Durante i lavori la relazione di Gaetano Ranieri, docente di Geofisica applicata all'Università di Cagliari
23 January 2015

 di Sergio Nuvoli

Cagliari, 23 gennaio 2015 – “Vedere il sottosuolo di Monte Prama”: questo il titolo dell’intervento del professor Gaetano Ranieri (nella foto a sinistra), docente di Geofisica applicata all’Università di Cagliari, alla Giornata di Studio su “I riti della morte e del culto di Monte Prama – Cabras” organizzata dall’Accademia dei Lincei a Roma al Palazzo Corsini nei giorni scorsi.
 
Il docente dell’Ateneo cagliaritano, nell’ambito di un ricco e partecipato simposio, ha illustrato  l’ultima frontiera dell’archeologia, in cui le nuove tecnologie messa a disposizione dal suo team di ricerca con il Georadar hanno consentito gli ultimi sorprendenti ritrovamenti nella collina da tempo mèta degli archeologi delle due Università sarde. Ai lavori era presente anche  presente anche Francesca Barracciu, Sottosegretario del Ministero per i Beni, le attività culturali e il turismo.
 
L’obiettivo della manifestazione, proposta dall’accademico dei Lincei Mario Torelli, era quello di presentare i risultati della ricerca “Archeologia di Monte Prama” sviluppata nel corso dell’anno 2014. La ricerca è diretta dalla Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari e Oristano (Alessandro Usai, Emerenziana Usai), dall’Università di Sassari (Paolo Bernardini, Pier Giorgio Spanu e Raimondo Zucca) e dall’Ateneo cagliaritano (Gaetano Ranieri).
 
Il riavvio della ricerca è stato possibile grazie al progetto “Archeologia di Monte Prama”, elaborato dalle Università di Sassari e di Cagliari d’intesa con la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Cagliari e Oristano, cofinanziato dalle Università e dalla Regione Sardegna con la Legge 7 agosto 2007, n. 7 “Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna. Progetti di ricerca fondamentale o di base - Annualità 2012”.

UFFICIO STAMPA ATENEO - mail ufficiostampa@amm.unica.it - Sergio Nuvoli -  tel. 070 6752216


 
L’EVENTO SULLA STAMPA SARDA
 
LA NUOVA SARDEGNA
LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 22 gennaio 2015 / Fatto del giorno - Pagina 2
IL GEOFISICO CHE SCOPRE LE STATUE COL RADAR
Gaetano Ranieri racconta come è nato lo strumento che ha moltiplicato le scoperte
 
