Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
19 December 2013

 


RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI A CURA DELL’UFFICIO STAMPA DELL’ATENEO

L’UNIONE SARDA
1 – L’Unione Sarda
Pagina 13 – Cronaca regionale
Il rimprovero della Corte
I giudici contabili sui finanziamenti alle università
 
La maggiore criticità è nella programmazione delle risorse. Poi ci sono aspetti connessi al ritardo sull'erogazione dei fondi e all'assenza di rendicontazioni precise su alcuni finanziamenti per i privati. La Corte dei Conti ha passato al setaccio le risorse regionali per il sistema universitario. «Questi fondi sono legati a una pianificazione da effettuare a monte e dovrebbero essere assegnati per programmi specifici», ha chiarito Roberto Angioni, che ieri ha illustrato i contenuti dell'indagine. «Tra il 2005 e il 2008 c'era una convenzione triennale, mentre per gli anni successivi si è operato in regime di proroga disposta tardivamente. Alle osservazioni della Corte, l'Università ha risposto con una programmazione triennale. Tra sei mesi verificheremo i risultati».
Nella relazione presentata da Angioni si fa riferimento ai 19 milioni di euro stanziati dalla Regione nel 2010 per gli atenei di Cagliari e di Sassari e ai 19 milioni 250mila euro e agli ulteriori 6 milioni previsti nel 2011. Al Consorzio Forgea International di Cagliari e all'Associazione istituzione libera università Nuorese Ailun, nel biennio 2010-11, sono stati erogati 6 milioni.
In una successiva audizione si è analizzata anche la gestione della società partecipata dalla Regione Fase 1 srl, che si occupa di ricerca e sviluppo nel settore farmaceutico. Dopo la relazione del consigliere della Corte, Valeria Motzo - che ha evidenziato la consistenza dei finanziamenti regionali alla società -, è intervenuto il direttore generale della presidenza della Regione, Gabriella Massidda. Il funzionario ha spiegato i passaggi che hanno portato a valutare la dimissione di Fase 1.
Eleonora Bullegas
 
L’UNIONE SARDA
2 – L’Unione Sarda
Pagina 31 – Cronaca di Cagliari
Il centro d'eccellenza
Rachele e Fabio, che hanno donato il midollo osseo
 
Ha gli occhi verdi e anche sorridenti. Racconta la sua avventura sotto i ferri con un filo di voce: «Ho provato un po' di dolore, ma è decisamente sopportabile, perché in cambio si salva una vita umana». Rachele Cardia ha 21 anni, è iscritta al terzo anno di Scienze Politiche, e a giugno ha deciso di donare il midollo osseo. «È stata una bellissima esperienza, la rifarei subito», dice. «A noi non costa niente, il midollo si riforma. In compenso possiamo aiutare qualcuno che sta male». I due giorni di ricovero al Binaghi, l'anestesia totale e le quattro ore in sala operatoria passano in secondo piano. Accanto a Rachele c'è Fabio Lucarelli, 26 anni, giardiniere. Anche la sua è una storia di generosità: «Qualche mese fa una mia amica ha scoperto di avere la leucemia, ho pensato di donare le cellule staminali sperando che fossero compatibili». Alla sua amica purtroppo non sono servite, ma hanno regalato una vita migliore a qualcun altro. Rachele e Fabio accendono i riflettori sulla grande cuore dei sardi. «Il centro di Cagliari è il terzo d'Italia come donazioni effettuate», fa sapere l'assessore alla Sanità Simona De Francisci. «E la Sardegna è la regione con il maggior numero di iscritti al Registro in rapporto alla popolazione». L'isola non ha rivali: ogni mille abitanti tra i 18 e i 55 anni ci sono 23,52 potenziali donatori. «Negli ultimi tre anni abbiamo registrato un notevole incremento», sottolinea Carlo Carcassi, responsabile del Centro trapianti regionale. «Siamo passati dalle 13 donazioni nel 2011 a 17 nel 2012».
Era il 1987 quando nella cattedra di genetica medica dell'università prese forma il Registro sardo dei donatori di midollo osseo. Il primo in Italia, merito dell'intuizione di Licinio Contu, pioniere delle ricerche genetiche: «Ricordo i primi due iscritti, marito e moglie, i coniugi Murgia». Da allora son passati più di venticinque anni: «Oggi i risultati in tutte le malattie indicate per un trapianto sono positivi», sottolinea Carcassi. Dal 1992, 170 sardi hanno donato il midollo, regalando una vita migliore a 83 persone nell'Isola, a 49 pazienti di altre regioni, a 30 ricoverati in strutture europee. E otto donazioni sono arrivate sino a Stati Uniti, Canada e Australia. «La Regione riserva al Registro e alle sua attività 250 mila euro di finanziamento ogni anno», osserva la De Francisci.
Sara Marci
 
