Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
27 March 2011
ufficio stampa e redazione web
RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI
 
    
 
L’UNIONE SARDA
  
1 - L’Unione Sarda / Lettere & Opinioni - Pagina 57
Regione
Progetti per i “quadri”
Nessuno aiuta i laureati sfruttati per mille euro
Progetto molto interessante questo “Work and Learn 36”: poter andare all'estero, essere ospiti di una società straniera per prendere parte a uno stage, avere la possibilità di accedere ad una formazione di alto livello. Il tutto usufruendo di un lauto (a dir poco) rimborso spese a carico della Regione Sardegna.
Progetto troppo bello e interessante perché possiamo usufruire noi poveri mortali, noi poveri lavoratori da mille euro al mese che, nonostante laurea, master, corsi di formazione e anzianità di servizio, ancora siamo inquadrati nei livelli contrattuale e retribuitivi più bassi.
Infatti, per accedere al bellissimo progetto bandito dall'Università di Cagliari, bisogna essere un lavoratore appartenente alla categoria dei “quadri”.
Ma quando mai ci arriverà un giovane lavoratore ad essere un “quadro”? Mai, nella povera economia sarda dove le aziende ti assumono e ti inquadrano nei livelli più bassi per risparmiare, anche se poi le competenze che ti richiedono sono sempre molto elevate, così come le responsabilità.
Mi sento discriminata dal bando, sia come lavoratrice che come cittadina.
Si parla tanto di fare largo ai giovani, di “svecchiare gli uffici”, di favorire un ricambio generazionale, ma se si continuano a favorire i livelli lavorativi più alti ciò non avverrà mai. L'Università di Cagliari dovrebbe farsi promotrice di bandi formativi che favoriscano le nuove generazioni di lavoratori, e non preoccuparsi di chi, come i “quadri” ha probabilmente già raggiunto l'apice della propria carriera.
VALERIA SPADA - PULA
 
 
2 - L’Unione Sarda / Cultura - Pagina 59
Il filosofo Massimo Venturi Ferriolo al convegno degli Amici del Giardino
Paesaggio, la nostra autobiografia
Dalle “belle cartoline” al dialogo tra uomo e natura
«Se si rafforzerà il rapporto dei cittadini con i luoghi in cui vivono, essi saranno in grado di consolidare sia le loro identità che le diversità locali e regionali, al fine di realizzarsi dal punto di vista personale, sociale e culturale. Tale realizzazione è alla base dello sviluppo sostenibile di qualsiasi territorio preso in esame, poiché la qualità del paesaggio costituisce elemento essenziale per il successo delle iniziative economiche e sociali». In questo frammento della Convenzione europea del Paesaggio con cui venerdì è stato aperto al THotel di Cagliari il convegno “I luoghi della vita. Paesaggi, territori, culture”, è racchiusa la concezione moderna della relazione tra uomo e natura.
«C'è un legame strettissimo tra territori, identità culturale, qualità estetiche e storia. La natura fa parte della nostra identità», ha spiegato Luisa Maria Plaisant, storica, direttore dell'Issra e dirigente dell'associazione Amici del Giardino di Sardegna che ha organizzato il convegno con la Facoltà di Architettura di Cagliari e il Centro per la Conservazione e la valorizzazione della Biodiversità vegetale della facoltà di Agraria di Sassari.
MODERNITÀ La consapevolezza che uomo e natura siano parti di un tutto inseparabile che va tutelato è una conquista moderna. «In Europa, la protezione della natura nasce tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento come tutela del paesaggio, ma lo si intendeva solo dal punto di vista estetico. Era la protezione della bellezza. Emblematica in Italia fu la legge di Benedetto Croce del 1921: la natura veniva pensata e difesa come opera d'arte», racconta Paolo D'Angelo, ordinario di Estetica all'Università Roma Tre. «Sarà solo negli anni '70 che si comincia a pensare alla tutela della natura in un senso più ampio. Si inizia a parlare di ambiente e della necessità di tutelarlo, ad esempio con la fondazione del Fai». E la parola “panorama” perde diritto di cittadinanza nella legislazione e in filosofia. «Veniva guardato con disprezzo perché si associava a qualcosa di effimero: al belvedere, alla veduta. Si assiste al silenzio della teoria estetica. È stato il filosofo Massimo Venturi Ferriolo a rompere il tabù. Con lui si è tornati a parlare di paesaggio». Proprio Venturi Ferriolo è intervenuto nell'incontro per spiegare il concetto di paesaggio che oggi va inteso nel rapporto tra uomo e natura. Legame strettissimo che fornisce una chiave di lettura che rivoluziona il modo di progettare, di abitare, di pensare il futuro e persino di osservare ciò che ci circonda. «Il paesaggio non è una cartolina, un panorama. È una complessità di processi che mettono insieme le azioni di una comunità di un luogo. Il paesaggio è il progetto della vita umana», sostiene il filosofo, ordinario di Estetica alla facoltà di Architettura e Società al Politecnico di Milano e autore di “Percepire i paesaggi” (ed. Bollati e Boringhieri, 2009). Anticipando che il suo prossimo libro sarà un manifesto sul paesaggio, ha raccontato come esso sia una realtà vivente dove confluiscono accadimenti e relazioni. Come salvarlo? «Preservando l'identità narrativa dei luoghi, conoscendo le relazioni e mantenendole». I luoghi andrebbero quindi progettati «tenendo sempre a mente la funzione di mettere in relazione le persone», come ha spiegato Rosi Sgaravatti, presidente AGS.
MAPPALI Dalle poetiche del paesaggio, alla pratica dei piani urbanistici. «Il dato catastale racconta la storia di un luogo e quella di chi lo abita», ha spiegato Gian Giacomo Ortu, docente di Storia moderna alla facoltà di Architettura di Cagliari che attraverso le mappe cartografiche ha spiegato la storia di Quartu Sant'Elena. «L'evoluzione panoramica dal XIII secolo ai giorni nostri passa attraverso la nascita della proprietà privata e l'aumento delle coltivazioni di vite e mandorli». Una storia di indipendenza e ricchezza conquistate con Malvasia e dolci alle mandorle. E il panorama racconta l'identità di un popolo.
CRISTINA MUNTONI
 
