Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
29 March 2015

 


RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI A CURA DELL’UFFICIO STAMPA DELL’ATENEO

L’UNIONE SARDA
1 – L’Unione Sarda
Agenda Cagliari (Pagina 26 - Edizione CA)
In Breve
Casa dello studente, tragedia sfiorata
 
Quanto accaduto nella Casa dello studente di via Trentino mi pare un fatto gravissimo. Far vivere gli studenti in case pericolose e pericolanti, soprattutto dopo i vari moniti lanciati alle varie amministrazioni regionali circa i limiti degli stabili, mi pare la prova di un'ennesima dichiarazione di disinteresse verso le condizioni della compagine studentesca. Chiedo alle istituzioni di constatare in prima persona le condizioni in cui versano alcuni studentati a Cagliari, e di erogare celermente i fondi necessari per garantire la massima sicurezza e incolumità degli studenti. Non è più tempo di far finta che il problema non esista. È successo negli ultimi anni nelle scuole superiori e ora anche nei centri accademici. Non ci si può riempire la bocca parlando di città universitaria se non si parte dai luoghi in cui gli studenti vivono.
Francesco Pitirra (cda Ersu)
 
L’UNIONE SARDA
2 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari (Pagina 21 - Edizione CA)
Studentessa al “Don Bosco”
Gara di Filosofia, una liceale vince le olimpiadi
 
È la cagliaritana Rosaria Caddeo, studentessa al quinto anno del liceo salesiano Don Bosco, la vincitrice della olimpiadi nazionali di Filosofia per i saggi in lingua straniera. La ragazza sarda si è aggiudicata il prestigioso riconoscimento giovedì scorso nella finale nazionale di Roma, a cui hanno partecipato oltre 80 tra i migliori studenti provenienti dai licei di tutta Italia. Adesso Rosaria avrà l'onore e l'onere di rappresentare l'Italia alle Olimpiadi internazionali che si svolgeranno a maggio a Tartu in Estonia.
Le olimpiadi di filosofia sono una iniziativa della società filosofia Italiana, in collaborazione con il Ministero dell'istruzione. Quest'anno ad organizzarela selezione regionale è stata la sezione universitaria di Sassari della società filosofica italiana, che ha sede presso il dipartimento di Storia dell'Università ed è presieduta da Carmelo Meazza. La gara regionale si è svolta il 28 febbraio presso il dipartimento di Storia dell'Università di Sassari. Due i vincitori: uno per i saggi in lingua italiana e uno per i saggi in lingua straniera. I primi due classificati, tra cui appunto Rosaria Caddeo, sono poi andati a Roma per la finale, accompagnati dal responsabile regionale dell'iniziativa, Giuseppe Pintus.
«Faccio i complimenti a Rosaria ma anche al suo professore di Filosofia Giuseppe Mocci - ha detto Pintus -. Questo risultato ci aiuta ad attestarci come una realtà significativa ed in grado di esprimere talenti ad altissimi livelli. Questo risultato ci incoraggia a continuare sulla strada di una collaborazione sempre più stretta tra mondo della scuola e Università».
 
L’UNIONE SARDA
3 – L’Unione Sarda
Cultura (Pagina 53 - Edizione CA)
Vent'anni senza Sergio/5 Anniversario della scomparsa
Atzeni, il Pci e il sogno deluso dell'uomo nuovo 
 