L’UNIONE SARDA
3 – L’Unione Sarda
Pagina 68 – Cultura
Storia della Limba Comuna, dono per il popolo sovrano
«Un destino non più legato a un solo uomo»
Nuovo intervento nella discussione sull'uso della lingua sarda
Come contributo al dibattito aperto sull'uso della Lingua sarda, riceviamo e pubblichiamo questo intervento di Bartolomeo Porcheddu, docente a contratto nel corso di formazione insegnanti lingua sarda Laboratorio di Lingua sarda Università di Cagliari e autore della prima grammatica de sa limba sarda comuna.
 
È mai esistita nella storia della Sardegna una Limba Sarda Comuna? Quando si parla di Limba Sarda Comuna, di solito, si vuole intendere una varietà linguistica artificiale, fatta a tavolino dai linguisti per dare una forma scritta unitaria alla lingua sarda e mettere insieme Logudoresi e Campidanesi. Se noi accettiamo questa considerazione, dobbiamo affermare che la Limba Sarda Comuna è un'invenzione dei nostri giorni e che questa non ha nessun fondamento storico.
Nel Medioevo sardo, i giudici dei quattro regni di Torres, Gallura, Arborea e Cagliari avevano colmato la grandezza diatopica (differenza linguistica nel luogo) mettendo mano a una lingua scritta di “superstrato”, adattandola alle loro varianti locali. È in questo contesto che nasce la lingua sarda “Comune”, ovverosia la lingua scritta normalizzata, che non era la lingua parlata dal popolo, ma la lingua cancelleresca utilizzata dagli scrivani e dagli intellettuali del regno.
Per tanto, già da allora, noi abbiamo due forme di scrittura: una popolare, che troviamo per lo più nei condaghes, e una statuale, che veniva utilizzata negli atti notarili e nelle Carte de Logu.
Se fu abbastanza facile per i Logudoresi e per i Campidanesi dare regole precise alla loro lingua scritta, altrettanto semplice non fu il processo di normalizzazione mandato avanti dai giudici di Arborea. Il giudicato di Arborea racchiudeva entro i suoi confini storici una popolazione poco omogenea dal punto di vista linguistico. Infatti, gli scostamenti grafici (e per tanto fonetici) delle tredici curatorie (Barbagia di Belvì, Barbagia di Ollolai, Barigadu, Bonurzuli, Campidanu Majore, Campidanu di Milis, Guilcier, Mandrolisai, Marmilla, Montis, Usellus, Valenza e Brabaxiana) si possono rilevare nel condaghe di Santa Maria de Bonàrcado, in cui sono rappresentati quattro secoli di storia della scrittura popolare in Sardegna. Nonostante questo, la lingua arborense metteva insieme nella forma scritta logudorese e campidanese.
Nel 1353, con la guerra cominciata da Mariano IV d'Arborea contro il re di Aragona, la spada aprì la strada alla penna e la Lingua Arborense iniziò il suo cammino come lingua ufficiale dove aveva messo radici l'albero diradicato, simbolo nazionale arborense. La scrittura della nuova “Carta de Logu” da parte di Eleonora de Arborea, promulgata per tutti i Sardi, servì in seguito anche ai Catalano-Aragonesi quando, con la caduta del giudicato di Arborea (1420), avrebbero esteso la Carta arborense a tutti i paesi infeudati della Sardegna. La Carta de Logu, per tanto, non rappresentativa soltanto di un codice giuridico, ma anche un codice linguistico, che veniva preso come riferimento da chi doveva scrivere in sardo.
La Lingua Arborense riuscì a mantenersi in vita nella “Carta de Logu” fino al 1827, quando dovette lasciare il posto al Codice di Carlo Felice, scritto in italiano. Da questo momento la lingua sarda perse di ufficialità e i Sardi ne dispersero la memoria storica.
Oggi, quando si parla di Lingua Arborense, di solito, si vuole intendere la varietà linguistica parlata in quei paesi dell'Alto Oristanese, o di “mesania”, posti a confine tra le due macro varianti (logudorese e campidanese).
Per Arborense molti intendono anche la lingua utilizzata nella “Carta de Logu”; senza peraltro specificare di quale “Carta de Logu” si tratta, dal momento che il documento originario non è stato mai trovato e che l'incunabolo (prima edizione a stampa della fine del 1400) è senza dubbio il documento più rappresentativo della Lingua Arborense.
Infatti, se prendiamo in considerazione i tratti distintivi del logudorese e del campidanese presenti nell'incunabolo e li confrontiamo con quelli scelti dagli studiosi per scrivere le regole della Limba Sarda Comuna, ci rendiamo conto delle affinità tra queste due lingue normalizzate.
In altre parole, i linguisti di oggi hanno utilizzato per standardizzare la lingua sarda gli stessi parametri presi a riferimento dai loro omologhi settecento anni fa.
La differenza fondamentale tra la Lingua Arborense e la Limba Comuna non sta tanto nella fonetica o nella morfo-sintassi, poiché sono quasi uguali, quanto nel numero delle persone che possono utilizzare queste norme. Se nel Medioevo sardo la Lingua Arborense veniva utilizzata da pochi scrivani, oggi la Limba Comuna può essere utilizzata da tutto il popolo.
Se allora, caduto il re, anche la lingua aveva cessato di battere, ora il suo destino non è più legato a un uomo solo ma a tutto il popolo sovrano.
Bartolomeo Porcheddu
 
