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ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
12 February 2013
ufficio stampa e redazione web
RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI
 

 
L’UNIONE SARDA
 
 
 
1 - L’Unione Sarda / Salute (Pagina 35 - Edizione CA)
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Centro di riferimento: moderne tecnologie per operare gli arti
La Clinica ortopedica universitaria dell’ospedale Marino di Cagliari è diretta da Antonio Capone, professore Associato, presidente della Nsosot (Nuova società sarda di Ortopedia e Traumatologia). Capone svolge anche attività di ricerca nel campo delle patologie dell’articolazione coxo -femorale, chirurgia protesica dell’anca e del ginocchio, fratture da fragilità e ingegneria tissutale. Il suo reparto è Centro di riferimento dell’Asl 8 per la diagnosi e la cura delle patologie degenerative dell’anca, del ginocchio e del piede. Vi esegue, fra l’altro, 100 interventi all’anno di Artroprotesi d’anca. In sala operatoria utilizza moderne tecnologie, come il Sistema di navigazione computerizzato, «che ci consente di agire con maggiore precisione. Con questo sistema di telecamere e fotocellule - spiega il professore - vediamo in un monitor come stiamo posizionando i componenti durante l’intervento». (l.s.)
Artroprotesi d’anca nella Clinica ortopedica dell’ospedale Marino di Cagliari
Se la gamba del nonno deve fare il tagliando
I l corpo umano, a volte, ha le stesse esigenze di una macchina: assistenza, revisione e sostituzione dei pezzi consumati. Come l’anca, articolazione fra il femore e l’osso iliaco. Il contatto della testa del femore col bacino, in una cavità detta acetabolo, può creare attrito e, col passare degli anni, usura. «Nella maggior parte dei casi - spiega Antonio Capone, direttore della Clinica ortopedica dell’università di Cagliari (ospedale Marino) - l’anca entra in crisi a causa dell’artrosi e di altre patologie infiammatorie, reumatiche o post traumatiche (fratture). Cui può seguire la mancata vascolarizzazione della testa del femore, con degenerazione della cartilagine e necrosi». In pratica, viene meno la cartilagine che riveste l’articolazione, si crea un contatto osso su osso, che determina infiammazione, dolore, limitazione nei movimenti. Situazione invalidante, eliminabile con un intervento chirurgico, l’Artroprotesi, che può essere totale, quando si sostituisce l’intera articolazione, o parziale, se si mantiene l’acetabolo naturale.
ETÀ Oggi l’Artroprotesi d’anca è un intervento sempre più diffuso: se ne fanno 100 mila all’anno in Italia, 1000 in Sardegna, 100 solo nel reparto specializzato del professor Capone: «Si diffonde perché assicura al paziente buoni risultati dal punto di vista del recupero e della qualità della vita. Un tempo si faceva solo dopo i 75 anni di età, oggi si è scesi a 65, ma ho operato quarantenni che non accettavano le limitazioni imposte da certe patologie».
GENESI Non è stato sempre così. L’Artroprotesi è nata negli anni Sessanta. Prima, chi aveva l’anca bloccata doveva sottoporsi ad altri tipi di intervento, con risultati meno appaganti: «Il più diffuso, l’Osteoctomia, frattura del femore e dell’acetabolo che aveva funzione meccanica: cambiare l’asse fra le superfici articolari. In questo modo si toglieva carico nella zona sofferente e lo si trasferiva in quella sottostante. Spariva il dolore, ma dopo una decina d’anni il processo di degenerazione riprendeva. Inoltre, in attesa che la frattura si consolidasse, bisognava usare le stampelle per 3 mesi, mentre con la protesi basta un mese».
TECNICHE Messo a scegliere, il paziente ora si orienta verso l’Artroprotesi, praticabile con diverse tecniche di intervento «classificabili in base alle vie di accesso, tutte valide, ma legate all’esperienza e alla formazione del chirurgo». Molti preferiscono un intervento con un taglio piccolo, esteticamente poco vistoso, ma il professore mette in guardia: «La mini invasività non ha alcun significato, perché col taglio piccolo le strutture muscolari sottostanti sono più sollecitate. Devono essere infatti più divaricate e creano maggiori problemi. Inoltre, non si ha una buona visione del campo operatorio e aumentano la probabilità di errori chirurgici». Meglio ricorrere alla tecnica Tissue sparing, con via di accesso anteriore, «che tende a risparmiare i tessuti: i muscoli e l’osso. Tutelando i primi, il danno muscolare sarà meno importante e il successivo recupero funzionale più rapido. Risparmiando l’osso, anche se dopo 20 anni la protesi dovesse fallire, avremmo una buona base sulla quale impiantare la successiva». Non è un particolare irrilevante.
MATERIALI La protesi è formata da uno stelo metallico, che si inserisce nel femore, alla cui estremità superiore, detta collo, viene sistemata la testa (metallica o di ceramica). La parte che va nel bacino comprende il cotile, che riveste l’acetabolo, con un inserto in plastica, acciaio o ceramica collocato al suo interno. Ci sono vari tipi di protesi: «La più adatta viene scelta in base alle esigenze e alla patologia del paziente». Un tempo venivano bloccate con una sorta di cemento, ma erano poco stabili e duravano meno. Oggi si realizza un incastro meccanico, intorno al quale ricresce l’osso. In continuo progresso la tecnologia: si è iniziato con protesi in acciaio, poi in cromo-cobalto e titanio, oggi ci sono tantalio e zirconio. Per diminuire l’attrito si usano il polietilene o la ceramica, che dà maggiori garanzie. Quanto alla durata, la media è di 15 anni, ma ce ne sono ancora integre dopo 30. «Dipende dal tipo di protesi e dal chirurgo: se ha grande esperienza, gli errori si riducono molto». Da tenere presente che i centri chirurgici si distinguono in base al volume di attività: bassa (meno di 20 protesi all’anno); media (fra 20 e 50); alta, oltre i 50 (al Marino).
COMPLICAZIONI Possibili le complicanze. Come la lussazione (fuoruscita della testina dall’acetabolo), «ma con i nuovi sistemi di posizionamento dell’impianto, e le migliori tecniche si stabilità, la percentuale di lussazione nel primo intervento è intorno al 2 per cento. Rara l’infezione (meno dell’1 per cento) a causa di batteri. Capita anche l’allergia all’impianto, in chi è allergico ai metalli. Possibile infine un allentamento (la protesi si muove): può dipendere da una non buona qualità dell’osso e causare dolore».
Lucio Salis


