Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
03 September 2011

 


RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI A CURA DELL’UFFICIO STAMPA

L’UNIONE SARDA 
1 – L’Unione Sarda
Estate (Pagina 10 - Edizione IN)
Addio a Cirese
 
Alberto Mario Cirese è morto giovedì a Roma, novantenne. Voce autorevole e rigorosa della cultura italiana contemporanea, nel 2006, ottantacinquenne, pubblicava a Nuoro (Il Maestrale) “All'isola dei Sardi. Per un anniversario” (1956-2006). Cirese è un grande studioso e, come egli amava definirsi, anche sardo, un grande sardo. “All'isola dei Sardi” è un libro, breve ma intenso, per festeggiare un anniversario di mezzo secolo di attenzione alla Sardegna.
Cirese è venuto per la prima volta nella nostra isola nel 1956, per un convegno nazionale di storia delle tradizioni popolari. In quella prima occasione vi teneva una comunicazione che in questo libro, ben più che commemorativo, l'autore riporta in appendice, con commozione, e che si legge ancora oggi con profitto non solo di chi è interessato a gli studi demologici come contributo alla storia della cultura, come suona il titolo della comunicazione cagliaritana di allora e della riproposta di oggi. In quell'occasione conosce Max Leopold Wagner e Giovanni Lilliu, insieme ai quali oggi può dirsi che costituisca una triade di eccellenze assolute nel campo degli studi sardi, e tutti e tre con notorietà internazionale. Nel 1957 sarà poi all'università di Cagliari per il suo primo incarico di professore ufficiale di Storia delle tradizioni popolari. Ci resterà fino al 1971, per trasferirsi all'università di Siena e poi a Roma, La Sapienza, di cui è stato professore emerito.
Non è senza ragione e importanza che uno dei maggiori antropologhi italiani considerasse la Sardegna come una delle sue patrie culturali, forse la più importante, un po' come è successo a Ernesto De Martino, che ha ricercato e insegnato insieme con Cirese a Cagliari in quegli stessi anni, e che aveva scelto a sua patria culturale, lui napoletano, la Lucania. L'attenzione di Cirese per la Sardegna data di qualche anno prima della sua visita del 1956, come mostra, in appendice “All'Isola dei Sardi”, l'elenco dei suoi Scritti sardi (1955-2005), inaugurato da una recensione a “Miele amaro” di Salvatore Cambosu.
Era seria per Cirese l'occasione che gli ha suggerito la pubblicazione di “All'isola dei Sardi”, che è stata per lui luogo di studio e di affetti profondi. Durante i suoi anni sardi ha scritto le sue cose più importanti, come il fondamentale “Cultura egemonica e culture subalterne” 1973), introduzione agli studi demologici per tanti studenti di tutta Italia e che serve ancora a studiosi non solo italiani. È qui, nell' Isola dei Sardi, citazione dantesca posta a titolo di questo libro-dono alla Sardegna, che egli ha prestato acuta attenzione a temi come la panificazione tradizionale (“Arte plastica effimera in Sardegna”), la versificazione popolare (“Origine e struttura morfologica dei mutos e dei mutetus sardi”, poi in “Ragioni metriche”, Sellerio 1981), i testi e i prodotti del dire e del fare umani (come il notissimo e più volte riscritto “Il gioco di Ozieri”). E sempre in Sardegna, ha scritto saggi tra i più acuti su intellettuali come la Deledda e Gramsci (ora in “Intellettuali, folklore, istinto di classe”), due sardi novecenteschi di statura mondiale.
Come uno dei suoi allievi sardi, oggi mi commuove ricordare che è per l'opera scientifica, organizzatrice e didattica di Cirese (insieme e ancor più di quella di Ernesto de Martino, scomparso troppo presto mentre insegnava anch'egli a Cagliari da quasi un decennio con un'accolta di studiosi che facevano della nostra università uno dei fari della cultura umanistica europea), che non è senza ragione che studiosi come Vinigi Grottanelli (su una rivista autorevole internazionale come Current Anthropology, 1977, e Giorgio Raimondo Cardona (nel Dizionario di antropologia e etnologia, PUF 1991 a cura di Pierre Bonte e Michel Izard, Einaudi 2006 a cura di Marco Aime) già decenni fa individuavano una scuola sarda, non solo cagliaritana, di antropologia, di cui Cirese è stato fondatore nella nostra terra. Ed è utile rilevare almeno una caratteristica, che è dell'opera complessiva di Cirese studioso e del suo insegnamento esplicito e implicito a una cerchia di allievi ben più vasta di quella sarda, e cioè la fruttuosa libertà tematica dei plurimi interessi dei "membri" di questa scuola, unita a una pratica molto rigorosa del metodo scientifico, anzi dei metodi scientifici.
Infatti Alberto Mario Cirese, maestro internazionalmente riconosciuto dello strutturalismo, con sue celebri analisi formali (per esempio su argomenti gramsciani dei Quaderni del carcere) resta per molti il Maestro che, per primo e poi coi suoi allievi, ha praticato e si è distinto per un avveduto relativismo teorico-metodologico, che usa ad hoc orizzonti teorici, metodi di studio e tecniche di ricerca e di analisi richiesti e giustificati dalla produttività del loro impiego su determinati oggetti di studio. Noi oggi non dimentichiamo che uno degli oggetti di studio e di insegnamento più fruttuosi e apprezzati del Maestro è stata la cultura tradizionale della Sardegna.
Giulio Angioni
 
