Press review

30 October 2017

L'Unione Sarda

1 - L’UNIONE SARDA di lunedì 30 ottobre 2017 / Cronaca Regionale (Pagina 8 - Edizione CA)
Marco Buttu, ingegnere elettronico, in partenza verso la Concordia Station
Da Gavoi ai confini del mondo
Un anno al gelo in Antartide

E dire che fino a due mesi fa non aveva neppure mai sentito parlare della Concordia Station , luogo fantastico ai confini del pianeta. Ma quando si dice il caso: un giorno d'estate un collega nella sala di controllo del Sardinia Radio Telescope, a San Basilio, gli gira una mail: ricerca candidati winter-over Dome C . Volevano persone disponibili a passare l'inverno (ed è un eufemismo, le temperature scendono a meno 80 gradi) nella base in Antartide dove, tra l'altro, si studia l'ambiente extraterrestre per preparare spedizioni su Marte. «Ho mandato il curriculum, mai avrei pensato che mi prendessero», racconta Marco Buttu, 39 anni, mentre si prepara a partire per la straordinaria missione che inizierà il 18 novembre e terminerà a dicembre 2018.
Si presenti.
«Ho 39 anni, sono nato a Nuoro e cresciuto a Gavoi, dove ho fatto le scuole. A Cagliari mi sono laureato in Ingegneria elettronica. Babbo da ragazzino ha fatto il pastore, fino a quando è entrato come operaio alla Enichem di Ottana, mamma era dipendente postale. Mia moglie vive e lavora a Ollolai, ci vediamo nei fine settimana».
Prime esperienze?
«Manovale, a 15 anni, per pagarmi una colonia estiva a Londra. Un'esperienza che mi ha fatto riflettere: da quel momento mi sono dedicato seriamente allo studio. La seconda, quando un mio professore mi ha proposto un progetto internazionale, tra Università di Cagliari, Bologna, Stanford e Losanna. Un sogno. Dopo la laurea sono stato sei mesi a Losanna, al Politecnico federale. Dal 2008 lavoro all'Istituto Nazionale di Astrofisica, nella sede dell'Osservatorio Astronomico di Cagliari».
Di cosa si occupa?
«Scrivo il codice software che controlla il Sardinia Radio Telescope e i suoi dispositivi, dalle parti meccaniche ai ricevitori».
Dunque, com'è che partecipa a questa missione?
«Era un venerdì di metà agosto, e chiacchierando con i colleghi abbiamo finito per parlare di Antartide. Uno di loro mi dice sai che ho ricevuto una mail proprio sull'Antartide? , e me la manda. È iniziato così, ho avuto la fortuna di essere nel posto giusto, nel momento giusto, con le persone giuste».
Ci racconti cosa farà.
«La missione durerà circa un anno, in uno dei posti più freddi del pianeta, dove non c'è nessuna forma di vita. La Concordia è il luogo più isolato in assoluto, anche più della Stazione spaziale internazionale. Quando arriverò laggiù sarà estate e nella base ci saranno una cinquantina di persone. Poi a febbraio rimarremo in tredici, sette italiani, cinque francesi e un'austriaca, fisicamente irraggiungibili per nove mesi, e per quattro mesi completamente al buio».
Gli obiettivi?
«La ricerca scientifica in vari ambiti, astronomia, glaciologia, geodesia, fisica dell'atmosfera e biologia umana. Io mi occuperò dell'osservatorio astronomico, dove è installato un grande telescopio a infrarossi, e di sviluppare e manutenere il software di controllo del telescopio. Mi sono stati assegnati anche compiti tecnici e se servirà dovrò effettuare misure di eventi sismici e del campo magnetico terrestre».
Chi sta a capo della base e del progetto?
«Una macchina enorme che coinvolge due Stati e diversi enti. Dal lato italiano c'è il Pnra (Programma nazionale di ricerche in Antartide), l'Enea (Agenzia per le nuove tecnologie l'energia e lo sviluppo economico sostenibile), e il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) che coordina i progetti scientifici in campo. Dal lato francese l'Ipev (Institut Polaire Paul-Emile Victor). Concordia è un posto unico anche per questa cooperazione tra Italia e Francia, nessun'altra stazione in Antartide è gestita da più Paesi».
Cosa fa nel tempo libero?
«Ho scritto una guida all'utilizzo di un particolare linguaggio di programmazione, che si chiama Python, e organizzo conferenze sul tema. Ma soprattutto pratico yoga, sei giorni alla settimana, almeno un'ora al giorno. Adoro il mare, faccio kitesurf, paracadutismo, trekking, e mi piace la fotografia».
Una persona che la ispira, che ammira?
«Il mio amico Niccolò Porcella, un campione che partecipa a diverse competizioni internazionali, dalla tuta alare al surf. Lo ammiro per la sua semplicità, perché inizia la giornata ringraziando l'Universo per cose che per i più sono scontate, come camminare, mangiare, stare con i propri cari».
Qual è il suo stato d'animo?
«Sono felice, curioso e grato. Sarà un'avventura unica, anche di introspezione, tra scienza e spiritualità e, dato che sarò con tecnici altamente qualificati, una grande occasione per imparare. Dall'elettronica alla glaciologia, dalla medicina alla meccanica, dalla fisica dell'atmosfera all'idraulica, dalle lingue alla cucina».
Cristina Cossu

