Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
11 January 2016

 


RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI A CURA DELL’UFFICIO STAMPA DELL’ATENEO

L’UNIONE SARDA
1 – L’Unione Sarda
Cronaca Regionale (Pagina 8 - Edizione CA)
QUINTO: NON UCCIDERE
Medico cattolico, praticante e non obiettore. Il professore racconta come concilia lo spirito e quella parte del suo lavoro regolata dalla legge 194, che per la Chiesa rientra nella fattispecie dell'omicidio.
I feti di un centimetro e quelli più grandetti nati per un intervento terapeutico, il battito del cuore che obbliga l'équipe all'assistenza. Un'osservazione che dura soltanto pochi minuti, finché i segni di vita cessano.
 
«IO, CREDENTE, DIFENDO L'ABORTO» 
 
«Lei è credente, professore?».
Gian Benedetto Melis si accomoda meglio sulla poltrona, nel suo studio della Clinica di Ostetricia e Ginecologia del Policlinico di Monserrato. Una stanza grande e luminosa, con la scrivania stracarica di registri e appunti e una parete tappezzata di foto ricordo di famiglia, viaggi, convegni, colleghi e tagli del nastro. Dev'essere assai affettuoso, il signore che da 25 anni è il comandante in capo del reparto che in Sardegna sforna più bambini. Millesettecento all'anno, in media. Ma questa, per la verità, è un'altra storia.
«Sono credente, certo. E per questa ragione ho educato, e cerco di educare al rispetto della religione anche i miei figli».
Un medico cattolico che pratica l'aborto. Non c'è contraddizione?
«Nessuna contraddizione, sono due cose separate. Il problema morale riguarda la mia coscienza, la quale mi dice che devo fare tutto ciò che è possibile per salvare le donne e proteggere i loro diritti. Al contrario, mi sentirei in colpa se non facessi il mio dovere».
Il punto è che per la Chiesa quello che lei chiama dovere è un omicidio...
«Per la Chiesa è omicidio pure prendere la pillola... Ma, guardi, un tempo si veniva scomunicati anche solo per aver divorziato, ora è diverso. Pure le leggi religiose cambiano...».
Non è proprio così. Ma è vero che molto dipende dal vescovo e soprattutto dai sacerdoti. Il prete la assolve anche dal peccato di aborto?
«È una sua prerogativa darmi l'assoluzione»
E lei fa la comunione...
«Se il prete mi dà l'assoluzione, faccio la comunione».
Sessantasette anni, originario di Guamaggiore, quattro figli («Il maggiore 47, la più piccola 14»), un divorzio e un secondo matrimonio («Ho perso mia moglie da poco»), Gian Benedetto Melis - professore ordinario di Ginecologia e Ostetricia nella Facoltà di Medicina a Cagliari e stampo di antica tradizione democristiana - è un'autorità nel suo campo. Uno che, intervenendo nel dibattito sulla paventata chiusura dei punti nascita, avverte senza mezzi termini che «Tenere aperti quelli con un basso numero di nati all'anno significa avere un comportamento nei confronti della donna che può essere paragonato alla sharia dei Paesi arabi o alle violenze verificatesi in Germania nelle ultime settimane. Una violenza fisica nei confronti delle donne che subiscono la prepotenza di una società non in grado di proteggerne l'integrità».
Uno che è più volte intervenuto in difesa della legge 194, quella per l'interruzione volontaria della gravidanza, la cui applicazione - va detto - è continuamente a rischio per via del moltiplicarsi degli obiettori di coscienza, praticamente una lievitazione anomala che in Sardegna tocca punte del 70 per cento. «Numeri che, obiettivamente, mettono a rischio l'organizzazione di un servizio disposto con una legge approvata dallo Stato. Una legge che, oltretutto, ha avuto il sostegno di un referendum. Dietro tutto ciò ci sono le donne, e io le vedo come le mamme, le sorelle, le figlie che hanno esercitato e sostenuto la loro libertà di accedere all'interruzione volontaria della gravidanza. Ecco, impedire loro di poter accedere a questo servizio per ragioni di cattiva organizzazione... beh, non mi pare ammissibile».
Un medico cattolico, credente, praticante e pure non obiettore. È il professor Melis l'uomo giusto per parlare del quinto Comandamento e per riflettere su quel Non uccidere imposto a difesa della sacralità della vita.
Tutti i medici obiettori sono sinceramente contrari all'aborto?
«Guardi, io ho conosciuto due tipi di obiettori: quelli religiosi, legati a tutti i principi della fede sia nella vita che nel lavoro. Molti, fra questi, hanno fatto la loro scelta dopo esperienze umanamente toccanti. Poi ci sono gli altri, quelli dell'altro gruppo. Quelli che dicono: se vengo pagato lo stesso, perché devo venire a lavorare un giorno in più per fare questo servizio?».