L’UNIONE SARDA
4 – L’Unione Sarda
Pagina 69 – Cultura
Su Piscina Nuxedda
Sardi e arabi, un convegno a Quartucciu
 
A Quartucciu l'Istituto di Storia dell'Europa mediterranea del Cnr organizza il convegno internazionale “Ripartendo da Piscina Nuxedda: la Sardegna, gli arabi e l'origine dei regni giudicali” in programma alla DoMusArt (ex Casa Angioni), in via Neghelli, oggi dalle 17. Gli organizzatori intendono attirare l'attenzione su uno dei momenti più significativi della storia della Sardegna e del Mediterraneo: la tentata conquista dell'isola da parte di Mughaid Al Amiri nel 1015. Alberto Boscolo, negli anni Settanta del secolo scorso, ipotizzò che lo sbarco fosse avvenuto nel sud dell'Isola, nel Regno giudicale di Càlari, e propose che la località Piscina Nuxedda fosse stata la base provvisoria della sua azione di conquista. Gli specialisti faranno il punto degli studi anche in base alle nuove acquisizioni storiografiche. Ma l'obiettivo principale del convegno è pensare a una grande iniziativa internazionale che, nel 2015, ricordi il millesimo anniversario di questo evento, coinvolgendo istituzioni internazionali e specialisti da tutto il bacino del Mediterraneo.
Ai lavori interverranno Maria Rosaria Manunza (Soprintendenza per i Beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano) su “Testimonianze archeologiche dell'entroterra cagliaritano tra VIII e IX secolo d.C.”, Donatella Salvi (archeologa) su “San Saturnino negli ultimi secoli del I millennio: pochi dati per molte ipotesi”, Rossana Martorelli (Università di Cagliari, Dipartimento di storia, beni culturali e territorio) su “Le conseguenze della tradizione storiografica sulla questione araba in Sardegna e il contributo dell'archeologia alla conoscenza dei secoli VIII-XI”, Corrado Zedda (Università di Corsica - Pasquale Paoli, Corte) su “Nuovi dati per la topografia della Cagliari giudicale”, Giovanni Serreli (Isem Cnr) su “Un Castrum de Mugete a Piscina Nuxedda (Quartucciu)?”. Sarà ospite del convegno il professor Alex Metcalfe dell'Università di Lancaster.
 

