11 - La Nuova Sardegna / Pagina 2 - Fatto del giorno
AL TEATRO LIRICO
Agli studenti: «Più formazione, cultura e ricerca, no ai tagli»
CAGLIARI. L’applauso più forte Giorgio Napolitano se l’è guadagnato sul palco del Lirico. Forse perchè i giovani in platea, studenti delle superiori e universitari, hanno capito che non stava recitando. «Il ruolo dell’Università è fondamentale - ha detto -, per questo non si deve procedere per tagli». E mentre veniva quasi giù il Lirico si è sentito il capo dello Stato urlare tre parole: «Formazione, ricerca e cultura». Le premesse non erano state così buone. Poco incoraggiante, in via Sant’Alenixedda, lo striscione, con la scritta: “Più 18 miliardi per i caccia F35, meno 8 miliardi per l’istruzione. Dov’è il diritto allo studio?”. Sul tema studenti, Napolitano aveva trovato la porta spalancata dall’allarme lanciato dal rettore Giovanni Melis: «Non intendiamo partecipare - aveva detto - all’aumento delle tasse». Proprio dalle mani del rettore, Napolitano prima dell’ingresso aveva ricevuto il Sigillo d’oro, massimo riconoscimento accademico. E una lettera degli studenti era stata consegnata al presidente per richiedere maggiore attenzione per i giovani. Napolitano ha chiuso l’intervento proprio parlando alle nuove generazioni: «No agli slogan ideologici - ha detto - ora più che mai servono lucidità e slancio innovativo». Soddisfatto Isaia Fadda, 18 anni, quinta scientifico al Liceo Euclide di Cagliari: è il primo studente a cui il presidente ha dato la mano all’ingresso del teatro: «Napolitano? Un grande personaggio».(st.am)
12 - La Nuova Sardegna / Pagina 6 - Fatto del giorno
I sardi celebri citati: da Gramsci a Lilliu
CAGLIARI. Da Giuseppe Manno, presidente del Senato negli anni a cavallo dell’unificazione dell’Italia, all’archeologo Giovanni Lilliu, scomparso domenica. Sono numerosi i sardi illustri citati ieri in occasione dell’ultima cerimonia nazionale sul centocinquantesimo. Napolitano ha ricordato Antonio Gramsci («rimasto legato all’esperienza sarda ha influenzato la politica e la cultura a livello nazionale e mondiale»), i due presidenti della Repubblica, Antonio Segni («lo ricordo anche come ministro della riforma agraria») e Francesco Cossiga («siamo entrati insieme in Parlamento, non ancora trentenni»), Renzo Laconi («uno dei maggiori tra i padri costituenti), il fondatore del Psd’Az Emilio Lussu («non potete immaginare quanto si rimanesse affascinati dalla sua oratoria») e il politico e storico Girolamo Sotgiu («ringrazio Accardo per averne parlato, era mio stretto amico»).
Il più citato dai relatori (Massimo Zedda, Angela Quaquero, Ugo Cappellacci, Giovanni Melis, Aldo Accardo e Peppino Marci) è stato certamente Gramsci, ma sono stati ricordati anche i politici e intellettuali Giovanni Battista Tuveri e Camillo Bellieni, la scrittrice Grazia Deledda, Paolo Dettori (unico tra i presidenti di Regione), il segretario del Pci Enrico Berlinguer e Umberto Cardia.
Nella rievocazione storica dei 150 anni è stato citato un solo partito, il Psd’Az, fondato nel 1921. A ricordarlo è stato Cappellacci, forse per dimostrare ai sardisti, alleati irrequieti, che è stato un errore vivere con freddezza la visita di Napolitano. (f. per.)
13 - La Nuova Sardegna / Pagina 8 - Fatto del giorno
Il rettore Mastino: lavoriamo a un futuro con 450 anni di storia
«Vogliamo essere una risorsa che aiuti ad aprire la Sardegna»
Oggi il presidente è in città per aprire le celebrazioni per i 450 anni dell’ateneo. Siamo commossi per una così alta presenza che rende omaggio alla nostra storia. Si ripete, a distanza di 50 anni, il faustissimus eventus delle celebrazioni centenarie aperte il 30 maggio 1962 da un altro presidente, Antonio Segni. Guardiamo ai decenni formativi dell’ateneo sassarese, nel momento in cui diamo esecuzione a una legge, la n. 240 del 30 dicembre 2010, che non vogliamo espressione del mito dell’aziendalizzazione delle università e del valore commerciale del sapere. Questa riforma iper-regolatrice paradossalmente deve diventare la nuova frontiera per difendere l’autonomia universitaria protetta dall’articolo 33 della Costituzione, per valorizzare il merito, per conservare un patrimonio che ereditiamo, consapevoli che saremo giudicati per quello che non saremo stati capaci di fare, soprattutto se non affronteremo alcuni problemi centrali e alcune minacce: la spaventosa diminuzione delle risorse specie nel Mezzogiorno, la caotica riprogettazione dell’intera struttura degli atenei, la riduzione delle rappresentanze, l’impoverimento dei momenti di democrazia e di confronto, l’ulteriore precarizzazione dei ricercatori dopo anni d’apprendistato.
Il risanamento del bilancio dello Stato ha imposto l’adozione di provvedimenti che colpiscono soprattutto i più giovani, con le limitazioni al turnover, il blocco dei concorsi, il taglio del fondo di finanziamento ordinario, la minaccia del penalizzante costo standard per studente. La possibile cancellazione del valore legale dei titoli di studio colpirebbe pesantemente il nostro ateneo. Nessuno riuscirà a convincerci che per innalzare la qualità del sistema sia necessario tagliare in tre anni il 13% delle risorse, già spaventosamente insufficienti nel confronto europeo; la loro ulteriore riduzione è una minaccia per quegli atenei che intendono recuperare svantaggi e che non possono utilizzare la leva della tassazione studentesca in una regione nella quale garantire il diritto allo studio significa prendere atto delle debolezze economiche e delle distanze, oltre che dell’insularità.