La vita cagliaritana di Sergio Atzeni credo la si debba vedere alla luce di quello che è successo dopo la rinuncia al lavoro sicuro, il distacco dagli affetti e dalla terra, il viaggio per le strade del mondo. Alla ricerca di qualcosa.
“Apologo del giudice bandito” (pubblicato da Sellerio nel 1986) dice nella nota di copertina: «a Cagliari vive e lavora come digitatore di calcolatori elettronici». L'anno successivo gli scenari saranno completamente diversi, nella precarietà delle dimore e delle improbabili attività dalle quali ricavare sostentamento, prima di trovare la strada che percorrerà nei pochi anni precedenti la morte: correttore di bozze, traduttore, scrittore apprezzato di un nuovo romanzo pubblicato da Sellerio (“Il figlio di Bakunìn”, 1991) e di un altro (“Il quinto passo è l'addio”) che esce nel 1995 per Mondadori. Nello stesso anno le acque di Carloforte se lo portarono via, in un momento alto della sua esistenza: aveva trovato stabilità sentimentale e lavorativa, lasciava inediti il romanzo “Passavamo sulla terra leggeri” e lo splendido racconto “Bellas Mariposas”.
Ma non è tutto, e ancora c'è da dire una cosa, forse la più importante per capire la traiettoria compiuta: era diventato cristiano, come dichiara in una lettera del 1987. Non un passo scontato, se pensiamo alla sua famiglia e al mondo nel quale era cresciuto. Il padre, Licio, era un dirigente del Partito comunista, forgiato nelle lotte minerarie del guspinese: mondo duro di resistenza antifascista, prima, e poi, nel dopoguerra, di difesa del posto di lavoro e richiesta di giustizia sociale. Scarso spazio per la religiosità, che ulteriormente veniva ristretto dalla scomunica lanciata da Pio XII contro i comunisti (1949). Quel che sta nel cuore di ciascuno è insondabile: all'esterno, nella vita quotidiana, contrapposizione politica ed esclusione di ogni riferimento alla spiritualità religiosa. Poi, quando Sergio aveva 16 anni, il Sessantotto irridente e la ricerca delle libertà dai condizionamenti: diviene un leaderino nel suo liceo, acquista ruolo nelle file dei giovani comunisti; anche se non sempre è facile essere figlio di un importante dirigente del PCI e vivere in contesti che oscillano tra le opposte attrazioni del consumismo capitalistico e del populismo di ispirazione cinese.
Accanto al padre, con cui inevitabilmente ogni figlio confligge, Sergio trovava - nella scuola che il PCI, nelle sue espressioni più nobili, ha saputo creare - altre figure importanti: quella di Giuseppe Podda, giornalista di sicuro talento che, in maniera brusca e con poche parole, insegnava le regole di una scrittura giornalistica incisiva e moderna, e quella di Umberto Cardia, dirigente colto e sensibile. Il suo fascino derivava dalla capacità di mostrare nella prassi un'idea di umanesimo socialista non totalizzante ma aperto al dialogo e al confronto: aveva la capacità di spiegare razionalmente la complessità del reale; sapeva rendere attiva la storia del passato come forza viva e incidente nell'oggi; vedeva, profeticamente, un ruolo possibile per i piccoli popoli con storie «peculiari e distinte»; aveva il fascino di un'oratoria non declamata e i suoi comizi in piazza erano sussurrati come una lezione che nel chiuso di un'aula descriva scenari prima impensabili.
Quando Sergio morì, Patrick Chamoiseau ci mandò, per la rivista che allora pubblicavamo, un intenso ricordo nel quale diceva che non aveva avuto bisogno di spiegare al traduttore sardo di “Texaco” le caratteristiche del mondo antillano e creolo raccontate in quel romanzo che parla del cammino di un popolo dominato per trovare se stesso e la sua libertà: Atzeni lo sapeva già. E lo sapeva perché Cardia aveva distillato, per Sergio e per gli altri come lui, la lezione che veniva dalla storia della Sardegna e dalla riflessione di chi lo aveva preceduto, in una sequenza, di cui sentiva di essere parte, che iniziava nell'antichità e nel Novecento culminava col nome di Antonio Gramsci.
Proprio Gramsci fu la causa di un episodio emblematico: avvenne nel 1988, quando Cardia pubblicò su L'Unità un articolo intitolato “Per Gramsci fu fatto tutto?” che suscitò una forsennata e cieca reazione da parte del gruppo dirigente del partito teso a difendere, forse per l'ultima volta, le sue verità, monolitiche quanto improbabili. L'anno dopo, Occhetto decreterà, infatti, la fine del comunismo italiano.
Atzeni, per parte sua, lo aveva già lasciato da tempo, il PCI: secondo la vulgata per la delusione patita in seguito a un concorso ingiustamente vinto da un altro. In realtà perché aveva capito, in anticipo, che quella storia era finita, che il comunismo non avrebbe mai costruito l'uomo nuovo del quale parlava. Sergio era affascinato da questa scommessa sociale, dall'idea che gli ultimi potessero diventare i primi, portando alla luce la propria ricchezza interiore, un patrimonio di moralità, di conoscenza, di capacità narrativa. E di linguaggi. Li guardava a bocca aperta, i compagni operai, artigiani, scaricatori di porto: bastasci che cercavano riscatto da una millenaria condizione di subalternità nella quale avevano imparato a usare tutte le lingue e mescolarle per costruire racconti favolosi.
Anche così ha imparato l'arte del narrare: in quella grande scuola del comunismo sardo che sapeva mettere insieme i premi Nobel con i braccianti, facendoli dialogare nella lingua del progetto per il futuro.
Giuseppe Marci

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