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ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
17 January 2017
ufficio stampa e redazione web
RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI

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L’UNIONE SARDA

 
1 - L’UNIONE SARDA di martedì 17 gennaio 2017 / Economia (Pagina 11 - Edizione CA)
Equipe coordinata da Antonio Pusceddu, docente del dipartimento di Scienze della vita
Clima, scienziati sardi tra i ghiacci dell'Antartide
È coinvolto anche un gruppo di ricercatori dell'Università di Cagliari in un progetto condotto nell'ambito del Progetto nazionale di ricerche in Antartide (Pnra), avviato recentemente nel Mare di Ross, nell'oceano Antartico. L'iniziativa, avviata in queste settimane, è stata promossa con il principale obiettivo di analizzare e studiare gli effetti e l'impatto che i cambiamenti climatici hanno sugli ecosistemi antartici profondi. Il progetto è denominato "Bedrose", Benthic biodiversity and ecosystem functioning of the deep ross sea in a changing southern ocean.
L'équipe cagliaritana, coordinata da Antonio Pusceddu, docente del dipartimento di Scienze della vita e dell'ambiente dell'ateneo di Cagliari, si sta occupando, nello specifico, di esaminare non solo la quantità ma anche la composizione biochimica della materia organica presente e depositata sul fondo dell'Oceano. Lo studio - a cui stanno prendendo parte anche dei ricercatori dell'Università Politecnica delle Marche, dell'Università di Genova, dell'Istituto di Scienze Marine del Cnr e dell'Istituto nazionale italiano per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) - è stato promosso dopo quasi 20 anni dalle prime indagini che erano state organizzate tra il 1994 il 1995, nel corso della XX Spedizione italiana in Antartide.
La ricerca è dunque finalizzata a uno studio dettagliato e approfondito delle condizioni del clima anche perché, come è chiarito in una nota dell'Università di Cagliari, «il generale riscaldamento degli oceani, infatti, modificando le correnti marine, può determinare importanti cambiamenti nella quantità e nel valore nutrizionale della pioggia di particelle organiche che rifornisce i fondali. Le profondità dell'Oceano Antartico, che copre il 30% della superficie dell'oceano globale, sono teatro di meccanismi fisico-chimici che regolano il clima globale. Pertanto, lo studio di questa porzione remota degli oceani assume particolare rilevanza».
L'unità di ricerca di Unica, della quale è responsabile il docente del dipartimento di Scienze della vita e dell'ambiente, è dunque impegnata nelle operazioni di rilevamento e di analisi della quantità e della composizione biochimiche della materia organica depositata al fondo, con l'intento di poter individuare dei segnali di cambiamento che possano essere messi in relazione con il riscaldamento globale. I dettagli della campagna oceanografica a bordo della Nave Italica, così come la posizione e le attività di ricerca, sono disponibili e consultabili online all'indirizzo web http://sysnav.bologna.enea.it/MAH/Map_all.action.
Eleonora Bullegas
 
 

