Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
21 June 2010
ufficio stampa e redazione web
RASSEGNA QUOTIDIANI LOCALI

 
L’UNIONE SARDA
1 - Sassari. Archeologi in cerca di qualifica
2 - Monte Sirai. Alla ricerca della città perduta
  
LA NUOVA SARDEGNA
3 - Università di Cagliari. Architettura in Cina
4 - Lezione magistrale di Alberto Mario Cirese
  
RASSEGNA STAMPA QUOTIDIANA
 

L’UNIONE SARDA
 
1 - L’Unione Sarda
Provincia di Sassari - Pagina 40
Sassari
Archeologi in cerca di qualifica
Indiana Jones lavora superpagato, ma solo a Hollywood. L'aura avventurosa e romantica che ammanta la figura dell'archeologo è una chimera. In realtà in Sardegna, come nel resto d'Italia, gli investigatori del passato vengono assunti a progetto, talvolta come operai o giardinieri, con paghe che oscillano spesso tra i 4 e i 10 euro l'ora, perché non esiste un Albo, un contratto tipico e neppure le tariffe professionali minime.
Non esiste neppure la qualifica di archeologo nel Codice dei Beni culturali e del paesaggio. Per risolvere quest'anomalia è nata l'Associazione Nazionale Archeologi ed è stata costituita la Sezione regionale, che è stata presentata presso la Biblioteca Comunale di Sassari. Primi obiettivi: il censimento degli specialisti sardi, i settori di intervento e le condizioni di lavoro. Il presidente Giuseppina Manca di Mores spiega: «Gli iscritti sono già 130, ma nell'isola gli archeologi sono qualche centinaio. Tra le università di Sassari e Cagliari, quella gemmata di Oristano per l'Archeologia subacquea i laureati sono fra i trenta e i cinquanta l'anno. Non è poi vero che l'Unione Europea si oppone alla creazione di un albo, purché non leda i diritti degli archeologici provenienti dagli altri paesi». (g. m.)
 
