Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
07 June 2012
ufficio stampa e redazione web
RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI
  
    

 
L’UNIONE SARDA
 
1 - L’Unione Sarda / Cronaca di Cagliari (Pagina 24 - Edizione CA)
Fabbrica del precariato
Dottorandi, assegnisti, ricercatori: anni intensi di studio
per ritrovarsi alla fine senza prospettive e ripartire da zero
Il limbo esiste: sta all’interno dell’Università, ci finisci dopo la laurea se decidi di metterti in testa di percorrere la strada del ricercatore. Il traguardo finale è diventare professore associato e poi ordinario, insomma salire i gradini più alti e rappresentativi della carriera universitaria. Ma tra il dire e il riuscire ci sono anni e anni di fatica tra mille intoppi, trappole, ostacoli da gioco dell’oca che si chiamano borse di studio senza soldi, concorsi inesistenti o truccati, baronie, nepotismi, turn over bloccato.
CATEGORIA IBRIDA L’esercito di questi dottorandi - categoria ibrida, con data di scadenza quasi fosse uno yougurt che dopo un po’ diventa rancido - annovera un numero considerevole di umiliati e offesi, spesso giovani di talento che si stufano e mollano tutto, oppure riescono ad andare all’estero dove le loro capacità vengono riconosciute. E dove la ricerca è considerata il primo importante gradino mentre da noi è l’anticamera del precariato intellettuale. Cioé della disoccupazione.
Insomma, si è dentro un paradosso. Questi ibridi in realtà studiano ma non vestono più i panni dello studente semplice perché al petto hanno la medaglietta della laurea; fanno ricerca ma non sono ricercatori e soprattutto svolgono attività didattica (gratuita o dietro compenso irrisorio), fanno esami come i professori titolari di cattedra alla quale aspirano ma vedono con i binocoli perché a causa dei tagli i concorsi sono rari e diluiti nel tempo. Ancora: c’è la discriminazione fra dottorandi “con” borsa e “senza” borsa, colleghi che lavorano fianco a fianco ma i secondi pagano tutto di tasca propria.
I PRECARI RENDONO E alla fine non è sbagliato dire che l’università si regge sulle spalle larghe dei precari: sfruttati, non retribuiti, producono comunque conoscenza attraverso pubblicazioni scientifiche (sulle quali spesso c’è il timbro del docente) e prestigio per l’ateneo (con eventuale ritorno economico per il gioco delle premialità). E generalmente sono poco disposti a parlare per non infastidire i loro professori.
Il quadro è generale, ogni università si rispecchia in questa condizione e Cagliari non fa eccezione: i dottorandi sono circa 440 (più 260 specializzandi), possono contare (quelli che rientrano nei parametri) su una borsa di dottorato di ricerca triennale di 13.638 euro annui: nel 2009 erano 59, nel 2010 sono scese a 54, per poi risalire corposamente a 120 nel 2011 e a 140 quest’anno. Un positivo dato in controtendenza nazionale ma che alla fine crea il pericoloso collo di bottiglia per cui l’ateneo non sa come arruolare questa truppa qualificata. (Assegni di ricerca, spin-off, tirocini formativi e soprattutto Master and Back, meritano un discorso a parte, troppe ombre sulla loro gestione).
LA NUOVA LEGGE Il discorso ricercatori, in ogni caso, è delicato perché spesso si confonde la vera ricerca con progetti campati in aria ma resta sotto gli occhi di tutti che l’università li forma per anni e poi li scarica. Prima della attuale legge 240/2010 a fine dottorato si poteva sostenere il concorso, chi lo vinceva dopo tre anni aveva l’assunzione a tempo indeterminato: la consapevolezza di poter pianificare la propria vita sapendo di continuare a fare il lavoro che era stato scelto. Adesso tutto è più complicato: il ricercatore di primo livello con contratto di tre anni rinnovabile può sperare nel concorso (se c’è) e se non lo supera, perde tutto. Per cui uno si laurea a 23 anni, e dopo dieci anni e oltre, generalmente a 35 anni, si trova davanti a un bivio e fuori dal mercato del lavoro, oltre che dall’università alla quale ha dato lacrime e sangue. L’Adi, Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia, ha da poco lanciato l’allarme: il numero dei precari della ricerca, dopo la riforma Gelmini, è diminuito di circa 20 mila unità, nell’ultimo anno si è passati dai 33 mila ai 13.400 ricercatori provvisori e l’85% di questi probabilmente non avrà più la possibilità di seguire la propria carriera universitaria. Il nuovo governo ci vuol mettere mano, ma applicando il criterio della meritocrazia ha suscitato già polemiche e rabbie.
L’ateneo cagliaritano si allinea alla tendenza nazionale: usa il capitale umano dei ricercatori ma non sa dargli una bussola per il futuro. Pier Paolo Argiolas, 35 anni, dottorando in Lettere moderne, è un caso privilegiato che paradossalmente mette in evidenza le storture dell’università. «A tre mesi dalla laurea ho avuto accesso al dottorato, sei mesi dopo l’assegno di ricerca. Non ho dovuto attendere, ho potuto studiare e scrivere liberamente, felice di occuparmi di qualcosa che mi appassiona. Non sono figlio di nessuno, niente favoritismi per intenderci, sono l’esempio di quanto l’ateneo cagliaritano sia stato equo e giusto». Il problema arriva adesso, sta concludendo il secondo biennio, fra sei mesi il corso naturale da dottorando sarà alla fine.
L’INSEGNAMENTO Che fare? «Avendo percepito in questo lungo tempo che le porte dell’università sono chiuse, mi sto costruendo un piano B, una via di fuga. Ovvero l’iscrizione ai tirocini di abilitazione scolastica». In pratica, insegnare nelle scuole medie superiori. Otto anni di post laurea a fare ricerca per poi finire, forse, perché niente è scontato, dietro una cattedra in una scuola di paese a rampognare studenti. Sarà anche il limite della scelta umanistica mentre «per chi esce da Medicina e Ingegneria c’è una immediata proiezione esterna». «Tra l’altro - precisa Argiolas - per sette anni sono stato stipendiato, il primo anno con 1200 euro al mese e adesso, alla fine del percorso, con 1450 euro. Quindi l’università ha fatto un investimento economico su di me, e su tanti altri, e non poter proseguire la ricerca lo vedo come una sconfitta dell’istituzione, non mia».
Pochi concorsi e mancanza di turn over, fermo al 20%. Cagliari ha gli stessi dati nazionali, per 5 docenti che vanno in pensione ne entra soltanto 1. «E, non essendoci ricambio, questo ricade anche sulla qualità della didattica». Dunque? «Bisogna ingegnarsi, guardarsi intorno e cercare altri canali di finanziamento». Strada difficile in una società che ha grandi difficoltà a assorbire ricercatori che arrivano dal ramo umanistico.
PICCOLI PROGETTI Lo sa bene Roberto Ibba, 30 anni, di Sardara, dottorando in Storia moderna, al capolinea a marzo dell’anno prossimo. «Si vivacchia di piccoli progetti, qualcuno arriva dal professore, qualche altro da associazioni o dai Comuni. Ma sono spiccioli, rimborsi spese, anzi spesso è puro volontariato». Ibba ha avuto la fortuna di accedere alla borsa di studio biennale per giovani ricercatori, 1200 euro al mese, ma adesso non ce l’ha più. Significa altri sacrifici dopo quelli che ha fatto la sua famiglia per mantenerlo come fuori sede. Mentre altri colleghi del suo corso, senza il sussidio, non hanno resistito e hanno rinunciato. Vorrebbe continuare nel campo della ricerca, «mi occupo dei centri storici, di aristocrazia rurale, ho provato a collaborare con qualche comune ma non è semplice, difficilmente un ente pubblico chiede la consulenza a uno storico, a differenza di quanto accade all’estero». Già, andare fuori dall’Isola, perché no? «Può essere un’ipotesi - dice Ibba - ma è una strada comunque faticosa. Chissà, penso a qualcosa in proprio, a una start up». Ma una certezza c’è: «Non voglio restare a lavorare gratis per l’università». Come dire: una solitaria ribellione contro l’istituzione che prima ti adotta e poi ti abbandona.
NESSUNA TUTELA È questo il sentimento che prova Giuseppe Seche, 27 anni, ricercatore in Storia moderna, di Ovodda, anche lui con la fatica degli studi da fuori sede. «Altri concorsi, altre borse di studio? Tutti palliativi di fronte all’assenza di tutela dell’università verso i dottorandi. Alla fine hai qualcosa in mano che non è spendibile, non vedo prospettive nel settore pubblico, tantomeno nel privato». Come tanti suoi colleghi si sta guardando intorno, qualcosa farà.
Gianvito Distefano, dottorando in Letteratura italiana, ha scelto questo indirizzo guidato dalla passione per lo studio e la ricerca e ammette di aver di fronte un «futuro nebuloso». Per colpe non sue, «ci sono problemi legati alle scelte del precedente governo e alla sua politica dei tagli e ai modi in cui è gestita l’università, all’insegna di un corporativismo che non offre prospettive di sviluppo». Si sente fortunato, ora che può studiare, ma come la maggioranza degli altri ricercatori ha capito che la sua è una felicità a tempo determinato.
Sergio Naitza
 