 

2 - L’UNIONE SARDA di lunedì 30 ottobre 2017 / Cronaca di Cagliari (Pagina 12 - Edizione CA)
Lavoravano in giro per il mondo ma poi hanno preferito la Sardegna
GLI EMIGRATI DI RITORNO
Hanno lasciato la carriera: i perché di una scelta

Il manager che abbandona un'avviata carriera, la ricercatrice universitaria che lascia un prestigioso ateneo. E ancora il pittore e animatore culturale, il musicista jazz, l'educatore. Chi ha detto che andare via dalla Sardegna è un viaggio senza biglietto di ritorno? Lasciare Cagliari si può. Ma si può decidere di tornare.
LA RICERCATRICE Barbara Barbieri, docente di Psicologia delle risorse umane, dopo aver girovagato tra Roma, Lancaster e Milano, ha lasciato la Sapienza per tornare a casa: si è laureata a Roma, ha seguito il suo maestro all'università del Sacro Cuore e, dopo una parentesi a Cagliari con un assegno di ricerca, è rimasta alla Sapienza sino al 2016. «Una scelta fatta per tante ragioni: i miei tre figli maschi stavano crescendo a Cagliari. Sono rimasta vicino a loro. Ma non è solo questo il motivo: dopo tanti anni trascorsi in diverse università, ho deciso di portare nella mia terra le cose che avevo imparato. Non è stato facile andare via da un ateneo prestigioso ma trovo stimolante affrontare la sfida di lavorare in una sede periferica».
IL MANAGER Giuseppe Bellu, anni da manager in una multinazionale come Bata, è tornato in Sardegna: in via Garibaldi ha aperto un negozio di abbigliamento innovativo. «Ho lasciato l'Isola a 25 anni per lavorare in Liguria. Sarei dovuto restare lì un tempo limitato. Poi la mia carriera è decollata e sono rimasto lontano dall'Isola. Ogni volta che pensavo alla mia terra sentivo quasi un male fisico. E, alla fine, ho deciso di lasciare tutto e di tornare». Per aprire un negozio. «Non un negozio qualunque: mi piaceva l'idea di passare dai centri commerciali, non-luoghi dove operano le multinazionali, a un centro storico. E volevo creare un posto che fosse inserito nel contesto di una meravigliosa architettura urbana».
L'ARTISTA Marco Marini ha lasciato l'Isola nel 2000. «Io ero sfruttato in un call center, il mio compagno di allora era senza lavoro. Mio fratello stava a Bologna e mi ha proposto di lavorare in un'azienda che si occupa di bombole d'ossigeno. Poi, sono andato in un'agenzia di marketing e nella vineria Zampa. Alla fine, ho preso un bar. E, nel frattempo, ho creato, con un amico, “65 pollici”, un gruppo che, collaborando con i centri sociali, creava mostre, allestimenti. Ho deciso di tornare dopo la fine burrascosa di un rapporto. E sono rientrato perché a Cagliari ho visto un rinascimento culturale e artistico interessante. Ne volevo far parte: sono anche riuscito, in via San Domenico, ad avere uno spazio che ospita chi è fuori dai circuiti». Tutto bene, dunque? «Non tutto. L'ambiente gay è troppo provinciale: difficile instaurare rapporti umani in un luogo in cui l'aspetto fisico, il look e l'età fanno la differenza».
L'EDUCATORE Stefano Pinna si appresta a lavorare da Amazon. Il primo lavoro stabile dopo il suo rientro da Edimburgo. «Sono andato lì a studiare inglese e mi sono ritrovato tutti i lavori tipici di chi vive certe esperienze. Sono finito da Sheraton e le cose andavano bene. Nel frattempo ho iniziato come volontario in una comunità meravigliosa. Dopo due settimane sono stato assunto e lì sono rimasto per sei anni. Bellissimo. Ma solo quando si sta fuori si capisce quello che si perde. La luce, il tempo: qui sono un'altra cosa».
IL MUSICISTA Carlo Depau, dipendente di Nova tv e chitarrista jazz, è partito da Madrid. «Dove, da studente, ho conosciuto una ragazza colombiana che sarebbe diventata poi mia moglie. Al rientro in Sardegna, viste le difficoltà lavorative, ho scelto di andare a Bogotà con mia moglie. Dopo due anni siamo tornati perché è meglio crescere un figlio qui: lì la sanità e l'educazione sono privatizzate. Mi chiedo se fosse necessario andare in Colombia per apprezzare quello che abbiamo qui».
L'ATTIVISTA Mauro Aresu ha vissuto per otto anni a Torino, dove tra studi universitari e lavori in nero, è stato uno degli animatori del centro sociale Askatasuna. «Sono tornato quasi da un giorno all'altro. Lì avevamo creato una serie di circoli anticolonialisti. Ma sono arrivato alla conclusione che certe battaglie vanno fatte nell'Isola. Ora mi occupo dell'infoshop Sa Bardana che ha una libreria specializzata nel campo della critica sociale e politica, antagonista e anticapitalista, nonché delle sottoculture giovanili e underground».
Marcello Cocco