ROMA La vista umana non penetra la terra: ecco il dramma secolare degli studi archeologici più accurati. Troppo spesso l’immaginazione visionaria - celebre è il caso di Schliemann a Troia - ha guidato gli scavi. Ma Gaetano Ranieri, professore ordinario di Geofisica applicata dell’università di Cagliari, oggi riesce a vedere nel sottosuolo di Monte Prama. Con la sua equipe di ricercatori - «Tutti precari», sottolinea nella presentazione all’Accademia dei Lincei - ha scandagliato il sito con le lenti della tecnologia. Ed è stato un suo collaboratore - neanche a dirlo, precario - a trovare due grandi anomalie al georadar: i giganti tornati al mondo a fine settembre. Che emozione ha avuto quando ha visto per la prima volta l’anomalia dei giganti? «Ma non sono io che l’ho trovata, è stato un mio collaboratore a segnalarla. Io ho solo intuito, ho detto: “Dovete cercare qui”, dove c’erano le pietre accumulate. Quando ha fatto il rilievo abbiamo capito subito, discutendo con il professor Zucca, che si trattava di qualcosa di particolare: non poteva essere un betilo, ma la forma rotonda che emergeva non lo faceva sembrare neanche un gigante. Pensavamo di aver trovato un’animale mitologico, forse l’immagine di un dio. Io ho scommesso con Zucca e gli ho detto: secondo me è un gigante pugile» Da quanto tempo è possibile vedere nel sottosuolo? «Diciamo che da una decina di anni, più o meno, la crescita esponenziale degli strumenti ha consentito di avere una visione sotterranea più accurata. Se prima avevamo la cataratta oggi l’abbiamo rimossa, ma siamo ancora troppo vecchi per vedere chiaramente. Attenzione a non celebrare lo strumento, però, perché c’è sempre l’uomo dietro». Qual è la storia del suo georadar? «Non è mio, non l’ho inventato io. Io ho solo "istigato" a realizzarlo. Nel 1990 ho comprato un vecchio georadar americano che registrava su carta sensibile, poi un altro svedese. A un certo punto mi sono chiesto: “Perché dobbiamo dare i soldi agli americani e agli svedesi e non possiamo farcelo noi?” Così ho lanciato la sfida ad alcuni radaristi della marina militare di Livorno, che hanno vinto un progetto europeo e hanno iniziato a sviluppare prototipi con l’Ids di Pisa. Quando li ho incontrati di nuovo gli ho detto: “Ma perché allora non fare un sistema olografico che restituisca immagini tridimensionali?”». E allora non ve lo siete lasciato sfuggire… «Lo abbiamo comprato vergine, senza software, e lo abbiamo riadattato ai nostri scopi. È costato 100mila euro nella versione base, poi con alcuni accessori siamo arrivati quasi a 200mila. Possediamo un modello a 16 canali: sono come tante antenne, una trasmette e quindici ricevono. L’operazione si ripete ogni nano secondo. Così riusciamo a vedere in maniera tridimensionale e in tempo reale. Ci sono anche altri strumenti come l’Arp (Apparent resistivity prospecting) che è un apparecchio collegato a un quod che permette di scandagliare aree più ampie. Il futuro, però, è la percezione del calore: ci permetterebbe di vedere le tombe». Veniamo alla nota dolente: i ricercatori precari. «È una cosa triste, spero che possano ritrovare un giusto riconoscimento anche altrove. Uno è stato contattato dalla Nasa ma vorrebbe restare qui. Anche un altro, forse, avrà una possibilità. Chi non troverà qualcosa, però, finirà con il cambiare mestiere: ed è un peccato, si perdono conoscenze». (a.s)
 
LA NUOVA SARDEGNA
 LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 22 gennaio 2015 / Fatto del giorno - Pagina 2
GLI SCAVI A CABRAS
Mont’e Prama tesoro inesauribile
Area di 5 ettari con altri Giganti
di Simonetta Selloni
 