 
2 - L’Unione Sarda / Cagliari Quartieri (Pagina 28 - Edizione CA)
Viale Fra Ignazio Fonti energetiche
Oggi il seminario Quarto appuntamento, questo pomeriggio, coi “Seminari sull’energia”, organizzati dall’associazione “Ex allievi don Bosco” col contributo dell’Università degli Studi di Cagliari. L’appuntamento è per le 17.30 in viale Fra Ignazio, 62. Al centro dell’incontro, rivolto perlopiù a studenti universitari, sono i fenomeni della radioattività, l’energia nucleare e le fonti fossili. Se ne discuterà insieme ai docenti Paolo Randaccio, professore associato di Fisica Applicata, Sergio Serci, ordinario di Fisica Nucleare, Domenico Salimbeni del Dipartimento di Ingegneria Elettrica ed Elettronica, Antioco Mario Gregu, responsabile della Sargas e Raffaele Cotza, docente di Geoingegneria e Tecnologie Ambientali. Il seminario prevede altri due incontri, il 14 e il 21 giugno prossimi, dalle 17.30 alle 20.30. (m.s.)

 
3 - L’Unione Sarda / Cronaca di Cagliari (Pagina 25 - Edizione CA)
Premio la marmora
Oggi alle 11, nell’aula magna del Rettorato (via Università) verrà assegnato il Premio La Marmora, che i club rotariani di Cagliari attribuiscono annualmente - com’è tradizione - a una persona, o ente, o istituzione (esterni all’isola) che abbiano contribuito a dar lustro o valorizzare la Sardegna.
 