 

3 - L’UNIONE SARDA di lunedì 30 ottobre 2017 / TV e Radio (Pagina 63 - Edizione CA)
Stasera alle 21 “Storie di emigrati”
PROF DI GERMANIA

Stasera alle 21 su Videolina una nuova puntata di “Fuori Sede - Storie di emigrati”, il programma a cura di Virginia Saba dedicato alle storie dei sardi che sono emigrati lontano dalla Sardegna. Oggi la storia di Nicola Meloni, che vive in Germania, professore all'università di Francoforte. Partito quando era ancora un ragazzo, ha lasciato nella sua Terra la cosa che aveva di più caro: il mare, e quel senso di infinito che mai lo ha abbandonato. Vive in Germania da 38 anni. «Qui ho creato una famiglia e costruito il mio futuro».

 

La Nuova Sardegna

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4 - LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 30 ottobre 2017 / Sardegna - Pagina 4
Missione britannica per Pigliaru
L’isola ospite d’onore del Salone del cibo italiano: presenti 27 aziende sarde

? CAGLIARI Missione britannica per Pigliaru. Da oggi il presidente della Regione, insieme all’assessore alla Industria, Maria Grazia Piras, sarà a Londra per accompagnare le imprese isolane che presenteranno al Real Italian Wine and Food le specialità dell’agroalimentare sardo. L’importante rassegna organizzata dall’Ice riserva infatti alla Sardegna, in questa edizione, lo spazio dell’ospite principale. Oltre alla missione delle imprese sarde, l’agenda londinese di Francesco Pigliaru, che si tratterrà nella capitale britannica alcuni giorni, prevede alcuni appuntamenti istituzionali.
Il presidente della Regione incontrerà infatti, nella sede diplomatica, l’ambasciatore italiano a Londra Pasquale Terracciano e all’Istituto italiano di Cultura inaugurerà la mostra “I Quaderni del carcere di Antonio Gramsci”. La mostra ospita gli originali dei 33 Quaderni, esposti per la prima volta nel Regno Unito.
Agroalimentare. Le aziende sarde, selezionate dall'assessorato dell'Industria, sono 27 e coprono le filiere produttive, dai vini ai formaggi, dai salumi alla pasta, dalla birra artigianale ai prodotti dolciari e da forno. Il programma delle due giornate è particolarmente intenso. Oggi ci sarà una dimostrazione di cucina con chef e ristoratori di Londra al prestigioso Westminster Kingsway College, evento al quale parteciperanno anche gli allievi del College e alcuni giornalisti di riviste specializzate. A seguire,
nel corso di un incontro con esperti dell’Ice, importatori e distributori locali, verrà illustrato alle aziende sarde il mercato britannico, come è organizzato e come organizzarsi al meglio per affrontarlo. Domani, all’interno del salone, nella Church House di Westminster, sono programmati masterclass, incontri, degustazioni di prodotti e workshop informativi.
Export. Le missioni sono inserite all’interno del Programma per l’internazionalizzazione varato dalla giunta su elaborazione dell’assessorato alla Industria per favorire l’export delle imprese sarde e attrarre nell’isola nuovi investitori stranieri. Qualche giorno fa si è conclusa positivamente la missione a Los Angeles delle start up e delle imprese innovative sarde che hanno risposto al bando pubblicato ad agosto. Le aziende sono state promosse e presentate a un pubblico selezionato di investitori e si sono avvalse dell’esperienza di un gruppo di professionisti a loro dedicati. Negli Usa erano presenti 15 imprese rappresentanti di filiere strategiche. Intanto si stanno definendo gli ultimi dettagli della partecipazione della delegazione sarda all’Italian Innovation Day che si svolgerà a fine novembre a Singapore. Oltre alla Regione, saranno presenti le Università di Cagliari e Sassari, il CRS4, Sardegna Ricerche e 11 imprese isolane specializzate in servizi altamente innovativi.

