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22 February 2016
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RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI
  
    

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L’UNIONE SARDA


1 – L’UNIONE SARDA di lunedì 22 febbraio 2016 / Cronaca Regionale (Pagina 4 - Edizione CA)
Perché preferiscono l'estero alcuni dei migliori cervelli degli atenei isolani
UNIVERSITÀ, I RICERCATORI SARDI IN FUGA DA TAGLI E NEPOTISMO
Più che un allarme, quello dello Svimez assomiglia più a una sentenza: entro 15 anni le università del sud rischiano di sparire per mancanza di fondi. I criteri di finanziamento favoriscono gli atenei più grandi, quelli con più studenti, meglio se in corso. Ecco perché chi può emigra: «L'ottanta per cento dei miei colleghi di corso vive all'estero», racconta Marta Costa, trent'anni, cagliaritana, neuroscienziata del Francis Crick Institute di Londra. Dopo la laurea - qualcuno anche prima - si parte, meglio se per l'Europa del nord dove la ricerca è un'altra cosa: più risorse, strumenti migliori, stipendi più alti, nepotismo quasi inesistente.
LE RISORSE La Sardegna spende in ricerca e sviluppo lo 0,74 per cento del prodotto interno lordo ed è la quartultima regione in Italia. Peggio fanno solo Basilicata, Calabria e Molise. Lo Stato ha speso per sostenere le università sarde nel 2015 circa 47 milioni di euro all'anno (fonte: Soldipubblici.gov.it) e nel 2016 è atteso quello che il rettore di Cagliari Maria Del Zompo ha affettuosamente definito «colpo di mannaia». Ancora meno soldi. Sarà difficile garantire le borse di studio per gli alloggi, figurarsi gli assegni di ricerca. In Sardegna i concorsi si contano sulle dita di una mano.
AFFARI DI FAMIGLIA Se poi si considera che l'Isola viene considerata una delle culle del nepotismo, le possibilità di diventare ricercatore e coronare i propri sogni professionali diminuiscono. La classifica messa in piedi da Stefano Allesina, dell'università di Chicago, vede gli atenei sardi al vertice: Sassari è seconda, Cagliari terza. Ma la graduatoria si basa sulla ricorrenza dei cognomi degli oltre 61mila docenti italiani: metodo empirico (per questo snobbato dai docenti dell'Isola) e sicuramente fallibile, che però ha il merito di fotografare uno degli aspetti negativi stabili nel sistema universitario italiano e in questo caso sardo.
FUGA SENZA RITORNO Negli ultimi vent'anni il flusso è stato a senso unico. Gli atenei sardi hanno prodotto laureati e ricercatori ben formati che per trovare soddisfazione hanno dovuto lasciare l'Isola. Qualcuno è tornato grazie ai bandi finanziati dal ministero dell'Istruzione. Ma l'ultimo progetto “Montalcini” è del 2014 e ancora - a causa di un ricorso al Tar presentato da un partecipante - l'elenco dei vincitori non è stato pubblicato. Arriverà, forse alla fine del mese. In quello del 2013, invece, non si incrociano cognomi sardi tra i 110 vincitori.
ECCELLENZE Questo non significa che i ricercatori sardi non siano bravi. Anzi. Tutti sottolineano come sia quasi esclusivamente una questione di soldi: in Italia - e a cascata, in Sardegna - i fondi dedicati a questo settore sono noccioline. Qui viene stanziato l'1,3 per cento del Pil. La Finlandia e Svezia spendono quasi tre volte tanto, la Germania più del doppio, pure Slovenia, Estonia e Repubblica Ceca ci distanziano. E allora: perché tornare?
Michele Ruffi

Cronaca Regionale (Pagina 4 - Edizione CA)
IL BIOLOGO. Alberto, da Cagliari alla Svizzera
«Non basta la teoria»
«Fare ricerca in Italia è difficile, in Sardegna lo è ancora di più». Alberto Loche, 30 anni, cagliaritano, dopo il diploma al Pacinotti e il primo anno in Biologia applicata ha deciso che la sua strada era lontano dall'Isola. Prima Bologna, per la laurea, poi Portland, negli Usa, adesso a Basilea, in Svizzera, per un dottorato di ricerca. «Mi sono reso conto che in Sardegna avrei avuto orizzonti limitati. In Italia le basi vengono insegnate bene, ma fare il ricercatore significa far pratica e in questo campo non c'è confronto: meglio andare all'estero. Sono le stesse università a incoraggiare le partenze con le borse di studio».
La differenza tra gli atenei italiani e quelli europei «sta soprattutto nelle attrezzature a disposizione. È difficile che diano in mano a uno studente un microscopio con focale laser. Nel campo della biologia molecolare poi i reagenti costano tantissimo e non tutti se li possono permettere». Guai a parlargli di cervelli in fuga: «È un luogo comune e l'obiettivo di riattirarli è puro provincialismo. Le persone vanno via anche da Gran Bretagna, Francia e Giappone, perché la ricerca necessita di un percorso formativo che vada oltre il singolo laboratorio».
Conferma che i baronati e il nepotismo nelle università sono mali della Sardegna e in generale dell'Italia: «Le conoscenze valgono dappertutto, ma nella selezione qui si può sempre intravedere l'oggettività. All'estero le lettere di raccomandazione sono una cosa seria. Comunque, dove sono stato io non ho mai visto il figlio di un professore entrare a lavorare nello stesso centro». (m. r.)
 
