Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
19 July 2009
Rassegna quotidiani locali
a cura dell’ufficio stampa e web

1 – L’Unione Sarda
Attualità – pagina 9
Nella testa di uno stupratore
Giovanni Biggio: violenza sessuale e tracce sul cervello  
di GIORGIO PISANO
 
Com'è fatto il cervello di uno stupratore? Per il momento i ricercatori sanno molto, anzi moltissimo, soltanto su quello delle vittime. Hanno scoperto per esempio che la violenza lascia una sorta di cicatrice. Non una ferita dell'anima ma una cicatrice vera, un'alterazione della forma e della struttura delle cellule cerebrali, ossia i neuroni.
La sperimentazione (sui topi e sugli uomini) sta rivelando nel frattempo qualcosa di inatteso e sorprendente. «Il guaio è che del cervello conosciamo meno dell'un per cento». Il professor Giovanni Biggio, ordinario di neuropsicofarmacologia all'università di Cagliari, spiega che per ora «sappiamo solo l'abc, giusto qualche lettera dei codici adoperati dai neuroni per comunicare tra loro. Il resto è mistero, buio fitto».
Un'indagine sui cadaveri di ventisette giovani suicidi che avevano subito violenza ha rivelato che tutti avevano il gene dello stress alterato. Questa è la prova che lo stupro ha ripercussioni concrete sulla struttura del cervello. Con quali contraccolpi nella vita di tutti i giorni? Lavorando su questa rotta, Biggio e la sua équipe hanno studiato gli effetti ansiolitici sulle donne gravide, prima e dopo il parto. Hanno svolto la ricerca dopo aver scoperto su una cavia evidenti mutazioni delle cellule nel momento in cui le venivano portati via i piccoli appena nati. «Morale: un privatissimo dolore personale ha pesanti riflessi sui neuroni. Riflessi che possono essere passeggeri o permanenti».
Nei casi di violenza sessuale, il marchio resta quasi sempre indelebile. Ma com'è questo marchio?, di cosa si tratta nel dettaglio? Il discorso non è difficilissimo ma ha necessità di una premessa, un'informazione per tutti quelli che non sono addetti ai lavori: le cellule neuronali hanno una serie di minuscoli tentacoli. Per capirci, sembrano le zampette di un millepiedi. Questi tentacoli si chiamano dendriti, sono le antenne paraboliche che captano e decifrano le comunicazioni all'interno del cervello, registrano gioia e dolore, noia ed emozioni. Una mamma che allatta ha cellule ricche di dendriti, una mamma a cui portano via il figlio ha cellule quasi del tutto prive di dendriti.
Il professor Biggio è un'autorità indiscussa. Sessantacinque anni, due figlie, specializzato all'Istituto di salute mentale a Washington, faceva parte della squadra organizzata dal farmacologo Gian Luigi Gessa al rientro in Sardegna dopo una lunga carriera negli Stati Uniti. «Sono orgoglioso di aver lavorato a fianco di un protagonista della comunità scientifica internazionale. La scuola che ha creato è ancora oggi di altissimo livello. Per questo mi permetto di dire che deve ancora nascere il farmacologo che possa eguagliarlo».
Lui intanto sfodera un curriculum di tutto rispetto: oltre 400 pubblicazioni e la chiamata qualche mese fa a far parte del Consiglio superiore di Sanità. Presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia, Biggio è considerato un docente esigente e severo: dei suoi studenti, uno su due non passa l'esame al primo colpo.
L'abuso sessuale lascia davvero cicatrici nel cervello?
«Sì. È una scoperta recente e straordinaria. Ne ha parlato Science nel numero di febbraio 2009. Tutto è cominciato quando un team canadese ha dimostrato che i figli amati e protetti dai genitori resistono allo stress meglio di quelli che non hanno avuto una bella infanzia. Questi ultimi manifestavano tra l'altro un certo gene ad efficienza ridotta».
E allora?