2 - L’UNIONE SARDA di martedì 17 gennaio 2017 / Primo Piano (Pagina 2 - Edizione CA)
La sociologa Anna Oppo legge un fenomeno cominciato negli anni Settanta
Lavoro precario e nozze in calo
Ecco perché le culle restano vuote
A vent'anni, mettere al mondo un figlio è un'idea che non esiste. L'università, le esperienze professionali, o semplicemente la voglia di vivere finalmente da “adulti” la giovinezza, rappresentano un freno. A 30 anni, l'intralcio è il lavoro: quando c'è, infatti, spesso è precario e non dà garanzie per il futuro. A 40 anni, invece, il problema è l'orologio biologico. Se poi ci mettiamo la crisi economica, le difficoltà di strutturare relazioni stabili, l'impossibilità di conciliare le esigenze della famiglia con quelle del lavoro, e ancora, la mancanza dei servizi all'infanzia, la pillola anticoncezionale, stra-usata, ecco come si può spiegare, in estrema sintesi, perché la Sardegna registra uno dei più bassi indici di natalità in Italia. Quando va bene, le donne decidono di mettere al mondo un figlio, uno solo, due o tre sono ormai un'utopia.
LA TENDENZA Eppure, solo 60 anni fa in Sardegna la media dei figli per ogni donna era di 4. Nel 2015, invece, l'Istat ha calcolato che il tasso di fecondità nell'Isola, cioè il numero medio di figli per ogni donna, è di 1,07 (media nazionale 1,37), i nuovi nati sono stati circa 11mila. Intendiamoci, il crollo delle nascite è un fenomeno che riguarda tutte le regioni italiane. In Sardegna, però, le cose vanno peggio. E, in modo assolutamente democratico, questo fenomeno «colpisce indistintamente tutte le classi sociali», dalle più povere e culturalmente poco attrezzate fino a quelle più ricche e istruite, spiega Anna Oppo, per tanti anni docente di Sociologia all'università di Cagliari e autrice di apprezzati studi sul tema.
 LA SVOLTA Il problema in Sardegna ha radici lontane e si manifesta «in maniera brusca alla fine degli anni Settanta quando sono cominciati a diminuire i matrimoni», spiega Anna Oppo. «La fecondità in Sardegna è sempre stata legittima, quella “illegittimità” rappresenta storicamente un aspetto minoritario, quindi matrimonio e fecondità erano assolutamente legate. A quell'epoca, la spiegazione che veniva data era legata all'aumento dell'occupazione femminile», dice ancora Anna Oppo, nel senso che nel momento in cui c'erano più donne che lavoravano, erano meno quelle che decidevano di impegnarsi con un figlio. «Oggi, invece, è l'incapacità di poter programmare una vita di famiglia, con dei figli, che porta alla rinuncia alla maternità», aggiunge. E questa impossibilità è data dalla mancanza di lavoro, e quindi di un reddito. «Chi ha un lavoro sicuro fa figli, chi non ce l'ha ne fa solo uno, se va bene», spiega ancora.
 TEMPI LUNGHI Ci sono, poi, altri fattori che pesano in maniera significativa. Innanzitutto, «la formazione della coppia, oggi un processo lunghissimo segnato da continue negoziazioni», dice l'esperta, legato anche alle difficoltà che i giovani incontrano per ottenere l'indipendenza economica e che costringono a rimandare il progetto di fare figli. «Non è questo l'aspetto fondamentale, però incide eccome, perché allungando i tempi poi interviene il limite biologico e questo contribuisce a spiegare perché la Sardegna è la regione in cui le donne partoriscono più tardi». Altri fattori, «che però non vanno letti come cause», precisa Anna Oppo, sono «la cultura della soggettività, che oggi porta molte donne a pensare a sé e a non voler scommettere sul futuro, cioè sui figli», e l'utilizzo della pillola anticoncezionale (la Sardegna è la prima regione in Italia per consumo). «Anche questo può incidere, nel senso che con la pillola la donna ha scoperto come controllare in prima persona la propria fecondità, indipendentemente dal maschio». E infine ci sono loro, i maschi. «In qualche misura possono avere una responsabilità, nel senso che un uomo disposto ad accogliere la fecondità della propria donna è un uomo incoraggiante. Quando, invece, non è disponibile diventa un grosso problema».
Mauro Madeddu
 
 