 
4 - L’Unione Sarda / Cronaca di Cagliari (Pagina 20 - Edizione CA)
L’INTERVISTA. Il preside di Ingegneria illustra i rischi legati all’amianto «Bisogna agire in fretta»
Massacci: risposte rapide sull’Eternit al Poetto 
Non esclude che il cemento-amianto presente al Poetto possa essersi sbriciolato e per questo auspica un intervento rapido sull’arenile. Giorgio Massacci, professore ordinario di Sicurezza del lavoro e Difesa ambientale e preside della facoltà di Ingegneria, è uno dei massimi esperti in materia presenti nell’Isola. Spiega cosa è la “caratterizzazione” dei suoli e perché è importante eseguirla al più presto. Ma mette anche in guardia sui modi dell’eventuale bonifica, che potrebbero mettere ancora più a rischio la salute dei cittadini. In primo luogo, di quelli che vivono fronte spiaggia.
Il Comune deve ancora decidere come intervenire.
«Il cemento-amianto, o Eternit, non è quello più pericoloso perché è compatto. Il problema c’è se è rotto in frammenti».
Al Poetto sembrerebbe così.
«Dai pezzi si possono staccare le fibre, che sono quelle dannose per la salute. È impossibile controllarle. Sono micrometriche (sono “grandi” pochi millesimi di millimetro) e hanno la proprietà che quando si rompono mantengono la forma di fibra, non diventano particelle, è questo che le rende pericolose».
Pensa che l’Eternit sulla spiaggia si sia ridotto in fibre?
«Non completamente. Se i frammenti di Eternit derivano dai casotti, è probabile. Sono passati tanti anni».
Si deve intervenire in tempi rapidi?
«I tempi devono essere rapidi. Bisogna prendere la decisione e agire».
Il Comune dovrebbe mettere l’area in sicurezza?
«Io prima cercherei di conoscere la situazione. La sicurezza assoluta non esiste mai. Il mio parere personale è che bisogna procedere quanto prima alla caratterizzazione, ovvero al campionamento della sabbia in estensione e in profondità. Se la sabbia è in fibre micrometriche bisogna trattarla ma io non mi aspetterei che sia andata molto in profondità».
I campionamenti sono stati fatti e inviati all’Arpas. Quanto tempo serve per le analisi?
«Per lo studio di caratterizzazione non serve molto tempo. Dipende da quanti campioni sono stati prelevati. In sostanza si tratta di analizzare la sabbia al microscopio e controllare se ci sono le fibre di amianto. Non ci vuole molto».
Se ci dovesse essere amianto in fibra, come avverrebbe l’eventuale bonifica?
«Su questo preferisco non esprimermi, perché non è il mio campo. Posso solo dire che se fosse disperso sarebbe molto complicato. Bisogna studiare il caso e contemperare i rischi».
A quali rischi fa riferimento?
«La movimentazione di per sé configura un rischio. Infatti, quando i materiali sono in buone condizioni è preferibile non rimuoverli ma incapsularli».
Ma al Poetto l’Eternit è in frantumi.
«È per questo che bisogna procedere al più presto».
In concreto, cosa rischiano i cittadini?
«Il veicolo con cui vengono trasportate le fibre d’amianto è l’aria, dunque i rischi sono dovuti all’inalazione. Essendo così piccole penetrano direttamente negli alveoli polmonari e non si riesce ad espellerli. L’amianto è causa di diverse forme tumorali come il mesotelioma o tumore al polmone. Com’è noto, hanno un tempo di latenza molto lungo e non c’è una soglia minima di rischio».
Cosa significa?
«Basta anche qualche fibra per contrarre la malattia».
Mario Gottardi
 
 
5 - L’Unione Sarda / Cronaca di Cagliari (Pagina 23 - Edizione CA)
Le gare vinte da una società rumena: ipotesi turbativa d’asta
Sanità, appalti e dubbi Inchiesta sulle assicurazioni per i medici
La Procura di Cagliari ha aperto un’inchiesta sugli appalti da 4 milioni di euro vinti un anno fa dalla società rumena City insurance per la copertura assicurativa dell’Asl Cagliari e dell’Azienda ospedaliera universitaria dalle colpe mediche.
TURBATIVA D’ASTA Il fascicolo, nel quale al momento non risultano indagati, è stato affidato al pm Emanuele Secci che ha ipotizzato il reato di turbativa d’asta delegando al Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza una serie di accertamenti. Così nei giorni scorsi le Fiamme Gialle si sono presentate negli uffici dei due enti pubblici acquisendo tutta la documentazione relativa alle gare d’appalto. Sono stati inoltre già interrogati come persone informate sui fatti, dunque come semplici testimoni, anche i responsabili dei procedimenti e degli uffici coinvolti.
CORTE DEI CONTI Sugli stessi appalti vuole inoltre vederci chiaro anche la procura Regionale presso la Corte dei Conti, che parallelamente ha aperto un proprio fascicolo, affidando gli accertamenti sempre alla Finanza, per verificare se ci sia stato spreco di denaro pubblico e quindi un danno per l’Erario.
GLI APPALTI Per ricostruire la vicenda bisogna tornare indietro di un anno quando scade il contratto con i Lloyds di Londra, che nel triennio precedente ha assicurato sia l’Asl che l’Azienda universitaria dai danni per colpa medica. Così si svolgono due nuove gare d’appalto per il triennio 2011-2014 che la rumena City insurance si aggiudica con offerte di due milioni di euro per ciascuna, di parecchio inferiori a quelle da sei milioni del colosso inglese. Proposte apparentemente anomale, ma esattamente in linea con quelle grazie a cui proprio i Lloyd’s avevano vinto le due aste precedenti.
INDAGINI IN VENETO A ingarbugliare la situazione c’è il fatto che recentemente la City insurance è finita nel mirino del Gico e della Procura di Venezia, che sospettano addirittura l’esistenza di legami tra la società e la camorra. Nel 2011 la srl rumena aveva infatti vinto l’appalto da 76 milioni di euro bandito dalla Regione Veneto, con un ribasso del 10,60% sulla base d’asta giudicato molto sospetto.
L’INCHIESTA SARDA L’inchiesta di Cagliari è però nata in modo autonomo. E gli accertamenti condotti sinora, anche se appena all’inizio, non avrebbero evidenziato anomalie nell’affidamento dei due appalti. Inoltre ad oggi i finanzieri non avrebbero riscontrato problemi nel pagamento dei risarcimenti legati a errori medici e casi di malasanità, che sarebbero stati tutti regolarmente liquidati.
Massimo Ledda
 