Chi fa le interruzioni di gravidanza è pagato come chi non le fa?
«Esattamente».
E la convenienza dov'è per gli obiettori?
«Sta nel lavorare di meno. Senza contare poi certe logiche nei concorsi. Può succedere che uno si presenti alle selezioni per lavorare nel servizio di interruzione delle gravidanze e, una volta firmato il contratto, dica di essere obiettore».
Nel suo reparto com'è la situazione?
«Su venti medici solo quattro non sono obiettori».
E quanti interventi fate al Policlinico di Monserrato?
«Una ventina alla settimana».
Riesce comunque a organizzare il servizio?
«Sì, anche perché negli ultimi anni, così come vuole la legge, abbiamo lavorato molto sul fronte della prevenzione delle gravidanze indesiderate. Nel nostro centro parliamo con le puerpere, con le donne che hanno appena interrotto una gravidanza (per prevenire una recidiva), con le adolescenti...».
Più pillole, meno rischi.
«Negli ultimi anni il numero delle interruzioni di gravidanza è calato, mentre allo stesso tempo è cresciuta la percentuale delle donne che fanno una contraccezione corretta: il 30 per cento delle donne sarde assume la pillola, contro la media italiana del 19 per cento».
C'è una motivazione più frequente tra le donne che scelgono di abortire?
«L'indigenza è una di quelle che riscontro spessissimo. Il fatto che non si abbia un lavoro, né i mezzi per andare avanti, induce tante donne a fare questa scelta. Poi c'è l'ignoranza...».
L'ignoranza?
«Intesa come inesperienza, ma anche come l'atteggiamento di chi rischia la gravidanza, e quindi magari ricorre a più interruzioni, perché non usa un contraccettivo».
Sono tante?
«Per fortuna sempre meno, anche perché, devo dire, a parte l'informazione che riusciamo a fare nel nostro centro, le donne che hanno problemi economici usano le pillole passate gratis dal sistema sanitario nazionale. Non sono di ultima generazione, ma sono efficaci e sicure».
Tra le inesperte, ci sono le adolescenti?
«Sempre meno rispetto al passato».
L'interruzione volontaria di gravidanza non è solo quella del raschiamento chirurgico...
«Entro il cinquantesimo giorno si ricorre alla Ru486, un farmaco che unito ad altre due compresse da assumere un paio di giorni dopo fa tornare le mestruazioni».
A quel punto quanto misura il bambino mai nato?
«Neanche un centimetro».
Un centimetro è vita?
«Io credo che la vita incominci al momento della nascita, ma non sto a discutere se è vita quella dell'embrione e quella dei gameti vicini nelle tube. Sa quante gravidanze abortiscono spontaneamente prima delle successive mestruazioni? Cinque su cento... A me, come medico, preme osservare rigorosamente una legge dello Stato che stabilisce i termini di intervento: entro novanta giorni per l'interruzione volontaria. Dopo i tre mesi, e fino alla ventiduesima settimana, per l'aborto terapeutico».
Nel caso di pericolo di vita della madre, e in presenza di gravi malformazioni del feto che ne impediscono la sopravvivenza. Ma a quel punto lei fa nascere un bambino magari vivo...
«La legge è chiara anche su questo. Il limite della ventiduesima settimana è stato stabilito proprio perché sotto quella soglia non è stato mai dimostrato che il bimbo sopravviva. Sotto quella soglia non ha capacità di vita autonoma».
Come avviene il parto?
«Si induce il travaglio con un farmaco, spesso il bambino non ha battito cardiaco, ma può accadere che invece il battito ci sia e a quel punto abbiamo il dovere di fare assistenza».
Perché il piccolo respira...
«Sono soltanto atti di attivazione neurologica, il polmone come organo funzionale comincia a essere attivo alla ventitreesima, ventiquattresima settimana. Le nostre sono manovre di assistenza, un'osservazione che dura pochi minuti».
Quanto è grande un bambino così?
«Quindici centimetri».
In genere dove vanno a finire i feti abortiti?
«Vengono classificati come materiale abortivo e pertanto eliminati come rifiuti speciali».
È mai successo che qualcuna abbia chiesto il battesimo dopo un aborto deciso?
«È capitato anche questo. Ci può essere una richiesta dei genitori e a quel punto il feto cambia status, non dev'essere più considerato un aborto e si segue una procedura stabilita. Ma, in linea di massima, il battesimo si fa dopo i parti prematuri spontanei o per aborti che non possono essere evitati».
Piera Serusi
 