LA GENETISTA. Marta studia genomica a Londra
«Qui lavoravo gratis»
La differenza tra la Sardegna e l'Inghilterra? «A Cagliari ho avuto un'ottima formazione, l'università è fatta da persone validissime, ma le risorse non erano sufficienti. Non si può lavorare gratis tutta la vita. Qui ho a disposizione strumenti all'avanguardia. Puoi dare spazio alla fantasia e realizzare progetti senza limiti».
Marta Costa si occupa di genomica. Studia e seziona i codici genetici. «Offriamo servizi ai laboratori di ricerca. Chi vuole sequenziare il Dna si rivolge a noi». Diploma al liceo Pitagora, laurea in neuropsicobiologia, prima un'esperienza a Parigi e ora il posto da ricercatrice al Francis Crick Institute. «A Cagliari ho imparato che ti devi arrangiare con le poche risorse che hai. Può essere stimolante, ma quando non hai strumenti, non puoi competere con l'estero. Dall'Inghilterra ho ricevuto una proposta che non potevo rifiutare».
Nel Regno Unito, come nel resto del nord Europa, la ricerca è finanziata sia dal governo che dalle fondazioni private: «Ci sono tantissimi canali di sostegno. Viene sfruttata la beneficenza: la Cancer research Uk apre banchetti o negozi dappertutto per raccogliere fondi».
Non esclude il ritorno. «Mi piacerebbe tornare, ma ci devono essere le condizioni giuste per farlo. Servono più finanziamenti a livello statale. I sequenziatori del Dna costano anche 500mila euro. Nell'Isola li ha solo Sardegna Ricerche». Poi c'è la meritocrazia: «In Inghilterra è difficile che si sviluppino le dinamiche cagliaritane. Vieni assunto perché vali, non perché sei parente o figlio di qualcuno». (m. r.)

IL BIOCHIMICO. Antonio ha un impiego in Svezia
«Zero raccomandati»
Al Karolinska Institutet di Stoccolma, su circa cento ricercatori, tre sono sardi: «Qui in Svezia ci sono molte più opportunità, perché oltre ai finanziamenti pubblici ci sono tante fondazioni private che sostengono la ricerca. C'è una differenza culturale: la gente ci crede, la raccolta dei fondi è diffusa», spiega via Skype Antonio Piras. Sassarese, 33 anni, dopo la laurea triennale ha scelto di specializzarsi a Torino, dove ha iniziato il dottorato. Altri quattro anni ed è arrivata l'esperienza all'estero. Lavora per la casa farmaceutica Roche a uno studio sulle taupatie (tra queste c'è Alzheimer): soldi svizzeri per un progetto svedese.
«Avrei potuto trovare una posizione in Italia, ma sarebbe stato un po' come galleggiare in attesa di qualcosa. A Torino ho ottenuto un dottorato importante, ho un curriculum competitivo e potevo ambire a un posto di alto livello. Poi nel sistema italiano l'esperienza all'estero è vista come un passo imprescindibile, se vuoi far carriera».
Per molti si tratta di un viaggio di sola andata. Anche perché nel nord Europa gli stipendi, che in Italia si aggirano tra i 1.500 e i 1.800 euro al mese, sono nettamente più alti: «Per capire le differenze: prima giocavo nel Cagliari, ora nel Milan. Certo, la precarietà esiste anche qui, ma c'è la certezza che finito un contratto ne arriverà un altro». In Svezia le parentele non contano: «Non ci sono cognomi ricorrenti, la meritocrazia qui ha un peso maggiore. Più che le raccomandazioni, valgono le referenze: per avere un posto conta molto il giudizio del tuo supervisore precedente». (m. r.)
 