 
6 - L’Unione Sarda / Cronaca di Cagliari (Pagina 27 - Edizione CA)
Un pioniere della pediatria
Mario Silvetti, il dottore che sussurrava ai bambini: 40 anni fra le corsie
per rendere più umani gli ospedali. Ha curato migliaia di cagliaritani  
Parla piano, il dottore che sussurrava ai bambini. Come faceva in ospedale, quando non bisognava spaventarli. Ha trascorso 40 anni fra le corsie, il professor Mario Silvetti e anche ora che ha superato le nozze d’oro con la Medicina non lesina gli sforzi per migliorare la macchina della salute. Come ha sempre fatto, da pioniere della Pediatria, alternando l’attività nei reparti alla promozione di associazioni, incontri fra professionisti di talento, iniziative.
Parla nello studio di casa, pieno di cassette Vhs di amatissima musica classica, dove poco o niente ricorda la sua vita in camice bianco: un disegno di Franco Putzolu, eredità della campagna contro il Favismo e due quadri di Guttuso, che Marta Marzotto, musa del Maestro, gli fece acquistare a Milano, per contribuire a una sottoscrizione sulla fibrosi cistica.
MAI DA SOLI Ultimo impegno, una serie di conferenze organizzate pochi mesi fa col Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale) su “Visitare gli infermi”. Non lasciare soli gli ammalati, soprattutto i bambini. Un imperativo, professionale e morale, diventato innovazione rivoluzionaria. Silvetti è stato il primo, nel ’74, ad ammettere le mamme accanto ai piccoli ricoverati. Qualche anno dopo, quell’intuizione è diventata un diritto sancito dalla legge. Prima, era un privilegio riservato solo a chi poteva permettersi una camera a pagamento: «Non era giusto». È l’unico commento che si riesce a strappargli su un’iniziativa che, all’epoca, non suscitò solo consensi. Silvetti è fatto così: niente proclami o furori ideologici. Le sue rivoluzioni nella Sanità pubblica le ha sempre portate avanti con passo felpato, sostenuto da una robusta fede (e cultura) religiosa.
LA NATIA PATTADA Un’impronta ricevuta dalla famiglia medio borghese in cui è nato: il babbo (sassarese) funzionario di banca, la mamma casalinga. Un’infanzia felice, trascorsa fra Pattada (paese della madre) e Cagliari. «Quegli anni mi hanno consentito di evitare gli orrori della guerra e di apprezzare il senso di libertà dei giochi all’aria aperta». Dopo il liceo e l’università a Cagliari, nel 1958 viene assunto nella Clinica pediatrica diretta dal professor Giuseppe Macciotta, barone (di prestigio) dell’epoca, fondatore di una scuola dalla quale sono usciti anche Antonio Cao, Roberto Corda, Aniello Macciotta, Franco Chiappe, Pierfranco Biddau, Efisio Angius. Il giovane Silvetti si rende subito conto di essere finito in trincea. La Clinica (quella con la scalinata, di fronte al pronto soccorso del San Giovanni di Dio) era nata come Centro per la poliomielite: «Nel ’59-’60 si scatena un’epidemia terrificante: arrivavano anche 10-15 bambini al giorno. Casi gravi e meno gravi di paralisi, di fronte ai quali eravamo praticamente impotenti. Lo ricordo con angoscia. Poi è arrivato il vaccino, la polio non è scomparsa, ma è stata fortemente ridimensionata». E il professore coglie l’occasione per ribadire «quanto sono assurdi certi pregiudizi. La vaccinazione è una mini malattia, che però salva la stragrande maggioranza delle persone. Il vaiolo, ad esempio, è pressoché scomparso».
TERZO MONDO All’epoca, la Sanità della Sardegna aveva problemi da Terzo mondo: ci furono casi di colera, dilagava l’epatite virale, certi ospedali erano un disastro, invasi dai topi. Nel moderno reparto di Macciotta, ogni estate scattava l’emergenza per la tossicosi del lattante: «Arrivavano bambini di pochi mesi, completamente disidratati da diarrea e vomiti: scheletrici, gli occhi dilatati, le labbra screpolate. Se non si interveniva subito, morivano. Immagini che oggi ci giungono dall’Africa».
Tirocinio severo, quello di Silvetti, non privo di soddisfazioni: in via del tutto eccezionale, Macciotta lo manda all’estero (Bruxelles) presso la clinica War memorial del professor Lust, perché impari la esanguino trasfusione, una tecnica per cambiare il sangue nei casi di ittero grave del neonato.