LA NUOVA SARDEGNA
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 8 - Sardegna
Regione e Università, un rapporto difficile
La Corte dei conti mette in evidenza i ritardi nell’erogazione dei fondi e la scarsa programmazione
 
CAGLIARI Ritardi nell’erogazione dei contributi e scarsa programmazione. Sono queste le zone d’ombra del difficile rapporto fra la Regione e le università di Cagliari e Sassari fino a «rendere complicata la verifica degli obiettivi raggiunti» A scriverlo è la sezione di controllo della Corte dei conti a conclusione dell’indagine sui finanziamenti pubblici (anni 2010 e 2011) agli atenei. Di fatto, con la firma dell’ultima convenzione, c’è stato un cambio di rotta, la programmazione ora è triennale, ma nel frattempo – hanno denunciato i rettori Giovanni Melis e Attilio Mastino – «il contributo è stato ridimensionato purtroppo nello stesso momento in cui nell’isola è aumentata la crisi economica e sociale, col risultato che le università da sole non possono farcela e non è pensabile che per recuperare nuove risorse aumentino ancora le tasse a carico degli studenti». Con la sua indagine, la Corte – come sottolineato dal relatore Roberto Angioni - ha dunque auspicato che «lo stanziamento complessivo di 25 milioni (il riferimento è al 2011, col 65 per cento destinato a Cagliari e la parte restante a Sassari) non solo sia erogato con puntualità, i ritardi nella media arrivano a due anni, ma che sia chiara anche la finalità degli stanziamenti, con una rendicontazione conclusiva (inesistente o quasi) per capire come sono stati spesi i finanziamenti pubblici». È proprio questa attività di controllo a valle che – secondo la Corte – permetterebbe di migliorare non solo i rapporti fra la Regione e le Università, ma soprattutto aumenterebbe la possibilità di raccogliere risultati, mentre oggi le statistiche dicono che «nell’anno accademico 2009, il 60 per cento degli studenti sardi era fuori corso contro una media nazionale del 46,8». Stesso discorso vale anche per la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica: i ritardi nell’erogazione dei fondi, oltre la continua contrazione degli stanziamenti, rischiano di rendere ancora più precario un settore invece nevralgico per il futuro economico dell’isola. Nella stessa seduta, la Corte ha discusso anche i bilanci della società in house della Regione «Fase 1», che si occupa di sperimentazione farmaceutica. A sette anni dalla sua costituzione, la conclusione della relatrice Valeria Motzo è stata impietosa: «Costa troppo (un milione e mezzo di finanziamento negli esercizi 2011 e 2012) e non produce ricavi tanto che senza il sostegno pubblico non avrebbe alcuna possibilità di proseguire l’attività». I margini di incertezza – è scritto nella relazione – «sono così ancora molto elevati a causa del personale e delle consulenze, mentre continuano a essere scarsi i proventi nonostante un ultimo leggero miglioramento». Risultato: la giunta regionale ha pronta una delibera che accorperà «Fase 1» all’Azienda ospedaliera Brotzu, ed è questa anche la soluzione prospettata dall’amministratore della società, Giampaolo Pilleri. (ua)
 
LA NUOVA SARDEGNA
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 22 - Sassari
CAMERA DI COMMERCIO
Mediazione civile, domani un confronto tra gli esperti
 
SASSARI Domani alle 15.30 nella sala convegni della Camera di commercio si terrà un incontro di studi sulle regole di funzionamento della mediazione civile che il governo Letta ha reso nuovamente obbligatoria in diverse e importanti materie (dal condominio alle locazioni), imponendo alle parti di far precedere il contenzioso in sede giudiziaria dal tentativo di raggiungere un accordo di fronte ad una terza persona in possesso del titolo di “mediatore”. L’idea dell'incontro nasce dall'esigenza di offrire una prima occasione di confronto frachi dovrà applicare le norme sulla nuova mediazione. All’iniziativa hanno aderito gli Ordini degli Avvocati e dei Medici di Sassari, il Consiglio notarile di Sassari, Nuoro e Tempio, l’Aou e la Banca di Sassari. Interverranno Pietro Fanile, presidente del tribunale e Rita Nonnis, vicepresidente dell’Ordine dei Medici. Coordinati dall'avvocato Giuseppe Bassu gli interventi saranno aperti dall’avvocato Antonio Moro, responsabile della sede di Sassari dell’organismo di mediazione “101mediatori”.
 