 
3 - L’Unione Sarda / Cultura - Pagina 59
PRESENTAZIONE
Martedì a Cagliari, a Psicologia Luigi Onnis e il saggio sull'attaccamento
Un'angosciosa madre cieca di Egon Schiele è l'emblematica copertina del libro “Legami che creano, legami che curano”, che Luigi Onnis, neuropsichiatra e psicoterapeuta familiare cagliaritano, ha curato per Bollati Boringhieri. Un saggio importante, che martedì pomeriggio alle 18 sarà presentato a Cagliari, nella Facoltà di Psicologia di Sa Duchessa. Con l'autore parteciperanno alla serata Stefano Carta, docente di psicologia dinamica, Mauro Meleddu, preside del Dipartimento e lo psichiatra Alfredo Camera. Professore di Psichiatria, Psicologia clinica e Psicoterapia alla Sapienza, Onnis è direttore didattico dell'Iefcos di Roma e presidente dell'Iefcostre di Cagliari, scuole riconosciute di Psicoterapia sistemico-relazionale. È autore di numerosi volumi ed è fondatore e direttore della rivista “Psicobiettivo”.
LA TEORIA Era la metà degli Anni Sessanta quando due psicologi, Mary Ainsworth e John Bowlby, incominciarono a lavorare sulle interazioni sociali tra madre e bambino, abbozzando per la prima volta quella che sarebbe diventata la teoria dell'attaccamento. Dopo quasi mezzo secolo, questa teoria è oggi il fulcro di molti approcci psicoterapeutici e ha colto un obiettivo rimasto per parecchi anni utopistico: quello di conciliare scuole e indirizzi in partenza molto differenti.
IL SAGGIO Il libro curato dal professor Onnis raccoglie saggi di diverso orientamento (cognitivista, psicoanalitico, sistemico): la sua proposta innovativa è quella di osservare le diverse psicoterapie proprio dal punto di vista dell'attaccamento, mettendo in luce le complesse relazioni che legano psiche e corpo, mondo interno e mondo esterno, relazioni rappresentate e relazioni reali. I diversi interventi ci mostrano così che queste non sono mai entità separate, e antitetiche, ma livelli e aspetti diversi, specifici ma interagenti, autonomi ma complementari, della nostra complessa realtà umana.
 