Siamo consapevoli della crisi economica, finanziaria e morale che il Paese attraversa e non ci sottraiamo all’obbligo di dare un contributo efficace per superarla, perseguendo obiettivi di risparmio, di efficienza, di efficacia, di legalità, affrontando i sacrifici richiesti a tutti. Chiediamo metodi di valutazione che considerino i contesti territoriali in cui opera ciascuna università attraverso indicatori relativi alle condizioni di sviluppo regionali. Ci richiamiamo all’art. 119 della Costituzione, che impone risorse aggiuntive e interventi speciali, per promuovere la coesione nazionale e la solidarietà sociale e per rimuovere gli squilibri economici. Non si cambia senza investire.
L’università vuole aprire, e non chiudere, la Sardegna. Con i suoi 1200 professori, ricercatori e amministrativi, con i suoi 15.561 studenti, il nostro ateneo è una risorsa e il suo compito sarà cruciale nei prossimi anni con la nascita di un sistema regionale integrato, con un modello a rete aperta a una dimensione internazionale.
Cogliamo tanti segnali di speranza, tanto impegno, tante aree di eccellenza. Sassari ha conseguito risultati positivi nelle tante classifiche nazionali, come quelle del Ministero e di Censis-Repubblica che ci vede al terzo posto tra i medi atenei. Fin dai prossimi mesi ci aspettano altri impegni, ma siamo convinti che soprattutto nei momenti di crisi è compito degli amministratori accelerare il passo, mettere a disposizione progetti, indicare soluzioni, dare risposte alle esigenze, evitare di far dormire le risorse.
Portiamo avanti la riforma della struttura stessa, avviata con 13 dipartimenti che rappresenteranno la cellula di base nella quale didattica, ricerca, trasferimento a favore del territorio s’incontrano. Il nuovo Statuto ha finito per essere opera di tutto il corpo accademico: e questo spiega la sua consistenza, il suo peso, la sua anima profonda, che orienta la nascita delle strutture di raccordo e degli organi accademici.
C’è un compito che ci aspetta, quello di superare i tanti ritardi che si sono accumulati: nel nuovo Statuto la comunità universitaria si dichiara consapevole della ricchezza e complessità delle tradizioni e del valore delle diverse identità. Si dà un ordinamento stabile, afferma il metodo democratico nella elezione degli organi, si dice attenta alla formazione delle giovani generazioni e al diritto allo studio.
Colloca i nostri iscritti al centro delle politiche accademiche e promuove la cultura come bene comune. Rivendica i valori costituzionali, previsti per le «istituzioni di alta cultura», della libertà di scelta degli studi, di ricerca e insegnamento, assicurando tutte le condizioni adeguate per renderla effettiva. S’impegna a promuovere lo sviluppo sostenibile della Sardegna e a trasferire le conoscenze nel territorio, operando per il progresso culturale, civile, economico e sociale. Lavoriamo con senso di responsabilità, con la consapevolezza delle attese, col dovere di rispondere alla fiducia accordataci. Anche con orgoglio. E rivendicando una storia, una tradizione scientifica di eccellenza, una nostra cifra originale, con una forte modernizzazione sul piano dell’informatica, della ricerca biomedica, umanistica, economica, degli studi urbani, agro-veterinari, chimici, ambientali. L’università che vogliamo darà un ulteriore, deciso sviluppo alle mobilità studentesche internazionali. Sollecitiamo il completamento dell’ospedale di piazza Fiume destinato a ospitare i 300mila volumi della biblioteca universitaria. Noi stessi completeremo le tante incompiute e avvieremo i cantieri previsti coi fondi Fas a breve disponibili.
Il 24 marzo con il convegno sulle origini dello Studio generale sassarese concluderemo le celebrazioni dei 450 anni, con la partecipazione di molti rettori provenienti da numerose università convenzionate con noi. Siamo orgogliosi di assumere questa eredità, ma insieme convinti che è necessario un deciso cambiamento, che richiede determinazione e fantasia, creatività e capacità operative. Il 1º maggio 1919 Antonio Gramsci (nel giornale socialista L’Ordine Nuovo) scrisse rivolgendosi ai giovani: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza». È un insegnamento che i nostri studenti hanno preso alla lettera se il numero dei laureati in Sardegna va crescendo in maniera esponenziale. Lo scorso anno i nostri sono stati oltre 2000, anche se il numero dei laureati nell’isola continua ad essere basso. Si può affermare che quella attuale è la generazione più preparata che la Sardegna abbia conosciuto.
Sono ragazzi fortunati. Perché hanno potuto frequentare un corso, specializzarsi, confrontarsi con i colleghi di tutta Europa attraverso l’Erasmus. E crescere. Ma nonostante questo incontrano ora enormi difficoltà nel trovare un lavoro vero. Un posto che non sia inadeguato, precario o sottopagato. E che permetta loro di affrontare la vita in maniera dignitosa e serena.
«Il lavoro - ha detto altre volte il presidente Giorgio Napolitano - non deve essere un privilegio». È a questi giovani che guarda oggi l’ateneo: dobbiamo legare formazione e lavoro, immaginare scenari per il futuro, costruire un sistema di orientamento al lavoro, operare attivamente insieme alla classe politica e alle imprese per cambiare quella che un commentatore di Platone chiamava l’isola dalle vene d’argento.
ATTILIO MASTINO, Rettore dell’Università di Sassari
14 - La Nuova Sardegna / Pagina 8 - Fatto del giorno
LETTERA AL PRESIDENTE
Non è giusto sentirsi un peso
Nella mia terra trovare lavoro e farsi assumere con regolare contratto è diventato una chimera Non vale la meritocrazia che da anni ci sentiamo ripetere essere necessaria
Ho deciso d’intraprendere un percorso ormai scelto da pochi, o meglio, da pochissimi (appena una decina): lettere classiche. Nonostante la perplessità di molti che già da allora mi vedevano disoccupata, o nella migliore delle ipotesi precaria, in attesa del tanto agognato «posto fisso», ho comunque deciso di seguire la mia passione. Mi sono guardata attorno e sinceramente non sono riuscita a intravedere un’alternativa: studiare tanto per «tentare il test di Medicina» (quello sì che ti assicura il lavoro!) o tentare la fortuna?