2 - L’Unione Sarda / Salute (Pagina 36 - Edizione CA)
L’ESPERTO. Francesco Bandello, S.Raffaele di Milano
Edema maculare, per i diabetici arriva un alleato
Per chi soffre da tempo di diabete, la paura di perdere la vista è sicuramente un problema Purtroppo non si tratta di un rischio da sottovalutare perché la patologia, negli anni e quando non adeguatamente controllata, attacca in particolare la retina. Mette a rischio la funzionalità visiva e determina una patologia invalidante come l’edema maculare diabetico, una complicazione della retinopatia. Ma oggi c’è una novità importante: oltre che con il laser, questo problema si può combattere con un farmaco chiamato ranimizumab.
«L’edema maculare diabetico con diminuzione visiva è una complicanza della retinopatia diabetica, patologia cronica e progressiva a carico dei piccoli vasi della retina», spiega Francesco Bandello, direttore della Clinica Oculistica dell’università Vita-Salute delll’Istituto scientifico San Raffaele di Milano. «Cronicamente la condizione di iperglicemia determina un’alterazione della parete dei capillari retinici rendendoli eccessivamente permeabili. Conseguentemente l’eccesso di acqua e di lipoproteine fuoriesce dai vasi e si accumula negli spazi extracellulari, in modo elettivo a livello della parte centrale della retina denominata macula. Da qui la definizione di edema maculare».
La macula costituisce la porzione centrale della retina, responsabile della visione distinta. In presenza di edema maculare diabetico i sintomi principali sono rappresentati da annebbiamento della vista e distorsione delle immagini, che costituiscono i principali campanelli d’allarme legati a questa patologia. Il paziente riscontrerà dunque difficoltà alla guida, nella lettura, nella scrittura e nell’eseguire anche le più comuni attività quotidiane. Come affrontare questa condizione? Come segnala Maurizio Fossarello, direttore della Clinica Oculistica dell’Università di Cagliari, «per 40 anni la terapia di riferimento per il trattamento dell’edema maculare diabetico è stato il laser ad Argon, che ha però purtroppo un meccanismo di azione distruttivo, è difficile da dosare, e nella maggior parte dei casi non consente di migliorare la visione, ma semplicemente di bloccare temporaneamente la progressione della malattia. La scienza, in ogni caso, non si è fermata e addirittura con iniezioni con un farmaco (ranimizumab) all’interno dell’occhio si può attualmente sperare di frenare con maggior successo la patologia». Secondo Bandello: «Oggi possiamo parlare di terapia intravitreale, che permette di rispettare l’integrità della retina. L’iniezione di ranibizumab è infatti la prima terapia che ha dimostrato di migliorare la vista e la qualità della vita delle persone con edema maculare diabetico con diminuzione visiva. «Per ottenere questi importanti risultati occorre reiterare la procedura, dal momento che l’efficacia del prodotto è legata alla persistenza del farmaco all’interno dell’occhio. Nel trattamento della diminuzione visiva da edema maculare diabetico, il farmaco viene somministrato mensilmente e in maniera continuata fino a quando l’acuità visiva del paziente risulta stabile per tre controlli mensili consecutivi». (fe.me.)
 