 
4 - L’Unione Sarda / Cultura - Pagina 59
La Sardegna? In principio era Chia
Fondale oceanico, lembo di continente e infine isola:
Cuec pubblica la vicenda geologica della nostra terra raccontata da Barca e Spano
Vedi la foto È un lungo viaggio, quasi 600 milioni di anni, quello compiuto dall'Isola dei nuraghi, in un pianeta che di anni sulle spalle ne ha quattro miliardi e mezzo (e le tracce dell'uomo sulla Terra risalgono ad appena cinque milioni di anni fa). Seicento milioni di anni nei quali la Sardegna è stata fondale di oceani scomparsi, minuscola porzione di estesi continenti (che si sono poi frammentati in varie zolle fino alla configurazione attuale) e di grandi catene montuose, per assumere poi l'attuale condizione di isola al centro del Mediterraneo occidentale, più o meno negli ultimi venti milioni di anni. In questo avvincente e tormentato viaggio, l'Isola ha vissuto la sua evoluzione, trasformandosi profondamente. Avvenimenti oggi registrati e documentati nei fossili e nelle rocce affioranti. È dalla lettura di questi preziosi “documenti”, una vera carta d'identità della Sardegna, che è possibile ricostruire la storia geologica sin dalle sue più antiche origini. A condurci per mano in questo meraviglioso viaggio nel tempo sono due docenti della facoltà di Geologia dell'Università di Cagliari, Sebastiano Barca e Carlo Spano, in un libro (“Rocce e fossili raccontano la Sardegna, un fantastico viaggio di 600 milioni di anni”, Cuec Editrice) rivolto soprattutto a docenti e studenti delle scuole superiori. Si tratta insomma di un'utile guida, anche se il linguaggio specialistico risente della formazione universitaria dei due autori.
Da dove cominciano Barca e Spano, rispettivamente docenti di Geologia e Paleontologia? Cominciano da molti milioni di anni fa, dalle rocce scistose di Chia, litorale di Domus de Maria. «La storia dell'Isola, forse, inizia qui...», scrivono Spano e Barca. Si chiama Formazione di Bithia, dal nome della città punica che sorgeva su quella costa. Quelle rocce sono nate circa 600 milioni di anni fa, sono le più antiche non solo dell'Isola ma anche di tutta Italia. Era una formazione sottomarina, perché allora la Sardegna era il fondale di un grande oceano (emerse molto tempo dopo, circa 350-320 milioni di anni fa dalla collisione tra i continenti). Una striscia, oggi dominata da splendide dune, lunghe spiagge e calette affollate di turisti, che si estende più o meno dalla torre di Chia fino al porto vecchio di Teulada passando per Cala Cipolla, Piscinnì e Tuerredda.
Foto, tavole, tabelle, carte geologiche e paleontologiche arricchiscono e illustrano il racconto, un glossario finale aiuta a entrare nel mondo delle rocce, dei fossili e delle ere geologiche (reperti del museo Lovisato del dipartimento di Scienze della Terra, del museo di Fluminimaggiore, della collezione Lubelli). Si parla, con rigore scientifico, di una Sardegna che emerge e sprofonda di nuovo nel grande mare, delle forme di vita più antiche (archeociatine, trilobiti, graptoliti) riassunte nelle belle tavole dei fossili alla fine del libro, dei vulcani, di quel tesoro nascosto nelle rocce che ci illustra la Sardegna primordiale, la memoria storica della terra più antica d'Italia. Infine: un caloroso e pressante invito - che troviamo anche nella prefazione di Felice Di Gregorio - a valorizzare questi tesori, che costituiscono un parco geo-naturalistico unico nel Mediterraneo. Gli esempi positivi non mancano: in Marmilla, a Ghilarza, Nureci, Genoni, Carbonia, per citare qualche caso, sono numerose le iniziative per far conoscere la carta d'identità della Sardegna. Ma, concludono Spano e Barca, l'interesse delle amministrazioni in generale è ancora scarso, eppure si tratta di beni inestimabili che, se valorizzati, potrebbero dare interessanti contributi per creare posti di lavoro e offrire nuove occasioni turistico-culturali.
LELLO CARAVANO
 
