Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
27 March 2012

 


RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI A CURA DELL’UFFICIO STAMPA DELL’ATENEO

L’UNIONE SARDA
1 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari (Pagina 20 - Edizione CA)
Tuvixeddu, avanti coi lavori
L'assessore Marras: entro un anno cantiere chiuso
Il progetto del Comune: creare un sistema integrato con altri beni culturali
 
Una conferma. La pacifica invasione di tanti cagliaritani nel colle di Tuvixeddu domenica era stata prevista da tanti. Come gli assessori comunali, ai Lavori pubblici, Luisa Anna Marras, e alla Cultura, Enrica Puggioni. Entrambe sono coscienti che le risorse culturali e ambientali della città possono essere anche un volano dello sviluppo economico. Per questo il Comune sta portando avanti i lavori del parco archeologico e cercando di creare un sistema integrato dei tra i beni culturali della città.
I LAVORI Domenica oltre 10 mila persone hanno pacificamente invaso il parco, facendone il sito più visitato tra i 670 aperti per la ventesima edizione della Giornata Fai (Fondo per l'ambiente italiano). Ma per fare questo il Comune, oltre a chiedere il parere alla Procura e il permesso al Tribunale, che ha sequestrato l'area, ha anche dovuto fermare i cantieri. I lavori in corso prevedono un percorso circolare che parte da via Falzarego e abbraccia anche il capannone e gli altri impianti dell'attività estrattiva e che si conclude al centro servizi. «Sistemeremo l'illuminazione e il verde», spiega Marras. Che vorrebbe anche “alleggerire” le opere già realizzate. «Speriamo di eliminare le tanto contestate fioriere», sottolinea l'assessore ai Lavori pubblici. Il cantiere, inaugurato due mesi fa, rimarrà aperto fino all'anno prossimo e sarà supervisionato da Comune, Soprintendenza ai beni archeologici e dai cittadini. Infatti Marras assicura che Tuvixeddu verrà aperto periodicamente per «mostrare lo stato dell'arte». Le prossime date saranno il 21 e 22 aprile per Monumenti aperti.
I PERCORSI Se tutto procederà nei tempi previsti, il primo blocco di lavori sarà pronto in un anno. «L'idea è inserire il colle in percorsi integrati che sono allo studio tra Comune e Soprintendenza», spiega l'assessore Puggioni. Oltre ad abbattere i costi di gestione si creerebbero le condizioni per uno sviluppo turistico. Ad essere interessati sono, ad esempio, i siti della Marina (Santo Sepolcro e Sant'Eulalia), o quelli di Castello con un collegamento tra la Torre di San Pancrazio e la Cittadella dei musei, che dovrebbe avere un'unica gestione. Inoltre, sempre a Castello, arriverà una parte dei giganti di Monti Prama (l'altra rimarrà a Cabras). Un primo passo di integrazione si sta già realizzando: col biglietto della mostra “Le stive e gli abissi” del Ghetto (ma è in contemporanea anche a Oristano) si può entrare gratis al museo archeologico.
IL FINANZIAMENTO Per realizzare gli altri progetti il Comune aspetta che la Regione termini l'istruttoria di “Jessica” ( Joint European Support for Sustainable Investment in City Areas ), un programma obiettivo della Ue finanziato dalla Banca europea degli investimenti, avviato nell'Isola nel giugno dell'anno scorso, che incentiverà, tra gli altri, i piani d'investimento sostenibile nelle aree urbane cittadine.
Mario Gottardi
 
Cronaca di Cagliari (Pagina 20 - Edizione CA)
Gli esperti
Le proposte: un grande parco gestito da archeologi
 