 
2 - L’Unione Sarda
Prov Sulcis - Pagina 34
Carbonia. Gli archeologi cercheranno di riportare alla luce l'abitato costruito dai fenici
Alla ricerca della città perduta
Nuova campagna di scavi nell'insediamento di Monte Sirai
Gli archeologi tornano sul pianoro di Monte Sirai con un obiettivo preciso: riportare alla luce i resti dell'antica città costruita dai fenici.
È lì da quasi tremila anni, ma ancora non ha svelato i suoi segreti. Un'intera città fondata quasi ottocento anni prima di Cristo e rimasta sconosciuta. Si sa che c'è, ma nessuno ne ha mai visto le mura. Nascosta. Sepolta sotto qualche decina di centimetri di terra. Sormontata dalle mura di un'altra città che venne costruita sulle sue rovine. La città perduta.
Monte Sirai è un pianoro sulla sommità di una collina dalla curiosa forma di trapezio. È come uno spartiacque tra la piana del Cixerri e le coste del Sulcis. Una sorta di porta naturale a chiudere la strada di accesso più agevole (e praticabile) di un vasto territorio.
La città perduta sorge su quel pianoro. Ma i suoi misteri hanno i giorni contati. Un drappello di “Indiana Jones” si appresta, infatti, a riportarla alla luce. Ma niente paura, sono archeologi e non avventurieri. Non cercano oro o diamanti ma “tesori” scientifici. Minuzie, particolari, dettagli in grado di aggiungere nuove conoscenze sulla gente che quella città costruì, che in quella città visse e morì, che davanti a quelle mura scomparse venne sepolta: i fenici.
LA CITTÀ PERDUTA «È stato il primo insediamento urbano realizzato a Monte Sirai», spiega Piero Bartoloni, ordinario di Archeologia nell'Università di Sassari. Da quaranta anni trascorre le sue estati tra le rovine di Monte Sirai. Ha scavato l'acropoli, e il tophet, riportato alla luce centinaia di sepolture, recuperato migliaia di reperti. Ma la città perduta neppure lui l'ha ancora vista: «C'è, ne abbiamo la certezza, negli anni è affiorato qualche muretto ma nulla di più, eppure è là sotto».
Ma, allora, i resti che vedono i turisti, l'acciotolato, gli zoccoli delle abitazioni che disegnano la topografia di un antico abitato? «Quella che conosciamo è la pianta della città ellenistica del terzo secolo Avanti Cristo: venne costruita dai Cartaginesi dopo che rasero al suolo le case dei fenici». Spiega il professor Bartoloni.
IL GIALLO Il mistero della città perduta si infittisce. Ma gli archeologi hanno deciso di vederci chiaro. «Da lunedì (oggi, ndr) incominceremo a scavare nella parte meridionale dell'acropoli - annuncia Piero Bartoloni - è la parte più antica della città fenicia, e anche quella che ha avuto meno sovrapposizioni. Non mi meraviglieri se scoprissimo in quell'area anche un altro nuraghe». Il professor Bartoloni coordinerà la campagna di scavi che comprende anche l'area del Cronicario a Sant'Antioco. La direzione degli scavi su Monte Sirai sarà affidata all'archeologo Michele Guirguis. Sul campo diversi archeologi e studenti provenienti dalle università di mezza Europa.
GLI SCAVI Tutti sul pianoro a caccia della città scomparsa per cercare di capire chi erano e come vivevano i suoi abitanti e per scoprire altri dettagli che ancora sfuggono. Uno di questi riguarda la fondazione della città perduta. I reperti ritrovati fino ad ora datano la nascita della città sul pianoro tra il 760 ed il 750 Avanti Cristo. Ma dai i ruderi della città perduta potrebbero affiorare le prove di una fondazione ancora antecendente.
Del resto il nuraghe sulle cui rovine venne costruito il mastio della città cartaginese dimostra come il pianoro fosse frequentato già dai nuragici che abitavano nel villaggio a valle (attorno al Nuraghe Sirai). Potrebbero avervi eretto un secondo nuraghe.
Una considerazione finale: a quasi mezzo secolo dalla sua scoperta, Monte Sirai non ha svelato ancora tutti i suoi segreti. E quello della città perduta non è il solo.
SANDRO MANTEGA
 
  
 
 
LA NUOVA SARDEGNA

3 - La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Sardegna
UNIVERSITÀ
Architettura in Cina
La facoltà di Architettura di Cagliari si è aggiudicata un concorso in Cina per il piano di riqualificazione urbana di Zhaoqing. Lo studio che ha prevalso è di Giovanni Marco Chiri, docente di composizione Architettonica nella facoltà di Cagliari, con la collaborazione di alcuni docenti del Politecnico di Torino. Il progetto prevede la trasformazione di Zhaoqing, (nella provincia del Guangdong, un territorio costiero nel sud della Cina, grande circa la metà dell’Italia ma con 80 milioni di abitanti.
 