 
5 - L’Unione Sarda / Cronaca Regionale - Pagina 11
Santulussurgiu. La bambina e il gruccione
Gabriella Belloni, laurea in Filosofia, albergatrice   
di GIORGIO PISANO pisano@unionesarda.it
A Roma, dov'è nata e abitava, si è laureata in Filosofia all'università La Sapienza. Segnali premonitori? Ogni tanto, ma solo ogni tanto, le tornavano lampi delle vacanze estive trascorse in un paesino della Sardegna, a casa dei nonni. Da bambina era rimasta colpita dai gruccioni, uccellini coloratissimi che arrivavano insieme a lei coi primi caldi e insieme a lei se ne andavano alla fine dell'estate.
Gabriella Belloni non poteva immaginare che il destino avrebbe continuato ad aspettarla lì, all'angolo tra i ricordi di un'infanzia felice e le pietre scure di Santulussurgiu. Dopo la laurea, si è trasferita a Monaco di Baviera: anni e anni a spulciare manoscritti del '500 e del '600, le mani protette da guanti per non lasciare impronte e, ulteriore sicurezza, perfino un velo di plastica trasparente per non contaminare in alcun modo quei tesori della scrittura. Appassionanti per chi, come lei, studiava le radici storiche dell'Accademia dei Lincei, addirittura sacri per il suo docente tedesco che li trattava come reliquie d'un santo.
Alla fine, quando si è trattato di dire sì o no, insomma stabilire se mettere casa e vita in Germania, Gabriella s'è fatta prendere da quelle che un grandissimo scrittore ha chiamato le intermittenze del cuore. «A Milano mi aspettava il moroso e su Milano ho fatto rotta». Ci è rimasta diciott'anni, il tempo di far crescere due figlie e coltivare la certezza che la casa dei nonni sarebbe diventata col tempo un richiamo irresistibile.
L'Antica dimora del gruccione, stupendo palazzotto di pietra lavica e antiche travi di quercia, è oggi un albergo diffuso. Si chiamano così quelle strutture ricettive nate dal restauro di vecchi edifici nei centri storici. Nessuna manomissione mattonara, semmai quel che si dice recupero conservativo. Gli alberghi diffusi (in Sardegna ne funzionano altri tre) sono nati secondo una precisa e rigorosa indicazione di legge. Il Gruccione ha dodici stanze, una sala d'accoglienza che sembra presa da un libro di Grazia Deledda, pavimenti d'epoca, camere tutte diverse. Può sembrare un paradosso ma ha un'eleganza infinitamente superiore a certi hotel smaccatamente opulenti di Porto Cervo.
Il Gruccione è anche sede periferica dell'università di Scienze gastromiche (la centrale è a Pollenzo, in Piemonte), braccio operativo dello Slow Food, associazione che sostiene il consumo dei prodotti locali e manifesta una forte ideo-allergia (ideo in senso di ideologica) nei confronti dell'industria alimentare di massa. Tutto questo per dire che sarebbe banale definire il Gruccione una locanda: basta metter piede nel minuscolo giardino d'ingresso per capire che qui si respira un altro mondo dove neppure per un attimo ci si può sentire intruppati, sia pure intruppati di lusso.
Gabriella Belloni, classe 1950 portata con leggerezza e distacco, indossa una kefiah verde-libico in tinta con gonna e maglione. Il giovanissimo chef (Roberto Flore, che è poi suo genero) ha invece la kefiah tradizionale bianconero-arafat su jeans e camicia. Insieme alle figlie - Lucilla e Carolina - l'albergatrice filosofa si è lanciata in una sfida difficile. Sfida che per il momento sta vincendo: mai crisi salvo due brevi momenti morti dell'anno: novembre e metà gennaio.