Sì, fortuna: perché nella mia terra, la mia amata Sardegna, trovare un lavoro, anche solo part-time a tempo (rigorosamente) determinato, o riuscire a farsi assumere con un regolare contratto è diventato una chimera. Non vale quella famosa meritocrazia che da anni ci sentiamo ripetere essere necessaria in un Paese moderno, democratico.
Certo che no: qua valgono le conoscenze, le possibilità economiche della propria famiglia, che possono assicurarti un futuro mandandoti a studiare in università prestigiose nel resto d’Italia. E io che come tanti sono figlia di nessuno? Beh, a noi ci pensa lo Stato. Lo dice la Costituzione che «i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» e che «la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuiti per concorso».
Già, le tanto ambite borse di studio. In Sardegna c’è quella dell’Ersu e c’è quella della Regione. Lo so bene io che dalla Regione aspetto ancora la graduatoria definitiva a un anno dalla domanda. Ma non sono forse meritevole se ho impiegato 3 anni per una laurea triennale quando la media nella nostra università è di 5 e 8 mesi? Ma tanto cosa cambia? Due anni in più, due anni in meno... che importa: il lavoro non c’è lo stesso. Solo un giovane su due lavora in Sardegna. A che serve la laurea? Come dare torto a chi la pensa così?
E poi ci sono altre provvidenze. Quali? I mille euro per le famiglie numerose che dà il Comune? Di sicuro, con quattro figli mille euro possono cambiarti la vita! Ma non mi piango addosso, perché nonostante tutto sono fortunata. Mia madre ha il posto fisso. Mio padre non ha perso la speranza di ritrovare un’occupazione a 50 anni. Dopo aver lavorato tutta una vita, non abbiamo a carico persone anziane che percepiscono una pensione ridicola. E io posso studiare perché fortunatamente ho trovato la mia strada a venti chilometri dalla mia casa di Ploaghe: il corso di lettere classiche è a Sassari, non ho dovuto ripiegare su qualcosa di simile o di nettamente distante. Ma quanti sono costretti a farlo?
Mi dispiace, ma io non vedo nella mia terra la possibilità del «pieno sviluppo della persona umana». E cosa fa il governo per spianare la strada a noi studenti della piccola università di Sassari? Elimina il valore legale della laurea in favore del luogo in cui è stata conseguita. Continua a ignorare gli appelli di coloro che un lavoro non l’hanno mai avuto o lo stanno perdendo oppure l’hanno già perso.
Nonostante la mia riluttanza ad abbandonare Ploaghe, la mia famiglia, gli amici, le tradizioni, la mia cultura, ho paura che un giorno sarò costretta a fuggire da uno Stato che, malgrado la mia giovane età, ha già deluso le mie aspettative.
E allora mi dica lei, caro presidente, se siamo noi studenti sardi a chiedere troppo. O se è lecito che in un Paese civile ci si debba sentire un peso per la famiglia e per la società.
CAMILLA SOTGIU, studentessa al 1º anno del corso di laurea magistrale in Lettere e filosofia dell’università di Sassari
15 - La Nuova Sardegna / Pagina 9 - Fatto del giorno
IL SINDACO
Trarremo dal suo viaggio le ragioni di nuova forza
Una visita ufficiale in occasione dei 450 anni della nostra università, gli ultimi 150 nell’Unità d’Italia: 450 anni di storia, insegnamento, cultura e ricerca che arricchiscono con fierezza il territorio. Oggi Sassari può contare su un’università moderna che compete e concorre con i pari livelli europei e costituisce il fulcro del sistema dell’Alta formazione, completato dall’Accademia delle Belle Arti e dal Conservatorio di musica. La città fu libero Comune dalla seconda metà del ’200, mantenendo i tratti peculiari di spirito indomito nei 4 secoli di dominazione straniera e offrendo contributo di uomini e idee al processo di unificazione nazionale. Si dotò di un’università, voluta da Gesuiti, ma sorretta nel tempo solo dal determinante apporto delle classi agricole e operaie, fondamento dell’economia della città, che è riuscita a conservare gelosamente grandi tradizioni culturali e ha espresso illustri docenti e personaggi d’alto livello nel campo politico, economico, sociale.
La nostra città ha contribuito in modo non consueto alla storia più recente della nazione. Nel liceo classico Azuni hanno studiato uomini come Palmiro Togliatti, Antonio Segni, Stefano Siglienti, Mario Berlinguer, Francesco Cossiga, Enrico Berlinguer. Segretari del più grande partito operaio italiano, ministri, deputati, capi dello Stato che hanno fatto la storia del nostro Paese. Oggi l’Italia affronta una crisi dai risvolti pesantissimi, ancora più gravi nel nostro territorio che vede indici di disoccupazione generale pari al 19% e addirittura del 54,3% per la disoccupazione giovanile. Risulta sempre più difficile e gravoso, anche per i Comuni «virtuosi» nelle politiche di bilancio come il nostro, garantire le risorse per il sostegno al crescente disagio sociale.
Ecco perché, come il resto del Paese, il nostro territorio vede nel presidente della Repubblica quella figura di garante e di riferimento cui guardare in momenti così difficili per trovare ragioni e forza per procedere nell’impegno civile e nel miglioramento del Paese. Sassari è grata al capo dello Stato per aver accettato l’invito, per aver scelto insieme a noi di consegnare alla città il nuovo teatro, aperto al pubblico dopo un’attesa di oltre 20 anni, in un momento difficile per l’arte e la cultura che vuole, anche per questo, rappresentare una scommessa e un’opportunità di sviluppo per l’intero territorio. In quest’occasione come ringraziamento e ricordo della visita del presidente Sassari ha deciso di conferire al capo dello Stato in un’edizione straordinaria, così come straordinario è l’evento, il Candeliere d’oro speciale, massima espressione della storia e della cultura più profonda della nostra città che proprio nei ceri votivi sintetizza la storia delle associazioni di mestieri, i nostri Gremi, modello di organizzazione sociale, solidale e sussidiaria. Un atto di riconoscimento all’uomo che oggi rappresenta per il Paese, suprema garanzia della conservazione dei valori più alti di libertà, giustizia, concordia e crescita civile.