Domenica erano visitabili solo 12 dei 60 ettari di cui è composto il parco di Tuvixeddu. «Sono bastati per far prendere coscienza ai cittadini della grandiosità di questo tesoro», spiega Vincenzo Tiana, presidente regionale di Legambiente. Il suo auspicio è che «il Consiglio regionale recepisca il messaggio e finanzi l'acquisizione di tutta l'area», come proposto da alcuni consiglieri.
Un'archeologa affermata come Giuseppa Tanda, vorrebbe un parco aperto, pubblico e gestito dai tanti dottori di ricerca e laureati in archeologia che ora sono disoccupati. Per lei l'area sarebbe uno degli “obiettivi” dei turisti e andrebbe valorizzato. «Si possono fare percorsi integrati, magari assieme ad altri siti storci della città da accostare alla gastronomia», spiega, «o itinerari tematici come le spiagge, l'architettura, i musei». Insomma, in città la scelta è vasta. Non c'è che da scegliere. (m. g.)
 
L’UNIONE SARDA
2 – L’Unione Sarda
Cultura (Pagina 46 - Edizione CA)
La partita con Dio, inseguendo la libertà
Mancuso e D'Alessandro al Massimo
Cagliari, per il Festival della Filosofia che si chiude oggi
 
“Per ogni uomo che viene sulla terra la partita è sempre tra Io e Dio”, scrive Vito Mancuso nella sua “guida dei perplessi”. Sintesi semplice e immane. Va da sé che di (un) dio si può fare a meno, ma anche in questo caso resta la dimensione della “disputa” annunciata dal teologo. Positivo o negativo, non ci sono alternative: se si scende in terra bisogna scendere in campo. L'Io non può sottrarsi. La partita, naturalmente, si può giocare in molti modi: in difesa, all'attacco, persino ai tempi supplementari. Infiniti tornei individuali, spesso (e talvolta tragicamente) trasformati in collettivi, hanno fatto e fanno la storia dell'uomo, eppure c'è sempre un modo nuovo di giocare. Quanto meno un modo che non è stato esplorato fino in fondo.
Comunque sia, l'uomo ricerca, o deve ricercare, «l'arte del vivere». Che significa spiritualità. Il tema del Festival della Filosofia che si chiude oggi al Massimo di Cagliari offre una via difficile ma sicura: Legge-Libertà-Grazia. E Mancuso è d'accordo sulla direzione. Meglio, la rivendica. Ma come attrezzarsi nel cammino? Come raggiungere l'obiettivo? Su questo fronte può dire qualcosa il filosofo-teologo russo Pavel Florenskij, fulcro dell'incontro di domenica con Mancuso, dell'Università San Raffaele di Milano, e Alessandro D'Alessandro, dell'Università di Firenze. Dalla Russia all'Oriente, da una spiritualità vissuta al Buddismo e ritorno, per verificare i punti di contatto.
Florenskij, ovvero persona e opera che si fondono. Nella sofferenza. «E quanto pensiero può nascere dalla sofferenza», secondo mille testimonianze storiche. Quanti diari scritti dal carcere sono monumenti di cultura necessaria. Concetti puri, riflessioni come dono lacerante. «Il dolore genera conoscenza». Nel 1937 Florenskij - al tavolo del teatro Mancuso veste i panni del biografo - scrive dal gulag. Ha studiato matematica e teologia, si è sposato, è diventato sacerdote ortodosso. Nel 1917 tutto cambia, la Rivoluzione fissa altre regole, e Dio non fa eccezione. Florenskij è costretto a fare l'operaio, poi il professore, «ma non abiura mai». Finale: processo farsa, lavori forzati e un colpo di pistola alla nuca. Il corpo finisce in una fossa comune di Leningrado. Con un breve testamento: “Non dimenticatemi”.
In realtà Pavel Florenskij lascia ben altro. Diversi punti di straordinaria spiritualità, insiste Mancuso. Innanzitutto «la voglia di capire, di guardare tutto». Di considerare «il mondo come un insieme e io in mezzo alle cose». Perché la spiritualità ha a che fare con la materia. Ma il mondo si guarda e si vede «muovendosi». Seduti in un solo punto della stanza non si coglie tutto. Se si moltiplicano gli angoli della visuale si afferra molto del tutto. «Se il pensiero si muove è vita, altrimenti è null'altro che ideologia, dogmatismo». Guardare implica poi “come” guardare. E il mondo va osservato dialetticamente. Qui Florenskij introduce il concetto di “antinomie”. E, per conseguenza, l'arte di cogliere le contraddizioni. Scrutarle, accettarle, valutarle, non nasconderle. Legge e Libertà possono scontrarsi? È terreno di antinomie, bisogna ararlo. Con impegno, dedizione.