Lei faceva tutt'altro. Ricercatrice di filosofia.
«Studiavo la storia della Scienza tra '500 e '600. La scoperta del telescopio e del microscopio ha mostrato un mondo nuovo e fino allora invisibile. Per approfondire questo tema mi sono trasferita in Germania con una borsa di studio. Era la fine degli anni '70 e Monaco il simbolo di un Paese in straordinaria crescita».
Perché abbandonare, allora?
«La mia stagione tedesca, che definisco aurea, è durata sei anni. È stata un'esperienza indimenticabile. A ogni scadenza di contratto ero combattuta, rimandavo la partenza: il fatto è che avevo fidanzato a Milano».
In Italia non c'era possibilità di lavoro?
«Non creiamo equivoci: io non sono una intellettuale precaria, un cervello in fuga, un'emigrata della cultura. Ho voluto andare all'estero per approfondire: era una scelta, non una strada obbligata. Al rientro in Italia ho continuato a lavorare per la Treccani e per l'Istituto degli studi filosofici di Napoli».
Com'è che ha deciso poi il trasloco in Sardegna?
«È questa casa che ha deciso, non io. Mio fratello non era interessato a tenerla ( che ce ne facciamo di una proprietà in un luogo così lontano dalla nostra vita?). Io non me la sentivo di venderla: qui, le tante volte che mi capitava di venire da bambina, stavo bene. È la casa dov'è nata mia madre, dove i miei nonni mi ospitavano d'estate. Grande quanto basta (ottocento metri quadrati) per tenere in piedi una continuità della memoria fitta fitta».
Insomma, s'è fatta prendere dalle intermittenze del cuore.
«In un certo senso, sì. Alla fine degli anni '90 l'Unione europea ha pubblicato i bandi per la creazione degli alberghi diffusi e per la prima volta mi sono ritrovata a pensare di cambiare radicalmente esistenza».
Stufa dell'altra vita?
«No. Roma, Monaco e Milano mi hanno dato moltissimo. Quando però si è trattato di fare il salto e trasferirsi a Santulussurgiu, nel 2002, ho digerito tutto quello che c'era da digerire».
In che senso?
«Mi sono vaccinata mentalmente contro la nostalgia, contro il fantasma di un possibile ripensamento, insomma contro tutti i rischi che l'operazione comportava».
Impresa titanica fare di una casa un albergo.
«Complessa. Sono stati necessari quattro anni. Le pratiche richiedono tempi lunghi che possono sembrare eterni. Non dico che sia stata un'impresa titanica ma certamente non indolore».
Al limite dell'impossibile.
«Quasi. Per realizzare un progetto come questo occorrono determinazione e spinta ideale. La determinazione ti orienta ad andare avanti quando la burocrazia s'incattivisce, la spinta ideale è quella che ti suggerisce di mettere in pratica un'idea d'amore anziché parlarne e basta. In fondo, si tratta di uscire dalla logica dei mi piacerebbe, se potessi... ».
Non si rischia di restare tramortiti nel passaggio da Milano a Santulussurgiu?
«Per nulla. Non mi chiedo mai cosa può dare un luogo ma come posso scoprirlo. Amo imparare a conoscerlo, capire pian piano i meccanismi che ne regolano la vita quotidiana. A Santulussurgiu ho scoperto il cielo, le stelle che lo riempiono di notte, la terra dove metto i piedi. Non me n'ero mai accorta quando stavo fuori».
Eppoi ci sono i gruccioni.
«C'erano anche quando ero una bimba. Mi sono rimasti nell'anima, non li ho mai persi di vista. Ecco perché questa casa si chiama Antica dimora del gruccione».
 