LA CHANCE Ma la grande occasione arriva del 1974. Al Santissima Trinità va in pensione Domenico Corda, Silvetti ha l’opportunità di diventare primario, a 40 anni. Certo, un bel salto dalla clinica universitaria al vecchio magazzino militare adattato alla meglio, lui però non si perde d’animo. E lancia subito la grande innovazione: «Gli spazi erano angusti, ma le mamme potevano stare accanto ai loro figli giorno e notte, anche se noi offrivamo solo una sedia. Al massimo, potevano sdraiarsi accanto ai piccoli, nella speranza che non li soffocassero». Il personale del reparto non fece salti di gioia: «Soprattutto gli infermieri, perché, lo dico bonariamente, le mamme in reparto sono una grossa seccatura: indagano, chiedono, controllano. Insomma, rompono le scatole. Ma sono anche utilissime, soprattutto quando i piccoli stanno male».
Circa 10 anni dopo (1983) quell’innovazione viene codificata in una legge regionale, presentata da Emanuele Sanna, aiuto di Silvetti, diventato assessore alla Sanità.
Ma il professore va ancora più avanti: ottiene che i bambini possano essere ricoverati in reparto senza passare per il Pronto soccorso: «Certe notti, arrivavano mamme trafelate col figlio scosso dalle convulsioni. Il medico lo prendeva in consegna e diceva alla madre: torni domani. Un’atrocità».
IL TRASLOCO Nel 1982, dopo anni di attesa, apre i battenti la grande incompiuta: l’ospedale Brotzu. Per Silvetti si prospetta un trasloco. Ci pensa: «Certo, Is Mirrionis era una caserma, ma avevo un bel giardino». Poi si trasferisce in quello che diventerà un presidio di riferimento per la Pediatria di tutta l’isola. E va a caccia di talenti. Nascono così i centri per la Fibrosi cistica, Celiachia, Diabete infantile, Nefrologia e Dialisi pediatrica: «Già nel 1976, col mio assistente Antonello Sionis, avevamo sottoposto a dialisi un bimbo di 8 mesi, Luigino Piras, con un coraggio che rasentava l’incoscienza. Era il primo intervento del genere. Quel bambino è ancora vivo, oggi ha 36 anni».
Il professore valorizza i collaboratori: «Ho inviato a Modena Emanuele Sanna, Paolo Pala e Pepino Scarpa perché imparassero a fare la diagnosi della celiachia col sondino intestinale».
PUTZOLU E L’UNIONE Per le leucemie, chiede e ottiene la collaborazione dell’oncologo infantile Pierfranco Biddau. Attività intensissima, in un reparto modello, grazie ai grandi spazi, mamma e bambino hanno una stanza tutta per loro. Importante la presenza di un bravo attore, Mauro Sarzi, capace di sdrammatizzare l’ambiente ospedaliero agli occhi dei piccoli pazienti. Silvetti cura, ma il suo chiodo fisso è la prevenzione. Trova il tempo per partecipare a una campagna sul Favismo, con L’Unione Sarda e le deliziose vignette di Franco Putzolu: «Siamo andati in giro per le scuole a spiegare che bastava analizzare una goccia di sangue, la puntura di un dito, per scoprire se si era fabici. La gente ha risposto in massa». E i ricoveri pediatrici per crisi emolitica sono passati da 120, nel 1975, a 20, nel 1982. Nel 2007, appena 3.
IN PENSIONE Anche ora che è in pensione e ha più tempo da trascorrere con la moglie (Dina Mistretta) il professore non sta con le mani in mano. Non fa libera professione, «non la facevo prima e non inizio certo adesso, in sa beccesa». Il suo cruccio è la scarsa sensibilità della Sanità pubblica per la prevenzione. Con l’amico Franco Bolasco e Mauro Sarzi ha fondato l’associazione “Ritorno alla vita”, per promuovere i centri di neuroriabilitazione per i traumatizzati cranici, causa di dolorosi viaggi delle speranza: «Oggi esiste finalmente un reparto al Brotzu, ma non basta. Eppure non si riesce neppure a sapere quanti sono i traumatizzati che escono dalle Rianimazioni ». Un tempo li ricoverava lui, in Pediatria «quando avevo qualche camera libera, ma non riuscivo certo a evitare il calvario delle famiglie, che si vedevano riconsegnare un familiare bisognoso di assistenza plurispecialistica e non sapevano che fare». Stesso discorso per le malformazioni congenite dei bambini: «Ci vorrebbe un registro per accertarne la distribuzione nel territorio, l’andamento nel tempo ed evidenziarne le cause, ma finora non si è ottenuto niente».
Una nota di amarezza per il grande organizzatore della Pediatria, il dottore che ha curato migliaia di cagliaritani e non si rassegna all’indolenza di chi pratica solo la burocrazia sanitaria. Senza la sua passione, quella che lo fa sorridere quando incontra qualcuno: «Professore, lei ha curato il mio bambino». Quanti anni ha il piccolo? «Quaranta, e fa l’ingegnere».