3 - L’UNIONE SARDA di martedì 17 gennaio 2017 / Primo Piano (Pagina 2 - Edizione CA)
Corsa all'omologa, 2000 tentativi l'anno. Arru: per l'eterologa servono risorse
Figli sempre più tardi, è boom della fecondazione assistita
Claudia e Giancarlo ci hanno provato per un sacco di tempo ad avere un bambino. Trentasei anni lei, 40 lui, pensavano che non era destino. Alla fine, dopo molta sofferenza, su consiglio della ginecologa, hanno iniziato il percorso della procreazione assistita, e il miracolo è avvenuto. Sono stati fortunati, Claudia è rimasta incinta al primo tentativo. Di solito non succede, anzi, bisogna insistere.
I NUMERI Nel 2016 in Sardegna si registrano circa 2000 interventi nei tre centri autorizzati: il Microcitemico (con oltre 1200 casi), l'Aou di Cagliari (135) e quella di Sassari (650). Si parla esclusivamente di omologa, l'attesa media è fra i due e i tre mesi. L'eterologa è un capitolo a parte, nell'Isola non si fa, ma la svolta potrebbe avvenire a breve. «È stata prevista tra i nuovi Lea», spiega l'assessore alla Sanità Luigi Arru, «io ho la volontà di farla, ora si tratta di fare delle scelte con le risorse che abbiamo a disposizione».
 I PIONIERI «Da noi la Pma si fa dal 1992, siamo stati i primi in Sardegna», dice Giovanni Monni, direttore di Ginecologia e Ostetricia dell'ospedale microcitemico. «Ogni anno eseguiamo 800 Fivet e Icsi, più 400 inseminazioni intrauterine, più 300 rapporti mirati. Inoltre, facciamo circa 70 diagnosi genetiche preimpianto, che servono per evitare il ricorso all'aborto terapeutico quando ci sono malattie come la talassemia, la fibrosi cistica e la sindrome di down, le più frequenti. Le nostre pazienti hanno un'età alta, fino ai 38 la percentuale di riuscita si aggira intorno al 25/30 per cento, dopo scende drasticamente. Per chi invece va a fare l'eterologa l'età sale, fino a 50 anni, le sarde che “migrano” sono un centinaio l'anno, di solito in Spagna, dove le probabilità di successo sono alte - perché le donatrici possono essere remunerate (in Italia è vietato) e dunque ci sono ovociti freschi - e i costi non esorbitanti. Noi saremmo pronti a farla, a condizione che ci mettano a disposizione gli spazi».
L'AOU DI CAGLIARI Al Policlinico di Monserrato, la “fabbrica” dei bambini dell'Isola, dove lo scorso anno ci sono stati 1848 parti, sono state visitate in ambulatorio nel 2016 trecento donne, di queste, 135 hanno cominciato l'iter per la procreazione assistita. Attualmente il tempo d'attesa per il primo appuntamento (che si prende attraverso il Cup) è di tre mesi. «Moltissime sarde vanno fuori non solo a fare l'eterologa, ma anche l'omologa», dice Gian Benedetto Melis, direttore della clinica di ginecologia e ostetricia dell'Aou. «Qui su dieci pazienti sette non ottengono il risultato e allora provano da un'altra parte, spesso centri privati convenzionati». La Regione rimborsa, la spesa complessiva non si conosce - dagli uffici dell'assessorato dicono che non esiste il dato disaggregato delle prestazioni indirette - ma gli addetti ai lavori ipotizzano che si superino i 3 milioni di euro l'anno. «Se la Regione investisse nei tre centri esistenti potremmo coprire interamente le esigenze della popolazione e impedire la migrazione, e si risparmierebbe parecchio».
L'AOU DI SASSARI «Anche qui la lista d'attesa è di circa tre mesi, ma non è rigida, si dà la precedenza a chi ha un'età più avanzata e a chi si deve sottoporre ad altre cure particolari», sottolinea Salvatore Dessole, direttore della Clinica ostetrica e ginecologica dell'Azienda ospedaliera universitaria di Sassari. «Moltissime coppie vanno fuori, e per quanto riguarda l'eterologa siamo ancora in alto mare, o importiamo ovociti da altri Stati, oppure le donne continueranno ad andare all'estero. Nessuna corre rischi soltanto per “donare”, i centri italiani che la praticano acquistano soprattutto dalla Spagna».
 LA REGIONE Nei nuovi Lea - i livelli essenziali di assistenza - approvati dal ministero nei giorni scorsi, c'è anche la fecondazione eterologa. Una grande conquista, dopo lunghe battaglie, incursioni in una legge tormentata (la 40 del 2004) e infine una sentenza della Consulta - del 2014 - che ha dichiarato incostituzionali i provvedimenti che la impedivano. Da allora in alcune regioni hanno iniziato a praticarla, in Sardegna no. A settembre 2014, l'assessorato alla Sanità annunciò che nell'Isola il ticket sarebbe stato il più basso possibile, 400 euro, e che per partire si dovevano soltanto aspettare le linee guida del ministero. Ora sarà finalmente la volta buona? «Se avessimo il coraggio di fare delle scelte, di selezionare quello che è utile ed eliminare ciò che non lo è, potremmo liberare risorse e avviarla subito», sostiene l'assessore Arru. «Dobbiamo ragionare in base alle risorse in Finanziaria, procedere al delisting di prestazioni non utili. Ad esempio, abbiamo un numero di cesarei eccessivo rispetto alle indicazioni nazionali. In un contesto di restrizioni economiche è obbligatorio fare un ragionamento e portare avanti la riorganizzazione della rete e la specializzazione delle prestazioni».
 Cristina Cossu
 