LA NUOVA SARDEGNA
7 – La Nuova Sardegna
Pagina 33 - Cultura-Spettacoli
Il pascolo, gli alberi e l’identità Meriagos, territori da salvare
Domani a Sassari la prima di “I pastori custodi del paesaggio della Sardegna” Se l'agricoltura arreda un territorio, è l’allevamento ad arredare quello dell’isola
di Giuseppe Pulina
 
Il paesaggio, definito dalla Convenzione Europea del Paesaggio (2000) come “una determinata parte del territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dallo loro interrelazioni”, è una risorsa primaria della Sardegna. Il paesaggio zootecnico, essendo quello più diffuso e caratterizzante il territorio rurale dell'Isola (si stima che oltre il 70% del regione ricada sotto questa tipologia), acquisisce un valore culturale speciale e rappresenta risorsa economica basilare e aspetto essenziale del quadro di vita delle popolazioni rurali, delle identità e delle diversità locali. La Sardegna è forgiata dal paesaggio zootecnico, definendosi quest'ultimo come “il paesaggio tipico delle aree rurali dove l'attività agricola è, per motivi ambientali, sociali e/o economici, prevalentemente o esclusivamente costituita da sistemi di allevamento basati sull'utilizzo di prati o di pascoli”. Gli elementi agroecosistemici costitutivi del paesaggio zootecnico sardo sono i pascoli permanenti (o praterie) e i Meriagos (detti anche pascoli arborati), in cui prevalgono gli ovini, e i cespugliati utilizzati prevalentemente dai caprini, ma anche dai bovini rustici. I pascoli permanentemente inerbiti, straordinario serbatoio di biodiversità e componenti essenziali del mosaico paesaggistico dell'Isola, occupano circa 1 milione di ettari. La loro diffusione dipende dalla grande importanza che l'allevamento ovino da latte ha in Sardegna. Le pecore da latte, infatti, hanno un comportamento alimentare da “grazers” in quanto sfruttano con grande efficienza il piano erbaceo (che costituisce il 90% del consumo alimentare annuo), ma non sono altrettanto efficaci su arbusti e alberi. Anche se è difficile da credere, i pascoli sono superfici artificiali (seppure interbite naturalmente) in disequilibrio con il clima mediterraneo e la pedologia dell'Isola: se non utilizzata razionalmente, infatti, la vegetazione tende ad evolvere verso la macchia e la macchia-foresta, nel caso di sotto pascolamento, o verso la desertificazione, in caso di sovra pascolamento. Il pascolamento degli ovini da latte e dei bovini con carichi commisurati alla produttività del pascolo e al tipo del suolo è, pertanto, il principale veicolo per il mantenimento di queste superfici. Sono tuttavia da consigliare anche altre cure agronomiche, quali il decespugliamento meccanico e lo sfalcio da effettuarsi a cedenza periodica, al fine del mantenimento delle cotiche nelle migliori condizioni. I Meriagos (dall'etimo sardo meriàgu che indica un luogo ombroso, ma anche un grande albero a fisionomia tipica con chioma espansa, che protegge il bestiame dal sole estivo) sono il confine fra prateria e foresta. Queste formazioni, indicate con le dominazioni di Dehesas in Spagna e di Montados in Portogallo, dominano uno dei paesaggi più caratteristici del Mediterraneo costituiti da praterie alberate, caratterizzate da densità di 40-120 alberi ad ettaro, già compresi tra gli habitat comunitari di cui alla Direttiva CE 43/92. Con il termine plurale (Meriagos) denominiamo in Sardegna i paesaggi caratterizzati da diversi grandi alberi a fisionomia tipica, anche in relazione a vari toponimi sparsi nel territorio isolano che sicuramente si riferivano a queste formazioni. Il principale problema che affligge i Meriagos, che rappresentano circa un terzo dell'intera area forestale dell'Isola (circa 350.000 ha), è la loro conservazione: oggi purtroppo è evidente che il piano arboreo (grandi alberi forestali) sta diventando largamente insufficiente ad assicurarne il mantenimento in quanto si rileva una profonda alterazione della rinnovazione degli alberi forestali (semenzali, ricacci, giovani polloni). Le cause principali della degradazione sono da ascrivere alle lavorazioni profonde, agli incendi e al sovra pascolamento. Un aspetto particolare riguarda, inoltre, la recrudescenza degli attacchi di Lymantria dispar, lepidottero defogliatore del piano arboreo che non é più limitato dal parassita naturale Blepharipa pratenis dittero tachinide che sverna al livello del suolo per buona parte dell'anno allo stadio di pupa. La rimozione della lettiera di foglie sotto la chioma con le aratura e gli incendi crea condizioni sfavorevoli alla sopravvivenza di questo utile insetto. Per quanto riguarda i caprini, occorre premettere che essi presentano un comportamento alimentare da "browsers" (~50% della razione annualmente assunta al pascolo è costituita da essenze legnose) per cui i comprensori nei quali prevale questo tipo di allevamento sono caratterizzati da un paesaggio a macchia mediterranea (mattoral). Le superfici coperte da queste formazioni, interessate dall'esercizio delle attività zootecniche, raggiungono in Sardegna i 250.000 ha. In queste aree il pascolamento degli ungulati domestici rappresenta, se non l'unica, la principale modalità di utilizzazione economica: la macchia fornisce, infatti, risorse foraggere tutto l'anno, in particolare in estate costituendo dal 20 al 70% della razione alimentare. Pensare ad una Sardegna senza zootecnia significa cambiarle i connotati. Un programma di governo che abbia al centro il paesaggio, pertanto, non può fare a meno di considerare le azioni di manutenzione e salvaguardia che gli allevatori che governano i propri animali al pascolo svolgono nel territorio. Oltre alla necessaria prevenzione dagli incendi, i paesaggi zootecnici sardi si difendono con l'incentivazione delle tecniche di coltivazione e utilizzazione razionali delle superfici erbacee, con il riconoscimento dei Meriagos quali tipologie autonome (e non banalmente pascoli arborati oppure superfici silvane a copertura rada) e con la valorizzazione dei cespugliati, oggi relegati al rango di "terreni sporchi" o, peggio, di tare improduttive. Se è vero che l'agricoltura arreda un territorio, è altrettanto vero che la zootecnia arreda la maggior parte di quelli della Sardegna. Salvaguardare il principale paesaggio identitario della nostra Isola senza gli allevatori e i loro animali sarebbe di fatto impossibile.
 