“Lavoro tenace e integrale”. Lavoro, quasi inutile sottolinearlo, su se stessi, principalmente. «Bisogna avere davanti l'armonia e cercare di realizzarla». Senza timori. Gestendo anche la noia, per esempio. Perché temerla? Tanto più che avrà sempre un posto e un ruolo nell'esistenza dell'uomo.
Detto in modo filosoficamente poetico, è una gran cosa “trattenersi col cielo”. Scoprendo magari la legge della compassione. A questo punto D'Alessandro individua «la profonda analogia» fra la tradizione buddista (è un esperto in materia) e la spiritualità di Florenskij, «un uomo forte e libero» in grado di parlare alla coscienza dell'umanità. In una realtà, e cioè il nostro piccolo villaggio globale contemporaneo, che «non tollera più steccati ideologici», affermazione sulla quale, a dire il vero, si potrebbe discutere parecchio. Nel filo orientale D'Alessandro fa correre appunto la legge della compassione, che governa mondo e vita, «perché dipendiamo l'uno dall'altro». Il che non comporta l'eliminazione dell'identità. L'individuo deve insistere nella globalità.
Non sono temi fuori tempo. Si parla - e quanta sterminata letteratura finora - della crisi di un'epoca, e della fine della modernità. Che esige nuove strade: Pavel Florenskij orienta verso un umanesimo della responsabilità, dal fondo dei secoli il Buddismo suggerisce benevolenza e compassione, nella certezza (nella “pratica”) dell'interdipendenza: «Nessuno basta a se stesso». In un foglio di carta, se guardiamo bene, c'è una nuvola, perché la nuvola è pioggia e la pioggia è albero e l'albero è carta. E un solo istante contiene tutto il mondo. Altra frase chiave: “Sentire il mondo”.
Al termine del dialogo, dei monologhi che si intrecciano nella sostanza, spunta l'idea portante, per Mancuso e D'Alessandro: la libertà. O i tanti volti della libertà, a cominciare da quello che riesce a liberarsi delle religioni. E quindi delle istituzioni. C'è un buona teologia che fissa la ricerca e non la Chiesa. Una teologia per la quale le istituzioni fondamentali sono la vita e il mondo. Vita e libertà sono inscindibili: se si rispetta la seconda si rispetta la prima. Vale la pena rileggere un passo di “Io e Dio”: “La libertà si compie nella misura in cui aderisce alla verità in quanto logica della vita, e tale logica della vita è la relazione armoniosa”. A buon diritto, alla fine della mattinata, D'Alessandro sottolinea «le molte cose» su cui i due studiosi sono d'accordo. E irresistibile a questo punto - per antinomie che si toccano - rileggersi anche un passo di “Senza Dio” dell'“ateo protestante” Giulio Giorello: i fondamentalisti (religiosi o politici) non si accorgono che “quanto più solido, ben definito e splendido è l'edificio eretto (dalla loro religione) tanto più impetuosa è la pressione della vita, per fuggire via verso la libertà”. Parola di Hegel.
Roberto Cossu

LA NUOVA SARDEGNA
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 20 - Sassari
CIRCOLO SASSARESE
La vita sociale e politica: oggi un convegno
 
 SASSARI. «La Sassaresità nella vita sociale, economica e politica della città», questo il tema della conferenza dibattito che si svolgerà oggi pomeriggio, inizio ore 18, al Teatro Civico (Palazzo di città) in corso Vittorio Emanuele. Il convegno, moderato dal professor Manlio Brigaglia e al quale porteranno il loro contributo il rettore dell’università, Attilio Mastino, il presidente del Banco di Sardegna, Franco Farina, Mario Segni e altre personalità, è stato organizzato dal Circolo Sassarese che celebra quest’anno i 120 anni della nascita. Per l’importante anniversario, il presidente Francesco Azzena ha predipsosto un ricco calendario di iniziative che si protrarranno per tutto l’anno grazie al contributo di Banco di Sardegna e Banca di Sassari.
 