«Avevamo per la prima volta la prova concreta di quello che fino a ieri era solo un'ipotesi psichiatrica: chi ha avuto scarse cure materne sviluppa una propensione verso ansia, depressione, schizofrenia».
Come si arriva ai segni dell'abuso sessuale?
Attraverso una banale fotografia. Ma per capirci ho bisogno di fare un chiarimento importante: ognuno di noi è il risultato dei geni ereditati dai genitori e dall'ambiente in cui vive. I geni non sono affatto immutabili, sono sensibilissimi alla realtà esterna e diventano i motori delle nostre emozioni».
Dunque possono essere tenuti sotto controllo?
«Purtroppo no perché non abbiamo capito che cosa fa accendere o spegnere questi motori. Sappiamo, ad esempio, che la dipendenza da droga modifica un certo gene. Riportarlo alla forma originaria è però impossibile perché non conosciamo i codici del cervello».
I farmaci possono aiutare?
«Solo in parte. Quelli che utilizziamo sono farmaci sintomatici, non intelligenti. Alleviano il disagio ma non risolvono il problema».
Perché lo studio sulle partorienti?
«Per comprendere se la sottrazione di un affetto può avere effetti collaterali sul cervello. Quando allatta il suo bambino, una mamma mostra dendriti numerosi e mobilissimi. Provate a toglierle il figlio e i neuroni diventano piatti, spogli».
La cicatrice, chiamiamola così, si registra anche in una donna matura?
«Presumibilmente. Dico presumibilmente perché mentre abbiamo la certezza di questo fenomeno nei casi di abuso sessuale su un adolescente, sulle donne adulte non ci sono studi».
E sui bambini?
«La violenza sessuale ha conseguenze drammatiche. Diceva Sigmund Freud, padre della psicanalisi, che le patologie mentali dell'adulto vengono da molto lontano. Il cervello è considerato adulto nelle ragazze a diciannove anni, nei ragazzi a ventidue».
Quali sono le possibilità che la vittima di un abuso diventi a sua volta carnefice?
«Molti genitori che da bambini sono stati abusati manifestano, una volta avuti dei figli, una vera e propria fobìa a stare soli con loro. Hanno paura di non potersi controllare, non saper resistere alla tentazione di violentarli. E difatti alcuni lo fanno».
Ha detto che l'ambiente modifica lo sviluppo fisico del cervello: sarebbe?
«Un cervello che si sta sviluppando deve perdere miliardi di cellule inutili e connettere tra loro le altre. In questa fase, lo stile di vita è determinante. Penso ai giovanissimi di oggi, all'abuso di alcol, alle canne, all'abitudine di andare a letto alle otto del mattino invertendo i cicli del sonno. Impensabile credere che tutto questo non abbia conseguenze».
Che tipo di conseguenze?
«Dipende da caso a caso. Un certo modo di vita incide irrimediabilmente sulla neurogenesi, ossia nella formazione delle nuove cellule. Di fatto alcol o marijuana possono, come dire?, fermare la produttività della fabbrica dei neuroni».
Come studiate questi fenomeni sugli animali?
«Affetto o carenze d'affetto sono facili da simulare. In alcune gabbie di cavie inseriamo quello che si chiama ambiente arricchito: non solo segatura ma anche acqua in abbondanza per un eventuale bagnetto, giochini eccetera. Dopo settimane di questo trattamento, l'area del cervello che si occupa della memoria (ippocampo) risulta addirittura raddoppiata rispetto a quella delle cavie con sola segatura».
Ricerche sulla violenza sessuale: come si creano i topi stupratori?
«Si seleziona una linea di topi-killer, noi li chiamiamo così. Farli diventare killer è facile: basta metterli in isolamento, lontano dagli altri. Per gli animali, come per l'uomo del resto, la solitudine forzata è una condizione di grande sofferenza. Diventano aggressivi».
E che fanno?
«Di solito, quando gli mettiamo un topolino in gabbia, lo sbranano».
 