GIANFRANCO GANAU, Sindaco di Sassari
16 - La Nuova Sardegna / Pagina 9 - Fatto del giorno
Incontro con le autorità e con gli studenti universitari nel nuovo teatro comunale
SASSARI PRONTA AD ACCOGLIERE IL PRESIDENTE
Questa mattina l’arrivo da Cagliari
VANNALISA MANCA
SASSARI. Il nuovo teatro comunale nel piazzale Cappuccini apre finalmente le porte - a vent’anni dalla posa della prima pietra -, per un’occasione speciale: la visita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione dei festeggiamenti per i 450 anni dell’Università di Sassari. Stamane il capo dello Stato inaugura l’imponente «distretto della musica e della creatività», il teatro auditorium da 1.421 posti che l’amministrazione comunale guidata da Gianfranco Ganau ha fortemente voluto fosse portato a termine, togliendolo dall’elenco delle incompiute. Il teatro oggi si mostrerà maestoso e accogliente di fronte a un pubblico di autorità, insieme a giornalisti e operatori dell’informazione accreditati arrivati da ogni dove, dall’Italia e dall’estero. Una ricorrenza significativa e un appuntamento con la storia per l’ateneo turritano la cui festa di fondazione coincide con i 150 anni dell’Unità d’Italia. Ad aprire la giornata, alle 11, sarà l’Inno nazionale eseguito dall’Orchestra degli allievi e dei docenti del Conservatorio statale di musica «Luigi Canepa». Quindi, si proseguirà con le parole di saluto del sindaco Gianfranco Ganau che consegnerà a Napolitano il candeliere d’oro speciale.
Ma il presidente riceverà un altro prezioso riconoscimento: il rettore Attilio Mastino, dopo il suo intervento, gli consegnerà il «sigillo d’oro» dell’Università di Sassari. Seguirà il saluto dei rappresentanti delle istituzioni. Il programma prevede poi una parte di natura scientifico convegnistica con l’intervento di Antonello Mattone, presidente del comitato per le celebrazioni dei 450 anni e la prolusione di Manlio Brigaglia su «L’Università di Sassari nella storia dell’Italia unita». Successivamente, il presidente Napolitano risponderà alle domande che gli rivolgeranno tre studenti dell’ateneo. La manifestazione si chiuderà con l’inno «Su patriottu sardu a sos feudatarios» che sarà intonato dal gruppo etnomusicologico «Ichnuss» dell’Università.
17 - La Nuova Sardegna / Pagina 5 - Fatto del giorno
L’isola, una risorsa
PAOLO CATELLA
La percentuale di famiglie che vive al di sotto della soglia di povertà sfiora ancora il 20 per cento. La dispersione scolastica resta a livelli intollerabili. Tutto questo genera incertezza nel futuro, malessere e rassegnazione, a volte vera e propria disperazione. E rappresenta una sfida alla politica, che la politica ancora non riesce ad affrontare con il necessario coraggio. Ma c’è anche una Sardegna che non si arrende, che cerca ostinatamente una via per mettere a frutto i saperi e i talenti di cui è ricca, che crea nuove forme di solidarietà e coesione, prova a superare l’antico retaggio della disunione e dell’inimicizia, aspira a uno sviluppo sostenibile che non cancelli un ambiente inimitabile.
I sardi all’Italia hanno dato molto e non sempre hanno ricevuto il giusto, ma questa Sardegna non chiede nuove forme di assistenzialismo o altre elemosine. Semmai il rispetto di patti sottoscritti e di un’autonomia tenacemente rivendicata. Questa Sardegna non vuole più essere quella dei «lamenti senza principio e senza fine» che già Emilio Lussu chiedeva di archiviare. Vuole essere messa in condizione di dare un contributo pieno alla crescita equilibrata del Paese. Questa Sardegna è una risorsa, non solo un problema.
E tra le risorse fondamentali che non può permettersi di dissipare c’è l’Università di Sassari. I suoi 450 anni di storia sono la testimonianza dello straordinario patrimonio culturale al quale possono attingere gli studenti che la frequentano e il territorio che la circonda. Ma l’ateneo è anche un ponte verso un domani che sarà sempre più interconnesso e globale. Il futuro che i giovani hanno il diritto di poter costruire.
Celebrare questo anniversario e i 150 anni dell’unità d’Italia con l’inaugurazione di un teatro che Sassari attendeva da più di un ventennio è un segno di ottimismo, quasi una dichiarazione d’intenti di una città che vuole guardare avanti anche in tempi difficili.
Dopo la visita a Sassari, Napolitano si trasferirà ad Alghero, città orgogliosa della propria identità, delle sue radici storiche e culturali forti, dove terrà a battesimo il museo dedicato a Giuseppe Manno. Non era certo un rivoluzionario, il presidente del Senato del Regno, ma tracciando il ritratto di Eleonora d’Arborea nella sua più importante opera di storico, trovò il modo di indicare uno dei nodi che restano decisivi anche in questa nostra epoca innovativa e incerta: «Essere cioè una cosa certa che dalla giustizia debba derivare l’accrescimento e prosperità di qualunque provincia, regione o terra».
Benvenuto presidente.
18 - La Nuova Sardegna / Pagina 37 - Cultura e Spettacoli
La morte di un grande sardo
“ADDIO PROFESSORE” Così Barumini saluta l’ultimo Sardus Pater
Ieri i funerali dell’archeologo. Nella piccola chiesa dell’Immacolata la sua gente, i politici, gli intellettuali
Walter Porcedda
BARUMINI. «Erano giorni freddi quelli del marzo 1951. Avevo accompagnato il Professore a fare gli ultimi sopralluoghi prima di iniziare a scavare. Su, a monte Nuraxi ci lavorai per più di due mesi, spalando il fango, in metz’e su ludu, per mettere a nudo le pietre. Portando via i detriti dentro un carretto». Antonio “Ninu” Zedda sta per raggiungere gli 80 anni. Piccolo di statura sembra però ergersi come un gigante mentre sta appoggiato al muro di cinta esterno della chiesa dell’Immacolata Concezione. Ha gli occhi lucidi e vivi mentre lo sguardo sembra perdersi più in là in cerca di un orizzonte nascosto. Oltre il carro funebre e gli ulivi. Superando il museo di Casa Zapata, in direzione della grande Reggia sovrastata da nuvole scure che, mezzo secolo fa, venne alla luce grazie a quelli scavi rivelando così l’ascendenza antica e nobile della stirpe dei Sardi.
