Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
12 May 2013

 


RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI A CURA DELL’UFFICIO STAMPA DELL’ATENEO

L’UNIONE SARDA
1 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari (Pagina 26 - Edizione CA)
A lezione dal “re delle cupole”
L’archistar Carola: così si costruisce a chilometri zero
ARCHITETTURA. All’hotel Mediterraneo il convegno organizzato da Claudia Zuncheddu
 
Dice che la scoperta del compasso nubiano, un arcaico strumento usato dalle genti del Nilo per realizzare case a cupola con la terra cruda, gli ha spalancato un mondo. Facendolo riflettere sul senso stesso dell’esistenza, perché «come quelle volte e quegli archi si sorreggono solo grazie all’aiuto di ogni mattone così noi dovremmo abbandonare la competizione e ripartire dalla condivisione, dove ognuno trova il suo spazio e fa secondo le sue capacità».
IL SIGNORE DELLE CUPOLE È stata una lezione di vita e di etica, più che di tecnica della costruzione, quella impartita ieri da Fabrizio Carola al convegno “Antiche tecnologie per una nuova architettura in tempi di decrescita”, organizzato all’Hotel Mediterraneo dal consigliere regionale di Sardigna Libera Claudia Zuncheddu. Ottanta anni, napoletano, studi a Bruxelles alla scuola di Van de Velde, Carola vive dal 1971 in Africa, principalmente in Mali. E lì ha realizzato ospedali (famosissimo il Kaedi Regional in Mauritania), centri per bambini orfani, mercati delle erbe e persino alberghi. Usando sempre il compasso nubiano, seppur perfezionato, per costruire strutture a cupola. E sfruttando solo materie prime e manodopera del posto. A chilometri zero, come si dice oggi. «Per cuocere i mattoni - spiega a una platea rapita - ho scoperto che potevo usare la pulla di riso, dalla cui combustione si ricava poi una cenere che li rende ancora più resistenti». Un concetto semplice quanto rivoluzionario: non c’è bisogno del cemento armato per costruire case in cui vivere comodi e in armonia con l’ambiente, basta guardarsi attorno e scegliere, perché c’è tutto ciò che ci serve.
LA SARDEGNA Una filosofia che in Sardegna, dopo decenni di cementificazione selvaggia, ha iniziato a farsi largo dagli anni Novanta, con la riscoperta dei centri storici e delle abitazioni tradizionali in pietra. «Gavoi ad esempio è un luogo straordinario in questo senso - spiega Antonello Sanna, architetto dei luoghi e docente all’università di Cagliari -. L’uomo di oggi ha bisogno di radici, così come la lingua è il fondamento dell’identità immateriale, le case sono lo spazio fisico in cui questa identità prende forma». La pietra, il ruvido granito, ma anche la terra cruda. Tecniche tradizionali, che paradossalmente costano molto di più di quelle moderne, come sa chi ha ristrutturato un’abitazione antica. «Costruire con materiali a chilometri zero diventa più conveniente - controbatte Sanna -, a patto però che il mercato edilizio si converta e ricostituisca la filiera, per uscire dalla crisi attuale serve scommettere sulla qualità».
GLI ALTRI INTERVENTI Spazio poi a Vincenzo Megaleddu, presidente dell’associazione medici per l’ambiente, che ha parlato di sviluppo ecocompatibile e sostenibile, puntando il dito contro quanti hanno trasformato la Sardegna nella regione più inquinata d’Italia. E poi il giornalista Giulietto Chiesa, con la sua relazione sulla valorizzazione delle economie locali e tradizionali. Infine le conclusioni affidate alla padrona di casa Claudia Zuncheddu «sulla metamorfosi forzata del territorio sardo e sulle reazioni e proposte delle collettività sarde». Ma la star del giorno resta Carola, il signore delle cupole: «Vi consegno un’utopia per il 2111 - è il suo ultimo messaggio -, un mondo dove non ci sono più denaro e diffidenza, la creatività si è liberata e le persone lavorano il necessario». Impossibile? «Anche a Leonardo dissero che l’uomo non poteva volare».
Massimo Ledda
 
L’UNIONE SARDA
2 – L’Unione Sarda
Cultura (Pagina 48 - Edizione CA)
Dall’Università di Chicago a Cagliari, come visiting professor
«L’Italia è il paese più colto ma il meno originale»
Paolo Cherchi, la leggerezza dell’erudizione
 