3 - L’Unione Sarda / Cronaca di Cagliari (Pagina 19 - Edizione CA)
Per tamponare l’allarmante fenomeno il Pdl in Regione ha presentato una proposta di legge
Alcolici, si inizia a undici anni
I dati del piano di prevenzione: un giovane su due preferisce il vino
Iniziano a bere alcolici quando hanno 11 anni e sono poco più che bambini. L’abuso di vino, birra, cocktail e superalcolici si manifesta nell’Isola in età sempre più precoce. Sono giovanissimi e bevono soprattutto fuori pasto, in famiglia o in compagnia di amici.
Secondo i dati emersi in una ricerca condotta nel 2008, e riportati nel Piano regionale di prevenzione 2010-2012, i ragazzi sardi che hanno dichiarato di preferire il vino sono stati il 49,1 per cento, mentre la birra è la bevanda scelta dal 45,8% degli intervistati. Più basso, ma non per questo meno preoccupante, il dato che riguarda il consumo di altre bevande alcoliche. Nel 2008 i ragazzi dagli 11 anni in poi che hanno ammesso la propria “passione” per aperitivi alcolici sono stati il 26,1 per cento, gli amari (25,8 per cento) e i liquori (20,1 per cento). Poco incoraggiante anche il risultato di una ricerca del Dipartimento di psicologia dell’Università di Cagliari, riferita al 2011, che prende in esame un campione di 4380 giovani, di cui il 46,9 per cento maschi e il 53,1 per cento femmine, di età compresa tra i 10 e i 18 anni.
Di questi hanno confessato di bere alcolici il 58,7%. Per cercare di tamponare un fenomeno che rischia di diventare sempre più allarmante, il gruppo consiliare del Pdl ha presentato in Consiglio regionale una proposta di legge. «Il rischio di abuso alcolico - ha spiegato Greco - è una minaccia che non deve essere sottovalutata. Per questo sono necessarie misure di prevenzione per evitare che queste situazioni di rischio degenerino in devianza, cronicità o patologie gravi». Nel documento si propongono azioni di sensibilizzazione, di educazione, campagne di informazione nelle scuole, nei locali e nelle palestre.
Eleonora Bullegas
 
 
4 - L’Unione Sarda / Cronaca di Cagliari (Pagina 21 - Edizione CA)
Unicef
Educazione allo sviluppo, aperte le iscrizioni
“Un impegno visibile per i bambini invisibili”: è il tema del XIX corso multidisciplinare di educazione allo sviluppo promosso dall’Unicef che dal primo marzo a fine maggio si terrà nell’aula magna del corpo aggiunto della facoltà di Scienze della Formazione, in via Is Mirrionis. L’accesso alle lezioni, tutti i venerdì dalle 18 alle 20, è libero. Occorre solo versare un contributo di 25 euro per le spese di documentazione. Possono iscriversi studenti di tutte le facoltà cagliaritane, operatori sociali ed educatori, fino a un massimo di 250 partecipanti.
Il primo marzo, alla serata inaugurale parteciperanno Rosella Onnis, presidente del comitato cittadino dell’Unicef, Paola Manconi, presidente regionale, Giacomo Guerrera, presidente nazionale, Giulio Paulis, presidente della facoltà Studi Umanistici e Sergio Del Giacco, direttore del corso. Le prenotazioni possono essere effettuate sul sito www.unicef.it e le iscrizioni nella sede dell’Unicef, in via Sulcis, fino al 27 febbraio, il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 10.30 alle 14, e il mercoledì anche dalle 15 alle 16.30.
 