È qui il cuore segreto di un’isola e di un popolo che ancora ha difficoltà nel conoscere a fondo la propria storia mentre si interroga sul prossimo e incerto futuro.
A squarciare per primo il velo indicando possibili vie di riscatto fu proprio il “Professore”, Giovanni Lilliu, piccolo grande uomo di Barumini che in quel momento riposava in un feretro avvolto dallo stendardo dei Quattro Mori, deposto davanti all’altare della sobria ed austera chiesa a tre navate tardo gotica dell’Immacolata.
Maestro rispettato di conoscenza al quale sembrano essere dedicati per una strana coincidenza proprio i passi tratti dalla lettera di san Giacomo Apostolo, letti dall’ex Rettore Pasquale Mistretta.
Così recitano: «Fratelli miei, chi tra voi è saggio e intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non dite menzogne contro la verità.
Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrestre, materiale, diabolica; perchè dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzittutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera...».
Uomini e donne ascoltano in silenzio la forza di queste parole, seduti nei banchi o in piedi, affollando i corridoi che portano all’uscita.
Gente di paese e di città, umili e potenti. Gli uni accanto agli altri. Lavoratori, archeologi e docenti. E politici. Da Mario Floris a Renato Soru ed Emanuele Sanna, Tore Cherchi e Fulvio Tocco e tanti sindaci della zona con la fascia tricolore.
Parole, quelle di San Giacomo, che sembrano scelte apposta per ricordare l’opera e il valore degli studi del grande archeologo. «Solo chi sa essere piccolo e semplice è grande. Chi nel cuore possiede queste doti è capace di spartirle con gli altri e non tenersele per sè» chiosa con efficacia Don Aldo Carcangiu nella sua orazione. Il sacerdote sa scegliere con cura le frasi del ricordo. «Il Professore è un grande perchè è stato piccolo. E i piccoli sanno donare con cuore». Giovanni Lilliu - ricorda ancora - apparteneva «a una generazione di solide radici, con valori importanti come la famiglia e la solidarietà. Gente che sapeva cosa significava dividere il pane. Chi vive per i soldi può creare profitto ma non la bellezza. Queste sono le terre che il Professore ha amato e ci ha insegnato a conoscere ed amare».
E tale è il riconoscimento che giunge, anche a nome di tutti coloro a cui Lilliu insegnò il lavoro sul campo, dalla sua diletta allieva Giuseppa Tanda. «Lui è stato il Maestro - dice la studiosa -, il caposcuola che ci ha lasciato in eredità un grande amore per la Sardegna».
Fuori dalla chiesa intanto è comparso il sole. Caldo e carezzevole accompagna il lungo e mesto corteo che si reca verso il cimitero all’uscita del paese per salutare il nostro ultimo Sardus Pater.
19 - La Nuova Sardegna / Pagina 36 - Cultura e Spettacoli
Il paese intero ha salutato «s’omini mannu»
Janneddu è tornato a casa, tra le sue «pedras antigas»
TIGELIO SEBIS
BARUMINI. Il professore torna a casa, tra quelle «pedras antigas» che, come note sul pentagramma del tempo, gli hanno permesso di leggere la storia dell’isola. E Barumini lo accoglie con l’affetto che si ha per un padre. Quelle pietre delle quali coglieva l’eco della memoria e nelle quali fin da giovanissimo cercò la chiave per penetrare la storia del suo popolo, della sua gente, che amò d’un amore grande. «Appena laureato il nonno Giuseppe gli regalò un fucile per andare a caccia, cosa che non amava, ed un giorno che sulla testa gli passò un volo di pernici, non udendo alcuno sparo, andarono a controllare cosa fosse successo. Lo trovarono intento ad esaminare una pietra», dice il nipote, Egidio Lilliu. Un dialogo muto con le pietre che permetterà poi a Lilliu di dar vita alla storia degli «uomini d’oro». Quelli che abitarono la sua Barumini.
Frammenti di vita familiare che si incrociano con i ricordi dei tanti che ieri pomeriggio non sono voluti mancare per rendergli il giusto omaggio, l’estremo saluto. C’erano intellettuali, artisti e politici che, frammisti alla gente comune, quella che Janneddu amava intensamente, sono arrivati un po’ da tutte le parti per dirgli ancora una volta grazie. Lo stesso grazie che gli ha rivolto il sindaco Emanuele Lilliu, riconoscendo in lui un riferimento assoluto: «Se Barumini può vantare un ruolo nell’ambito dei beni culturali, a livello nazionale ed internazionale, lo deve esclusivamente a lui. E grazie a Giovanni Lilliu se oggi, nel settore del turismo archeologico, siamo la realtà più importante dell’isola, una realtà che riesce a dare lavoro a sessanta dipendenti».
Una eredità culturale, quella lasciata dal grande vecchio, che si riverbera anche nei giovani di Barumini. «Frequento una scuola per guida turistica. Senza la sua leggenda, chissà che corso di studi avrei intrapreso», dice la diciottenne Elena Cotza, mentre l’amica Giulia Piredda gli fa eco sussurrando: «E’ stato un grande». Un sentimento generale, quello de «s’omini mannu», che accomuna tutti. «Quando ne ho avuto bisogno è stato sempre presente. E andato via un padre ed un amico», dice il musicologo Dante Olianas, che ricorda i momenti di convivialità vissuti nel giardino di Pinuccio Sciola, fra il suonatore di launeddas Aurelio Procu ed il professore. «E’ stato il nostro Babbu Mannu. Il più grande politico sardo dopo Gramsci», aggiunge Giampietro Orrù, della compagnia teatrale Fueddu e Gestu. E a segnare la cifra dell’uomo che sapeva rapportarsi con tutti sono i ricordi di Franco Sergi, 65 anni: «Ero ancora ragazzino e, curioso, andavo a vedere negli scavi de Su Nuraxi; uomini che lavoravano duro ed il professore a lavorare con loro. Con noi parlava sempre in sardo».