CABRAS E così i kolossòi di Mont’e Prama, i Giganti di Cabras attorno ai quali il mondo archeologico rivolge le sue attenzioni, hanno catturato l’interesse del più alto consesso culturale italiano, e tra i più importanti al mondo, certamente il più antico: l’Accademia dei Lincei. Ieri, nella giornata di studio su “I riti della morte e del culto del culto di Mont’e Prama-Cabras”, il gotha dell’archeologia italiana si è riunito a Palazzo Corsini, a Roma, sede dell’Accademia fondata nel 1605, attorno agli studiosi che hanno portato alla luce un giacimento di testimonianze destinato a riscrivere la storia della statuaria isolana; un giacimento emerso a partire dalle campagne degli anni Settanta per arrivare alle più recenti scoperte frutto della ripresa degli scavi da parte di Università di Sassari e Cagliari, della Soprintendenza archeologica della Sardegna accanto ai quali si pone il ministero dei Beni e delle attività culturali. Giornata di altissimo respiro culturale, dunque, ispirata dal professor Mario Torelli, Accademico dei Lincei – così come lo era il professor Giovanni Lilliu –, nell’ambito della convenzione tra l’Accademia e la Fondazione Balzan, che proprio lo scorso anno ha insignito del premio per gli studi archeologici il professor Torelli; l’ambito migliore per svelare le ultime scoperte attorno a una miniera, di cui i ritrovamenti fin qui acquisiti – 5000 frammenti recuperati, 28 statue antropomorfe, 26 modelli di nuraghe, cinquanta tombe, datazione tra il IX e l’VIII secolo avanti Cristo –, altro non sono, per dirla con il professor Raimondo Zucca dell’Università di Sassari, Alessandro e Emina Usai della Soprintendenza archeologica, che «la punta dell’iceberg». Un heròon a Mont’e Prama. «Riteniamo che Mont’e Prama possa essere un heròon, un luogo di sepoltura di un eroe. Non una necropoli nel senso tradizionale del termine, ma un luogo cultuale. Ne sono testimonianza l’accesso al sepolcro individuale, regolato dalla rigida selezione del sesso (uomini, con una sola eccezione), dell’età (giovani adulti)». Così la relazione del professor Zucca e del suo collega Paolo Bernardini, che hanno introdotto la correlazione del mito di Iolao e dei Tespiadi con il sito di Mont’e Prama. Mito cui ha fatto riferimento il professor Michel Gras, coordinatore del dibattito, archeologo e anch’egli studioso di Mont’e Prama, e lo stesso professor Torelli. Il mito di Iolao. La tesi proposta non punta a incardinare il mito di Iolao e i Tespiadi nell’isola, per quanto il professor Fausto Zevi, archeologo e Accademico, ieri stessa abbia concordato con l’ipotesi che i Greci abbiano conosciuto la sfilata di statue di Mont’e Prama; ma è un dato di fatto che dagli ultimi rilievi emergono due fatti assolutamente nuovi, rispetto alla lettura del sito, connessi a quel mito. I calzari e il gymnasion. Pugilatori, arcieri, guerrieri: a questa iconografia, si aggiungono ora cinque statue di kolossòi con i calzari. Due sculture già ritrovate, i piedi calzati da sandali, ricordano il bronzetto della tomba di Cavalupo di Vulci (IX sec. a. C). «I sacerdoti-militari di Mont’e Prama e di Vulci alludono verosimilmente a un aspetto dell’apparato cerimoniale del culto svolto nell’heroon, forse in connessione con l’avvio dei giochi, prove di aristeia, o, per usare un termine più prossimo alla cultura sarda, di balentìa», hanno detto Zucca e Bernardini. In sintesi: i ritrovamenti sono compatibili con un’area, individuata, a struttura semicircolare di circa 35 metri di diametro, dove è verosimile pensare potessero svolgersi attività ludiche, propiziatorie, rituali. C’è una mitologia sarda, ha sottolineato il professor Torelli, e le attività ad essa connessa sono assimilabili al gymnasion greco: luogo di esercizio del corpo e della mente. La capanna e il tempio. Una settimana fa il georadar ha evidenziato una capanna a struttura pluricellulare, composta da tre ambienti circolari e con all’interno una corte aperta. E un altro spazio, 14x26 metri, richiama fortemente il tempio di cui, già nel 1977 parlava il professor Lilliu. Per la prima volta, uno scavo archeologico sardo entra all’alta corte dei Lincei. Per continuare a indagarlo, «appare fondamentale l’acquisizione pubblica di altri cinque ettari circostanti l’area ristretta in cui si sono sviluppate le ricerche», è l’appello degli archeologi. «Abbiamo imparato moltissimo, oggi», ha detto il professor Torelli. La centenaria storia degli Accademici, con l’umiltà propria dei grandi, in rispettoso ascolto delle voci dei kolossòi del passato.
 
LA NUOVA SARDEGNA
LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 22 gennaio 2015 / Fatto del giorno - Pagina 3
Pace tra la Soprintendenza e le due università della Sardegna
IL CONVEGNO A ROMA: l’attività archeologica non si fermerà
di Andrea Scutellà
 