L’UNIONE SARDA
2 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari (Pagina 14 - Edizione CA)
Eureka, un documento per la città
Ieri il primo congresso della Rete degli studenti medi
 
Ha spaziato dalle criticità della scuola sarda all'esigenza di difendere, anche a gran voce, i diritti dei suoi studenti: il primo congresso di Eureka, la Rete degli studenti medi cagliaritani, ieri nell'aula teatro della facoltà di Scienze politiche ha acceso i riflettori una volta di più sulle difficoltà del sistema dell'istruzione locale, invischiato in una legge regionale datata, in edifici vecchi e non sicuri, nel fenomeno della dispersione che in Sardegna registra il picco nazionale.
Problematiche che non ammettono ulteriori posticipi. L'associazione culturale studentesca, costituita nel 2012, si propone alla città con un documento politico che ha come elementi-cardine la formazione, la rappresentanza come strumento di tutela e consapevolezza e il conflitto, nella sua veste costruttiva, perché le vertenze abbiano l'attenzione di pubblico e istituzioni.
«Siamo giovani», ha ammesso il coordinatore uscente Carlo Sanna, durante i lavori che hanno visto anche la partecipazione del sindaco e del coordinatore di Unica 2.0 cui Eureka è collegata con riflessioni e azioni comuni, «ma, proprio per questo, possiamo contribuire alla vertenza con il nostro entusiasmo, la capacità creativa e la voglia di scendere in campo per dare un futuro concreto alla scuola e ai suoi studenti».
Clara Mulas
 
L’UNIONE SARDA
3 – L’Unione Sarda
Cronaca Regionale (Pagina 4 - Edizione CA)
Sardegna, la prima volta nel “circolo delle Nazioni” 
Un capitolo per l'Isola nell'illustre Enciclopedia sulle etnie del mondo
 