L’UNIONE SARDA
2 – L’Unione Sarda
Estate (Pagina 8 - Edizione IN)
“A libro aperto”, le culture del noi
 
Pubblichiamo un intervento di Massimo Arcangeli, linguista, critico letterario, saggista e critico cinematografico romano, già preside della facoltà di lingue e letterature straniere presso l'Università di Cagliari, direttore scientifico del Festival letterario di Santu Lussurgiu in corso nel bel centro del Montiferru.
Cos'è oggi l'identità? Come oltrepassare il limite di una visione multiculturale e interculturale? Quali sono le parole chiave di un dialogo possibile fra lingue, culture, letterature? A queste e altre domande tentano di dare una risposta gli ospiti della quinta edizione del festival A libro aperto, che si è aperto ieri a Santu Lussurgiu per concludersi domani. Il tema di quest'anno è Identità migranti. Multiculturalismo, interculturalismo e oltre. Ad affrontarlo autori migranti (Cristina Ali Farah, Amara Lakhous, Nicolai Lilin, Igiaba Scego), critici (Filippo La Porta), giornalisti (Daniele Balicco e Giancarlo Liviano D'Arcangelo); ne parleranno, attraverso la lettura e il commento dei loro e degli altrui testi, nelle tre diverse sezioni di Itinerari previste (Ritratti, Punti di vista, Orizzonti) e nella tavola rotonda finale: “La narrativa come forma di conoscenza. Una lettura e un commento partecipati”. Gli spettatori, a loro volta critici e autori, aggiungeranno parola a parola, idea a idea, tema a tema; si faranno interpreti e rilanceranno con le loro proposte, osservazioni, provocazioni.
Una lingua che attraverso le parole ci parli di sé aiuta a riflettere sulle sue forme; quando ci parla del mondo aiuta a riflettere sui significati di quelle forme. Ma non basta partire dalle forme per arrivare ai significati o viceversa. La chiave di volta è la risposta di chi a forme e significati tenta di dare un'interpretazione.
È così che s'instaura un vero dialogo, fondato sulla reciproca consapevolezza della cooperazione nella diversità. Ed è l'interpretazione che consente di sognare il domani. Se il mondo costruisse ponti, anziché continuare a scavare fossati, assicurerebbe le nostre isole dai rischi della marginalizzazione o dell'estinzione; se ognuno di noi edificasse il proprio piccolo ponte, se cominciasse a dare valore al contatto, alle relazioni con le persone, alla comunicazione, allo scambio delle esperienze, darebbe un segnale forte al mondo.
Sono molte le lingue di ciascuno; se lo riconosciamo, se ci convinciamo che il monolinguismo non esiste, iniziamo a dialogare già con noi stessi. Sono molte anche le identità di ciascuno; se lo riconosciamo, se ci convinciamo che il rapporto con noi stessi non è un rapporto uno a uno, un percorso lungo un vicolo cieco (o una strada a senso unico), ma una “trafficata” relazione uno a molti, un continuo viavai, iniziamo a dialogare già dentro di noi.
C'è chi, al termine identità, preferisce quello di identificazione. I rispettivi concetti, com'è evidente, non sono perfettamente sovrapponibili. Tuttavia identificazione, se si potesse sostituire tutte le volte a identità, lo sostituirei volentieri. Perché l'identità è una proiezione del proprio sé, l'identificazione è una proiezione del modo in cui gli altri guardano a quello che sappiamo di noi. La prima appartiene a me, l'altra al mondo che si è fatto un'immagine di quel che sono e di come io stesso mi percepisco. L'identificazione è una corda lanciata al mio prossimo, al mio interlocutore, della quale tengo in mano una cima. L'altra spero la prenda lui, aiutandomi a riconoscermi; così, riconoscendomi in lui, riconosco anche lui. L'identificazione, in questo senso, può essere un ponte fra le diverse culture e le diverse civiltà. Oltre l'interculturalismo. Verso il transculturalismo. Quell'ultima, benedettissima meta.
Un giorno gli intrecci e le intersezioni dell'interculturalismo evolveranno, si spera, verso la realizzazione dell'utopia della fusione auspicata dalla filosofia transculturale. Quel giorno, tra gli elementi componenti le tante forme ibride diffuse oggi per il mondo, saranno diventati del tutto invisibili i punti di sutura. Quel giorno non ci saranno più l'Io o l'Altro o l'Io accanto all'Altro, ma solo l'Io e l'Altro. Quel giorno i libri, potenzialmente tutti aperti dinanzi a noi, potremmo tornare a leggerli e interpretarli insieme. Realmente, non più soltanto attraverso la condivisione virtuale consentita dalla Rete.
Massimo Arcangeli
 