Breve parentesi: dalla parte delle cavie. Negli anni '70, quando Gianlugi Gessa stava gettando le fondamenta d'una scuola di Farmacologia a Cagliari, per cani gatti ratti e conigli sono stati tempi duri. L'istituto universitario disponeva di un'Ape con la quale illustri ricercatori si recavano al canile municipale nella speranza che, durante la notte, gli accalappiacani avessero rimediato qualcosa. Un contributo, generoso ma nient'affatto spontaneo, arrivava dagli studenti che avevano disseminato di trappole per topi tutta l'area universitaria. Li offrivano, i topi, vivi e prigionieri. Rigorosamente prima degli esami, però. Nei momenti di carestia assoluta di vittime sacrificali, Gessa non ha esitato a fare inserzioni su un periodico locale: compro gatti, cinquemila lire l'uno...
 
Stupratori: avete un identikit psicologico e biologico?
«Spesso sono insospettabili. Impossibile fare una diagnosi che valga per tutti: può trattarsi di bipolari o di schizofrenici. Di certo soffrono di psicosi, doppia personalità. Si sa nulla o quasi di quello che succede nel cervello di questi soggetti. Sappiamo che alcune aree cerebrali controllano certe reazioni ma non sappiamo attraverso quali codici queste reazioni vengano scatenate o inibite».
L'ambiente che c'entra con gli stupratori?
«C'è una sorta di valore aggiunto nei geni che ereditiamo dai nostri genitori: il loro vissuto. Significa che, rispetto ai geni di mio padre, io ricevo un'impronta modificata dalla sua esperienza di vita. Questo principio, che oggi è scontato per tutti, era considerato fantascienza fino a pochi anni fa».
Quanto contano gli stimoli della tivù in una devianza?
«Possono contare molto. C'è una branca della medicina che analizza proprio le nuove dipendenze: videogiochi, playstation, internet...».
Al tempo di internet il sesso è ancora un valore?
«È una domanda che girerei volentieri a uno stupratore. Ai miei tempi ci dovevi morire prima di riuscire a portarti a letto una ragazza. Adesso la cosa si fa presto e subito: c'è più schiettezza, più trasparenza nei rapporti tra giovani. Certo, per la mia cultura il sesso è un valore, oggi chissà. Con questo non voglio dare un giudizio negativo: dico solo che la situazione è diversa».
Il raptus.
«Coincide con l'attivazione di centri nervosi che fanno perdere la possibilità di un self control che si aveva fino a un attimo prima. Celebre il caso dell'operaio scozzese trafitto in testa da una sbarra di ferro».
È impazzito?
«No. È semplicemente diventato un altro. Prima era un uomo timido, mite e tranquillo. Dopo l'infortunio è diventato l'esatto opposto, sessualmente espansivo fino a rischiare le manette».
Questo che significa?
«Quella sbarra ha attivato un codice che noi non conosciamo, mutando totalmente il carattere di un individuo. Pensate anche a come si trasforma un tossicodipendente in crisi di astinenza, pensate a cosa è capace di fare quando ha la scimmia».
Per lo stupratore è identico?
«Certo. Considerate tra l'altro che, come il tossicodipendente, spesso ha consapevolezza della propria malattia. Sa di avere una doppia personalità e questo pone un interrogativo grande come un macigno alla psichiatria forense: è cosciente quando compie certi gesti? Annamaria Franzoni era cosciente quando ha ucciso il piccolo Samuele?, lo stupratore seriale di Roma è in sé quando intrappola le sue vittime?»
Lo studio del cervello che dice?
«Poco. In questi malati abbiamo rilevato aree cerebrali che regrediscono, è come se una parte del cervello si atrofizzasse. Nei depressi, per dirne una, l'ippocampo diventa sottile. A differenza di quello dei tassisti di Londra: ce l'hanno il 30 per cento più grande delle persone normali.
Perché?
«Perché devono memorizzare una quantità infinita di nomi, quelli delle strade di una megalopoli».
Quindi il cervello cresce o si rimpicciolisce?
«Qualcosa del genere, si raggrinzisce come una spugna. Noi lo definiamo trofismo dei neuroni. E così torniamo al discorso iniziale, alla presenza o all'assenza di dendriti, a cellule ricche di antenne paraboliche oppure desolatamente spoglie».
Castrazione chimica.
«Un male necessario nei casi di soggetti pericolosi per sé e per gli altri. Non vedo altra via d'uscita».
pisano@unionesarda.it
 
 

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