 
7 - L’Unione Sarda / Cronaca Regionale (Pagina 6 - Edizione CA)
Progres: l’autonomia ha fallito
«Non ci meraviglia l’interesse dei sardi per l’indipendenza, emerso dal sondaggio dell’Università di Cagliari»: così Omar Onnis (nella foto), presidente di Progres, commenta gli esiti dell’indagine, diffusi nei giorni scorsi. «Questa sensibilità esiste da sempre. Non stupisce neppure il dato più alto tra i giovani, né che venga sfatato il mito identitario. Ma soprattutto, ciò che emerge è la crisi esplicita e il fallimento storico della fase dell’autonomia regionale».
 
 
8 - L’Unione Sarda / Provincia di Sassari (Pagina 27 - Edizione OL)
SASSARI. Un’idea nata durante la visita di una delegazione di professori all’università di Herat
Brigata e Ateneo per gli afghani
Un progetto comune per far crescere la classe dirigente del paese
La collaborazione tra la Brigata Sassari e l’università per dare un sostegno concreto all’Afghanistan è iniziata da tempo, ma presto si aggiungerà un ulteriore tassello: l’ateneo, insieme al prezioso aiuto dei Dimonios, ha avviato un progetto formativo permanente per la classe dirigente afghana.
Per adesso, in realtà, si tratta di un’idea, nata a marzo durante la visita di una delegazione di professori all’università di Herat insieme ai tre ricercatori afghani che attualmente stanno frequentando il dottorato nella facoltà di Agraria dell’ateneo sassarese. Ieri, per la prima volta, si è parlato del progetto in un seminario. «Durante il nostro soggiorno a Herat abbiamo potuto conoscere più da vicino questo paese, la cultura, la religione e la storia del suo popolo - ha spiegato Sergio Vacca, professore associato di pedologia dell’Università di Sassari - allo stesso tempo abbiamo raccolto informazioni sulla gestione e l’organizzazione delle attività agricole in quella realtà; da quest’esperienza è nata l’idea di programmare un possibile progetto formativo permanente a diversi livelli rivolto ai quadri dirigenziali e intermedi afghani, impostato sulle reali esigenze di miglioramento delle conoscenze nel settore agrario, così come in altre discipline».
L’accordo allo stato attuale è tutto da costruire ma, è stato spiegato ieri, sarà certamente di tipo governativo. Inoltre punta a coinvolgere gli altri atenei italiani e per questo il rettore Attilio Mastino ne parlerà alla Crui, la conferenza dei rettori. In tutto ciò, finora, i Dimonios e il loro rapporto eccellente con la popolazione hanno giocato un ruolo fondamentale. «La Brigata Sassari agisce su tre fronti - ha spiegato il comandante Luciano Portolano - la sicurezza, la governance e lo sviluppo». È proprio su quest’ultimo punto - lo sviluppo - che l’università di Sassari cerca di dare il suo apporto. (a. m.)
 
 
9 - L’Unione Sarda / Provincia di Sassari (Pagina 27 - Edizione OL)
SASSARI. Simposio
Cadmio e veleni: un vertice internazionale

Ci saranno ricercatori e studiosi provenienti da oltre venti nazioni, al I° congresso internazionale "Cadmiun Symposium" che si terra a Sassari l’8-9 giugno presso la sala conferenze dell’Ersu in via Coppino. Il simposio è organizzato dal Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università in collaborazione con il Consorzio interuniversitario Inbb, Istituto nazionale di biostrutture e biosistemi. «Un vero e proprio evento scientifico», ha dichiarato Roberto Madeddu, organizzatore del Symposium, docente di Istologia nel Dipartimento di scienze biomediche dell’Università e ricercatore. «Quando si è sviluppata l’idea di organizzare il Symposium sui metalli pesanti - continua Madeddu - doveva essere un qualcosa di nicchia a livello locale, si è da subito trasformata in un evento con la partecipazioni dei maggiori esperti al mondo della materia e con ripercussioni locali ed anche extra scientifiche notevoli. L’esposizione al cadmio e ad altri metalli pesanti è uno dei maggiori rischi per la salute umana non solo per la popolazione professionalmente esposta, ma anche per la popolazione in generale. Il Cd è un cancerogeno comprovato, il suo utilizzo è ampiamente diffuso (sigarette, batterie, vernici, estrazione dello zinco) e può permanere nel corpo umano tra i 10 e i 30 anni, con conseguente accumulo nei tessuti degli esseri viventi».
Studiosi e ricercatori arriveranno anche dalla Cina, Stati Uniti, e da diversi Paesi dell’Europa, per fare il punto sull’effetto del cadmio sulla salute, confrontare studi e ricerche, per programmare iniziative scientifiche, rappresenteranno i punti qualificanti del Simposio. In questi ultimi anni è cresciuta, in particolare in Sardegna, per il rilievo assunto di recente dalla contaminazione della zona militare di Quirra, l’attenzione di medici e ricercatori. Meno del 5% della quantità totale del metallo viene riciclata e data la considerevole resistenza alla degradazione naturale, questo metallo è presente nell’aria, nell’acqua e nel suolo, e quindi negli alimenti, con conseguenti ricadute sia in patologia umana che veterinaria.
Mauro Fancello
   
 