ROMA La giornata di studio all’Accademia dei Lincei celebra la pace tra la Soprintendenza ai beni archeologici e le Università di Sassari e Cagliari. «Diciamo che la presenza dell’onorevole Barracciu ha risolto gli aspetti problematici, visto che ha garantito la collaborazione tra istituzioni», ha commentato con un sorriso l’ex Magnifico Rettore dell’ateneo turritano Attilio Mastino. Il sottosegretario ai Beni culturali ha persino rilanciato l’idea di organizzare un’esposizione «temporanea di una di queste sculture presso il Quirinale per promuoverne il più possibile la divulgazione», ma è difficile pensare a un trasporto dei giganti. L’ipotesi più accreditata è quella dell’esposizione di una copia, come nel caso del Marco Aurelio ai Musei Capitolini. Il 31 marzo il progetto che ha portato al successo degli scavi del 2014 terminerà. «La Regione sarda – fa sapere il professor Raimondo Zucca dell’Università di Sassari – assicurerà risorse sufficienti per il prosieguo degli scavi: si parla di 3 milioni in 3 anni. Ovviamente Monte Prama è al primo posto». C’è poi il finanziamento di 700mila euro del progetto Arcus del ministero dei Beni culturali, per cui, spiega ancora Mastino «l’area dovrebbe essere recintata già nei prossimi giorni». Quel 31 marzo – la fatidica data di fine dei lavori – non dovrebbe comportare shock o cambi repentini. Anzi, il professor Zucca annuncia una novità: «Ci stiamo impegnando per portare a termine con l’editore Carocci una pubblicazione sul volume degli scavi. Tutti insieme: la Soprintendenza e le Università. Vogliamo pubblicare subito i risultati e le prime conclusioni a cui siamo giunti con la nostra ricerca». Un obiettivo reso possibile anche dalla giornata organizzata da Mario Torelli, premio Balzan 2014 per l’archeologia classica e decano della disciplina, che i presenti riconoscono, più volte, come il loro maestro: ebbe infatti allievi come Zucca e Bernardini all’Università di Cagliari. «Ho voluto che ci fosse questa giornata – ha detto l’archeologo – perché l’Accademia dei Lincei aveva un compito che ha lasciato progressivamente andare: quello di trasmettere trasmettere annualmente al ministero i risultati degli scavi più importanti. Ed è una missione che passa per le difficoltà di fare comunicazione scientifica». Nel prosieguo del discorso, poi, ha lanciato un appello: «Per favore, non separate quelle statue! Non mettiamole un pezzo di qua, un pezzo di là, come è stato fatto con gli altri giganti. Vederli tutti insieme, come succedeva a Li Punti, era proprio quello che faceva più impressione». «Io ho un sogno – ha continua il decano degli archeologi – rivedere tutte quelle sculture insieme nel loro ambiente, non separate. La vecchia idea borghese del museo d’altronde è finita, è morta». E, in conclusione, ha lanciato l’appello alla naturale unione dei saperi tra Università e Soprintendenza: «La nuova direzione generale dovrà essere assolutamente paritaria. Non ci può essere l’egemonia sul sapere». In questo caso, il sapere ha persino varcato i propri confini, «la ricerca archeologica si è rivestita dell’impagabile valore aggiunto dell’impegno sociale e rieducativo», ha dichiarato ancora Zucca, ricordando quei «quattro detenuti della casa circondariale di Oristano che hanno lavorato infaticabilmente da mattina a sera», grazie a un progetto sviluppato all’interno delle carceri. Ed è bene ricordare anche il citato «entusiasmo» dei giovani ricercatori precari. Senza di loro gli scavi non sarebbero stati possibili, ma il futuro è sempre legato al filo rosso dei progetti.
 
LA NUOVA SARDEGNA
LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 22 gennaio 2015 / Fatto del giorno - Pagina 3
Forti e giovani: gli uomini di 3mila anni fa
Il professor Rubino e le scoperte della bioarcheologia: «Studiamo il passato con tecniche da Ris»
di Pasquale Porcu
 