L’UNIONE SARDA
3 – L’Unione Sarda
Economia (Pagina 16 - Edizione CA)
Va alle famiglie dell'Isola il primato nazionale degli importi
Quasi 3 mila le richieste. In vetta alla classifica Nuoro, seguono Cagliari, Sassari e Oristano Scuola, sardi al top per i prestiti
 
Settembre è il mese in cui le famiglie tornano a fare i conti con la scuola. E complice la crisi e la volontà di essere competitivi nella ricerca di un lavoro, sono quasi tremila i sardi (quarantamila gli italiani) che nel 2011 hanno chiesto un prestito per pagare i propri studi o quelli dei figli. Non solo. L'Isola raggiunge il primato nazionale per gli importi.
L'INDAGINE A diffondere i dati è Prestiti.it (www.prestiti.it). Per il broker on line chi va alla ricerca di un prestito per la formazione e l'università ha in media 38 anni, aspira a un finanziamento di circa 10500 euro e ha intenzione di rimborsarlo in 51 mesi, vale a dire poco più di quattro anni. Va poi rilevato, precisa lo studio, che l'età media ingloba sia i genitori che hanno bisogno di sostenere i propri figli nella formazione sia gli studenti che richiedono un prestito per se stessi.
GLI STUDENTI «Evidentemente», osserva Marco Giorgi, di Prestiti.it, «i giovani non sono solo bamboccioni che vogliono vivere alle spalle dei genitori. Sono tanti infatti gli studenti che si fanno carico in prima persona dei costi della loro formazione: oltre il 15% delle richieste di finanziamento è sottoscritto proprio dai diretti interessati, che fanno ricorso al credito al consumo per completare la propria formazione universitaria». Scendono, in questo caso, sia l'età media del richiedente, che si ferma a 25 anni, sia il valore del prestito richiesto: solo 9.500 euro. Questo tipo di clienti ha bisogno di trovare un cointestatario del prestito, con reddito dimostrabile, affinché l'istituto finanziatore possa prendere in considerazione la domanda. Insomma, se mamma e papà non pagano, quantomeno garantiscono.
LE DONNE A preoccuparsi della formazione sono soprattutto le donne: se solitamente a richiedere un prestito sono prevalentemente gli uomini, quando si tratta di questa tipologia di finanziamento, la percentuale di donne che li richiede aumenta di 14 punti percentuali rispetto alla media, passando dal 24% al 38% delle richieste totali.
LA CLASSIFICA L'indagine di Prestiti.it registra una generale attenzione di tutte le regioni d'Italia a questa forma di finanziamento. A variare, piuttosto, sono gli importi richiesti, che indicano scelte di formazione professionale diverse. Guidano la classifica degli importi la Sardegna (con 14900 euro richiesti in media), la Lombardia (12800) e il Trentino (12000). Le zone in cui si richiedono finanziamenti minori sono invece Abruzzo (8000 euro), Umbria e Veneto (entrambe con 8100 euro). Nell'Isola è Nuoro a guidare la graduatoria con 17800 euro. Seguono Cagliari (17400), Sassari (8900) e Oristano (7500).
Lanfranco Olivieri
 