 
LA NUOVA SARDEGNA 
 
1 - La Nuova Sardegna / Pagina 25 - Sassari
Università, 5 milioni entro l’estate per opere di edilizia 
Il ministro Barca ha annunciato finanziamenti imminenti durante un incontro con i due rettori degli atenei sardi 
SASSARI Entro la fine dell’estate l’ateneo di Sassari riceverà i primi cinque dei 63 milioni di euro destinati alle opere di edilizia. A dare l’annuncio è stato il ministro Fabrizio Barca che alcuni giorni fa ha incontrato i rettori dei due atenei sardi. E proprio l’impegno degli atenei sardi per garantire standard di qualità nella didattica, nella ricerca e nel servizio al territorio e le condizioni necessarie per lo sviluppo di una politica universitaria orientata all’innovazione sono stati i temi principali affrontati durante l’incontro con il ministro della coesione territoriale e il commissario europeo alla politica regionale Johannes Hahn che si è svolto nell’aula magna dell’Università di Cagliari. «Il piano per il Sud recentemente presentato dal governo crea le premesse per compiere un salto di qualità e ridurre il divario con le aree più ricche del Paese – ha spiegato il rettore dell’Università di Cagliari Giovanni Melis – ma è necessario sapere con certezza quando queste risorse saranno disponibili». Durante l’incontro il ministro Barca ha annunciato che, entro la fine dell’estate, sarà disponibile una prima tranche dei fondi Fas (Fondo Aree Sottoutilizzate). In particolare l’Università di Sassari potrà contare sui 63 milioni che sono stati concessi per finanziare le otto principali opere riguardanti l’edilizia: nel dettaglio gli interventi interessano il dipartimento di Agraria e quello di Veterinaria, il Polo Bionaturalistico, la nuova sede del dipartimento Farmaco-Chimico, il polo umanistico di via Roma. Ci sono poi la ristrutturazione degli edifici dell’amministrazione centrale, della facoltà di Medicina e del dipartimento di Scienze economiche e aziendali. «Questi primi finanziamenti – ha precisato il rettore di Sassari Attilio Mastino – potranno consentirci di avviare rapidamente le gare per la realizzazione di numerose opere che porranno termine a tante incompiute. La soddisfazione più grande è legata alla possibilità di aprire definitivamente il Polo Bionaturalistico di Piandanna e di trasferire in via Vienna il dipartimento Farmaco-Chimico. Il ministro ha riconosciuto la situazione di svantaggio in cui operano i due atenei isolani, ormai legati da un patto di federazione, e ha garantito l’introduzione di una premialità legata all’insularità». Una parte dei fondi Fas, pari all’8 per cento, sarà anticipata anche per la realizzazione di un nuovo campus universitario dell’Ersu (lo stanziamento totale è di venti milioni di euro) e il nuovo ospedale dell’Azienda ospedaliera universitaria (le risorse concesse ammontano a novantacinque milioni di euro).
 
 
2 - La Nuova Sardegna / Pagina 26 - Sassari
UNIVERSITÀ 
Gestione e riforme della Pa, oggi workshop in rettorato 
SASSARI Oggi e domani l’Università ospita la quinta edizione del workshop nazionale di “Azienda pubblica”, la rivista trimestrale curata dall’IPAS - Istituto di Pubblica Amministrazione e Sanità - Università Bocconi, che raccoglie contributi di analisti del mondo universitario e di operatori del settore pubblico sui problemi organizzativi e gestionali nella Pubblica Amministrazione. Per due giorni studiosi, amministratori e dirigenti di vari enti si confronteranno sul tema “Equilibrio aziendale ed equilibrio di sistema pubblico”. La riflessione prenderà le mosse da un’analisi dello scenario attuale in cui la forte e prevalente enfasi sull’obiettivo di contenimento della spesa pubblica rischia di annullare l’autonomia decisionale delle singole amministrazioni e ledere la loro capacità di assolvere durevolmente alla propria missione istituzionale. Il quadro è reso particolarmente complesso per la convivenza di tendenze contrapposte tra loro: l’affermazione delle autonomia, che trova il suo fondamento nel cosiddetto principio di sussidiarietà, volto a migliorare l’efficacia della risposta ai bisogni e l’efficienza nell’assegnazione e uso delle risorse, a cui si sono contrapposti meccanismi di disciplina delle relazioni finanziarie e operative tra enti, diretti a garantire un quilibrio di sistema pubblico in linea con il rispetto dei vincoli europei. nel corso del workshop, i principali interventi contribuiranno a comprendere i principi e i criteri che dovrebbero orientare i percorsi di riforma del sistema pubblico. I lavori cominciano alle 10.30, col coordinamento di Lucia Giovannelli, delegata del Rettore per la programmazione. Intervengono Eugenio Anessi Pessina (diretore azienda pubblica), Stephen Osborn (Edinburgh Business School), Elio Borgonovi (Bocconi), Jane Broadbent (Roehampton University), Richard Laughlin (King’s College London), Riccardo Mussari (Università di Siena). Nel corso del pomeriggio e domani, presso il palazzo di città, in corso Vittorio Emanuele II, si svolgeranno sessioni parallele.
 
 
3 - La Nuova Sardegna / Pagina 8 - Sardegna
COOPERAZIONE 
Brigata e Università formano i nuovi dirigenti afgani 
di Antonio Meloni
SASSARI Da una parte c’è l’università di Herat, dall’altra quella turritana, al centro la Brigata Sassari e un ambizioso piano di cooperazione per la formazione della nuova classe dirigente afgana. Parlare di protocollo d’intesa sembra riduttivo, il rapporto tra Herat e Sassari ha ormai i contorni dell’accordo internazionale che i rispettivi governi dovranno solo ratificare. Di questo e molto altro si è discusso ieri nell’aula magna del Rettorato, presenti, oltre al Rettore Attilio Mastino, il generale Luciano Portolano, comandante della Brigata Sassari e Sergio Vacca, associato di pedologia nonché referente del progetto. L’incontro, a cui ha partecipato anche un team di esperti in cooperazione internazionale, è la prosecuzione di un rapporto già avviato nei mesi scorsi quando quattro ricercatori afgani, dopo un periodo trascorso a Sassari, erano rientrati a Herat affiancati da personale dell’Università. «Da quella esperienza _ ha spiegato Sergio Vacca _ è nata l’idea di elaborare un progetto di formazione permanente rivolto ai quadri della classe dirigente afgana con l’intento di rendere stabile la situazione creata dalla presenza dei militari». Al riguardo, il ruolo della Brigata Sassari è stato determinante, non soltanto per il contributo tecnico, ma anche per le ottime relazioni intrecciate con la popolazione locale e con gli esponenti di quella classe dirigente che lavora per lo sviluppo economico e culturale del paese. L’accordo è nella fase embrionale e il progetto è ancora tutto da discutere, ma è certo che il rapporto tra l’università sassarese e quella afgana è ormai cementato. Gli specialisti dei due atenei lavorano attorno a un’idea basata su una collaborazione a doppio senso, uno scambio di competenze che nel tempo sarà arricchito di contenuti specifici. Il progetto potrebbe essere presto discusso in sede Crui (Conferenza dei rettori delle Università italiane)con esponenti dei ministeri interessat.
 