 

4 - L’UNIONE SARDA di martedì 17 gennaio 2017 / Cultura (Pagina 38 - Edizione CA)
Saggistica
L'analisi di Luca Lecis sugli uomini e le svolte  del primo decennio dell'autonomia sarda
Già nell'introduzione il nuovo saggio di Luca Lecis mantiene quel che promette nel titolo. “Dalla ricostruzione al piano di rinascita - Politica e società in Sardegna nell'avvio della stagione autonomistica, 1949-1959” (Franco Angeli, 172 pagine, 23 euro) è un viaggio ricco di spunti e riflessioni per comprendere un decennio che, dall'alba dell'autonomia, conduce fino al consolidamento stesso dell'autonomia regionale, coinciso con la seconda legislatura avviata con le elezioni del 14 giugno 1953. Lecis, ricercatore in Storia contemporanea presso il Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio dell'Università di Cagliari, coniuga la solidità dell'analisi con l'esigenza didattica che il libro, nei suoi tre capitoli, esalta.
Primo tassello di una collana promossa dal Centro studi autonomistici “Paolo Dettori” per esaminare il primo cinquantennio di vita delle istituzioni autonomistiche (1949-1999), il volume mette a fuoco, come sottolinea nella prefazione Francesco Soddu, «il ruolo svolto dalla classe dirigente, con particolare attenzione al luogo istituzionale in cui le principali scelte si sono definite, il Consiglio regionale della Sardegna». Lecis traccia l'itinerario della sua trattazione fin dall'introduzione, ripercorrendo i primi vagiti della fase costituente, che aiutano il lettore a porre l'intera vicenda nella sua più giusta prospettiva. Dalla “fusione perfetta” del 1847 alla prima legislazione speciale per la Sardegna, dagli anni del primo dopo guerra al primo sardismo fino alla ripresa della vita democratica.
Il saggio di Lecis sembra prendere per mano il lettore e illuminarne il cammino di rilettura dei fatti e delle scelte fondanti della nostra storia democratica. Dalla ripresa del 1948 fino al rinnovamento politico interno della Democrazia cristiana sarda e la caduta della seconda Giunta Brotzu del 30 ottobre 1958, l'autore prende in esame la prima e la seconda legislatura. «Negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra», scrive Lecis, «si assiste all'affermazione di un nuovo regionalismo democratico, che vede nei partiti antifascisti gli alfieri delle rivendicazioni autonomistiche».
Pietro Picciau
 
 