Sardegna, benvenuta nel club. Ora il mondo saprà che sei una vera Nazione: tu l'hai sempre saputo, anche se a volte fai finta di no. Ma spesso va così: certe nostre qualità, come del resto i difetti, le riconosciamo solo quando le coglie uno sguardo estraneo.
In questo caso l'estraneo è una pubblicazione di altissimo valore scientifico e spessore internazionale: per la prima volta, tra un paio di mesi, la voce «Sardinia» apparirà nell'Encyclopedia of race, ethnicity and nationalism (la bibbia mondiale in tema di razze, etnie e nazionalismi). Per la prima volta il popolo sardo viene considerato, appunto, una nazione.
SOTTO ESAME Non è ovviamente un riconoscimento politico, semmai il risultato di un rigorosissimo esame accademico delle caratteristiche “nazionali” dell'Isola. La voce (1.500 parole all'interno di un'opera in 5 volumi, per oltre 2.500 pagine complessive) è firmata da Carlo Pala, sociologo del polo nuorese dell'Università di Sassari. E la decisione di inserirla è arrivata dopo un percorso durato più di due anni, in cui la “nazionalità sarda” ha dovuto superare successivi e crescenti livelli di difficoltà. Come in un videogame ma senza i marzianetti.
La Wiley Blackwell, casa editrice che dà alle stampe l'enciclopedia, non regala facilmente un posto nella sua pubblicazione, periodicamente aggiornata. Prima che arrivasse a Pala la conferma che la sua voce era stata accolta, diversi studiosi hanno sottoposto al vaglio il suo scritto, soprattutto per verificare se davvero questa terra solitaria in mezzo al Mediterraneo avesse i titoli (in un'ottica puramente scientifica) per figurare come nazione tra le nazioni.
IL GURU L'ultima parola l'ha data un ristrettissimo comitato editoriale con nomi come Anthony David Smith, docente emerito di Nationalism and ethnicity alla London School of Economics. Ai più non dice niente, ma nel campo della scienza sociopolitica incute la stessa soggezione che proverebbe un giovane attore a fare un provino davanti a Spielberg.
«Forse se avessi saputo dall'inizio che lui era tra i responsabili dell'opera non avrei neppure iniziato», sorride ora Carlo Pala, la cui umiltà resiste ai successi accademici: «In realtà la vicenda nasce un po' casualmente. Nel 2013 mi contatta via mail John Stone, altro grande studioso inglese che conoscevo solo di fama, per chiedermi di stendere una voce sulla Bretagna». Aveva letto i saggi di Pala sui fermenti nazionalitari della regione del nord-ovest francese: «Ma io - prosegue il sociologo nuorese - preferisco indirizzarlo ai miei colleghi d'oltralpe, più ferrati. Provo però a chiedergli se gli interessa un lavoro simile sulla Sardegna».
LA TRAFILA Stone non dice di no, ma passa la palla a una ricercatrice cinese che lavora a New York, per fare il primo filtro. «In passato - ricorda Pala - l'opera ha ospitato voci sull'Alto Adige, la Val d'Aosta, persino la Padania. La nostra Isola non era mai stata presa in considerazione perché non erano noti studi di carattere sociopolitico sulla qualità di nazione. Mi hanno fatto molte domande sulla nostra storia, sulle questioni etniche e genetiche». Le risposte convincono la “sorvegliante” cinese a farsi dare, dal comitato editoriale, l'autorizzazione a chiedere a Pala un articolo sulla Sardegna.
Le famose 1.500 parole, naturalmente in inglese. «Il lavoro più duro che mi sia capitato», confessa il ricercatore, «dovevo soppesare ogni termine. Ho evidenziato gli elementi linguistici e culturali; il fatto di aver avuto un'antica indipendenza e una storia condivisa, tutto sommato, solo da poco con l'attuale madrepatria; e anche la vivacità delle riflessioni politiche sull'identità sarda».
La entry (voce) è pronta e spedita a gennaio 2014, poi prende il via quella gimkana di controlli incrociati, di cui niente viene rivelato all'autore del breve saggio sulla Sardegna. Passa un anno: «Pensavo non se ne facesse più niente. Poi a gennaio 2015 mi comunicano che la mia voce sarà accolta nell'enciclopedia». Da allora è partita l'attività editoriale in vista della pubblicazione vera e propria, prevista per marzo. E che forse darà nuovi stimoli al dibattito isolano sull'identità e l'autogoverno.
IL SENSO POLITICO «Sia chiaro», precisa Carlo Pala, «dire che la Sardegna è una nazione non significa che debba essere anche uno Stato. Sono concetti distinti. Come ricercatore sono convinto che possiamo dirci nazione: e lo affermo sulla base di ragionamenti scientifici, ma pur sempre opinabili. Se poi la Sardegna possa o non possa aspirare a essere anche uno Stato, non è mio compito dirlo».
Però, aggiunge, il fatto che compaia la nazione sarda in quell'enciclopedia «è una certificazione importante. Poi ognuno può valutarla come ritiene, sotto il profilo politico. Certo», conclude Pala, «se questo mio lavoro desse un contributo al nostro dibattito interno mi farebbe molto piacere».
Giuseppe Meloni
 