SASSARI Nello scavo archeologico si muovono come i Ris nella scena di un delitto: ogni traccia organica è preziosa. Ogni indizio deve essere preservato facendo attenzione, soprattutto, a non "inquinare" la scena. Intanto indossando indumenti sterili per prelevare campioni che non devono, contaminarsi in nessun modo, con materiale genetico o organico, estranei a quel contesto e soprattutto a quel periodo storico. Pioniere di questa nuova metodologia bioarcheologica che ha illustrato ieri all’Accademia dei Lincei, è il professor Salvatore Rubino del Dipartimento di Scienze biomediche. dell’università di Sassari. A lui e alla sua équipe sono state affidate le indagine sui ritrovamenti di interesse genetico dell’area di Mont’e Prama. Su quale tipo di materiale sta lavorando l’équipe di Rubino? «Stiamo lavorando sul Dna della ossa degli scheletri ritrovati nelle sepolture_ dice lo scienziato_ E non si tratta di una operazione semplice dal momento che stiamo parlando di esseri che sono vissuti tra gli otto e i dieci secoli avanti Cristo. Si tratta in tutto di 18 scheletri provenienti da due tipologie differenti di tombe. Abbiamo di fronte, dunque, un lavoro immenso. Ma i primi dati ottenuti ci consentono di lavorare intorno ad alcune ipotesi che dobbiamo poi verificare insieme agli altri specialisti impegnati negli scavi. Intanto crediamo di affermare che quegli scheletri, con buona probabilità, appartengono a giovani di sesso maschile abituati a svolgere intensi lavori fisici. Si tratta di schiavi o giovani morti in seguito a un sacrificio umano? Questo, meglio di noi, potranno dirlo gli archeologi». «Una cosa che ci ha stupito_ prosegue Rubino_ è la posizione in cui abbiamo trovato gli scheletri: non erano supini ma rannicchiati in pozzetti posti sotto le statue dei giganti. Suppongo che se quei corpi fossero di personalità importanti avrebbero meritato una sepoltura adeguata al loro stato sociale. Ma, ripeto, il mio è solo un interrogativo al quale altri dovranno dare una risposta. Quel che posso dire uno degli ultimi scheletri ritrovati (lo ha notato Vittorio Mazzarello, paleontologo del nostro gruppo di ricerca) aveva un ispessimento del cranio. Quale patologia lo ha provocato? Lo scopriremo presto. Ma scopriremo anche il grado di parentela esistente o meno tra le persone dei quali abbiamo trovato gli scheletri. E poi l’alimentazione, la statura etc.». Il gruppo di Rubino ha raccolto una gran quantità di materiale che sta già esaminando: intanto il terreno che circonda le tombe che presenta molto Dna di origine bovina, di cereali, di piante e micobatteri. Altro ritrovamento interessante è quello di parassiti del genere schistosoma (già trovati nelle tombe egizie). E quello di zanzare anofele che potrebbe autorizzare l’ipotesi che a quelle popolazioni non fosse sconosciuta la malaria. Un reperto al quale viene associata una grande importanza è un vasetto il cui interno è stato ripulito con una sorta di “spugnetta”, un filtro molecolare già usato nelle indagini della Polizia scientifica. «Quella spugnetta è in grado di trattenere ogni molecola di quel contenuto– dice lo scienziato sassarese– Vasetti come quello trovato a Mont’e Prama li abbiamo già visti tra i reperti scoperti nel nuraghe di Palmavera e ci hanno dato preziosissime informazioni sulla vita di quei nuragici. Con le nuove e raffinatissime metodologie della bioarcheologia contiamo di avere la chiave giusta per penetrare nei segreti del la vita dei Giganti».
 

 
L’UNIONE SARDA
L’UNIONE SARDA di giovedì 22 gennaio 2015 / Cronaca Regionale (Pagina 7 - Edizione CA)
I LINCEI ONORANO I GIGANTI
La Barracciu: «Sono un simbolo più dei Quattro mori»
ROMA. Gli studiosi sardi presentano all’Accademia il fenomeno Mont’e Prama
INVIATO Roberto Cossu
 