5 - L’UNIONE SARDA di martedì 17 gennaio 2017 / Cronaca di Cagliari (Pagina 16 - Edizione CA)
Un documento di 46 pagine prevede l'afflusso massiccio di feriti nelle strutture sanitarie
Terrorismo, il piano della Asl
In caso di attacchi gli ospedali sono pronti a gestire l'emergenza
Un'esplosione, i feriti sono stesi per terra. A rompere il silenzio solo le urla delle persone terrorizzate e le sirene delle ambulanze. Davanti agli occhi dei soccorritori scene strazianti: i feriti gravi sono venti, forse trenta; è una lotta contro il tempo per salvare le loro vite.
Una scena che si spera di non vedere mai. Ma, data la recrudescenza di attentati terroristi, occorre farsi trovare pronti per queste evenienze.
 IL PIANO Anche le Asl cittadine (la 8, il Brotzu e l'Azienda mista) si sono dotate di quello che, secondo lo strano linguaggio burocratico, si chiama Peimaf (Piano di emergenza per il massiccio afflusso di feriti). Un piano voluto dalla legge. E voluto fortemente anche da Giorgio Pia, primario del Pronto soccorso del Santissima Trinità: aiutato da colleghi e personale infermieristico ha, materialmente, redatto il piano che organizza le emergenze nella Asl.
 GLI INTERVENTI Tutto è previsto, tutto è organizzato in quelle 46 pagine del documento. Soprattutto, vengono pianificati gli interventi che devono essere fatti dal momento in cui si verifica un evento particolarmente grave. «I primi che arrivano sul posto», spiega Pia, «siano questi le forze dell'ordine o il 118, danno l'allerta ai pronto soccorso». In quel momento, si comincia a valutare la disponibilità di posti letto e di personale.
 I SOCCORSI Quando l'evento drammatico viene confermato, scattano una serie di interventi negli ospedali: il medico del pronto soccorso, individua le aree dividendole a seconda dei codici, nomina i responsabili di ciascuna area e libera il pronto soccorso da tutti i pazienti per i quali non c'è un'urgenza. Nel frattempo, viene attivato il direttore sanitario che diventa il regista degli interventi. E, se si rivela necessario, viene convocato tutto il personale che serve in quella situazione. «Noi abbiamo provveduto a organizzare un elenco con tutti gli indirizzi». In questo modo, possono essere chiamate quelle persone che sono in grado di raggiungere più facilmente l'ospedale (perché, magari, sono più vicine o non devono attraversare il luogo dell'eventuale attentato).
 L'EMERGENZA Nel frattempo, si comincia a valutare il genere di intervento necessario. Se l'attentato è stato fatto con agenti patogeni, per esempio, si attua quello che è stato definito “protocollo Ebola”: i pazienti destinati al Santissima Trinità non arrivano al pronto soccorso ma, entrando dall'ingresso di via Timavo, vengono portati direttamente al reparto Infettivi. Se, invece, l'attentato è violento (bomba o, come a Berlino, camion lanciato sulla folla), si attiva un'altra procedura. «In un deposito vicino al pronto soccorso», spiega Pia, «è stato stoccato tutto il materiale necessario che viene tirato fuori in base alle esigenze».
 LA GESTIONE Ogni ospedale ha un proprio piano. Ma, in situazioni come questa, a gestire, inizialmente, l'emergenza sono i vigili del fuoco che si occupano anche degli interventi nella zona in cui si è verificato l'attentato. Non solo: a loro spetta anche il compito di montare strutture amovibili, anche all'interno degli ospedali, per ricavare ulteriore spazi dove operare. «Ora», interviene Pia, «diventa però necessario anche coinvolgere altre realtà nella gestione delle emergenze. Nella prossima esercitazione, metterò l'accento sul ruolo che deve avere anche la polizia municipale: in un ospedale come il Santissima Trinità è necessario garantire l'accesso e l'uscita veloce delle ambulanze».
 I NUMERI Ma quanto persone potrebbero essere curate in caso di attentato? I numeri dipendono soprattutto dalle norme che prevedono, tra l'altro, la presenza di un medico ogni due codici rossi o un radiologo per ogni impianto. Dati questi limiti, comunque, Cagliari sembra in grado di gestire emergenze importanti: senza contare gli ospedali di Isili e Muravea (presenti, comunque, nel Peimaf), la Asl può occuparsi di otto codici rossi in contemporanea (cinque al Santissima Trinità e tre al Marino), l'azienda mista di sei o più, il Brotzu, più o meno, dello stesso numero. Circa una ventina di feriti gravi, dunque. Un numero che pare sufficiente.
Marcello Cocco