 
4 - La Nuova Sardegna / Pagina 1 - Prima Pagina
SE LA POLITICA OPPRIME LA CULTURA 
di MARCELLO MADAU
Curiosa regione questa Regione Autonoma della Sardegna: lancia messaggi di rinascita e sovranità contro il centralismo, prove referendarie contro la cosiddetta ’casta’. E si appresta a discutere in aula la nascita della ’Fondazione Sardegna beni culturali’: un progetto decisamente centralista (il Gruppo di Intervento Giuridico lo ha avvicinato ai "kombinat" sovietici, che però erano meno rigidi!). Abito su misura per il controllo del ceto politico regionale sulla risorsa più importante della Sardegna. Non ripeteremo quanto indicato sulla ’Nuova’ del 28 maggio scorso. Vogliamo rinnovare l’esortazione alla prudenza, la necessità di una riflessione profonda. CONTINUA A PAGINA 21

Pagina 21 - Cultura-Spettacoli
Il caso della Fondazione: se la politica opprime la cultura 
di MARCELLO MADAU 
La legge all’esame della Regione va valutata attentamente E non serve fare leva sulla lunga precarietà di centinaia di operatori, serve invece trasparenza
Stiamo parlando di un bene comune in grado di consolidare i valori della cittadinanza per il suo radicamento culturale e paesaggistico. Di una vera prospettiva pulita, forse la più seria. Mentre emergono con forza, anche nei più avanzati settori accademici, i modelli dei ’commons’, la Regione vuole annullare i finanziamenti ai comuni e agli enti territoriali, cancellando gli articoli di legge (artt. 6 e 21 della L.R. 14/2006) che li prevedono. Soldi e competenze faranno capo alla ’Fondazione’. E’ ben vero che serve migliorare la pessima situazione del settore: ma sarebbe preferibile dare precisi standard qualitativi e professionali, commisurando l’erogazione dei finanziamenti che spettano ai comuni (in primo luogo il patrimonio è nei territori delle comunità) all’osservanza di tali standard, all’interno dei modelli prescelti dai territori, premiando e incoraggiando le sinergie: questo creerebbe qualità e lavoro. Il modello della Fondazione brucerà questo lavoro e il suo particolare ’mercato’, irrimediabilmente. Gli standard dovrebbero essere proposti da un Comitato Tecnico-scientifico, che qua sembra chiamato a dettare le politiche regionali. Troppo numeroso - 29 componenti -, composto unicamente da Soprintendenze ed Università (assenti Conservatori e Accademie di Belle Arti, competenti in molti beni del settore, e le Associazioni professionali riconosciute, neppure consultate). Il vertice tecnico-scientifico del Ministero dei beni e delle attività culturali è composto da 15 membri. Nei comitati tecnico-scientifici, in tutto 28 componenti, gli ’esterni’ sono il 50%. Infine, il lavoro. Si profila un’operazione clientelare: è nota la lunga precarietà di centinaia di operatori, i contratti rinnovati talora di anno in anno, che hanno maturato sofferenza e diritti, ma questa dinamica ha bloccato l’accesso al lavoro nel settore. Una situazione precaria, drogata, assistita. Il testo propone di assumerli e farli coordinare dai funzionari delle Soprintendenze! Basta con le assunzioni dirette. Prima fissiamo le necessità professionali reali e poi procediamo a concorsi pubblici che, riconoscendo adeguatamente l’esperienza maturata, mettano al centro i profili professionali richiesti in Italia e in Europa (ad es., per i musei, le indicazioni di Icom Italia). Ci sono già diverse proteste: del Gruppo di Intervento Giuridico abbiamo detto. Secondo l’Associazione Nazionale Archeologi - sezione Sardegna allo stato attuale il testo della ’Fondazione’ è quanto meno radicalmente da rivedere a favore di una struttura leggera, con ruolo di puro indirizzo e coordinamento qualitativo: si valorizzino le professionalità di tutti gli operatori culturali con gare di evidenza pubblica, l’autonomia dei territori senza sovrapposizioni né oggettivi conflitti di interesse istituzionale. Nel mondo politico isolano vi è stato finora il parere assai critico del PdCI-Federazione della Sinistra. Ma abbiamo raccolto forti malumori negli stessi ambienti delle Soprintendenze e del Ministero. Questa legge, forma borbonica di inedito centralismo, non va approvata: così’ com’è premia i centri di potere, paralizza il lavoro, espropria ogni possibilità di sviluppo virtuoso dei territori.
 

QUOTIDIANI NAZIONALI
Link: rassegna stampa CRUI
Link: rassegna stampa MIUR

 

Questionnaire and social

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