Altri si sarebbero dati arie, ad avere per vicini di casa sei premi Nobel. Lui no. Condividere per venticinque anni l’ascensore con Bellow, Friedman, Stigler, Chandrasekhar, Cronin e Huggins, gli è servito per esaltare quella modestia che gli appartiene da sempre. Oschirese, settantasei anni appena compiuti, fratello di Placido, antropologo, Paolo Cherchi dalla Sardegna è andato via una cinquantina d’anni fa, per intraprendere a Chicago una carriera che lo ha portato a diventare uno dei filologi e storici della letteratura più noti a livello internazionale. E da Chicago - dove è tornato a vivere nel 2009 dopo sette anni di insegnamento all’Università di Ferrara - è approdato di recente a Cagliari, per quattro seminari seguitissimi, l’ultimo sulla leggerezza dell’erudizione, che così tanto gli appartiene. A invitarlo all’interno del programma visiting professor istituito dalla Regione, a nome del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica, la professoressa Gonaria Floris, docente di Letteratura Italiana. Un tour de force che ha portato il professore a presentare il libro della sua ex allieva Giuliana Adamo sull’amico Vittore Bocchetta, e a partecipare alla presentazione del volume Cuec (sua l’introduzione) dei “Diez libros della Fortuna de amor” di Antonio Lo Frasso: uno dei suoi innumerevoli oggetti di studio, proprio come quel “Tirant lo Blanc” di Joanot Martorell appena pubblicato da Einaudi e da lui curato.
Misurato, carismatico, ricco di humour, Paolo Cherchi ha il dono di dire con disarmante chiarezza cose complesse. Di estrarre la leggerezza dalla profondità del pensiero, dice Gonaria Floris, che lo definisce con affettuosa ironia un piccolo mamuthone. Lui abbozza un sorriso. Non è uomo di parole inutili, ognuna ha il suo peso, e le sue pause. Con la Sardegna ha fatto finalmente pace. «Non la amavo, non sopportavo l’esaltazione del campanile, il culto esasperato dell’identità». Adesso sorride, se gli fai notare che conserva l’accento della sua terra, dopo cinquant’anni di Stati Uniti. «Ci finii per caso. Dopo gli studi madrileni sul “Don Chisciotte”, seguiti alla laurea a Cagliari, avevo una indefinibile nostalgia di un altro mondo. Così andai a Berkeley e poi a Chicago. Avevo lasciato un’Italia segnata dalla scuola marxista di Petronio, in America cominciava a prender piede lo strutturalismo che per me era borghese. Tornai in Italia, e trovai tutti strutturalisti. Capii subito che avevo perso il treno, così ripartii».
Professore, che cosa ha trovato negli Stati Uniti, tanti anni fa, strutturalismo a parte?
«L’America mi ha liberato dalla componente ideologica e mi ha dato biblioteche splendide, permettendomi di lavorare come volevo. Certo, è difficile inserirsi bene, se fai Letteratura Italiana. Allora mi sono dedicato soprattutto alla Filologia Romanza, più europea. Ho conosciuto veri maestri, su tutti Arnaldo Momigliano, ho frequentato medievalisti di primissimo ordine, e non ho mai portato la borsa a nessuno. Chicago offre moltissimo. Ha una grande scuola, è tra le università col numero più alto di Nobel».
Ora lei è professore emerito…
«Emerito significa semplicemente a riposo. In America non c’è l’obbligo della pensione, ma incentivano l’uscita per dare spazio ai giovani. Così a 67 anni sono andato via e ho accettato di andare a Ferrara, come professore di chiara fama. Dopo sette anni sono tornato a Chicago. La vita è lì, con mia moglie Judy Kafka, mio figlio Marcello. Sono ebrei. Mi hanno messo in minoranza. In America la religione è molto importante. Gramsci diceva che in Europa ci sono due grandi religioni e duecento partiti politici, in America il contrario».
Come funziona negli Usa il sistema universitario?
«Se uno vuole studiare ci riesce. Se si laurea viene stipendiato. La selezione avviene prima. Diciamo che la massa paga, chi emerge viene pagato. E poi ci sono scuole pubbliche, come Berkeley. Altrimenti c’è il prestito. Si restituiscono i soldi quando trovi un lavoro. Quanto al livello di istruzione, il Sessantotto ha portato in auge il tema della relevance: chi se ne frega del latino? A che cosa serve? Questo ha abbassato il tono delle scuole. Va invece benissimo il mondo delle scienze. L’America è all’avanguardia».
Come sta la Letteratura Italiana negli Usa?
«Si legge, alcuni autori sono molto apprezzati. Su tutti Calvino, Svevo, Pirandello. Camilleri? Difficile da tradurre».
E L’Italia vista dall’America? Il 2013 è l’anno della cultura italiana…
«Sì, stanno preparando una serie di iniziative. L’Italia è molto amata. La moda, il design, la cucina, per non parlare della lirica. E finalmente non è più vista come la terra dei gangster. La politica è ritenuta una sorta di barzelletta, ma piace la capacità degli italiani di risolvere le situazioni più difficili. Sul fronte degli studi, io credo che l’Italia sia il paese più colto dell’Europa ma non è uno dei più originali. La Francia ha più coraggio».
Suo padre era un poeta…
«Conoscevo centinaia di poesie a memoria, scriveva contro preti, prostitute, politici, era una sorta di igiene mentale la sua. “Ho scritto più di Virgilio, Dante e Milton messi insieme”, disse un giorno a mio fratello».
“Erostrati e astripeti” è il titolo di un suo libro pubblicato dal Maestrale. Dove gli astripeti, termine dantesco, aspirano alle stelle e gli erostrati sono pronti a tutto pur di attirare l’attenzione, come Erostrato che incendiò il tempio di Diana ad Efeso per passare alla storia.. Ne conosce molti?
«Io sono convinto che quelli che studiano letteratura abbiano in sé un po’ di Erostrato, perché aspirano all’immortalità».
Maria Paola Masala
 