 
4 - La Nuova Sardegna
Pagina 8 - Sardegna
Le platee lontane dall’isola conquistate dai mille pani che sanno di sacro e profano
Cori, lezione magistrale di Alberto Mario Cirese, padre dell’antropologia sulla produzione più ricca di forme e significati che esista in Italia
L’occasione è stata un convegno intitolato «La civiltà del grano»
Nessuna regione d’Italia, nella panificazione, dal pane comune a quello rituale, raggiunge i vertici della Sardegna. Sentenza in cattedra di Alberto Mario Cirese, uno dei padri dell’Antropologia italiana, certamente il padre dell’Antropologia sarda (ha insegnato per quindici anni all’università di Cagliari, dal 1957 al 1972). Parlava a Cori, pieno Lazio, provincia di Latina, per celebrare “La civiltà del grano”, convegno organizzato dal Comune, dalla Fao, da Slow Food e dal ministero delle politiche agricole e con la collaborazione della Provincia Ogliastra (sponsor l’ex presidente Piero Carta).
Lo studioso (89 anni avant’ieri, sabato 19 giugno) parla come un profeta in una sala del Museo della Città e del Territorio. La voce è netta, chiara. L’oratore-mito richiama le folle, c’è mezza Cori col sindaco Tommaso Conti e l’assessore alla Cultura Giorgio Chiominto.
Ci sono tanti abruzzezi (Cirese è nato ad Avezzano, provincia dell’Aquila) e toscani, molisani e marchigiani giunti da Fano, Urbino e Recanati. Ha davanti a sé i suoi libri, le pubblicazioni scientifiche. È una festa della scienza popolare regalata alla Sardegna, con una lectio magistralis sul «pane e le sue forme: valore primario e valore simbolico». Il posto d’onore - in un’ora di conversazione, con slide e proiezioni - è riservato alla terra dei nuraghi. «In pura levità di forme i pani della Sardegna mi hanno sempre abbagliato.
Alla fine degli anni Cinquanta, alla facoltà di Lettere di Cagliari, negli angusti armati a vetri dei corridoi cominciarono ad allinearsi prima, a stiparsi poi, le trine, i merletti, i trafori, i dischi, i rami, i pastorali, le croci di pane: una raccolta preziosa che una grande antropologa sarda, Enrica Delitala, ha donato al Museo dell’Isre di Nuoro perché fuori dagli stipi goda della luce e dello spazio cui ha diritto». Tutti ascoltano in silenzio. Cirese viaggia mentalmente dal sud al nord dell’isola. Testuale: «Lungo un cammino di pensieri e immagini irruppe un giorno una foto che nulla aveva a che fare con i pani e che tuttavia ai pani sardi riportò il pensiero. Fu una splendida foto di Pino Abbrescia che mi rivelò la croce disegnato dall’oculo del transetto destro della chiesa sassarese di Santa Maria di Corte. Quella croce mi parve che fosse il modello di tanti pani cruciformi della Sardegna. Ne scelsi due: l’uno di Mores e l’altro di Siurgus Donigala e li affiancai alla croce di luce della foto. Ne feci un cartoncino natalizio nel 2001 - ripresi allora un’usanza da tempo dismessa, colpito e ferito dalle insorgenti aggressioni altrui e nostrane al Natale cristiano - e lo intitolai: Sardegna, pani architettura croci».
Parte un applauso. Il professore sorride e riprende: «Scrissi: nascono curiosità. La quasi identità di forme è un caso? O c’è stato un comune modello? O sono le forme che per propria misteriosa forza erompono? Ma, transetti e fantasie a parte, viene da chiedersi, importuni, se i pani della Sardegna non avrebbero meritato che, qualcuno, magari tra i suoi figli, le studiasse da vicino quelle forme, critico o storico d’arte, demologo e che so mai altro».
Certo che la Sardegna ha studiato i suoi mille pani. Con l’ingegno e la passione della Delitala, Giulio Angioni, Anna Lecca, Chiarella Rapallo, Pier Giorgio Solinas, Pietro Clemente, Gabriella Da Re, Giannetta Murru Corriga, Mimmo Bua. Cirese li ricorda alla fine della sua relazione, circondato da fans della antropologia studiata sul campo. Cita Giovanni Lilliu, i pani decorati da Maria Lai (“che artista straordinaria, l’avevo incontrata nell’89, una folgorazione”).