LA NUOVA SARDEGNA
8 – La Nuova Sardegna
Pagina 27 - Ed_Oristano
DORGALI
Una tesi sulle cooperative
La storia dei consorzi nello studio di Pinuccia Flore
 
DORGALI Sala convegni della Cantina sociale troppo piccola per contenere la gente che non è voluta mancare all’appuntamento, con un pezzo di storia del paese. In programma c’era la presentazione del libro “Il movimento cooperativo a Dorgali”, commissionato da Legacoop Nuoro e Ogliastra e dal comune di Dorgali e scritto da Pinuccia Flore, giovane dorgalese, laureata in beni culturali e storia dell’arte a Pisa. Opera realizzata grazie ad un finanziamento della Fondazione Banco di Sardegna. Dopo i saluti del sindaco Angelo Carta, del vice Prefetto di Nuoro, Giovanni Meloni, del vescovo Mosè Marcia e del presidente di Legacoop Nuoro e Ogliastra Totoni Sanna, il giornalista dell’Unione Sarda, Michele Tatti ha presentato il libro con un’intervista finale ad alcuni protagonisti delle cooperative ai quali è stata consegneranno una pergamena. «Ho fatto una ricerca sulla cooperazione analizzando non solo le cooperative ancora in attività ma tutte quelle che si sono formate a partire dalla seconda metà del 1800, dalle prime società di Mutuo Soccorso fino agli inizi del 1900 con la Cooperativa Buon Cammino – ha spiegato l’autrice – Per poi andare a finire con le cooperative del secondo dopo guerra molte delle quali sono ancora in attività». «Si parla – ha concluso Flore – delle cooperative agricole come la Rinascita Agraria, l’Oleficio, Dorrisolo e ancora, la Cooperativa Dorgali pastori quelle edili come la Ceep, artigiane e artistiche per arrivare alle cooperative turistiche degli albergatori e Ghivine oltreché quelle a scopo sociale come Arcobaleno ecc”. (n.mugg.)

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