L’UNIONE SARDA
4 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari (Pagina 21 - Edizione CA)
Ersu
Sportello di orientamento
 
L'associazione culturale “Il paese delle Meraviglie”, in collaborazione con l'Ersu, fino al 30 Settembre offrirà uno sportello orientamento-alloggio nella sede dell'Ersu in Corso Vittorio Emanuele 68. L'erogazione del servizio consisterà nel mettere a disposizione degli utenti un fac-simile del contratto per usufruire dei benefici Ersu, un questionario con domande inerenti alle varie caratteristiche degli alloggi da presentare ai locatori, e un database di tutti gli annunci contenuti nei vari siti, giornali e settimanali contenenti offerte di affitto a studenti
I proprietari che volessero contattare l'associazione per diffondere le loro offerte o per gli studenti che hanno bisogno di informazioni è possibile scrivere a: orientamento.meraviglie@gmail.com, o visitate il nostro sito www.paesemeraviglie.com.
 
L’UNIONE SARDA
5 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari (Pagina 22 - Edizione CA)
GINECOLOGIA. Alessandro Loddo
Società di endoscopia, medico cagliaritano nominato ai vertici
 
Un medico cagliaritano, Alessandro Loddo, entra far parte del Board della Società internazionale di endoscopia ginecologica. (Isge). Il mandato durerà dal 2011 al 2015.
INCARICO PRESTIGIOSO La società scientifica Isge è stata fondata nel 1989 ed è formata da più di mille ginecologi endoscopisti che provengono da tutte le parti del mondo. Tra i membri del Board, che sono 24, in rappresentanza di tutti i continenti, Alessandro Loddo è attualmente l'unico membro italiano eletto, e succede a Mario Malzoni, l'esponente più prestigioso della scuola laparoscopica italiana.
IL PERCORSO Alessandro Loddo è nato a Cagliari nel 1977, città dove si è laureato in medicina con il massimo dei voti e la lode, e dove ha conseguito la specializzazione in Ostetricia e ginecologia. Accostatosi alla chirurgia endoscopica, dopo periodi di formazione e di specializzazione a Roma e a Clérmont-Ferrand, in Francia, dove ha conseguito l'European University Diploma of Gynaecological Operative Endoscopy, il medico cagliaritano ha compiuto importanti esperienze lavorative a Parma, dove è stato chiamato a far parte di una struttura votata alla tecnica operativa endoscopica. Ora è dirigente medico all'Ospedale Morgagni- Pierantoni dell'Ausl di Forlì, dove, nell'ambito dell'Unità ospedaliera di Ostetricia e Ginecologia, si occupa in prevalenza di laparoscopia e isteroscopia.
LA LAPAROSCOPIA La laparoscopia chirurgica è una tecnica mini-invasiva che permette di inserire nell'addome del paziente, per mezzo di una piccola incisione cutanea, uno strumento ottico chiamato laparoscopio. Il laparoscopio è un tubo rigido sottile che è dotato due canali ottici: uno conduce la luce all'interno l'altro trasmette all'esterno l'immagine degli organi addominali. Questo insieme di strumenti permette al chirurgo di vedere l'interno dell'addome e operare sugli organi per mezzo di strumenti inseriti nell'addome attraverso altre piccole incisioni chirurgiche, in numero e nelle sedi opportune per l'intervento. Recentemente si stanno facendo strada le tecniche di accesso laparoscopico singolo attraverso l'ombelico: tutti gli strumenti passano da una sola incisione ombelicale di pochi centimetri.
 