«Ci ha sempre sostenuto - dice Vincenzo Tiana, di Legambiente - nella battaglia per la creazione del parco di Tuvixeddu». E se per il presidente della provincia del Medio Campidano, Fulvio Tocco, Giovanni Lilliu è stato uno dei padri della riforma agro-pastorale, nel contempo ha saputo dimostrare come la cultura sia fonte di sviluppo e di lavoro. Quella cultura che ha informato la vita dell’ex sovrintendente ai Beni culturali Vincenzo Santoni: «E’ stato il maestro assoluto del megalitismo, l’uomo che mi ha instradato ad un mondo meraviglioso».
20 - La Nuova Sardegna / Pagina 37 - Cultura e Spettacoli
Gli aspetti più quotidiani di una biografia che ha attraversato quasi un secolo intero
Incantato da Omar Sivori. La passione per la Juve, il sogno infantile di fare il pianista
Le parole della figlia Caterina: «Babbo ora starà bene ai piedi della sua Giara»
PAOLO PILLONCA
I racconti del professor Lilliu erano un’affabulazione fascinosa. Nei viaggi insieme per convegni, tavole rotonde, presentazioni di libri e altri eventi mi è toccata la buona sorte di ascoltarlo, sempre molto volentieri, per un quarto di secolo abbondante. Lo conoscevo già bene dai tempi dell’università per avere frequentato palentologia e antichità sarde, le due discipline che insegnava negli anni Sessanta a Cagliari. Inoltre un mio zio materno, Orazio Ferreli, aveva fatto parte del primo drappello di giovani laureati in archeologia preistorica sotto la sua guida, con Antonello Baltolu, Ercole Contu, Fernando Pilia, Virgilio Tetti. Scelgo, tra centinaia di narrazioni, i fatti meno conosciuti.
La cavallina semiribelle del calesse di casa Lilliu veniva dalla Giara ma era stata domata bene. Era lei a trasportarlo da Barumini a Mandas e viceversa tutte le volte che il piccolo Giovanni doveva partire per il collegio salesiano di Lanusei e poi tornare: alla fine di settembre e dopo la Befana in andata, sotto Natale e a fine maggio nel ritorno. A Mandas c’era il trenino delle complementari, collegato con l’Ogliastra: sei ore di viaggio, più o meno. Nei primi anni Venti la scuola di Barumini aveva soltanto la prima e la seconda elementare. Giovanni Lilliu frequentò il collegio salesiano «Sant’Eusebio» di Lanusei dalla terza elementare alla quinta ginnasio. «Erano i tempi del mitico don Perino, docente di latino e greco, e dell’altrettanto famoso don Carlo Catanzariti, professore di francese», rievocava. «Otto anni di disciplina rigida, con l’appendice di Villa Sora, il liceo salesiano di Frascati. Ma sarò per sempre grato ai figli di don Bosco, gente molto seria».
Giovanni Lilliu aveva perso la madre - Anastasia Frailis - all’età di due anni, nel 1916, nell’epidemia di febbre spagnola che in Sardegna fece strage. Di quel lutto tremendo il professore parlava di rado. Quando lo faceva la sua voce si incrinava. E per me lo sguardo dell’orfano era il suo segno distintivo, lo stesso di Peppino Mereu, Remundu Piras, Michelangelo Pira e dei fratelli Chessa, prime bandiere dell’Àrdia di Sedilo: Costantino e Salvatorangelo. Il segno dell’orfanità è incancellabile, lo conosco bene: per dieci anni l’ho visto tutti i giorni anche sul volto di Tonino Piredda, il compianto collega nuorese dell’Unione.
Una parentesi molto felice dei suoi racconti erano invece gli anni del liceo a Frascati e dell’università a Roma. La gioia del professore riguardava soprattutto il ricordo della Juventus del famoso quinquennio di scudetti 1930-1935: quella di Combi, Rosetta, Caligaris e Borel II detto Farfallino. «Li ho visti giocare a Roma più volte, erano formidabili», raccontava. «Non perdevano quasi mai. Da allora la mia passione per la Juve non si è mai spenta, anche perché mi piaceva il nome: juventus, gioventù. Ricordo quella di Muccinelli e Boniperti, di John Charles e Omar Sivori, di Gaetano Scirea e Dino Zoff, campioni del mondo di Spagna 1982, due atleti che ammiravo anche come persone. Li sentivo fratelli nell’amore per il silenzio». Negli ultimi anni, all’inizio di ogni campionato mi chiedeva: «E ocannu ita fadeus (e quest’anno cosa faremo)?». Alla notizia dell’arrivo di Antonio Conte allenatore disse: «Custu piciocu mi praxit meda» (questo ragazzo mi piace molto).
Lo faceva sorridere la rievocazione della sua scelta di fare l’archeologo preistorico. Quando lo seppe, il padre gli disse: «Bell’arti t’as iscerau: cicadori de teulaciu» (bel mestiere ti sei scelto: il raccoglitore di cocci di terracotta). In famiglia l’avrebbero voluto notaio, professione che nel parentado mancava. Per la maturità il nonno materno gli aveva chiesto: «E ita disigias po arregalu?» (cosa vorresti come regalo?) E lui: «Mancai siat unu pianoforti» (un pianoforte, magari). E l’avo, secco: «E ita nanca, t’arregalu una scupeta» (macché, ti regalerò un fucile da caccia). Ma la passione venatoria, coltivata per alcuni anni, gli venne presto a noia, tanto che il professore confessò più volte: «Mi ndi seu pentiu, no est unu bellu spàssiu» (me ne sono pentito, non è un bel passatempo).
Ridiventava ancora più serio quando parlava degli scavi, con il passare degli anni li vedeva come un’indicazione del destino. Nel marzo del 2007 a Barumini, durante la festa per i suoi 93 anni, confidò: «Riandando indietro nel tempo ripenso al segno della sorte di cui i miei amici mi parlano frequentemente e mi sento come investito dal vento della predestinazione».