L’UNIONE SARDA
3 – L’Unione Sarda
Cultura (Pagina 48 - Edizione CA)
Un saggio di Barbagallo
La questione meridionale, pretesti e verità
 
Le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia hanno riproposto la polemica sulle differenze tra Nord e Sud. Controversie e strumentalizzazioni hanno caratterizzato un dibattito vivace, spesso condizionato dalle logiche di appartenenza politica. Un utile strumento per non farsi condizionare da luoghi comuni e banalizzazioni è l’ultimo volume di Francesco Barbagallo La questione italiana. Il Nord e il Sud dal 1860 a oggi, (Laterza, pp. 238, € 19).
Il lavoro dello storico, docente di storia contemporanea all’Università “Federico II” di Napoli, si fa apprezzare per il suo respiro di lungo periodo, tale da coprire tutta l’esperienza unitaria italiana. Una tesi, sin dalle prime pagine, appare centrale nel volume: la questione meridionale, e tutta la polemica sul meridionalismo, non sono stati un’invenzione letteraria o culturale, quanto piuttosto uno dei punti fondamentali per comprendere le contraddizioni e le peculiarità del caso italiano. Barbagallo smonta efficacemente le retoriche revisioniste degli ultimi anni, frutto di pretestuose diatribe giornalistiche e polemiche generate ad arte anche per alimentare un fiorente mercato editoriale, sulle colpe derivanti dal processo di unificazione e su quelli che sarebbero stati i meriti e i fattori positivi dei vari poteri locali antecedenti il 17 marzo 1861. Un discorso frutto di un’abile invenzione, stimolata anche da improbabili retoriche politiche come quella leghista in merito alle ambizioni della cosiddetta “Padania”.
I ritardi del Mezzogiorno furono affrontati dalla classe dirigente liberale come problema politico generale, da inquadrare nel rilancio dell’economia italiana. Un colpo alla possibilità di un superamento del divario tra Nord e Sud fu assestato dalla Grande Guerra, in quanto divenne prioritario rilanciare la riconversione dell’industria settentrionale da bellica in civile. Il fascismo aumentò il divario: per Mussolini la questione meridionale non esisteva. La nascita della Repubblica aprì una stagione di riflessione tra il 1950 e il 1975 sul problema del divario tra Nord e Sud che coinvolse sia le forze di governo che quelle di opposizione. Il fallimento del processo di industrializzazione del Mezzogiorno, si pensi al caso sardo, segnò però un punto di grave arretramento, dopo il quale il Sud vide aumentare i suoi problemi strutturali. Dal libro si deduce che solo l’efficienza economica e l’inclusione sociale possono diventare gli assi centrali per un rilancio del Mezzogiorno, in un percorso di crescita che, come recita il programma “Europa 2020”, sia intelligente e sostenibile. Occorre uno scatto di qualità del sistema politico ed economico e una nuova attenzione verso le potenzialità del Mediterraneo, crocevia di economie mondiali. Orizzonte che l’Italia potrà raggiungere solo se saprà riflettere sulla sua storia passata.
Gianluca Scroccu
 
L’UNIONE SARDA
4 – L’Unione Sarda
Provincia Medio Camp (Pagina 34 - Edizione PC)
Villanovaforru
Una notte al museo con premio finale
 
