aggiunge stizzito: «Ho letto che a Parma hanno scoperto tesserati di una società di bocce (ed è la cosa che mi dà più fastidio), che si ritrovavano al bocciodromo per giocare a carte. È una vecchia abitudine quando non si può giocare, ma in questo caso è anche peggio. In Sardegna abbiano dato disposizione di sospendere le gare e suggerito di chiudere i circoli: non vorrei che si scoprisse che qualcuno non ha seguiti le indicazioni...».

L'interregno

Pinna non nasconde le difficoltà («Effettivamente, non solo la situazione è grigia ma c'è l'incertezza su quanto durerà»), ma va avanti nei suoi compiti: «Sto lavorando per i programmi e per rispettare un testamento morale». È erede soltanto temporaneo di un presidente come Fara che ha segnato un'epoca per lo sport sardo e che attende (all'inizio del prossimo anno) un successore: «Di sicuro non sarò io, anche se qualcuno me lo ha chiesto», taglia corto Pinna. «Quel posto è nei desideri di molte persone le quali pensano che sia come toccare il cielo con un dito. Io mi auguro soltanto che sia la persona giusta, che conosca l'arte della diplomazia, che abbia il savoir faire e le mani pulite».

La Regione

I rapporti con la giovane amministrazione regionale non sono ancora fitti, per motivi contingenti, anche se i primi abboccamenti con il Coni/Sport&Salute ci sono già stati: «Con l'assessore Biancareddu, che è anche presidente della bocciofila di Tempio Pausania, ci conosciamo da tempo», dice Pinna, «ma non ho ancora avuto modo di incontrarlo. I suoi impegni non l'hanno ancora permesso. Spero succeda presto». Cosa chiederà? «Maggiore rispetto delle professionalità e delle peculiarità delle varie federazioni. E che i contributi siano ripartiti nel rispetto delle dimensioni e delle esigenze delle federazioni. Rispettiamo quelle grosse (ma anche ricche) come il calcio, ma anche le piccole hanno le loro esigenze».

I problemi del virus

Intanto lo sport sardo, come quello di tutto il mondo, è fermo ai box: «Gli atleti di alto livello che si allenano da soli a porte chiuse cercheremo di agevolarli, ci mancherebbe», si affretta a precisare Pinna che, sulla ripresa delle competizioni è più prudente. Magari si ripartirà a porte chiuse: «È la negazione dello sport, ma se dal punto di vista della salute con i pericoli che ci sono non si può fare altrimenti sarei anche d'accordo. Purché non ci siano rischi per gli atleti e di diffondere il contagio». Le Olimpiadi si avvicinano e la speranza e che qualcuno degli azzurri abbia in valigia anche la bandiera con i Quattro Mori: «Mi piacerebbe che ci fosse qualche sardo in più, anche se, per esempio, nei giorni scorsi dal pugilato non abbiamo avuto purtroppo buone notizie».
Carlo Alberto Melis



 

La Nuova Sardegna



 

5 - LA NUOVA SARDEGNA di mercoledì 18 marzo 2020 / Primo piano - Pagina 5

Gli studenti in viaggio verso l'isola: «Non prendevano sul serio i nostri timori, ci guardavano storto»