6 - L’UNIONE SARDA di martedì 17 gennaio 2017 / Provincia di Sassari (Pagina 36 - Edizione CA)
SASSARI. Replica alle liste chiuse per le visite e all'abuso dell'intramoenia
Il primario di Urologia: i miei numeri record
Il primario della Clinica Urologica dell'azienda mista, Massimo Madonia, insorge davanti alla notizia delle liste chiuse al Cup, il Centro unico di prenotazione, riguardanti le visite urologiche (per un paziente significa non poter prenotare una visita sino a marzo). E insorge pure quando si parla di intramoenia , pratica a pagamento che consente invece visite e persino interventi chirurgici in tempi celeri.
Alle lamentele di numerosi pazienti replica con «rabbia e indignazione». E elenca tutto il lavoro svolto con i tredici medici del reparto: «L'attività ambulatoriale che viene svolta dalla Clinica Urologica ogni settimana registra 30 visite urologiche, 35 uretrocistoscopie, 7 visite per calcolosi, 44 visite di urologia oncologica, 15 ecografie, 25 visite dei pazienti portatori di presidi urologici. Ogni giorno della settimana un medico della Clinica effettua consulenze presso altri reparti e dalle 14 uno specialista urologo è deputato allo svolgimento delle visite urologiche urgenti. Dal 2016 si è registrato un aumento del 40% circa del numero di interventi chirurgici rispetto agli anni passati e un tasso di occupazione del 100% con un mantenuto tempo medio di occupazione. Dal 1° novembre del 2015 le liste di attesa per intervento chirurgico di Urologia sono online. Da marzo del 2016 due urologi della clinica svolgono attività ambulatoriale presso il reparto chirurgia dell'ospedale di Olbia, riducendo così i disagi di tutta quella popolazione». Certo, fa capire il primario, le cose viaggerebbero ancora meglio se il Pronto soccorso e i medici di base non ingolfassero il suo reparto con «ricoveri impropri».
Riguardo all' intramoenia , a cui sempre più spesso ricorre il paziente pur di vedere snellire i tempi di visita e addirittura di intervento, il primario ricorda la sua attività di volontariato presso gli ambulatori della LILT di Sassari.
Patrizia Canu
 
 

7 - L’UNIONE SARDA di martedì 17 gennaio 2017 / Cronaca di Cagliari (Pagina 15 - Edizione CA)
L'inaugurazione
Sabato 28 gennaio il nuovo anno giudiziario
Un anno di attività riassunto in una discussione di alcune ore. È in programma sabato 28 gennaio l'inaugurazione dell'anno giudiziario nell'aula magna del palazzo di giustizia. Dopo sette anni non sarà più Grazia Corradini ad aprire la giornata con la relazione introduttiva in qualità di prima presidentessa della Corte d'appello: l'alta magistrata è andata in pensione lo scorso 31 dicembre dopo oltre quarant'anni di servizio e ora è presidente della commissione tributaria provinciale.
Per l'occasione, in attesa che il Csm nomini il sostituto, parlerà al suo posto il presidente facente funzioni Antonio Onni. Sono previsti gli interventi del procuratore generale Roberto Saieva, dei rappresentanti degli organi istituzionali, dell'avvocatura, dell'associazione nazionale magistrati (che diserteranno l'appuntamento in Cassazione due giorni prima in polemica col Governo), dell'associazione dei giudici onorari, delle Università, di altre organizzazioni di avvocati, degli enti locali e del personale amministrativo.
 
 

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LA NUOVA SARDEGNA

 
 

8 - LA NUOVA SARDEGNA di martedì 17 gennaio 2017 / Pagina 32 - Sassari
UNIVERSITÀ
Piccoli animali, un master in Medicina d’urgenza
SASSARI Domani alle 9, nell’aula consiliare del dipartimento di Medicina veterinaria dell’Università di Sassari (via Vienna), sarà inaugurato il master di II livello in Medicina d’urgenza e Terapia intensiva dei piccoli animali (M.u.t.i.p.a) Il master annuale nasce con l’obiettivo di formare professionalità nell’ambito della medicina veterinaria d’urgenza e della terapia intensiva. Al percorso formativo, unico nel suo genere in Italia, hanno aderito medici veterinari provenienti da tutta la penisola. Durante le lezioni, sia teoriche che pratiche, si alterneranno come docenti esperti di estrazione accademica e libero professionale, italiani e stranieri. All’inaugurazione del master parteciperà anche il magnifico rettore dell’Università di Sassari, Massimo Carpinelli.
 
 

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