Gli ultimi colloqui con lui hanno avuto vari argomenti. Il ricordo di Antonio Sanna, il linguista bonorvese suo amico che negli anni Settanta, con lui preside di facoltà, dettò la delibera rimasta famosa sulla tutela della lingua. L’esperienza di «Nazione Sarda» con Antonello Satta, Elisa Nivola, Gianfranco Contu, Eliseo Spiga. Il rimpianto di Michelangelo Pira, suo allievo, scomparso prematuramente il 4 giugno del 1980. La corrispondenza epistolare con Emilio Lussu, che meriterebbe di vedere la luce.
Amici carissimi di Giovanni Lilliu erano anche i poeti Cicitu Masala e Peppe Sozu, il famoso cantore di Bonorva che aveva la sua stessa età. Altro amico di lunga data, il pittore Antonio Corriga. Di lui il grande archeologo ricordava un episodio curioso e ne sorrideva divertito. Dipingendo una processione di Sant’Efisio, l’artista di Atzara ebbe il desiderio di inserire nel quadro anche il viso del professore. Finito il lavoro, Corriga si accorse di un particolare che annotò in versi: «Apu fatu su retratu/ a Giuanni Lilliu:/ chene ddu bolli est bessiu/ in colori de terra ’e pratu» (ho fatto il ritratto a Giovanni Lilliu: senza volerlo, è venuto fuori in colore di terracotta).
Come accadde a Cicitu Masala per Nughedu, suo paese natale, negli ultimi anni anche Giovanni Lilliu rivolava spesso al suo nido di Barumini. Ieri mattina, nella camera mortuaria dell’ospedale «Brotzu», la figlia Caterina ha detto: «Babbo starà bene ai piedi della Giara».
21 - La Nuova Sardegna / Pagina 2 - Cagliari
POPOLO DEI ROM
Borse di studio per giovani nomadi
PIERLUIGI CARTA
CAGLIARI. Un concorso per l’assegnazione di borse di studio per i Rom: li bandisce la fondazione Anna Ruggiu. L’importo complessivo minimo è di 6.000 euro, salvo ulteriori aggiunte, destinate a studenti e studentesse Rom che frequentano con profitto le scuole secondarie di secondo grado in un istituto della Sardegna. «L’iniziativa - compare nella nota della Fondazione Anna Ruggiu - è finalizzata a incentivare e sostenere economicamente la scolarizzazione di questi giovani, con l’obiettivo di aiutarli a raggiungere elevati livelli di istruzione, sino al livello universitario». Le segnalazioni dei giovani da proporre potranno essere effettuate solo da parte di un dirigente scolastico o di un docente, entro il 10 marzo.
22 - La Nuova Sardegna / Pagina 1 - Cagliari
Biblioteca, caos per l’ateneo
Protesta di Cgil e Cisl per il trasferimento dei libri
PIERLUIGI CARTA
Cagliari. Da giugno prossimo la Biblioteca universitaria di Cagliari potrebbe non essere più accessibile all’utenza. A causa di una scelta poco chiara del Mibac (ministero Beni ed attività culturali) che, a seguito della richiesta dei locali da parte dell’università di Cagliari, ha deciso di lasciare la sede storica di via Università (concessa in comodato d’uso dall’ateneo) per trasferirne la sede principale nei locali dell’ex distretto militare nel largo Carlo Felice.
«Una decisione scellerata che non consentirà di fatto la fruibilità dei circa 900mila volumi oggi disponibili» afferma in una nota stampa la Cgil Funzione pubblica. I locali nel largo Carlo Felice non risultano «idonei al mantenimento dell’attuale offerta dei servizi, essendo inferiori per metratura, privi di arredi e di collaudo definitivo». La Cgil, assieme alla Cisl denuncia un provvedimento che produce un danno gravissimo all’utenza che ogni giorno frequenta i locali della biblioteca universitaria. «La città insomma si vedrà privata di una sede storica frequentata da generazioni di studiosi e sede di importanti iniziative culturali» commenta Sandro Dessì della Fp-Cgil. In effetti la dirigenza della biblioteca nel 2000 aveva inoltrato la richiesta di utilizzo dei locali dell’ex distretto militare, dove poter incrementare l’offerta dei servizi, dando però per scontato il pieno utilizzo della vecchia sede. Con una nota del 10 gennaio 2012, emessa dalla direzione generale della biblioteche del Mibac, sulla base di una riunione del comitato tecnico scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali del 13 dicembre 2011, è stato presentato il progetto per lo spostamento entro giugno di tutte le funzioni bibliotecarie universitarie tranne la gran parte dei depositi. «Dei 2mila metri quadrati attualmente disponibili nella sede di via Università, nella nuova ne avremo a disposizione meno di 300; potremmo quindi spostare solo una quantità di patrimonio irrisoria», afferma Ester Gessa, direttrice della biblioteca univeersitaria. E questo può diventare un problema gestionale soprattutto per i volumi più antichi in quanto, tenendo conto dei 12mila volumi di pregio della sala settecentesca, il trasferimento da una sede all’altra comporterebbe dei costi assicurativi troppo onerosi; senza contare che la biblioteca non ha ancora a disposizione i mezzi per tali spostamenti. La sede attuale di via Università dispone di un patrimonio antico risalente al 1200, che preserva una grande quantità di incunaboli, cinquecentine e seicentine che, con ogni probabilità diventerebbe inaccessibile al pubblico. «Tale trasferimento comporterebbe una divisione tra le attività della biblioteca e la conservazione del patrimonio».
23 - La Nuova Sardegna / Pagina 38 - Cultura e Spettacoli
E’ morto Dulbecco Scienziato gentiluomo dal Nobel a Sanremo
Nel 1947 decide di trasferirsi in California: il viaggio, a sorpresa, insieme a Rita Levi Montalcini
ROMA. Se oggi sappiamo che i tumori sono malattie dai mille volti e che il primo bersaglio per aggredirli è il loro Dna il merito è di Renato Dulbecco, il pioniere delle ricerche sulla genetica del cancro. In pochi decenni la lotta ai tumori ha imparato a parlare un linguaggio completamente nuovo grazie alle sue ricerche.