 
5 - L’Unione Sarda / Provincia di Sassari (Pagina 27 - Edizione NU)
Sassari
Le scadenze per l’Erasmus
C’è tempo fino al 17 febbraio per partecipare al bando dell’Università di Sassari per l’assegnazione delle borse Erasmus for study 2013-2014. Tutti gli iscritti nei corsi di studio dell’Ateneo, purché in regola con il pagamento delle tasse universitarie, avranno la possibilità di partecipare alle selezioni per ottenere una borsa Erasmus che darà loro l’opportunità di trascorrere un periodo di studio in una delle oltre 200 Università europee convenzionate con l’Ateneo. La candidatura potrà esser presentata tra il 25 gennaio e il 17 febbraio (fino alle ore 20) con procedura on line (http://www.uniss.it/applicazioni/erasmus.php), ma entro le ore 12 del 18 febbraio la domanda di partecipazione dovrà pervenire anche in formato cartaceo all’Ufficio Protocollo dell’Università.


 
LA NUOVA SARDEGNA
 
6 - La Nuova Sardegna / Pagina 35 - Cultura-Spettacoli
Dalla Catalogna alla Sardegna, un manifesto nel solco della lezione di Gaudì
L’INTERVISTA » ANGELO ZIRANU
L’architettura riscopre la dimensione del sacro
di Luciano Piras
La luce della scienza non basta. E nemmeno la tecnica, la matematica, la meccanica possono fare nulla se non ci sono sensibilità, sentimento, sintonia. Le leggi empiriche, proprie del medioevo, vanno di pari passo con lo spirito del movimento liturgico contemporaneo. Sono i punti fermi del Manifesto dell’architettura religiosa firmato da Angelo Ziranu. «Al fine di garantire nel migliore dei modi la corretta manifestazione del mistero di Dio – sottolinea –, l’architetto deve prestare particolare riguardo al progetto sensibile ai chiaro scuri, per garantire la giusta luce con lo studio dell’illuminazione interna, sia naturale sia artificiale, e indirizzare l’attenzione dei fedeli riuniti in assemblea verso i fuochi liturgici e l’iconografia, attori protagonisti, insieme al presbitero e all’assemblea riunita nella celebrazione dei riti». Un manifesto, un tentativo di mettere ordine alle norme e ai principi dell’architettura sacrale, che arriva cinquant’anni dopo le disposizioni del Concilio ecumenico Vaticano II. Una vera e propria metodologia applicativa moderna per la progettazione di nuove chiese e per l’adeguamento delle cattedrali, questa proposta dell’ingegnere-architetto di Orani Angelo Ziranu, dal 2006 al 2010 impegnato nel gruppo di progettazione incaricato di ultimare la basilica della Sagrada Familia, a Barcellona, l’opera che Antoni Gaudì inizia a progettare e realizzare nel 1883. Ed è proprio a partire dallo studio approfondito dell’opera del genio catalano, il “Dante dell’architettura” lo definì il nunzio apostolico in Spagna monsignor Francesco Ragonesi, che Ziranu si è immerso in questa ricerca confluita poi nella tesi di laurea magistrale in Architettura conseguita lo scorso autunno all’università di Cagliari, relatore Antonio Tramontin, correlatore Maria Antonietta Crippa. «Progettare la disposizione del santo presbiterio – scrive Angelo Ziranu –, ampliandolo e mutandone la conformazione di accesso, qualora le esigenze rituali lo rendessero necessario, e prestando un particolare riguardo alla disposizione dell’altare, mensa e sepolcro, come segno della resurrezione, e della cattedra vescovile, garantendo la centralità e la visibilità di Gesù Cristo-altare e, rilevando l’alta dignità del luogo dedicato a chi secondo il ministero di Dio presiede le funzioni, il Vescovo». La parola biblica si materializza così nella dislocazione spaziale dei vari elementi liturgici, ma anche in tutto il percorso iconografico, pensato sempre «nell’ottica di una corretta manifestazione e materializzazione sublime di quanto ereditato dalle Sacre Scritture». È uno dei tanti passaggi del Manifesto. Studi materici, colori, materiali, manufatti, finiture: all’architetto il compito di trasformare in realtà il soffio della carezza di Dio, è l’architetto che «compone questi aneliti dell’animo umano, per il tramite del suo genio e la conoscenza delle scritture, li traduce e li armonizza secondo le più dolci note di un pentagramma divino». Come a voler sottolineare le parole di Giovanni Paolo II che già nel 1999 parlava di «feconda alleanza» tra Vangelo e arte: «L’arte, anche al di là delle sue espressioni più tipicamente religiose, quando è autentica, ha