L’UNIONE SARDA
4 – L’Unione Sarda
Provincia Medio Camp (Pagina 21 - Edizione CA)
“Bimbi a Bordo” con l'Università
GUSPINI. Accordo per far crescere il festival letterario
 
Il festival della letteratura per bambini “Bimbi a Bordo”, che si terrà a Guspini dal primo al 4 settembre 2016, farà un salto di qualità. Nell'organizzazione della manifestazione, giunta alla quarta edizione, avrà come partner principale l'Università di Cagliari.
La docente Mara Durante, direttrice scientifico della manifestazione, ha coinvolto i suoi colleghi universitari per predisporre il programma dell'evento di quest'anno. «“Bimbi a Bordo” è diventata in questi tre anni un'occasione di incontro, scambio e confronto con autori, illustratori, artisti che in maniera diversa hanno raccontato storie di vita e di relazioni umane, ma anche storie fantastiche ed avvincenti, facendosi promotori della lettura e dell'avvicinamento al libro quale fonte inesauribile e imprescindibile della conoscenza a tutte le età», afferma Matteo Puggioni, coordinatore dell'associazione In Coro, organizzatrice del festival.
Ogni edizione si è caratterizzata per un differente tema trattato, filo conduttore per tutti gli incontri di preparazione che precedono la festa finale. Per l'edizione 2016 il tema è “l'Altro è… l'Altrove. Incontrare le differenze e conoscere altri mondi”. Lo staff del festival e l'associazione “InCoro” intendono promuovere durante l'anno scolastico degli incontri di lettura in preparazione della festa.
Gian Paolo Pusceddu
 
L’UNIONE SARDA
5 – L’Unione Sarda
Provincia di Sassari (Pagina 26 - Edizione CA)
Città per la pace con “Senzatomica”
SASSARI. Mostra alla Frumentaria per il disarmo nucleare
 
La mostra si chiama "Senzatomica. Trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari" e le sue immagini sono un pugno in faccia. All'inaugurazione di sabato scorso l'amministrazione comunale di Sassari e l'università, hanno dichiarato l'appoggio totale alla creazione di una Convenzione Internazionale sulle Armi Nucleari finalizzata alla totale eliminazione degli ordigni nucleari. Lo scopo più immediato della campagna di sensibilizzazione, promossa dall'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai è dunque la creazione di un movimento di opinione volto all'elaborazione e adozione di una Convenzione internazionale sulle armi nucleari. La campagna Senzatomica s'inserisce nel decennio per il disarmo nucleare proclamato dall'ONU e ad essa aderiscono altri movimenti internazionali. Inaugurata nel 2007 a New York, la mostra è stata accolta in molti altri Paesi tra cui Canada, Nuova Zelanda, Nepal, Argentina, Serbia, Svizzera, Norvegia, Austria. Tutte le scuole possono visitare la mostra, dal 12 al 27 gennaio al palazzo della Frumentaria. (p. c.)
 

LA NUOVA SARDEGNA
6 – La Nuova Sardegna
Sardegna – pagina 2
Cisl critica sulla riforma sanitaria
I dubbi del sindacato: «Asl unica e riordino della rete non porteranno benefici»
 