Di notte alla scoperta dei reperti archeologici che raccontano il passato della Marmilla. E con la possibilità di immortalarli con una fotocamera e vincere una ceramica realizzata con le tecniche decorative dei nuragici. Il Comune di Villanovaforru ha aderito ancora all’iniziativa nazionale Notte dei Musei prevista sabato. A curare l’evento la cooperativa Turismo in Marmilla che prolungherà l’orario di apertura del museo Genna Maria dalle 21 alle 24 e con ingresso gratuito. Un’opportunità di ammirare i reperti custoditi nell’ex Montegranatico di Villanovaforru sino a tarda notte e col piacere di assistere alle 21,30 alla presentazione del libro Le Torri di Atlantide di Fabrizio Frongia con la partecipazione di Giulio Angioni dell’Università di Cagliari, Alessandro Usai della Soprintendenza ed il direttore del museo Mauro Perra. «I visitatori potranno raccontare la notte al museo postando le loro foto su Instagram e vincere una pintadera della ceramista Roberta Cabiddu», ha annunciato la presidente di Turismo in Marmilla Vilma Pilloni.
Antonio Pintori
 

LA NUOVA SARDEGNA
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 25 - Ed_Cagliari
LA POLEMICA
Per i Fondi europei la Sardegna è tra le regioni virtuose
di GIANLUCA CADEDDU
 
È regola e prassi, nonché sano gioco dei ruoli istituzionali, che i controlli in capo ai Servizi della Commissione si sostanzino in osservazioni sulla chiusura dei Programmi - che di per sé non producono effetti immediati sull’importo del saldo - dando l’avvio a un contraddittorio a cui risponde l’amministrazione regionale titolare della gestione, avocando a sé anche responsabilità dell’universo dei soggetti pubblici e privati del territorio, che di quelle risorse dispongono fattivamente per l’attuazione di progetti . Si chiama tecnicamente "negoziato" e la Regione Sardegna può orgogliosamente considerarsi regione virtuosa in termini di rispetto delle procedure e scadenze, pure assai complesse e stringenti. Desta, quindi, preoccupazione l’uso strumentale di dati, la cui esistenza è nota unicamente a funzionari europei che hanno evidentemente accesso a fonti "riservate". Dati mai trasmessi in via ufficiale, tantomeno comunicati in via ufficiosa all’amministrazione regionale, istituzionalmente responsabile della gestione dei fondi e, pertanto, interlocutore primo e diretto dei Servizi della Commissione. Dati alla mano, la Regione Sardegna, come peraltro ufficialmente confermato dal ministro Barca, ha realizzato alla scadenza del 2012 un surplus di spesa pari a circa quattro milioni di euro (per la precisione 3.918.693,52 euro) a cui, per "zelo tecnico" si deve aggiungere la quota di cofinanziamento dello Stato per ulteriori 1,3 milioni di euro. Quindi non 4 milioni in meno risultano ai dati ufficiali, ma almeno 4 in più. Sempre dati alla mano (e sempre dalle istituzionalmente deputate fonti ufficiali), la Regione Sardegna si colloca, nella gestione del POR FESR, non al terzo ma "solo" al quarto posto per performance di spesa tra le Regioni "competitive" del Paese, con un 48% di spesa realizzata, a fronte di una media nazionale del 45,5%. Il terzo posto però si conquista se si sommano entrambi i fondi strutturali, FESR e FSE.
Tutto questo alla luce del fatto che sulla stampa regionale è apparso un articolo di Andrea Murgia con commenti poco lusinghieri sulla gestione dei fondi strutturali in Sardegna. A parte il contenuto (impreciso quando non volontariamente inesatto) la cosa che colpisce di più è la qualifica dello scrivente, che si autodefinisce "funzionario della Commissione europea". Eravamo abituati ad un comportamento tra istituzioni basato sulla correttezza e sulla leale collaborazione. Di solito le interlocuzioni tra istituzioni si basano su comunicazioni anche informali, ma mai a mezzo stampa. Anche i commenti sulla posizione negoziale nella nuova programmazione della Regione Sardegna appaiono quanto meno curiosi. E’ vero che la Regione Sardegna, anche in contrasto con la posizione nazionale, si è battuta per l’inserimento della categoria delle regioni in transizione, ma in buona compagnia, ad esempio il Consiglio regionale sardo ha adottato nella Commissione competente una risoluzione in questo senso, il parere del Comitato delle Regioni dell’Unione europea ha la stessa posizione. L’articolo sembra far credere che tale posizione abbia danneggiato la Sardegna. Chiediamo all’illustre commentatore se abbia fatto i calcoli di quanto sarebbe potuto essere assegnato alla Regione Sardegna se non ci fosse stata tale categoria intermedia. Molto ma molto meno della quantità, benché ridotta rispetto al periodo precedente, che circola nelle tabelle degli uffici regionali.
Direttore del Centro regionale di Programmazione e Autorità di gestione dei Fondi comunitari
 
LA NUOVA SARDEGNA
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 27 - Ed_Cagliari
convegno alla Marina
In ricordo delle bombe del 1943
Riflessioni sull’opera dei parroci in quelle tragiche giornate
 
