Siglato un accordo per collaborazioni in Campania, Toscana e Piemonte. La PA potrebbe però fare anche altre scelte, spesso risparmiando cifre enormi e senza fare ricorso a capacità esterne
14 May 2007

Siglato un accordo per collaborazioni in Campania, Toscana e Piemonte. La PA potrebbe però fare anche altre scelte, spesso risparmiando cifre enormi e senza fare ricorso a capacità esterne
 
Cagliari, 14 maggio 2007 (unicaweb) - I ministri Fabio Mussi per Università e ricerca e Luigi Nicolais per Riforme e innovazione della pubblica amministrazione, la scorsa settimana hanno siglato un accordo di collaborazione con Microsoft Italia - rappresentata dall’amministratore delegato Marco Comastri - per la “diffusione di tecnologie e competenze informatiche” in Campania, Toscana e Piemonte. Questo protocollo di intesa dovrebbe “supportare l’innovazione e la competitività delle imprese” e prevede collaborazioni per attività formative, trasferimenti tecnologici e progetti di ricerca da effettuare da tre Centri per l’innovazione. Per la costituzione dei Centri si conta ora sul sostegno delle tre Regioni, di altri Enti locali e delle Università dei territori interessati, con cui da tempo sarebbero “già in corso contatti”. 
 
MicrosoftDi suo, diciamolo, il fatto pubblicizzato su Miur.it non appare come una grande notizia. Siamo perfettamente abituati ad avvisi del genere. Nello specifico poi non riguarda che alcune regioni e, del resto, succede più o meno dappertutto: le collaborazioni con i giganti del software e dell’hardware sono sempre all’ordine del giorno. Nel caso particolare gli sviluppi promessi (non potrebbe essere altrimenti) riguardano esclusivamente attività basate su tecnologie Microsoft. Eppure, a detta di esperti e fautori dell’Open Source, la scelta non è obbligata. Sono molti i milioni di euro che ogni anno lo Stato Italiano spende per le sole licenze d’uso Microsoft, cioè per utilizzare programmi proprietari spesso facilmente sostituibili con applicativi del tutto omologhi. La PA, questo è il punto, potrebbe benissimo optare per software gratuito, risparmiare delle cifre enormi e investire una parte della differenza per i necessari sviluppi. Tutto ciò senza nemmeno fare sempre ricorso a capacità esterne, gli atenei sono pieni di ricercatori ed informatici di talento ed esperienza. Probabilmente, siamo alle solite, sarebbe sufficiente saper amministrare bene le risorse già disponibili. 
 
Tra i pareri contrari all’operazione spicca quello del presidente della commissione Cultura della Camera - on. Pietro Folena - che ha criticato la scelta di puntare su Microsoft mentre la maggioranza del mondo accademico è orientata all’Open Source. Altre critiche si levano con interventi nei siti di discussioni on line e non mancano articolate proposte alternative. L’Associazione per il software libero, Tuxad esempio, si impegnerebbe per cinque anni a mettere a disposizione del Governo attività formative, materiale didattico, soluzioni tecnologiche e software, direttamente o tramite aziende italiane nell’ambito del software libero. L’offerta avrebbe un valore complessivo di circa dieci milioni di euro all’anno, ricadute sull’occupazione e molteplici altri aspetti positivi. D’altra parte è invece Microsoft che accusa proprio gli ambienti "FOSS" (free and open source software), compreso Linux, per circa 235 violazioni ai brevetti della società fondata da Bill Gates.

E’ vero, come afferma il comunicato ministeriale, ne sono tutti convinti, che “la collaborazione fra pubblico e privato è una condizione fondamentale per garantire lo sviluppo tecnologico del Paese”. Quello che invece non convince tutti in questo settore è proprio il presunto gap e la dipendenza italiana dalla ricerca privata straniera. In generale, quindi non solo per il modello espansionistico dei “Microsoft innovation center” (110 centri già esistenti in 60 diversi Paesi, una fortissima penetrazione a livello planetario), siamo sicuri, se pure fosse così, che non si può fare nulla e non ci sono altre strade percorribili?
 
Siamo sicuri, insomma, di interpretare al meglio il tanto sbandierato concetto di “trasferimento tecnologico”? 
   
 


   
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