LA NUOVA SARDEGNA
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 3 - Oristano
Ales. Una serata di note e cultura
Un omaggio speciale a suon di musica rock per Antonio Gramsci
TIGELLIO SEBIS
 
 ALES. Arriva settembre e come da tradizione la cittadina dell’Alta Marmilla tributa un omaggio tutto particolare al suo cittadino più illustre, Antonio Gramsci, il politico e filosofo che ha lasciato un segno profondo nel pensiero del ‘900. Un omaggio che, in programma questo pomeriggio, risponde al nome di “Rock per Gramsci. Disciplina e libertà”, promosso dall’associazione culturale Casa Natale e giunto all’ottava edizione.
 Non solo musica, quindi, ma anche e soprattutto riflessione giusto sui concetti di disciplina e libertà come titolava lo scritto del piccolo grande Antonio pubblicato ne “La Città Futura” nel febbraio 1917, numero unico di una rivista socialista di Torino, interamente scritto dal filosofo sardo.
 La manifestazione, organizzata in collaborazione con l’amministrazione comunale e le associazioni di volontariato che operano nel paese, si articolerà in due momenti.
 L’inizio è previsto alle 18.30 nella sala convegni dell’Unione dei Comuni dove, all’interno dei lavori di “Arcilab 2011”, di disciplina e libertà parleranno Pierre Alain Croset, docente di composizione nella facoltà di Architettura al Politecnico di Torino, Gino Valle, docente di Architetture e paesaggio, Antonello Sanna e Giorgio Peghin, rispettivamente preside e docente di Composizione nella Facoltà di Architettura dell’Università di Cagliari e del Carbonia Landscape Machine che ha avuto il Premio europeo per il paesaggio di quest’anno.
 Alla fine del convegno i “Sugubambu”, brass band sarda composta da sette elementi provenienti da diverse esperienze musicali, accompagneranno tutti alla piazza Santa Maria dove, a partire dalle 21.30, sul palco si alterneranno i protagonisti della serata: i Sugubambu, i Love Boat e gli emiliani Massimo Volume.
 
LA NUOVA SARDEGNA
7 – La Nuova Sardegna
Pagina 36 - Inserto Estate
La voce di chi ha perso
Analisi delle culture subalterne, nel solco di Antonio Gramsci
Per quindici anni docente a Cagliari Intellettuale di grande levatura: fortissimo il suo legame con la Sardegna
GIULIO ANGIONI
 