Storia e cronaca. Perché l’evento di Cori, la ribalta nazionale per i pani sardi, è legata all’iniziativa di una docente di Lettere, Elsa di Meo che ha voluto ricordare sua sorella Amelia morta alcuni anni fa. Era stata proprio Amelia di Meo a voler pubblicare un volume sui pani sardi e sul loro simbolismo dopo una lunga permanenza in Sardegna, dopo i suoi anni passati ad Alghero subito dopo aver frequentato il liceo artistico romano di via Ripetta e la facoltà di Architettura. Il libro che esalta la panificazione nell’isola (edizioni Moderata Durant) nasce durante i soggiorni nella riviera del corallo. Vanno viste, e apprezzate, queste pagine con la realizzazione dei pani firmati dalla cagliaritana Maria Vittoria Viale. E notare questo consenso, questo autentico entusiasmo “fuori casa” fa capire quanto la Sardegna - a costo zero - possa parlare al mondo con la sua cultura e le sue tradizioni non profanate da un folklore deteriore. Il merito? Onore ad Elsa di Meo e al Comune di Cori dove i De Meo sono nati.
La prima immagine di pane sardo è quella “circolare piano con croce, nuziale” di Ittireddu. Dopo l’Offerta a Persefone (Museo della Magna Grecia) e il Rilievo di Demetra e Core (Museo di Eleusi, V secolo avanti Cristo) spiccano i pani decorati pasquali di Paulilatino, il pane a forma di uccello di Pattada e il votivo “Cuore di Santa Rita” di Thiesi. C’è una relazione tra panificazione e religione? Scrive Amelia di Meo: «L’accostamento delle due forme d’arte non è solo estetico. Nell’apparenza il pane rituale ricorda i rosoni delle chiese, le aureole dei santi, elementi decorativi. Ma l’accostamento è più profondo, è l’intuizione della geometria analitica delle rette parallele che si incontrano all’infinito.
È il passaggio della luce che dal cielo scende sulla terra e viene rappresentato in modo evidente o nascosto nelle Annunciazioni, nelle Natività, nelle estasi dei Santi, nei combattimenti contro il drago. La sacralità della preparazione del pane dispone a un consumo non superficiale, lo insegna la imponderabile potenza sacra».
Cirese ascolta. Raccoglie dopo aver tanto seminato. Ricorda Amelia Di Meo che «col suo libro colpisce e commuove». Elsa Di Meo - per onorare gli studi della sorella - ha curato una regia perfetta. Da Lanusei ha fatto arrivare un’insegnante in pensione, Graziella Pisu, un’altra artista del pane, pittrice e scultrice, realizza stupefacenti brocche e piatti con immagini greche, egizie ed etrusche. A Cori Graziella Pisu si trasforma in panettiera. Impasta acqua e farina davanti ai bambini delle scuole laziali ed è un trionfo. Prepara pani di mille forme, uccelli e cuori, ruote e rose. Espone in una sala i pani dell’Ogliastra, i capolavori delle donne di Ulassai e di Ussassai.
Parla subito dopo Cirese del “pane da trigesimo di Perdasdefogu” e del “pane dolce, su pani’urci”, sappa e dodici spezie, miele, il pane studiato da Enrica Delitala e che viene preparato per la festa della Candelora, portato in processione attorno alla chiesa di San Pietro, benedetto dal parroco e distribuito nel pronao della parrocchiale.
Una saga dei pani. Uno più bello dell’altro. I pani pasquali con uccelli e uva, il pane votivo di Sant’Antioco, il cavalluccio di Ussassai, le bamboline di Nuoro e Settimo. Due medici di Perugia chiedono notizie dei “pani beneauguranti di Dorgali”, un architetto di Senigallia studia il pane-gallinella di Nuoro. I bambini continuano a circondare Graziella Pisu che insegna a fare il pane. Mostra l’Angulla di Abbasanta e la bicicletta di Fordongianus. Ecco gli stampi, ecco la Pintadera e affianco il volume “Pani” strenna del Banco di Sardegna. Un bel disegno di Amelia di Meo con l’aureola di San Giovanni. Il mosaico di San Clemente di Roma del XII secolo e la nidiata, pane nuziale di Quartucciu. Cirese osserva, ascolta, sprizza felicità. E dopo la lectio magistralis una sentenza firmata: «In Sardegna il pane è arte. Va studiato sempre perché è sapere, è scienza».
 
 
RASSEGNA STAMPA QUOTIDIANA

Questionnaire and social

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