 
2 – L’UNIONE SARDA di lunedì 22 febbraio 2016 / Cultura (Pagina 27 - Edizione CA)
Domani al Cimitero di Bonaria
Commemorazione di Domenico Lovisato
Si apre domani mattina alle 11,30 con una commemorazione al Cimitero monumentale di Bonaria, a Cagliari, “L'anno Lovisatiano”, una serie di conferenze e giornate di studio che l'Ateneo cittadino dedica allo scienziato Domenico Lovisato. Lo fa a cento anni dalla sua morte, avvenuta a Cagliari, il 23 febbraio 1916. Istriano, irredentista, garibaldino, appassionato geologo, era arrivato in Sardegna dopo una serie di peregrinazioni per l'Italia, a causa delle sue idee radicali. Prima a Sassari e poi a Cagliari dal 1888, Lovisato insegna nelle due Università sarde, portando con sé un bagaglio di esperienze scientifiche e di ricerche di altissimo livello. Come l'aver preso parte alla spedizione italiana in Patagonia e nella Terra del Fuoco, viaggio di formazione per gli scienziati d'eccellenza.
Alla cerimonia di questa mattina sarà presente anche l'amministrazione comunale; da aprile a ottobre ci saranno conferenze nei luoghi significativi delle sue ricerche: La Maddalena, Sassari e infine Cagliari.
 
 
 
3 – L’UNIONE SARDA di lunedì 22 febbraio 2016 / Cronaca Regionale (Pagina 6 - Edizione CA)
Il romanzo prezioso di Zedda tra incanti naturalistici ed eterno femminino
“L'amuleto” creato da Claudia, abile nel narrare e nel tacere
Paolo Pillonca
Piacerebbe a Nereide Rudas questa ragazza cagliaritana con la passione gioiosa dei racconti legati al mistero dell'invisibile. Nel suo romanzo “L'amuleto” (Condaghes) risplende una scrittura fresca, ricca di immagini originali, così sicura di sé da riuscire a giocare con naturalezza nei meandri dell'architettura dei periodi. Il suo italiano è una lingua assunta dal profondo, mai scontata, elegante e perfino musicale, dal ritmo scandito nella genuinità della poesia in segmenti metrici di varie estensioni. Siamo di fronte a una creatività nuova di sapore primigenio. Claudia Zedda, 36 anni, un marito originario di Bono, Daniele Mulas, una bimba di due anni e mezzo, Rebecca, e una “patente” rara in un mondo affollato, in tutta Italia, di “autisti” abusivi: la laurea in Lettere. Qui il titolo accademico non solo non guasta ma garantisce la qualità in un'arte ormai maculata da analfabeti di ritorno e d'andata, in un mercato sovraccarico di cibi insapori.
«La maestra delle elementari, Maria Antonietta Soi, rappresenta uno dei miei ricordi più belli», racconta Claudia. «È stata lei a regalarmi l'entusiasmo della scrittura. Alle medie l'insegnante più attento era il professor Boassa: allargava i nostri orizzonti, ci faceva amare le altre arti, cinema in primis. Alle superiori il professor Ancis ci ha dato la fiducia in noi stessi. All'università la guida è stata Anna Lecca: ha diretto la mia attenzione agli esseri fantastici della Sardegna - janas, panas, majarzas, cogas, sùrviles, istrias - e in generale alla parte lunare del nostro patrimonio mitico».
“L'amuleto” è la storia della famiglia Tanca, un nucleo parentale distinto di un paese imprecisato delle zone interne. Una vicenda di donne carica di mistero, prigioniera di un giallo irrisolto: la scomparsa misteriosa di una giovane donna, Luxia. La trama si dipana in una serie di luoghi incantevoli sotto l'aspetto naturalistico. Alla ricerca di una verità avvolta di interrogativi spinosi e senza risposta si muove Virginia, una ragazza di città tornata nel cuore dell'Isola, in un ambiente ammaliante ma molto difficile per chi va cercando bandoli di matasse.
Benché dedicata espressamente alle donne la storia si nutre anche di altri incantesimi.
Gli animali sono una parte importantissima di questo mondo. Tutti, nessuno escluso. «Mi attraggono i selvatici, a partire dai volatili. Mi fermo a guardare gli occhi del bestiame di terra: i tori, i cavalli, le pecore, i gatti, i cani, i maiali». E c'è il mondo vegetale riscoperto: «I fiori e gli alberi li ho conosciuti meglio crescendo: quello della mia prima fanciullezza non era un ambiente rurale. Oggi sento impellente la necessità del contatto con la terra della mia isola interna, in tutte le stagioni dell'anno: quella amorosa della primavera, le zolle riarse dell'estate, le foreste dai mille colori degli autunni, il suolo invernale dormiente». E gli alberi simbolo della sua culla: «Mi sono innamorata della quercia da sughero. Amo molto i profumi della selva: a Nuoro mi sento a casa mia, forse in una vita precedente ero sui monti barbaricini. Il rapporto mi rigenera», confessa.
Donna “di mare”, le rocce la mettevano a disagio. Poi cos'è successo? «La famiglia di mio marito viene dal Goceano. Quando andavamo lassù, a Burgos, Anela, oltre che a Bono, all'inizio, le temevo. Subito dopo ho iniziato ad amarle. Di fronte a loro mi sentivo piccola ma fortunata». La contemplazione della natura si basa su un elemento fondamentale: il silenzio. «Nelle gite archeologiche a un certo punto mio marito si allontana e mi lascia da sola». Ad ammirare i prodigi? «Non solo a guardarli, ma ad ascoltarli: a lungo, intensamente. La natura ci parla, capire i suoi messaggi dipende da noi, dalla nostra consonanza con l'ambiente, dalla sintonia».
La percezione dell'inconoscibile, gli amuleti, le cosiddette stregonerie. «Mi è sempre andato a genio l'impalpabile e mi lascio guidare dall'istinto per esplorare il mondo parallelo, i poteri segreti della mente». Il dolore del vivere, nell'ordinario quotidiano fino all'estremo lembo del pessimismo storico-cosmico, quello dei Persiani uccisi a Salamina nell'omonima, immortale tragedia di Eschilo. «Il destino? Si nasce con dei talenti, ma molto può dipendere da noi. C'è però chi non ha il coraggio di ascoltarsi e di mettersi in gioco arditamente. E si accontenta del grigiore sterile».
Il libro è una strenna d'amore al femminino del mondo. «Le donne sono custodi di tanti misteri, ti dànno la vita e ti insegnano a credere, hanno alle spalle le doglie dei parti e ti prendono per mano con le parole». La musicalità del narrare, infine. «Non ho risposte, su questo. Non me n'ero accorta, è stata una scoperta graditissima».
 