LA NUOVA SARDEGNA
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 33 - Cultura e Spettacoli
Non solo per paura
Violenza e consenso nei regimi totalitari
Repressione e adesione a sistemi che annullano le libertà sono in realtà le facce di una stessa medaglia
LUCIANO MARROCU
 
Che cosa pensava la gente comune sotto i regimi totalitari? Ci possiamo accontentare delle categorie di “consenso” e “dissenso” per interpretare l’opinione popolare sotto il fascismo, il nazismo, il comunismo? Queste le domande che pone Paul Corner raccogliendo in volume (“Il consenso totalitario”, Laterza, euro 24) i saggi di un gruppo di studiosi delle dittature, tra cui è d’obbligo ricordare Sheila Fitzpatrick e Ian Kershaw.
 Paul Corner, uno storico inglese autore di fondamentali studi sul fascismo italiano e che insegna da molti anni all’Università di Siena, si è soffermato su questi temi, oltre che con una densa introduzione, con un saggio sull’opinione popolare nell’Italia fascista durante tutti gli anni Trenta.
 Opinione popolare e non opinione pubblica, si badi bene, in quanto non si dà l’esistenza di una vera e propria opinione pubblica senza democrazia. Secondo quanto scriveva Renzo De Felice nel quarto volume pubblicato nel 1974 della sua monumentale biografia di Mussolini, gli anni Trenta erano quelli del “consenso” nei confronti del regime. La tesi del “consenso” rovesciava drammaticamente quella autoconsolatoria di un popolo italiano nella sua maggioranza antifascista e dunque vittima incolpevole di Mussolini. Aprendo la strada però a una nuova forma di autoconsolazione per cui, anche dando vita a un regime totalitario, gli italiani erano rimasti “brava gente”, visto che in fondo questo prodotto così squisitamente italiano, il fascismo, diversamente dal nazismo e dal comunismo, non era poi stato un gran male.
 Rispetto a questa antitesi interpretativa, in qualche modo ancora presente nella discussione storiografica attuale, Corner offre un punto di vista che introduce una prospettiva più ricca e profonda. «In realtà - scrive - lo studio dei regimi totalitari suggerisce che le due posizioni non sono antitetiche, ma piuttosto complementari. Nelle dittature totalitarie, violenza/repressione e partecipazione/consensocoatto sono due facce della stessa medaglia». Era frequente insomma che chi sentiva su di sé il peso della repressione potesse esprimere poi una qualche forma di consenso nei confronti del regime. Un consenso quindi che, con un paradosso solo apparente, nasceva dal buon funzionamento della macchina totalitaria. Un giornalista del “Times”, in una corrispondenza del 1935, impressionato dai raduni di massa che il regime orchestrava con indubbia competenza, definiva gli italiani «un popolo di prigionieri, condannati all’entusiasmo».
 Un “consenso totalitario”, dunque, come recita il titolo del volume. Prodotto anche di sofisticate ed efficienti “fabbriche del consenso”, come dopolavoro ed enti assistenziali, oltre naturalmente a stampa, cinema e radio. Ma che dovette confrontarsi con la distanza tra obiettivi dichiarati e realtà. E’ questo il punto di crisi - e di rottura in ultima analisi - di tutti i regimi totalitari: l’esistenza di una doppia realtà, quella descritta dalla propaganda e dall’ideologia di regime e quella sperimentata dalla gente nella vita quotidiana. Nel caso del fascismo, fu l’ingresso stesso dell’Italia in guerra nel 1940 a segnare il punto di crisi. Nel caso della Germania nazista l’inverno del 1941-2, l’ “inverno di Stalingrado”, come sottolinea Ian Kershaw, quando fu chiaro che il progetto di una Germania capace di farsi grande e potente attraverso una guerra facilmente vittoriosa e con perdite minime si stava scontrando con il muro invalicabile rappresentato dagli eserciti alleati e dall’Armata Rossa.
 Il disinganno successivo all’inverno 1941-2 non può ovviamente far dimenticare ciò che avvenne prima, e cioè la capacità del nazismo di mobilitare gran parte della società tedesca intorno a un “sogno” che implicava dichiaratamente la guerra e il genocidio. Fu così che gran parte dei tedeschi divennero “volenterosi carnefici di Hitler”, come li avrebbe chiamati lo storico Daniel Goldhagen.
 Consenso anch’esso “totalitario” quello registrato da Sheila Fitzpatrick a proposito della Russia stalinista prima della seconda guerra mondiale, nel senso almeno che laddove vengono cancellati gli spazi pubblici di discussione diventa problematico riconoscere e classificare una opinione autonoma. Rimane il fatto che una forma di consenso venga riconosciuta dalla Fitzpatrick in un modo di pensare che, pur perfettamente consapevole delle imperfezioni del presente, si riconosceva nella premessa che la società sovietica stava costruendo il socialismo. Un modo di pensare sopravvissuto sino ai tempi di Gorbacev e che trovava modo di rivelarsi nella risposta doppia a qualsiasi domanda sulla società sovietica: in teoria..., in pratica, «v printsipe, qui è dove si comprano registratori... v praktike non c’è nessun registratore in vendita».
 