CAGLIARI La Chiesa nei giorni tremendi dei bombardamenti del 1943 non lasciò soli i cagliaritani. Fra Nicola da Gestori, nel convento di Sant’Ignazio continuò ad assicurare un piatto di minestra ai poveri; don Mosè Farci, parroco a San Lucifero, rimase vicino, come altri sacerdoti, agli abitanti di via Logudoro, via Sonnino e via XX Settembre. Solidarietà e aiuti dai frati conventuali dell’Annunziata. L’arcivescovo Ernesto Maria Piovella fu costretto, quasi a forza, a lasciare la città e trasferirsi prima a Dolianova e poi a Nurri. Domani con inizio alle 16,30, nella chiesa di Sant’Eulalia, momento di riflessione e memoria, in occasione del 70esimo anniversario dei bombardamenti. Una tavola rotonda dal tema “1943. Bombardamenti su Cagliari. Nella memoria degli afflitti, la presenza della Chiesa. Testimonianze” è stata organizzata dalla Parrocchia di Sant’Eulalia e dalla Vicaria della Cattedrale (le parrocchie del Centro storico), in collaborazione con Congregazione del Santissimo Sacramento della Marina, Fondazione Asilo Marina e Stampace, C.S.V. Sardegna Solidale. Coordinerà i lavori Pasquale Mistretta (Magnifico Rettore Emerito dell’Università). Dopo i saluti dell’arcivescovo Arrigo Miglio e di don Marco Lai (Direttore della Caritas e parroco della Chiesa di Sant’Eulalia), interverranno Piergiuliano Tiddia, Luigi De Magistris, suor Cecilia Amat, Franco Olivieri, Franco Murtas, Antonio Fadda, Giampaolo Lallai e Carlo Boi. Al termine sarà celebrata la Santa Messa di suffragio per le vittime dei bombardamenti. Ieri nella Chiesa di Sant’Eulalia è stata presentata la mostra fotografica curata dall’artista M. B. Sanna, a seguire il concerto L. Cherubini Requiem "Missa Pro Defunctis" per Coro e Orchestra, con il coro del Collegium Karalitanum e l’Orchestra da Camera Incontri musicali (direttore Giacomo Medas). (m.g.)
 
LA NUOVA SARDEGNA
7 – La Nuova Sardegna
Pagina 27 - Ed_Cagliari
MONUMENTI APERTI
Anfiteatro e Tuvixeddu i siti sinora più visitati
 
CAGLIARI Con un rilevamento aggiornato ieri alle 18, sono circa 19mila le visite registrate nella prima giornata di Cagliari Monumenti Aperti. Il dato si riferisce a 54 sui 57 siti aperti per questa diciassettesima edizione. Al momento il sito più visitato è l’Anfiteatro romano con 1.600 visite: questa infatti è l’unica occasione per vedere il monumento simbolo della città, chiuso da tempo per le note vicende giudiziar-amministrative. Lunghe file ieri mattina sia a Tuvixeddu, con 1.200 visitatori, sia davanti all’ospedale San Giovanni, qui gli ingressi sono stati 1.100 di cui 800 nei soli sotterranei. Buono l’affluenza anche al Museo Archeologico Nazionale (843 firme), alla Legione dei Carabinieri (850), una delle novità di quest’anno, e nei due itinerari proposti: 300 nel Trentapiedi all’interno del quartiere Villanova e oltre 100 nel Percorso Castello. Le due Torri pisane, visitabili anche se non rientrano tra i monumenti aperti, confermano i numeri delle passate edizioni: 820 in quella di San Pancrazio e 724 alla Torre dell’Elefante. Oggi le visite a tutti i monumenti continueranno con orario continuato dalle 9 alle 20.
 
LA NUOVA SARDEGNA
8 – La Nuova Sardegna
Pagina 28 - Ed_Cagliari
Ospedale pediatrico sos per il trasferimento
A giugno una tavola rotonda al congresso della Società italiana di pediatria Il tema è quello dell’organizzazione del nuovo polo ancora oggi in alto mare
di Alessandra Sallemi
 