 
 
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LA NUOVA SARDEGNA  
 

5 - LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 22 febbraio 2016 / Ediz.ne naz.le - Pagina 4
BOOM DELLE CONSULENZE
In un anno il 60% in più
L’Istat è pronto a cambiare pelle, non identificandosi più solo con il ricercatore che bussa alla porta per sottoporre a questionari cittadini e imprese. Anche per l’Istituto di statistica era ora di mettere sotto la lente i “Big Data”, i flussi d’informazione che passano per le reti create dalla tecnologia. Si va dai Google trend ai segnali rilasciati dai cellulari, dal traffico autostradale agli scontrini dei supermarket. L’Istat è intenzionato a incrociare i risultati derivanti da interviste, ma anche da dati di tipo amministrativo. Una rivoluzione che «rappresenta una delle linee strategiche» del «processo di modernizzazione dell’Istat che proprio in questi giorni sta vedendo la luce», ha spiegato il presidente dell’Istituto Giorgio Alleva.ROMA La spesa pubblica per consulenze e collaborazioni a esterni è tornata a crescere, con un’impennata del 60 per cento in un anno. Tanto che il costo è salito a quasi 1,2 miliardi di euro. A svelarlo il rapporto del ministro della Pa Marianna Madia che ha reso pubblici tutti i dati sugli esborsi-extra per incarichi conferiti da Regioni, ministeri, università e il resto della Pubblica amministrazione. Dopo anni di cali quindi, in cui la stretta aveva prodotto risparmi, si rifà viva l’usanza di assegnare “commesse”, dietro compenso, pescando fuori dal perimetro della pubblica amministrazione che conta 3,2 milioni di dipendenti. I dati, forniti dalle stesse amministrazioni, che hanno l’obbligo di comunicarli all’Anagrafe delle prestazioni, inchiodano gli enti, uno per uno. Affidarsi ad esterni è di per sé una pratica lecita, neutra, ma, e lo prevede la legge, va monitorata affinché non sia utilizzata per secondi fini. Ecco il perché dell’operazione verità del ministero, tenuto a riferire annualmente al Parlamento. Tutto ciò ancor prima dell’entrata in vigore del decreto sulla trasparenza, uno degli undici provvedimenti attuativi della riforma Madia, appena trasmesso alle Camere per i pareri. Nel dettaglio, guardando alla relazione firmata da Madia si legge come «nel 2014 il totale dei compensi erogati è aumentato del 61,32 per cento, passando da 738 milioni a 1.200 milioni di euro invertendo la tendenza in diminuzione registrata negli anni precedenti». Considerando i soggetti “chiamati” a svolgere una qualche attività sotto forma di consulenza o collaborazione, il loro numero sale del 15,7 per cento ma ancora più significativo è l’incremento di quanti hanno ricevuto un compenso (+47,9 per cento). Insomma non si tratta di lavori svolti gratis o magari, semplicemente, le amministrazioni si sono decise a pagare solo nel 2014. La situazione non è la stessa su tutto il Paese. Di certo il primato spetta al comparto delle Regioni, che nel 2014 ha registrato un aumento dei costi per la voce in questione del 113,3 per cento, seguono i comparti “Ricerca” (+56,2%), “Scuola” (+55,2%), “Università” (+45,7%), “Sanità” (+33,2%) e “ministeri, presidenza del Consiglio dei ministri, Agenzie fiscali” (+32,1%). A livello territoriale, la maggior parte dei consulenti «ha ricevuto l’incarico da amministrazioni localizzate in Lombardia, seguono Lazio, Emilia Romagna e Veneto. L’altra opzione, quella di dare l’incarico a chi è già all’interno della Pubblica amministrazione, stando sempre alle informazioni inserite nell’Anagrafe, è meno praticata (155.839 dipendenti pubblici 176.855 “outsider”). Ma anche per chi è già dentro i costi risultano in aumento (cala il numero dei travet con incarichi ma sale del 38 per cento la spesa per compensi). Sommando tutto il capitolo incarichi, sia interni che esterni, viene fuori un esborso di quasi 1,5 miliardi per quasi 600mila mandati, spalmati su oltre 300mila soggetti.
 