LA NUOVA SARDEGNA
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Cagliari
Traffico auto, emergenza inquinamento
Ogni giorno entrano in città circa centottantamila vetture
Annunziata: «Dobbiamo subito potenziare i collegamenti con i paesi dell’hinterland»
 
 CAGLIARI. «Ogni giorno entrano in città circa 185mila auto e la maggior parte di queste vetture portano solo una persona, il guidatore», afferma Francesco Annunziata (professore ordinario di Costruzioni di strade, ferrovie e aeroporti nella facoltà di Ingegneria). Una considerazione-premessa per sottolineare che «oggi il problema centrale non è tanto quello di “allungare” il metrò di superficie da piazza Repubblica a piazza Matteotti, ma di aumentare i collegamenti dell’hinterland con la città».
 Il capoluogo dell’isola «è attualmente un centro di servizi indispensabili per decine di migliaia di persone, da qui il grande traffico verso la città - continua Annunziata - per questo abbiamo strade che a seconda dell’orario sono del tutto intasate come viale Marconi, ma anche viale Poetto, via Cadello, la “554”, la “130” e la “131”». Tra le otto e le nove di mattina le auto che passano in viale Marconi hanno una velocità media di pochi chilometri all’ora. E in alcuni minuti si viaggia a passo d’uomo.
 Una situzione che crea tanti problemi: «La maggior parte delle persone che arrivano in città in auto parcheggiano la vettura in centro e ve la lasciano sino a che non vanno via, spesso per l’intera giornata. Un modo di vivere che occupa spazio, che potrebbe invece essere utilizzato in altro modo e, in più contribuisce notevolmente all’intasamento del traffico cittadino». Non solo: viaggiare in auto rappresenta un costo economico che oggi pesa sempre più sulle tasche dei cittadini: soprattutto per la benzina. Oltre al fatto, spiega Annunziata, «che in questo modo si produce anche un notevole inquinamento dell’aria. Per tutti questi motivi affermo che l’emergenza e le priorità progettuali devono essere rivolte all’aumento dei collegamenti con l’hinterland».
 Oggi, ad esempio, il metrò di superficie arriva sino a San Gottardo, «ma perché non portarlo sino al Margine Rosso, si eviterebbero grossi ingorghi». Lo stesso dicasi per altre zone «che potrebbero esssere potenziate con le ferrovie». Invece «si fatto un progetto per collegare piazza Repubblica con piazza Matteotti, mentre le priorità sono diverse».
 Meno traffico in città, più qualità della vita. (r.p.)

Questionnaire and social

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