Il grande antropologo italiano, e sardo, Alberto Mario Cirese ci ha lasciato giovedì sera. L’Università di Cagliari è stata per un quindicennio il luogo del suo insegnamento. Con lui si sono formati a Cagliari alcuni degli antropologi italiani e sardi più importanti, come Pier Giorgio Solinas, Pietro Clemente, Gabriella Da Re, Enrica Delitala e molti altri più giovani, in grande compagnia di studiosi non solo italiani.
 Alberto Mario Cirese, una delle voci più importanti della cultura italiana del Novecento, è stato uno studioso rigoroso e un insegnante affascinante. Maggiore cultore italiano dell’indirizzo strutturalista, importatore e traduttore di Claude Lévi-Strauss, il suo campo di studi è stato soprattutto la demologia, cioè lo studio della cultura tradizionale, o popolare, o subalterna. E in un luogo come la Sardegna, che nel senso comune europeo è luogo folklorico quanti altri mai. Ma Cirese si è dedicato con straordinario rigore scientifico a un oggetto di studi che di solito è curiosità spontaneea di studiosi e curiosi locali, spesso custodi di identità inalterate.
 «All’Isola dei Sardi» del 1995 è uno degli ultimi suoi libri, pubblicato dalla casa editrice Il Maestrale di Nuoro e offerto alla nostra isola da uno che si è sempre considerato anche sardo, lui che era figlio del poeta dialettale molisano Eugenio. L’ho ripreso in mano, ora, questo libro dedicato da Cirese al suo essere sardo e studioso della Sardegna.
 Per me, suo allievo dai primi anni Sessanta, questo ultimo suo libro che raccoglie scritti sulla Sardegna durante più di un cinquantennio, permette di rileggere o addirittura di scoprire temi e modi di trattarli con acutezza e rigore esemplari. A cominciare dal tema che oggi diciamo della nostra identità. Cirese aveva già scritto cose stimolanti già decenni fa, per esempio nel saggio Considerazioni sul mondo popolare sardo del 1969, dove tra l’altro argomenta: «Ma anche se ci liberiamo, come è doveroso, dal mito della loro primordialità, autoctonia e immobilità nel tempo; anche se rifiutiamo le varie fantasie archeologiche o paletnologiche che - da Madao, Bresciani o Fara fino alle riduzioni coloristiche di tante pubblicazioni odierne - hanno immaginato le tradizioni sarde come impossibili continuazioni dirette e conservazioni inalterate dell’antichità classica, del mondo biblico e vicino-orientale, dell’età nuragica; insomma, anche se piantiamo saldi i piedi nella storia, le tradizioni isolane continuano ad apparirci nel loro complesso come fortemente peculiari, e cioè come accentuatamente differenziate verso l’esterno e unitarie all’interno; il che appunto si esprime nella particolare carica connotativa che assume ancor oggi, ed anche nel linguaggio corrente, la qualificazione di “sardo”».
 Difficile trovare parole più utili e più attuali, per noi che oggi viviamo nell’«Isola dei Sardi», di dantesca memoria, una recrudescenza non sempre positiva della nostra plurisecolare crisi di identità. Anche rispetto alla Sardegna, anzi soprattutto rispetto ad essa, Cirese ha spesso affermato che «non l’ardire ma l’umiltà filosofica di proporsi grandi temi è necessaria».
 Necessaria non solo quando si piange la sua morte. Ma con la fortuna di ricordare e valorizzare quasi un sessantennio di consuetudine di studio e di affetti con una terra problematica come la Sardegna di ieri e di oggi. Cirese, tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, è stato uno dei più grandi cultori degli studi sardi, con altri specialisti suoi colleghi a Cagliari, come Ernesto De Martino, Giovanni Lilliu e tanti altri che in quegli anni hanno fatto delle università sarde un luogo alto degli studi umanistici, come non lo sono stati più negli ultimi tempi.
 Studioso serio e rigoroso, dicevo, soprattutto quando si occupa di oggetti apparentemente minori come la «Struttura e origine morfologica dei mutos e dei mutetus sardi» (ora in «Ragioni metriche», Sellerio 1981), o di «Plastica effimera in Sardegna: i pani» (1972), per non dire di saggi ancora oggi rivelatori come quelli su grandi sardi del Novecento come Antonio Gramsci e Grazia Deledda (in «Intellettuali, folklore, istinto di classe», Einaudi 1976).
 Non è infatti una giusta critica di certe tenuità romantico-identitarie o di certe esibizioni folkloristiche a uso turistico a mettere in dubbio l’esistenza di uno specifico oggetto di studio della demologia o folklore o storia delle tradizioni popolari come branca importante degli studi antropologici. Cirese lo individuava nelle forme di vita di ceti e di classi sociali popolari, cioè, secondo la visione di Antonio Gramsci di cui Cirese è attento studioso, degli strati strumentali e subalterni in forme vecchie e nuove. Si tratta ancora di un mondo popolare che non ha sviluppato autonomamente, se non in tempi molto recenti in Sardegna, e comunque non abbastanza «motu proprio», modi e concezioni di vita paragonabili per forza ed efficacia espansiva a quelli delle classi, dei ceti e dei centri egemoni. Come per il suo grande ispiratore Antonio Gramsci, per Cirese la cultura popolare si manifesta non come «una collettività omogenea di cultura, ma presenta delle stratificazioni culturali numerose, variamente combinate», come scriveva l’autore dei «Quaderni». La concezione del mondo dei ceti popolari è in grande misura implicita, stratificata e molteplice, «se addirittura non deve parlarsi di un agglomerato indigesto di frammenti di tutte le concezioni del mondo e della vita che si sono succedute nella storia»: ancora Gramsci nei «Quaderni del carcere» che si occupa del folklore come cosa seria e da prendere sul serio, e su cui Cirese ha scritto cose che oggi, con l’estensione mondiale degli studi gramsciani, si riscoprono come fondamentali.
 E’ soprattutto per impulso di Alberto Mario Cirese che la demologia è un campo di studi specialistici che in Italia, a partire da quest’ultimo dopoguerra, ha individuato il suo oggetto, più o meno esplicitamente, partendo dall’ipotesi e dal riconoscimento che le diversità e i dislivelli di cultura, esistenti dentro le nostre società complesse, coincidono con certi scarti strutturali e sovrastrutturali delle nostre formazioni sociali. Tanto più oggi, che le diversità di modi di vita del mondo si riproducono per migrazione in ogni suo luogo, compresa la nostra isola. Fondamentale su questo tema è «Cultura egemonica e culture subalterne», del 1973, scritto quando Cirese era ancora a Cagliari, prima di andare all’Università di Siena e poi alla «Sapienza» di Roma, e su cui si formano con eccezionale profitto ancora migliaia di studenti e di studiosi non solo in Italia.
 

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