CAGLIARI Ospedale pediatrico al Microcitemico: l’ufficialità tace, gli operatori che dovranno farlo funzionare tremano. C’è un nodo che, in queste settimane, il passaparola sanitario sta valutando con preoccupazione crescente: l’organizzazione. In tempi lontani, quando la Regione decise che la ristrutturazione del Microcitemico doveva essere ripensata perché questo diventasse un grande ospedale dei bambini, su richiesta della direzione generale della Asl 8 uno staff di medici aveva prodotto un corposo documento dove si mettevano in risalto gli aspetti positivi dell’operazione ospedale pediatrico, ma anche quelli negativi e questi ultimi erano accompagnati da proposte di soluzione. Mancano poche settimane al trasferimento annunciato della pediatria universitaria dalla clinica Macciotta al sesto piano del Microcitemico ristrutturato e ancora non si è parlato dei doppioni, del personale, della direzione. Le stanze della chirurgia sono quasi pronte, ma non c’è notizia di soluzione al vero problema del funzionamento della chirurgia pediatrica (ora attiva al Santissima Trinità) che pure trova qui locali di qualità ottimamente attrezzati: gli anestesisti. Per i bambini ci vogliono anestesisti specializzati: dove li mettono? da dove li prendono? Ancora: il pronto soccorso pediatrico non arriverà col trasloco della pediatria universitaria perché, nella clinica Macciotta, funziona soltanto una guardia medica pediatrica, il pronto soccorso deve affrontare tutte le emergenze, ha bisogno di strutture più ampie e, ovviamente, di personale. Di tutto ciò non c’è traccia visibile nel nascente ospedale pediatrico sardo. Sandro Loche è il presidente della sezione Sardegna della Sip, la società italiana di pediatria che, per giugno, ha in programma a Cagliari il congresso regionale all’interno del quale c’è una tavola rotonda proprio sul futuro dell’ospedale pediatrico a cui sono invitati l’assessore alla Sanità e i tre direttori generali. Spiega Loche: «L’organizzazione è una tema che deve essere affrontato a monte se vogliamo dare risposte adeguate ai bisogni di salute dei nostri bambini. Non è un problema di gerarchie o di spazi da spartire, ma di garantire un standard assistenziale adeguato. Anche durante il trasloco». Poi: come si armonizzeranno due gastroenterologie e due endocrinologie, ciascuna con un responsabile? Di sicuro il reparto pediatrico del Brotzu resterà dov’è per molti anni: è previsto che traslochi qui ma in un’ala nuova tutta da costruire. Ricapitolando: al Microcitemico andranno neuropsichiatria infantile al piano 4, il 5 sarà il centro trapianti, il 6 la pediatria. Si dice da sempre: staranno stretti.
 
LA NUOVA SARDEGNA
9 – La Nuova Sardegna
Pagina 38 - Ed_Cagliari
IL CONVEGNO
Una Sanità migliore basata sull’etica
di Gabriella Grimaldi
 
SASSARI Quanto conta l’etica nella sanità in tempi di recessione? Quanto costa invece la medicina difensiva in un momento in cui i le prestazioni vengono ridotte al lumicino? Questi e altri temi legati allo stato della salute di una cittadinanza diventata molto più povera sono stati al centro del convegno dal titolo “L’impatto della crisi economica sulla Sanità: nuovi problemi etici” che si è svolto ieri nell’aula magna dell’Università. I relatori intervenuti all’evento organizzato dal Comitato di bioetica e dall’Ordine provinciale dei medici e degli odontoiatri non hanno potuto fare a meno di sottolineare i profondi cambiamenti che il sistema sanitario sta attraversando in questi ultimi anni. Hanno molto colpito, e non c’era da dubitarne, le parole del filosofo della Medicina Ivan Cavicchi: «Ciò che deve cambiare – ha detto – è la mentalità del medico perché ci troviamo davanti a una svolta e la sanità d’ora in poi non sarà più la stessa». Ha parlato di universalità delle cure, di quel «dare tutto a tutti» che oggi non sembra più possibile. «Ma allo stesso tempo mi preoccupa sentire il nuovo ministro della Sanità parlare di una universalità “mitigata”. Cosa vuol dire? L’universalità va mantenuta integra come vuole l’articolo 32 della Costituzione ma è dentro la testa dei medici che deve verificarsi la svolta perchè la società ha già svoltato». Ne è un esempio il fenomeno della medicina difensiva di cui ha parlato diffusamente Luigi Arru, presidente dell’Ordine dei medici di Nuoro. Un fenomeno che va allargandosi sempre di più in ragione dell’affiorare di una nuova figura di malato: l’esigente. Colui che prima di andare a visita si è già collegato più volte con Google Health, il padre che sulla malattia rara del figlio ne sa più del medico, la signora che conosce tutti i particolari dell’intervento che dovrà subire. È da parte di queste persone che con più probabilità arriverà una denuncia se qualcosa dovesse andare storto. Ecco perché i medici stanno sulla difensiva e per prevenire il rischio di finire in tribunale prescrivono molti più esami di quelli necessari. Un costo enorme per la sanità e il dubbio se un atteggiamento del genere sia etico. Di etica e buon senso ha parlato Mario Picozzi, docente di Medicina legale a Varese, facendo riferimento alle terapie nei malati terminali e all’interruzione delle pratiche per garantire il mantenimento in vita anche in situazioni estreme. «Anche in questo caso – ha detto –, l’interruzioni di cure “inutili” potrebbe consentire un notevole risparmio. Ma chi stabilisce che sono inutili? Il medico? Il paziente? Un mediatore come succede in altri continenti?». Tanti dubbi che sono stati messi sul tavolo in un momento in cui l’intera classe medica si interroga. All’inizio del convegno il presidente del Comitato di Bioetica Mario Oppes aveva ricordato la figura di Nino Bagella, primo presidente del Comitato, mentre al presidente dell’Ordine Agostino Sussarello è spettato il compito di chiudere i lavori con l’auspicio che il dibattito non si fermi qui e che ci siano nuove occasioni di confronto.
 