Seminari universitari sul casizzolu, sulla carne sardo-modicana (il bue rosso): da queste parti non arrivano solo escursionisti, bikers, mitteleuropei che sperano (sbagliando) di trovare una rete aggiornata e ragionata di sentieri, itinerari segnalati con tempi di percorrenza e lunghezza. Da queste parti arriva anche chi ha un arretrato di libri da leggere, chi vuol scoprire il fascino delle stradine intorno alla chiesa del paese, le case strette e alte di un popolo che fa pochissimo rumore. Gabriella Belloni spiega ai suoi allievi la cultura del territorio, il rapporto tra lavoro e produzione, la necessità di salvarsi scegliendo la qualità. Nel suo “hotel” una camera costa 45 euro a persona (colazione compresa), con la mezza pensione si arriva a 70. Da quando ha aperto i battenti è andato tutto molto bene. «Clientela internazionale», dice lei. Ossia viaggiatori ben informati, che non si muovono a caso. E che pretendono, giusto perché non guasta, che al prezzo pagato corrisponda qualità e servizio inappuntabile. Logica slow food, per capirci: tutto può anche sembrare casuale ma non lo è mai.
 
Lei parla di turismo sostenibile e integrato: che vuol dire?
«Il punto di partenza è operare in un centro storico che non abbia subito modifiche. Se è intatto diventa una sorta di presidio, di bandiera del territorio. A questo aggiungiamo i cibi e le ricette locali scartando il prodotto indifferenziato dell'agroindustria».
Un turismo tendenza Smeralda dunque le fa orrore?
«Per istinto corporativo non direi mai male dei miei colleghi albergatori. L'orrore non c'entra. Il mio tipo di ricettività ha un'altra logica, un altro stile, un rapporto molto stretto con l'ospite».
Cioè?
«Niente a che vedere con un grande hotel che deve trattare una clientela molto più ampia e differente. Non sono un industriale delle vacanze. Io vorrei semplicemente che questa attività mi consentisse di lavorare onestamente e mi desse una prospettiva».
Gliela sta dando?
«Sono impegnata insieme alle mie figlie e al fidanzato di una di loro. La cosa comincia a girare, funziona insomma. Se il territorio avesse già sviluppato una certa sensibilità saremmo a buon punto».
Critiche e mugugni del paese.
«Non ce ne sono che io sappia, ma è la cultura dell'albergo diffuso che deve crescere. Per quanto mi riguarda ho una stagione di quasi dodici mesi l'anno. Sotto Carnevale ho dovuto rifiutare molti ospiti».
Secondo lei, i sardi sanno cosa sia il turismo?
«C'è molto da fare: la distanza fra sardi e turismo resiste. Manca soprattutto il coraggio di mettersi in gioco, c'è la paura di sbagliare, sentirsi sotto esame».
E di essere professionali.
«Io parlo per me, non ho titoli per fare le bucce agli altri. Quando dico, ad esempio, che proponiamo prodotti locali non bleffo».
In certi agriturismi la carne è polacca, il prosciutto slavo...
«Quello che io garantisco al cliente lo metto per iscritto. In mancanza di prodotti locali, faccio capo al mercato equo e solidale. Mi rifornisco a Cagliari. Proposte chiare, rapporto leale col cliente: l'unico vero segreto è questo».
Scusi, la sua è ricettività di sinistra?
«Nel mio albergo chiunque è benvenuto. Uno che fa il mio mestiere non può fare differenze fra destra e sinistra, ci mancherebbe».
Non ha risposto, signora.
«Chiarita la premessa, non posso negare che ci sia una certa visione del mondo che incide sul modo di essere e di proporsi».
Camere tutte diverse, tocco radical chic, no?
«Fossi una radical chic non sarei venuta ad abitare a Santulussurgiu. L'albergo diffuso è qualcosa di particolare, non è un hotel con stanze vista mare oppure no ma comunque fatte tutte in serie e tutte uguali».
Cosa le manca?
«Niente. Lavoro volentieri con l'università di Scienze gastronomiche. Non mi sento sola: il confronto quotidiano con una clientela sempre diversa mi arricchisce».
Fatta salva la poesia dei gruccioni, tornando indietro?
«Non ho cambiato vita da un giorno all'altro. Ci ho pensato a lungo, ne ho discusso con le mie figlie. Ho valutato, verificato, ponderato. Dopo, soltanto dopo, mi sono corazzata contro il timore di un pentimento tardivo».
E quindi?
«Scegliere mi ha reso serena».
 
   

 
 