una profonda affinità col mondo della fede». Concetto riproposto in questi ultimi anni da monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, che ha il merito di aver riaperto il dialogo tra Chiesa e arte contemporanea, uno dei terreni tipicamente più ostili alla fede cattolica. È monsignor Ravasi, infatti, che ha aperto il dibattito più recente su architettura, arte e arredi sacri, riproponendo il problema delle chiese che presentano carenze e del bisogno di un “riadattamento” in futuro. Lo ha fatto per la prima volta nel 2011 a margine della presentazione della mostra in Vaticano sull’opera di Gaudì e la Sagrada Familia, dopo che Cagliari, Oliena e Alghero avevano già ospitato un altro allestimento curato, per conto del dipartimento di Architettura dell’ateneo cagliaritano (con finanziamento della Regione e dei tre comuni), proprio da Angelo Ziranu. Lui che continua ad avere uno scambio proficuo e profondo con gli architetti Jordi Bonet e Jordi Faulì, il primo, insigne maestro e massimo conoscitore dell’opera e del pensiero di Gaudì; il secondo, attuale direttore della fabbrica della Sagrada. Là dove il giovane architetto sardo, durante gli anni di partecipazione attiva al cantiere, ha avuto modo di «analizzare approfonditamente l’idea progettuale dell’architetto catalano». È in quel lavoro che affonda le radici il suo Manifesto dell’architettura religiosa. Metodologia che esalta i cinque sensi: vista, udito, olfatto, gusto e tatto che i fedeli ritrovano e vivono nel luogo di culto, mistico e misterioso proprio come il disegno di Dio. Così vuole l’alfabeto dell’architettura religiosa scaturito dall’analisi di tre grandi opere di Gaudì, la Sagrada Familia, l’adeguamento della cattedrale di Maiorca e le cappelle della Colonia e del Palau Güel. Progettate, tutte, per «sconfiggere l’oblio della Morte», perché in fondo era questo l’obiettivo dell’architetto servo di Dio, il santo costruttore Antoni Gaudì, di cui è in corso il processo di beatificazione (qualcuno ipotizza che Gaudí possa essere beatificato il 10 giugno 2016, 90º anniversario della sua morte). «La sua architettura è attualissima – assicura Ziranu – e nel 1904, era antesignano di ben sessant’anni nel restituire il culto alla gente comune». Un pioniere che ha saputo guardare al futuro valorizzando la tradizione e le maestranze, l’artigianalità, la manualità con un linguaggio modernissimo. Il legno, il ferro la pietra: è da questi elementi che parte la sperimentazione del sommo maestro. «Con tanti punti in comune con la tradizione sarda», aggiunge Ziranu, sottolineando che gli artigiani sardi possono andare a testa alta ovunque. È l’architettura sostenibile, poi, che Gaudì anticipa nel tempo: le sue opere, infatti, sono «frutto dello studio della natura, le sue case private che si autoclimatizzano con il percorso naturale dell’aria, con il sapiente utilizzo dei colori assoggettati alle esigenze climatiche dell’edificio, con le strategie esecutive che sembrano aver avuto il soffio di Dio, tanto da muoversi in modo automatico per ombreggiare o rischiarire gli spazi abitativi». Sono i valori etici, dunque, che prendono sembianze architettoniche, semplici e popolari, magari con l’utilizzo di materiali di risulta, ben lontane dell’irrigidimento funzionale, dalla sola rispondenza economica. Un genio a 360 gradi, insomma, Antoni Gaudì, anche se «spesso, nella Sagrada Familia, osservando la facciata della natività da sotto i suoi portici, ho pensato che non percepiamo appieno la grandezza di questo architetto, perché troppo prossimi alla sua opera, e che bisogna allontanarsi per coglierlo in tutta la sua genialità». Parole di Angelo Ziranu.



SARDEGNA QUOTIDIANO
 
7 - Sardegna Quotidiano / Pagina 15 - Cagliari
SUL WEB DOMANI C’È “MIXING LIVE”
PROGRAMMA IN ONDA SU UNICA RADIO
Mixing Live, programma di news e informazione promosso dalla Web Radio universitaria arriva alla sua undicesima puntata. Come sempre, Gianmarco Cossu e Dj Mat in onda per un’ora con notizie e curiosità di tutto il mondo, con grande spazio alla cronaca italiana, al Festival sanremese, alle novità della tecnologia e ai personaggi famosi e non. Appuntamento a domani dalle 19 alle 20.
 
 
 

QUOTIDIANI NAZIONALI
Link: rassegna stampa CRUI
Link: rassegna stampa MIUR

 

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