 

5 - LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 22 febbraio 2016 / Politica regionale - Pagina 4
L’agenzia americana di rating si dice ottimista sulla ripresa economica
MENO DEBITO E PIÙ LAVORO: FITCH PROMUOVE L’ISOLA
L’assessore Paci: «C’è ancora da fare, ma la strada è segnata. La crisi finirà»
SASSARI Dalla società americana Fitch Ratings un’iniezione di ottimismo per la Sardegna. Secondo l’agenzia internazionale di valutazione del credito il debito dell’isola continuerà a ridursi, la liquidità in cassa rimane soddisfacente e la ripresa economica si consoliderà. Il mercato del lavoro, inoltre, lascia ben sperare con i suoi 31mila occupati in più, la contrazione del 40 per cento del ricorso alla cassa integrazione e il contenimento della disoccupazione verso il 15, anche se al di sopra di due punti della media nazionale. «Stabilità significa poter dire agli investitori che la Sardegna è una destinazione non solo interessante ma soprattutto sicura, oltre che presto libera da gran parte della inutile burocrazia che spesso scoraggia gli imprenditori – afferma l'assessore alla Programmazione, Raffaele Paci –. Avere prospettive economiche stabili significa poter contare su maggiori certezze per proseguire con il risanamento economico avviato da questa giunta prima di tutto nella sanità e con le politiche che attraverso investimenti pubblici adegueranno il sistema delle infrastrutture, miglioreranno le scuole, contribuiranno a elaborare progetti informatici di ricerca e sviluppo per supportare il turismo e contrastare lo spopolamento». Gli analisti di Fitch sottolineano che il maggior coinvolgimento della Sfirs, la società finanziaria della Regione, non si traduce in maggiore passività, anzi lo stock di debito diminuirà dai 1,35 miliardi del 2014 a 1 miliardo circa nel 2017, ovvero il 15 per cento delle entrate. Prevedono che i trend positivi di economia e occupazione avranno effetti positivi nel medio termine anche sui consumi interni e sulla capacità tributaria della popolazione, permettendo alla Regione di incassare 6,6 miliardi di gettito rispetto ai 5,7 del 2014. E stimano che i timidi segnali di recupero avuti nel 2015 si rafforzeranno progressivamente nel 2016 e poi nel 2017, grazie anche al taglio dell'Irap del 25 per cento e alla totale esenzione dall'imposta sulle attività produttive per le nuove imprese. «C'è ancora molto da fare per uscire definitivamente dalla terribile crisi degli ultimi anni, prima di tutto risolvere il dramma della disoccupazione – conclude Paci –. Ma, come dimostra anche l'analisi di Fitch, la strada ormai è segnata. E noi continuiamo a percorrerla con grande impegno e determinazione».

 


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