LA NUOVA SARDEGNA
10 – La Nuova Sardegna
Pagina 42 - Ed_Cagliari
La storia
La mamma di Calvino? Era una scienziata sarda
Eva Mameli nacque a Sassari e si laureò a Cagliari in Matematica nel 1905 Italo passò i primi anni a Ploaghe dalla nonna, Maria Maddalena Cubeddu
di Pasquale Porcu
 
Dalle foto si capisce che Eva Mameli era certamente una bella donna. Si sa anche che Evelina (come molti la chiamavano) oltre a essere la mamma dello scrittore Italo Calvino, è stata anche una straordinaria studiosa di botanica. Quello che molti non sanno, invece, è che quella scienziata era nata a Sassari il 12 febbraio 1886 da Giovanni Battista e da Maria Maria Maddalena Cubeddu di Ploaghe, ed era nipote del canonico Giovanni Spano. Il padre, ufficiale dei carabinieri, era dei Mameli di Lanusei, parenti stretti di quel Goffredo che scrisse l’Inno nazionale italiano. Ora a quella donna l’associazione Garden Club di Sassari vuole dedicare un convegno e tributare quegli onori che a Eva Mameli non sono stati mai offerti in Sardegna. Proprio al Garden si deve un paziente lavoro di ricerca che ha consentito di ricostruire la biografia della scienziata e della sua famiglia. Via Turritana 76. Ma ripercorriamo la vita di Evelina Mameli. Fu battezzata nel Duomo di Sassari, un mese dopo la nascita (solo dopo che la bambina, malaticcia, si riprese). La famiglia Mameli abitava proprio lì dietro, in via Turritana 76, una palazzina che allora aveva soltanto due piani, a fianco del Palazzo Boyl. La famiglia Mameli è stata a Sassari fino a quando il capofamiglia non è andato in pensione e decise di trasferirsi a Cagliari. «Qui_ dice lo studioso ploaghese-pavese Paolo Pulina _ Eva infranse uno dei tabù che voleva riservata ai soli maschi: la possibilità di frequentare i pubblici licei. Dopo la maturità, iscrittasi all’Università, si laureò in Matematica nel 1905». Passato poco tempo il padre morì a Iglesias ed Eva decise di raggiungere il fratello Efisio (nato a Ploaghe nel 1875, morì a Padova nel 1957) a Pavia, dove il professor Mameli insegnava Chimica farmaceutica e Tossicologia nell’ateneo di quella città. Efisio si divideva tra scienza e politica: interventista, partì volontario in guerra. Da Pavia Efisio si trasferì all’università di Padova, dove continuò l’attività di ricerca e dove divenne anche prorettore. Efisio è stato uno dei fondatori del Partito Sardo d’Azione. Matematica e Botanica. Data la grande passione per la ricerca scientifica non è stato difficile per Eva condividere alcuni studi col fratello, soprattutto per quanto riguarda gli studi sulle caratteristiche delle piante officinali e farmaceutiche della flora sarda. Presto diviene stretta anche la collaborazione tra la giovane e Anna Menessier, una chimica che di lì a poco sposa Efisio. Ormai l’interesse di Eva verso la Botanica diviene molto importante e nel 1907 si laurea in Scienze naturali (prima donna in Italia a raggiungere questo traguardo). Nel 1908, però, le passioni di ricerca di Evelina si indirizzano verso un filone più preciso della Botanica: la fisiologia. E proprio in questo settore ha avviato ricerche allora ritenute all’avanguardia, come la fotosintesi e il meccanismo di assimilazione dell’azoto. Libera docenza. Per farla breve, Evelina si guadagnò il posto di assistente di Botanica (era il 1911), ma dovette aspettare altri quattro anni per ottenere, prima donna in Italia, la libera docenza nella stessa materia. Nel frattempo, però, nel 1908, Eva consegue il diploma della Scuola di Magistero e , dopo un periodo trascorso a Londra, ottiene l’abilitazione all’insegnamento delle scienze nei licei. Una medaglia d’argento.Venne la prima guerra mondiale, l’attività scientifica subisce un rallentamento ed Eva si dedica alla cura dei feriti e dei malati di tifo ricoverati nell’ ospedale Ghislieri. Attività che le valse una medaglia d’argento della Croce Rossa Italiana e una di bronzo del Ministero dell’Interno.Finita la guerra Eva riprende in maniera più decisa le ricerche, nonostante che nel 1919 muoia il professore Briosi, il suo maestro. Tuttavia