ROMA. Nella loro marcia trionfale i Giganti travolgono anche il governo. O almeno Francesca Barracciu. E nella mischia rischiano di ruzzolare persino i gloriosi e già contusi Quattro mori. A Roma, in un luogo d’eccellenza della cultura nazionale, l’Accademia dei Lincei, dove tutto è maestoso e ovattato, il sottosegretario alla Cultura lancia un petardo: «Le statue di Mont’e Prama sono ormai il nostro simbolo, più ancora dei Quattro mori». E allora - questo il senso - perché non fare la sostituzione pure nella bandiera? Via quelli, che sono un po’ stanchi, dentro gli altri, che fanno anche botteghino ai musei. Sul momento sembra una cosa così, tanto per spiegare l’eccezionalità del fenomeno. Ma poi il viceministro insiste cocciutamente: «Lo so, lo so», quante «me ne diranno, e spero che non ci siano giornalisti sardi in sala, altrimenti domani...». Il popolo potrebbe divorarla. I giornalisti ci sono, e c’è anche il sospetto che la Barracciu lo sappia. Tant’è che poi davanti alle telecamere concede di mostrare un “disegno” sullo smartphone: la faccia del Gigante moltiplicata per quattro al posto dei tizi bendati. Neanche male, forse una birichinata, ma cosa dirà la Storia?
Agli esperti, ai docenti, agli studenti che affollano la sala del palazzo Corsini probabilmente la questione collaterale interessa poco. Magari ascoltano con più attenzione l’idea ripescata (eh sì, la Barracciu oggi è vulcanica) di trasferire una statua al Quirinale. Un po’ di mormorio, non sarà una sorta di parodia nel mezzo della già arruffata corsa al Colle? No. «Si può organizzare un’ospitalità temporanea, aiuterebbe a valorizzare il ritrovamento dei nostri amati Giganti». Che «sono rimasti per troppo tempo nell’ombra». Anche «la classe politica deve espiare la colpa di averli trascurati». E l’Accademia dei Lincei «ci può sostenere».
 RICORDO DI LILLIU Per ora l’Accademia cerca di capire sul piano scientifico. Collegandosi idealmente a un suo membro, Giovanni Lilliu, e ascoltando con attenzione le novità sugli scavi. La meraviglia per le notizie e le immagini che scorrono sullo schermo si incrociano con le perplessità sul gioco delle interpretazioni storiche, tra le pareti ricamate, gli ampi tendaggi, le decorazioni barocche del soffitto, il legno scricchiolante del pavimento, le sedie scure e severe. A lato del tavolo dove Michel Gras dirige l’incontro, passa in una sola giornata l’intero team dell’operazione Mont’e Prama. E poiché il momento è solenne, un ulteriore riconoscimento alle intelligenze e agli sforzi di casa nostra, anche l’emozione è palpabile. Del resto, e lo ripetono tutti, «si parla della Sardegna, ma anche del Mediterraneo, del mondo». Con un’antica cronaca che può essere riscritta.
L’APPELLO DI TORELLI Forse il vero padrone di casa è Mario Torelli, altro membro dell’Accademia, che ha insegnato per sette anni nell’Isola e ha voluto l’incontro al quale altre voci avrebbero voluto partecipare. Proteste su Facebook (forse «la prima volta» che il social viene nominato in questo luogo), ma «qui si vuole fare il punto della campagna di scavi organizzata dall’ateneo di Sassari» e nient’altro. Insomma, no alle polemiche di bottega. E anche Torelli lancia un appello: «Per favore, non separate queste statue. Appena prima di andare via dalla Sardegna ho visto le prime distese dei frammenti. Vorrei rivedere quelle sculture tutte insieme, non separate. E nel loro ambiente». È «una raccomandazione» accorata a tutti e a Francesca Barracciu. Sembra che si viaggi in direzione opposta, ma non è certo un’opinione trascurabile.
 LE SCOPERTE Poi si compone un affascinante mosaico: Raimondo Zucca spiega la strategia dello scavo, Pier Giorgio Spanu ridisegna i remoti paesaggi attorno a Mont’e Prama, Gaetano Ranieri fa vedere il sottosuolo dell’area e dà una notizia: nelle ultime settimane, con le tecnologie più sofisticate, si sono intraviste le ombre di quelle che potrebbero essere tre capanne nuragiche. Alessandro Usai ed Emina Usai entrano nel “titolo” della giornata, “I riti della morte e del culto”. Salvatore Rubino indaga col pennello della microbiologia e Paolo Bernardini e ancora Zucca raccontano l’ipotesi di Heroon: Mont’e Prama luogo di culto degli eroi. Lo “statuto eroico”, per dirla con lo stesso Torelli.
LA CRONOLOGIA L’Accademia e gli studiosi - c’è anche Alessandro Bedini, che avviò le ricerche nel 1975 - chiedono e precisano. Non fanno sconti. Sulla cronologia, innanzitutto. I frammenti sono dell’Età del ferro, ma gli scheletri sono sicuramente più antichi: come si spiega? Qual è il nesso fra le tombe e le statue, posto che nulla conferma (neppure un’impronta) che i Giganti siano stati poggiati sulle lastre? Perché sono stati trovati solo scheletri di maschi, con un’unica eccezione? E cosa ci dirà l’analisi delle ceramiche? Un dibattito già aperto, più dubbi che certezze. Resta una suggestione di Alessandro Usai: «Fragilità, instabilità, dinamismo, competenze, capacità di adattamento e reazione, creatività. Queste le condizioni in cui maturò il fenomeno Mont’e Prama». Un grande passato per i futuri (e ora pericolanti) Quattro mori.
 

 

 
 

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