 

5 - LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 30 ottobre 2017 / Cultura e spettacoli - Pagina 25
Tutte le contraddizioni della scelta eolica
FESTA DEL CINEMA “Strollica” a Roma
Mercoledì la proiezione del cortometraggio di Peter Marcias
Una bambina difende il suo parco giochi dalle grandi torri

Lo sceneggiatore Gianni Loy: «Un tema tanto difficile da risultare adatto a un pubblico di bambini, perché usano l’istinto senza ragionamenti troppo complicati»
Mercoledì alla Festa del Cinema di Roma verrà presentato in anteprima mondiale nella sezione Alice nella città (all'interno della selezione Panorama Italia) il nuovo lavoro d'animazione di Peter Marcias: “Strollica”. Prodotto da Capetown Film per la Fondazione Sardegna Film Commission nell'ambito del progetto Heroes 20.20.20, il cortometraggio racconta di una bambina che scopre nel suo parco preferito si sta per impiantare una stazione di torri eoliche. Preoccupata perché gli uccelli non cantano e il paesaggio è deturpato, si reca all’alba con l’idea di abbattere la torre. La torre si lamenta e la invita a visitare il suo interno e spiega i vantaggi delle energie rinnovabili. La bambina comprende, ma insiste sui danni al suo ambiente. Si arriverà a un accordo e le torri si sposteranno in un altro sito. A firmare il soggetto è Gianni Loy, più volte sceneggiatore per Peter Marcias. «La collaborazione è iniziata anni fa quando mi chiese una sceneggiatura per un corto in materia di sicurezza sul lavoro – spiega Loy, già docente di diritto del lavoro all’università di Cagliari – Venne fuori “Il canto delle cicale”, un lavoro al quale rimango particolarmente affezionato. Immagino anche Peter lo sia. Sono poi arrivati altri corti e in seguito con “Dimmi che destino avrò” anche i lungometraggi. Insomma, un bel sodalizio che, per quanto mi riguarda, è risultato più che positivo e spero possa continuare». Da che idea parte “Strollica”? «Evoca le contraddizioni della scelta eolica. Risparmio energetico, per un verso, ma possibile deturpazione dell’ambiente dall’altro. Nel mezzo: sospetti di corruzione, criminalità organizzata... Un tema complicato e difficile. Tanto complicato e difficile da risultare adatto proprio a un pubblico di bambini». Come ha sviluppato quindi il discorso sull'energia rinnovabile? «Il messaggio è quello dell’equilibrio. Non possiamo rinunciare ai vantaggi offerti dalla nuove tecnologie ma vogliamo credere che esista una modalità di utilizzo ragionevole, cioè che sia possibile una compatibilità etica ed estetica». Che personaggio è la giovanissima protagonista? «Una bambina che risponde con l’istinto, senza bisogno di ricorrere a complicati ragionamento. Per la verità, il ragionamento della protagonista è implicito, la scelta istintiva risponde a un principio logico che i bambini, spesso, sanno sviluppare meglio di noi». Quali differenze ci sono nel lavorare a una sceneggiatura per un progetto animato come questo rispetto a un film con attori in carne e ossa? «Passare dalla scrittura convenzionale, dalla costruzione di una storia animata da persone fisiche a quella dell’animazione, è stato emozionante. La storia convenzionale ti impone limiti.  I limiti delle leggi della fisica, dalla presenza di persone e cose che possiedono una loro conformazione. In questa prima esperienza, sono rimasto affascinato proprio dalla mancanza di limiti. Cioè dalla possibilità di poter far muovere o parlare un oggetto, di poter decidere, ad esempio, che una torre eolica cammini o possa parlare. La libertà di immaginazione, all’improvviso, diventa illimitata: puoi scrivere ciò che vuoi, puoi volare. Ma è proprio quella libertà a limitarti. La devi governare. Puoi abbandonarti al fantastico ma con misura, per non scivolare nello sconclusionato, nel banale. Anche quando fai muovere una montagna o fai parlare un albero, dovrai renderlo credibile. Scrivere per l’animazione, in definitiva, è più difficile ma può risultare più entusiasmante». Che tipo di lavoro ha fatto, nello specifico, in un corto come questo dove mancano anche i dialoghi? «L’eliminazione dei dialoghi è stata una scelta di regia. Nella sceneggiatura originale erano presenti. Ma, come è noto, è il regista a interpretare la sceneggiatura e dire l’ultima parola. Ed è giusto così. In questo caso, ho molto apprezzato il minimalismo e la semplicità. Eliminando i dialoghi, ha finito per sintetizzare la complessità del tema, lo ha riportato all’essenza in un piccolo, delizioso, affresco che peraltro, a mio avviso, risulta di grande impatto estetico. Il messaggio è per tutti, ciascuno potrà interpretarlo a seconda dei propri strumenti di lettura».

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