la studiosa ottiene importanti riconoscimenti accademici, tra i quali quello, per le Scienze Naturali della Accademia dei Lincei. Mario Calvino. La fama di Eva Mameli varca i confini nazionali, in particolare tra gli allievi di Briosi e del suo successore, Pollacci. Tra gli altri c’è un agronomo sanremese, Mario Calvino, che si incuriosisce dell’attività scientifica della Mameli. Calvino da qualche tempo è a Cuba dove (dopo un periodo di ricerche in Messico) dirige la stazione sperimentale agronomica di Santiago de la Vegas, a un tiro di schioppo dall’Avana. Calvino non ha mai perso i contatti con la Società Botanica Italiana e segue con attenzione i lavori di Pollacci e della Mameli. Alla prima occasione di rientro in Italia, perciò, Mario Calvino non solo incontra Eva ma le chiede di trasferirsi a Cuba per assumere la direzione della stazione sperimentale di Botanica. E giusto per capire quanto sia rimasto colpito dalla personalità della donna, le chiede anche di sposarlo. Le nozze. Cosa che succede, anche se solo per procura, perché nel frattempo Mario è tornato a Cuba. Ma il rito nuziale viene ripetuto a Cuba il 20 ottobre del 1920. A tre anni dal matrimonio, il 15 ottobre 1923, in un pittoresco e romantico bungalow la coppia ha il primo figlio: Italo Giovanni che diventerà uno dei più importanti scrittori italiani. Ma la famiglia Calvino non si occupa solo di ricerca se è vero che organizzano una scuola agraria per i campesinos e i loro figli.Nel 1924 i Calvino si trasferiscono nell’Oriente di Cuba dove Eva porta avanti le ricerche sulla canna da zucchero e fondano la rivista “La chaparra agricola”. Il ritorno in Italia. Nel 1925 la famiglia Calvino decide di tornare in Italia dopo che un uragano aveva devastato l’isola caraibica. Meta Sanremo, dove Mario Calvino sogna da anni di realizzare il progetto di una stazione sperimentale di floricoltura. Eva Mameli, ed ecco un altro record, vince la cattedra di Botanica all’università di Cagliari e, contemporaneamente, dirige l’Orto Botanico. Mai prima di allora nessuna donna era riuscita ad avere tali incarichi. Purtroppo l’esperienza cagliaritana dura solo due anni, dal 1926 al 1928 per la nascitadel secondogenito, Floriano. Ma in quei due anni Eva rivoluzionò l’Orto di Cagliari reintroducendo specie (anche rare) che mancavano nell’isola da secoli. Il ritorno a Sanremo ha favorito anche la concentrazione degli interessi scientifici sulla floricoltura ligure. Un dato che, carte alla mano, non può essere nascosto neanche dalla ingombrante presenza del marito e del figlio Italo. I figli partigiani. I Calvino non hanno mai fatto mistero del loro orientamento politico e del loro impegni civile. Durante il fascismo hanno accolto a casa numerosi ebrei perseguitati. E a causa dei figli, che avevano scelto di fare i partigiani, Mario ed Eva Calvino sono stati arrestati e sottoposti a finte fucilazioni per costringerli a rivelare il nascondiglio dei figli. Nessuno dei due aprì bocca, ma entrambi (in particolare Mario) furono fortemente segnati da quella drammatica esperienza. Mario Calvino è morto nel 1951 ed Eva lo sostituì nella direzione della Stazione sperimentale.Ma nel 1959, per raggiunti limiti di età, anche Eva dovette abbandonare il lavoro. Una volta in pensione si dedicò a riordinare tutto il materiale di studio raccolto durante la vita sua e del marito. Una donna piccola e forte.Chi ha conosciuto Evelina la descrive come minuta, fortemente risoluta e anticonformista.«Il rigore scientifico e morale – aveva detto il figlio Floriano nel 1986, in occasione della intitolazione di una scuola di Cagliari alla madre– era fondamentale per lei nella educazione dei figli, così come l’origine sarda. Io e Italo siamo stati allevati dalla nonna a Ploaghe, Maria Maddalena Cubeddu, e abbiamo così imparato un italiano forbito, perfetto, da vocabolario, l’italiano dei sardi». Eva morì a Sanremo il 31 marzo 1978 e non sappiamo se, e quando, dopo l’esperienza accademica di Cagliari fece ritorno in Sardegna.

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