SASSARI «La riforma della sanità in Sardegna è iniziata al contrario». Parola della Cisl regionale, che critica l’approccio della giunta regionale alla riforma sanitaria. Secondo il sindacato, la riforma ha due limiti fondamentali. Il primo: sarebbe dovuta partire dalla riorganizzazione e dal rafforzamento del territorio, per poi passare all’emergenza urgenza, arrivando solo a conclusione del processo all’eventuale ipotesi di riorganizzazione della rete ospedaliera. Ma non è tutto. «Il secondo limite – scrive in una nota il segretario regionale Cisl, Ignazio Ganga - è voler riordinare la rete ospedaliera considerando il tema della sanità un costo anzichè, come dovrebbe essere, un investimento». Dalla riorganizzazione del territorio – a giudizio della Cisl - si potrà riprogrammare un modello sanitario e socio assistenziale sardo capace di contenere, da un lato, le attuali distorsioni che hanno portato a quel costoso primato del 70% di ricoveri ospedalieri inopportuni più volte denunciati dalla Regione e dall’altro porre rimedio alla complicata questione delle lunghe liste d’attesa, parzialmente presa di petto dalle le misure di efficientamento del sistema salute regionale. «La costosa concezione ospedalocentrica – continua Ganga - si potrà attenuare soltanto gestendo la domanda di salute su centri di prossimità». Secondo il segretario, il progetto proposto dalla Regione, incontra reazioni negative «perché non dà serenità al territorio e rischia di mortificare e tagliare le legittime aspettative delle comunità locali». Asl unica. La Cisl sostiene che la rete territoriale, senza il potenziamento dei distretti, non potrà garantire alla Sardegna condizioni di omogeneità nell’offerta dei servizi alle persone. «L’eventuale scelta di una Asl unica dovrà essere seriamente meditata, per evitare pericolose concentrazioni di potere in ossequio a una futuribile quadratura dei conti piuttosto che sulla reale necessità di apportare beneficio al sistema sanitario regionale». L’aut aut. La Cisl chiede, inoltre, che non ci siano tagli nelle politiche a favore della non autosufficienza. «Qualora sul bilancio di prossima emanazione si dovessero riscontrare tagli rispetto alle reali necessità del sistema assistenziale regionale – conclude la nota - metteremo in campo dure forme di mobilitazione e di lotta». (s.s.)
 
LA NUOVA SARDEGNA
7 – La Nuova Sardegna
Fatto del giorno – pagina 3
Agricoltura: boom di imprese
In Sardegna è più 26 per cento
Incremento record nell’isola, che è prima in Italia. Nel 2015 gli occupati sono saliti a oltre 42mila
Coldiretti: «Molti di loro sono giovani laureati, raccogliamo il risultato di anni di impegno»
di Luca Rojch
 
SASSARI La rivincita del fascino della zappa. In tanti al posto fisso tra tavoli, pc, smartphone e email sembrano preferire il lavoro nei campi. La Sardegna ha il primato nazionale di incremento degli impiegati in agricoltura. La crescita è stata del 25,9 per cento in un anno. Le persone che hanno scoperto la vocazione agricola sono passate da 33mila a 42mila. Il boom. Un boom che non si può spiegare solo con un tuffo nella notte buia dell’economia isolana. L’agricoltura è uno dei pochi settori che sembra non conoscere crisi. Ma all’origine di questa rinascita c’è un cambio di mentalità. A scegliere di lavorare nei campi sono spesso i giovani. Il 35 per cento delle nuove aziende sono di under 35. «È vero – dice il presidente di Coldiretti Battista Cualbu –. I dati dell’Osservatorio del mercato e del lavoro, li avevamo già tra le mani. Crescono le imprese. Ma la notizia che sono i giovani a essere protagonisti di questa rinascita. Persone che scelgono di aprire una attività. Molti di loro, circa il 50 per cento, ha la laurea». Questione di brand. E Coldiretti mette in evidenza un altro aspetto. «Siamo davanti a un diverso approccio che si ha davanti a chi coltiva, alleva o produce vino – dice il direttore di Coldiretti Luca Saba –. L’attenzione della gente è diversa. C’è una cultura del cibo. Come e dove viene fatto diventa centrale. Basta pensare come vengono percepiti gli chef dopo il boom dei programmi televisivi». Il fenomeno. La crescita, certificata dai dati dell’Istat, sembra non arrestarsi. «Ci sono possibilità di una ulteriore crescita del settore – dice Cualbu –. Basta pensare a tutte le terre incolte che ci sono in Sardegna. Noi da tempo cerchiamo di trovare il modo perché queste aree vengano coltivate. Ma a essere cambiato è anche l’approccio. Sempre più scientifico e tecnologico. In particolare i giovani mostrano una grande capacità di sperimentare». Le spine. Ma non tutte le note sono positive. La crescita del settore è rallentata da alcune difficoltà che il settore agricolo si trascina. «Spesso le difficoltà maggiori sono legate dall’accesso al credito – continua Cualbu –. Anche se ora le banche hanno fatto qualche passo avanti. In particolare attraverso i finanziamenti a tasso zero per l’acquisto dei terreni e dei macchinari. A spingere su un rinnovamento ci sono anche i nuovi bandi del Psr che danno maggiori premialità per gli imprenditori che hanno meno di 40 anni». La lettura. Ma i dati di crescita sono legati anche a un altro aspetto. «Una parte di questi numeri è legata anche alla possibilità che i nuovi strumenti legislativi danno per regolarizziare i lavoratori – spiega il direttore Saba –. Ci sono sgravi per le assunzioni che hanno dato anche nuova linfa alle imprese. Accanto a questo fattore c’è il grande lavoro che in questi anni abbiamo fatto come Coldiretti. Le iniziative come Campagna amica sono servite per avvicinare i consumatori ai prodotti e alle imprese. E proprio questo lavoro ha consentito di valorizzare produzioni di eccellenza come vino e olio». E in un’isola che in questi anni ha registrato una continua emorragia di posti di lavoro l’agricoltura sembra essere una zona franca. In controtendenza ha continuato a crescere, fino al boom nazionale.
 