Nonostante avesse la cittadinanza americana dal 1953, Dulbecco ha sempre mantenuto un forte legame con l’Italia, tanto da essere considerato il padre delle ricerche italiane sulla mappa del Dna, condotte presso l’Istituto di Tecnologie Biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) a Milano. Solo l’età avanzata e le condizioni di salute precarie hanno interrotto la spola tra Milano e La Jolla, in California, dove viveva e lavorava presso l’istituto Salk. Tuttavia la sua presenza in Italia ha lasciato tracce significative, sia nei risultati scientifici sia nella difesa del valore della ricerca. Al punto che nel 1999 non ha esitato ad accettare di condurre il Festival di Sanremo insieme a Fabio Fazio, devolvendo il compenso a favore del rientro in Italia di cervelli fuggiti all’estero. Una iniziativa simbolica che ancora oggi prosegue nel «Progetto carriere Dulbecco» promosso da Telethon.
Non è stato solo il palco di Sanremo a favorire la popolarità di Dulbecco: il suo sorriso spontaneo, la cortesia innata e il grande entusiasmo per la ricerca hanno fatto di lui uno «scienziato gentiluomo», schierato in prima fila nelle battaglie a favore della ricerca sulle cellule staminali e per reintrodurre l’Evoluzionismo nei libri scolastici.
Nato a Catanzaro il 22 febbraio 1914, Dulbecco si avvicina alla scienza spinto dalla passione per la fisica e arriva alla medicina dopo avere «assaporato» anche chimica e matematica. A 16 anni si iscrive alla facoltà di Medicina dell’università di Torino e segue i corsi dell’anatomista Giuseppe Levi insieme a Rita Levi Montalcini e Salvador Luria. Si laurea con lode nel 1934. Durante la seconda guerra mondiale è ufficiale medico sul fronte francese e poi su quello russo dove, nel 1942, rischia di morire. Rientrato in Italia, nel dopoguerra torna a Torino.
Nel 1947 la grande decisione di trasferirsi negli Stati Uniti per raggiungere Luria, che lavorava lì dal 1940. Un viaggio che cominciò con una sorpresa: «senza saperlo, ci ritrovammo sulla stessa nave», raccontava mezzo secolo più tardi, divertito ripensando all’incontro inatteso con Rita Levi Montalcini. «Facevamo lunghe passeggiate sul ponte parlando del futuro, delle cose che volevamo fare: lei alle sue idee sullo sviluppo embrionale e io alle cellule in vitro per fare un mucchio di cose in fisiologia e medicina».
Sono le strade che entrambi seguono negli Usa e che portano Dulbecco nel California Institute of Technology (CalTech), dove ha una cattedra e comincia ad occuparsi di tumori. Nel 1960 fa la scoperta che nel 1975 lo porterà al Nobel: osserva che i tumori sono indotti da una famiglia di virus che in seguito chiamerà «oncogeni». Nel 1972 lascia gli Usa per Londra, come vicedirettore dell’Imperial Cancer Research Fund.
Dopo il Nobel, condiviso con David Baltimore e Howard Temin, ritorna all’Istituto Salk per studiare i meccanismi genetici responsabili di alcuni tumori, in primo luogo quello del seno. Il suo rientro in Italia, nel 1987, coincide con l’avvio del Progetto internazionale Genoma Umano, del quale Dulbecco diventa coordinatore del ramo italiano. Un’esperienza che si arena nel 1995 per mancanza di fondi e che lo riporta negli Stati Uniti.
24 - La Nuova Sardegna / Pagina 23 - Sassari
Da giovedì la settima edizione della manifestazione
Piccoli scienziati in piazza «giocano» con gli esperimenti
SASSARI. Comincia giovedì 23 febbraio la settima edizione della «Scienza in Piazza» con la presentazione di numerosi esperimenti scientifici da parte degli studenti di diverse scuole di Sassari e provincia. Il tema di quest’anno è «Il gioco».
«La manifestazione - spiegano gli organizzatori - risponde all’esigenza di stimolare nei giovani la curiosità e l’interesse per le discipline scientifiche attraverso un approccio che li vede impegnati in prima persona nel progettare, condurre ed illustrare al pubblico esperimenti scientifici spesso sorprendenti, a volte spettacolari e sempre accattivanti».
La mostra ha avuto finora un grande successo: motivati ed entusiasti gli studenti che vi partecipano, stesso coinvolgimento nelle scolaresche in visita, che hanno apprezzato l’iniziativa.
La mostra è stata promossa dall’Aif (Associazione per l’insegnamento della fisica) in collaborazione con la Sat (Società astronomica turritana), la Ddsci (Divisione didattica della Società chimica italiana) e l’Anisn (Associazione nazionale insegnanti di scienze, e ha ottenuto anche quest’anno il patrocinio del Comune e dell’Università, che la ospiterà nei locali al primo piano del nuovo complesso universitario di via Piandanna.
All’evento partecipano il Liceo classico Azuni, Liceo classico Canopoleno, Liceo scientifico Spano di Sassari, Liceo scientifico Fermi Alghero, Liceo scientifico Europa Unita Porto Torres, Liceo artistico Figari, Iti “G. M.Angioy”, Ipsar, Istituto tecnico Commerciale Dessi+La Marmora”, Istituto di Istruzione Superiore Porto Torres, scuola elementare direzione didattica di Sorso, e la scuola elementare 2º circolo di Porto Torres.
La mostra resterà aperta tutte le mattine tranne la domenica, da giovedì 23 a lunedì 27 febbraio, dalle 9 alle 13 e sabato 25 anche al pomeriggio, dalle 15 alle 18.
Le scolaresche che vorranno visitarla dovranno prenotarsi, telefonando al numero 079 231766, dalle ore 9 alle 13.
Nell’ambito dell’evento, sempre nei locali del complesso universitario, lunedì 27 febbraio alle ore 9,30, si svolgerà la Gara di Matematica a squadre «Coppa Città di Sassari», organizzata dall’Iti «Angioy» e dal Dipartimento di Scienze della natura e del Territorio dell’Università.