LA NUOVA SARDEGNA 
 
6 - La Nuova Sardegna / Pagina 27 - Sassari
Una giustizia speciale che rispetti i minori e li reintegri nella società
Specialisti a confronto, presentato il libro di Filippo Dettori
ANTONIO MELONI
SASSARI. Una giustizia speciale, attenta al contesto in cui matura il reato e rispettosa della condizione dell’imputato, specie quando si tratta di minore. L’obiettivo è la rieducazione e il reintegro nella società, la punizione e il carcere devono essere l’extrema ratio.
Il senso dell’opera di Filippo Dettori, «Giustizia minorile e integrazione sociale», è condensato nella riflessione scaturita durante i lavori del convegno organizzato ieri, nell’aula magna dell’università, a margine della presentazione del volume edito da Franco Angeli. Un’occasione speciale, promossa dall’Ateneo, dall’Ordine forense e dall’Associazione magistrati minorili, che è servita a fare il punto su un tema delicato. Al centro del dibattito, moderato da Giusy Manca - docente di Pedagogia della devianza - il ruolo centrale dell’educatore, le forme e il senso di un disagio nato in famiglia e generato dall’assenza di modelli, dalla crisi sempre più aperta di genitori troppo spesso lasciati soli ad affrontare situazioni complicate. I bambini, vittime inconsapevoli del dramma, reagiscono come possono e da lì alla devianza il passo è breve. L’intervento a monte del problema può essere la soluzione, ma quando ciò non è possibile, l’attività delle comunità di recupero gioca un ruolo determinante. Lo ha detto a chiare lettere Ettore Cannavera, sacerdote militante, responsabile, a Serdiana, della comunità «La collina» che da anni opera sul difficile versante della riabilitazione di minori autori di reato. La domanda d’esordio, volutamente provocatoria, è rimbalzata in un’aula magna gremita e silenziosa, dando la stura a un appassionato dibattito destinato a proseguire fuori dalle aule d’accademia. «Quale giustizia può esserci in carcere per un minore? - ha tuonato don Ettore - qual è il senso di un’azione inutile e fuorviante che sa di intrattenimento più che di trattamento?». Impressionante, al riguardo, la girandola di dati snocciolati da Giuseppe Zoccheddu, direttore del carcere minorile di Quartucciu, l’unico in Sardegna. In Italia, ogni anno, 44mila minori vengono denunciati all’autorità giudiziaria, circa 1200 quelli sardi. In carcere finiscono gli autori di reati particolarmente gravi, come la violenza sessuale, l’omicidio (anche solo tentato), la rapina a mano armata. Attualmente le carceri minorili italiane ospitano 426 piccoli detenuti, dodici quelli rinchiusi nella struttura isolana, una delle diciassette presenti sul territorio nazionale. In carcere partecipano ai programmi di riabilitazione che però rischiano di rivelarsi inutili: «Per chi completa l’espiazione in carcere - ha detto Zoccheddu senza giri di parole - il tasso di recidiva è del 50-60 per cento, che cala drasticamente al 12 quando il minore viene sottoposto a misure alternative». Tutto questo a fronte di una spesa importante se si calcola che il detenuto minorenne costa alla comunità seicento euro al giorno contro i 350 dell’adulto. Strutture come quella di Quartucciu contano cento dipendenti, fra educatori, agenti, artigiani, psicologi e impiegati: «se il reato è l’esito di un disagio - ha concluso Giuseppe Zoccheddu - le risposte devono essere precedenti al carcere che deve rappresentare solo l’extrema ratio». In questo contesto pesano, e non poco, le scelte operate dal magistrato minorile a cui è affidata una grande responsabilità. «Non si tratta solo e sempre di punire, ma di rieducare - ha concluso Maria Gabriella Pintus, sostituto procuratore del tribunale minorile sassarese - il successo o il fallimento di una scelta dipende dalla magistratura che non può limitarsi alla stretta applicazione della norma, ma deve valutare caso per caso, sentendo sempre il parere degli esperti». Il libro di Dettori, pedagogista, con prefazione di don Luigi Ciotti, rappresenta l’esito dell’attività esercitata come giudice onorario al tribunale minorile di Sassari.
 