LA NUOVA SARDEGNA
8 – La Nuova Sardegna
Fatto del giorno – pagina 3
Dalla Bocconi alla campagna
La scelta di Daniela Scarpellino, laurea a Milano e imprenditrice agricola a Tula
 
SASSARI Non è affatto un ripiego. I giovani sardi ritornano a lavorare la terra, a mettere su allevamenti e piccole industrie agricole, ma la cosa più sorprendente è che per la maggior parte di loro è una scelta di vita, non certo una sconfitta. Secondo un recente sondaggio di Coldiretti il 57 per cento dei giovani preferirebbe gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in una multinazionale (18 per cento) o fare l'impiegato in banca (18 per cento). E tutto questo - altra sorpresa - con il placet di mamma e papà. Quasi un genitore su tre (29 per cento) consiglierebbe infatti ai propri figli di fare l'agricoltore. E ben il 55 per cento sarebbe contento se il figlio o la figlia sposasse un contadino. Ma al di là dei numeri ci sono le storie e i nomi di chi, pur con una laurea in tasca, ha scelto di indossare scarpe comode e sporcarsi le mani con la terra. C’è la storia di Daniela Scarpellino, 35 anni, due figli piccoli, genitori calabresi, titolare a Tula, nel cuore del Logudoro, di una fattoria ancora in fase di espansione ma che già produce 15mila barattoli all'anno di ottima marmellata. Tra le specialità: more selvatiche, pere e cannella, fichi e mirto, mela cotogna, ciliegie, prugne. Senza contare le arnie con le api dalle quali ottenere il miele. Nel cassetto una laurea in Scienze economiche e sociali alla Bocconi di Milano, Daniela ha deciso di realizzare il suo sogno. Ha scelto la campagna e la campagna la ripaga come un posto fisso o una scrivania di qualche multinazionale non avrebbero potuto fare. L'azienda agricola "Areste" sorge sulle colline di Monteudulu, sulla strada che da Tula conduce a Martis. Per quanto sembri incredibile, Daniela e il marito Alessandro, che ha sposato lei e la sua voglia di creare qualcosa di importante con le proprie mani, fanno tutto da soli. Al massimo con l'aiuto del papà di lui. Seminano, raccolgono la frutta, la fanno bollire, la trasformano in marmellata e la confezionano. Nell’isola le nuove aziende agricole gestite da infratrentenni sono passate da 252 del 2012 a 470 del 2014. Che ci sia una riscoperta della campagna come luogo per vivere e lavorare è confermato da un'analisi elaborata da Coldiretti sulla base degli ultimi dati raccolti dall'Istat: nel 2015 i giovani lavoratori agricoli indipendenti sono aumentati del 35 per cento rispetto all'anno precedente. E tra belle storie da raccontare che arrivano dalla campagna c’è quella di Giacomo Masia, giovane agricoltore sassarese che a luglio dello scorso anno si è aggiudicato il titolo regionale nella categoria We green e pochi mesi dopo, a Expo, ha ricevuto un riconoscimento importante, andando a un passo dall'Oscar Green per l'agricoltura sostenibile e innovativa. Masia ha una azienda agricola a Campanedda, tra Sassari e Porto Torres, dove coltiva erba medica, cereali e mais. Da qualche anno ha condiviso la scommessa di Matrìca dedicando i terreni, quelli marginali ed improduttivi, alla coltivazione di cardo. «È una piantagione che si regge con la pioggia e si adatta perfettamente al clima sardo - spiega il giovane imprenditore -. Si coltiva ogni sei anni e produce già dal primo. Insomma, mi consente di avere un reddito anche da quelle terre improduttive, e di farlo con coltivazioni a zero impatto ambientale».
 