ERASMUS, FUGA DALLA SPAGNA PRIMA DELLO STOP

di Giovanni Bua
SASSARI Alessia è salita sul treno di mattina presto, a Murcia. Lasciandosi alle spalle la sontuosa cattedrale, i palazzi gotici e barocchi e il suo corso annuale in economia, management e turismo. Nessuno l'ha controllata, nessuno le ha chiesto nemmeno il biglietto. Davide aspetta, nella sua casa di Barcellona, dove era arrivato appena due settimane fa per il suo tirocinio in architettura. C'è silenzio, perché i suoi coinquilini sono tornati a casa. È solo, e il tempo non passa mai.Entrambi hanno appuntamento, insieme ad altri quaranta tra studenti e studentesse, borsisti e ricercatori, al porto di Barcellona, per imbarcarsi nella Grimaldi Lines delle 22.15 che li porterà a Porto Torres, e poi a casa, una a Olbia, l'altro a Sassari. Sono spaventati, delusi, sollevati, increduli, curiosi di vedere, di capire. Vogliosi di incontrare i genitori, con cui già sanno che non ci potrà essere, per i prossimi 15 giorni di auto isolamento, nemmeno un fugace abbraccio. Alessia e Davide hanno 20 e 21 anni e sono due studenti Erasmus dell'università di Sassari, parte di quel gruppo che il rettore Massimo Carpinelli e il suo staff ha riportato con caparbietà a casa. Chiamando prefetto e ambasciatore, presidente della Regione e ad della Grimaldi. Organizzando, sconciando tutto e ripartendo da capo, tra ordinanze italiane, sarde, spagnole. E i confini tra stati e regioni che si chiudevano sempre più ogni ora, facendo temere che non restasse più nemmeno uno spiraglio.«Da sabato hanno bloccato tutto anche qui in Spagna - racconta Davide dalla sua casa di Barcellona -, niente locali, eventi, uscite, negozi. Noi lo sapevamo da settimane che era pericoloso. Sentivamo cosa stava succedendo in Italia. Ma fino a quando la situazione non precipita la gente preferisce far finta di niente, credere che i problemi siano sempre degli altri. E così se capivano che eri italiano ti guardavano storto. Due miei colleghi che parlavano in italiano tra loro sono stati trattati in malo modo in un supermercato. Il Coronavirus era una "cosa nostra". È anche per questo che ho deciso di tornare. Ma soprattutto perché era chiaro che le limitazioni sarebbero arrivate anche qui. Che anche qui tutti si sarebbero dovuti chiudere in casa. E allora non aveva più senso restare».Dello stesso parere Alessia, che a Murcia studia da settembre, sarebbe dovuta restare un anno. «Sono una che porta sempre a termine i suoi impegni - spiega, mentre gli altoparlanti scandiscono i nomi della stazioni -. Ma la differenza tra le notizie che arrivavano dall'Italia e la percezione del virus che avevano le persone intorno a me ha iniziato a diventare troppa. I miei genitori a Olbia si chiudevano in casa e la mia coinquilina a Murcia ancora usciva il sabato sera, e mi diceva di non drammatizzare, che era solo un'influenza. Io ho continuato a frequentare, con grandi cautele, i corsi universitari. Ma per il resto ho seguito le regole italiane, a costo di farmi prendere in giro. E, a un certo punto, ho capito che era il momento di tornare. Rispetto la scelta di chi ha deciso di restare, ma spero che non se ne debba pentire».La paura comune è stata quella che il progressivo blocco dei confini diventasse invalicabili. «All'inizio - racconta Alessia - ci avevano parlato di un volo Alitalia da Madrid a Roma organizzato dal ministero degli Esteri. Poi è saltato tutto. Per fortuna però la nostra università si è mossa con decisione, caparbietà, e un'umanità che non dimenticherò. Ci hanno fatto sentire parte di una comunità forte e coesa. E grazie a loro stiamo tornando a casa». «L'ufficio relazioni internazionali ci ha seguito passo passo - conferma Davide - e ci ha aggiornato sullo sviluppo della situazione in Italia e in Sardegna. Sono spaventato, certo. E non so come e quando questo potrà finire. Per questo il posto giusto dove affrontarlo è la mia casa, la mia terra. Ci devo essere quando, tutti insieme, dovremo ripartire».







 

6 - LA NUOVA SARDEGNA di mercoledì 18 marzo 2020 / Sassari - Pagina 14

L’INIZIATIVA
Raccolta fondi della rivista Jidc per il laboratorio di virologia

SASSARI Parte una campagna di raccolta fondi in favore dell'ospedale universitario di Sassari e del laboratorio di Microbiologia e Virologia.Si tratta di una iniziativa lanciata da una rivista internazionale (Jidc- Journal of infection in developping countries) che ha sede presso l'università di Sassari.La raccolta fondi serve per sostenere il lavoro del laboratorio di microbiologia e virologia delle cliniche universitarie che è in prima linea nella lotta al Coronavirus e che gestisce, con poche risorse umane (delle quali la maggior parte costituita da lavoratori e lavoratrici precari) e pochi fondi, il flusso di tamponi da analizzare che provengono da tutta la provincia di Sassari, Olbia e Nuoro.Journal of Infection in Developping Countries è un'organizzazione no profit fortemente legata all'Università di Sassari in Sardegna, diretta da Salvatore Rubino, che agisce su base volontaria e la maggior parte dei e delle componenti dello staff, fondatori e editor vivono e operano all'interno delle istituzioni italiane, e in questo momento operano senza risparmiarsi nella gestione dell'epidemia di Coronavirus Covid-19. Negli ultimi 12 anni Journal of infection in developping countries ha costantemente lavorato giorno dopo giorno per sostenere ricercatori e istituzioni di tutto il mondo, soprattutto da ambienti di ricerca a basso reddito, per facilitare la scrittura e la pubblicazione dei risultati scientifici.È stato creato un evento su Facebook che indirizza alla pagina dove si può fare la donazione.

Questionario e social

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