 
7 - La Nuova Sardegna / Pagina 4 - Nuoro
Crisponi: «Sì alla scuola forestale». Ma non tutti sono d’accordo 
Sei milioni per l’ex Esit 
La Regione stanzia i fondi per ristrutturare 
ANTONIO BASSU 
NUORO. Monte Ortobene: la Regione mette a disposizione 6 milioni di euro per la ristrutturazione dell’ex albergo Esit. Quale destinazione d’uso dare al complesso? Realizzare la Scuola Forestale o restituire alla struttura la sua funzione originale di hotel? Su questi interrogativi si è tenuto ieri il confronto tra l’assessore regionale al turismo Luigi Crisponi e il Comitato di volontari nuoresi di “Monte Ortobene, ultima spiaggia”, presieduto dall’avvocato Antonio Costa.
Nel confronto diretto tra l’assessore e il comitato sono emerse due posizioni contrapposte: Luigi Crisponi è favorevole alla Scuola Forestale. I motivi SONO diversi, ma particolare, essendo in primis un operatore turistico, dice di comprende bene i problemi che si devono affrontare quando si deve rilanciare un complesso dismesso 40 anni fa. «So e conosco cosa significa rilanciare una struttura di quel tipo - ha detto -. Un imprenditore che intende realizzare un simile progetto deve essere oltremodo bravo e potente. Giusto perchè non sono tempi in cui si fa largo la generosità: oggi, per certi progetti, ci vuole più testa che cuore. Puntare invece sulla Scuola Forestale è come avere una struttura alberghiera sempre attiva, con riflessi positivi sugli altri operatori dell’Ortobene. Tenendo conto che a livello regionale ci sarebbe un decentramento degli uffici, tenendo conto che a livello Forestale si avrebbe un presidio economico di 1400 uomini. Insieme alla facoltà universitaria di Scienze Forestali si può dare vita a un laboratorio formativo. Dunque - ha spiegato Crisponi - dico che occorre dare subito un seguito alla gara d’appalto, con l’opportunità di avere un importante presidio sulla sicurezza. Rilanciando la piscina di Farcana, l’ostello della gioventù, i campi da tennis l’albergo Sacchi, insieme ad altre location di richiamo turistico innovative, si realizzerebbe una curiosa attrattiva. Oggi, con i torpedoni che trasportano 70-80 visitatori, il mercato turistico è cambiato».
Dall’altra parte i componenti del comitato spontaneo per la valorizzazione dell’Ortobene sono il recupero e il rilancio dell’ex Esit. Per questa tesi sono il direttore dell’Apan Gianfranco Seddone, Franco Mariano Mulas, Francesco Devoto, il Fai e l’architetto Ninni Pigozzi. Quest’ultimo ha spiegato che Nuoro è l’unico capoluogo che abbia la montagna attigua alla città, per cui è importante, in attesa del Puc, che abbia un piano organico. L’Ortobene deve diventare il giardino della città, strettamente collegata ad essa. In conclusione: le due tesi restano per il momento contrapposte, in attesa delle decisioni dell’amministrazione comunale e dei cittadini.
 
 
8 - La Nuova Sardegna / Pagina 9 - Oristano
Macomer, una nuova scuola
Apre l’Istituto di tecnologia per l’efficienza energetica
TITO GIUSEPPE TOLA
MACOMER. Partiranno a settembre i primi corsi dell’Istituto tecnico superiore per l’efficienza energetica che avrà sede a Macomer. Domani, alle ore 9,30 nel salone Castagna avverrà la presentazione della nuova scuola, che si colloca tra la secondaria superiore e l’università.
La nuova scuola, che farà capo all’istituto Amaldi, opererà come scuola speciale di tecnologia nell’area tecnologica dell’efficienza energetica. È costituita e nasce come una fondazione di partecipazione della quale fanno parte l’Amaldi, lo Ial-Cisl Sardegna, la Ceccato, Acciona Agua, Centralabs, il Crs4 e il Comune di Macomer. Quello che partirà a settembre è il primo percorso biennale sull’efficienza energetica. Potranno frequentarne i corsi gli studenti che hanno conseguito il diploma di scuola superiore, ma l’ammissione non sarà automatica per tutti. Saranno ammessi quelli che supereranno le prove previste per l’accertamento della motivazione e delle competenze necessarie per una proficua frequenza del percorso. Al termine del corso conseguiranno il diploma di tecnico superiore con l’indicazione dell’area tecnologica. La nascita dell’Itc a Macomer è stata voluta e resa possibile dal consigliere regionale Paolo Maninchedda.
Dopo il saluto del sindaco, Riccardo Uda, e della dirigente dell’Amaldi, Rossella Uda, alla presentazione della nuova scuola interverrà l’assessore regionale alla Pubblica istruzione, Sergio Milia, che parlerà delle politiche formative regionali e della formazione tecnica superiore. Enrico Tocco, direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale, parlerà invece della riorganizzazione del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore. Interverranno poi Roberto Bornioli, vicepresidente della Confindustria di Nuoro, Silvano Tagliagambe, presidente Its, Bruno D’Aguanno, responsabile del programma energie rinnovabili del Crs4, e Giuseppe Angelico, amministratore della Ceccato.
  
    
QUOTIDIANI NAZIONALI
Link: rassegna stampa CRUI
Link: rassegna stampa MIUR
 

Questionnaire and social

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