LA NUOVA SARDEGNA
9 – La Nuova Sardegna
Fatto del giorno – pagina 3
Marco, il signore delle Limousine
Prima gli studi in economia, poi l’azienda modello con le mucche da record
di Serena Lullia
 
OLBIA Ha vestito di futuro un mestiere del passato, unendo i segreti della professione imparati dal nonno e dal padre allo sguardo innovativo dell’uomo moderno. Marco Asara, allevatore di 41 anni, ha fatto della sua azienda agricola una eccellenza certificata a livello internazionale. La carne delle sue limousine, super selezionate e nutrite solo con erba, è un modello di bontà inimitabile, apprezzata e studiata. Marchio Asara. Per il giovane allevatore mai nessun dubbio sulla scelta di cosa fare da grande. La campagna nel dna, una infanzia e una adolescenza vissute tra la azienda del babbo e gli uffici di Coldiretti, un percorso universitario in economia e commercio. Poi la decisione di dedicarsi in modo totale alla sua azienda e farla diventare moderna e all’avanguardia. «Posso dire di aver realizzato il mio sogno – commenta Asara –. La mia fortuna è stata avere una idea da giovane che è stata vincente». L’allevatore una volta alla guida dell’azienda del padre, inserisce nel parco vacche le limousine di razza francese. Se ne prende cura non solo garantendole una vita senza stress, ma anche creando per loro una dieta ad hoc. Stop all'alimentazione tradizionale dei cereali. Le limousine di Asara vanno a erba, spontanea e seminata. Gli effetti sulla carne sono straordinari. Ha caratteristiche uniche per tenerezza, colore, ha più proteine e meno grassi. Un prodotto di micronicchia, per cultori, venduto in modo diretto. L’allevatore viene ammesso nell'Ordine Escoffier, il prestigioso club della cucina internazionale e la sua azienda innovativa viene chiamata a partecipare all’Expo. «Sono soddisfatto di quanto ho realizzato fino a oggi – commenta –. E non mi stupisce che oggi tanti giovani si riavvicinino alle campagne. In passato si provava quasi imbarazzo a dire che si era allevatori o coltivatori diretti. Oggi c'è più attenzione al comparto. Negli anni, anche grazie alle battaglie fatte dai nostri padri questo mestiere ha riacquistato la dignità che merita». Nessuno però pensi che il lavoro in campagna possa essere concepito come 50 anni fa. «Il modello dell’allevatore che mungeva solo le pecore appartiene al passato e non potrebbe funzionare oggi – afferma Asara –. Al lavoro sul campo devono affiancarsi competenze, un percorso di ricerca, innovazione. Se fosse possibile mi piacerebbe che i miei figli portassero avanti la mia azienda. Io il mio sogno l'ho realizzato. Ma c’è molto da fare. Il futuro è nella ricerca».

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