Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
16 February 2009
Rassegna quotidiani locali
a cura dell’ufficio stampa e web

1 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari Pagina 8
Università, l’ora delle scelte
Domani via alle “Giornate dell’orientamento”
Studio. Tutte le facoltà in vetrina alla Cittadella di Monserrato
 
Una cerniera aperta lungo la fronte di un ragazzo, a rappresentare lo slogan “Apri la tua mente”. È questa una delle tante immagini che promuovono le “Giornate dell’orientamento”, da domani alla Cittadella universitaria di Monserrato.
Un’iniziativa ideata per aiutare a scegliere quale percorso di studi affrontare dopo il diploma. In un periodo in cui la credibilità universitaria è spesso messa in discussione da chi, nonostante la laurea, non trova lavoro. O da chi preferisce studiare lontano dalla Sardegna perché crede che «fuori sia meglio».
Pareri non condivisi da Fabrizia Biggio, dirigente e organizzatrice della manifestazione. «La cultura è fondamentale per il mondo del lavoro», sottolinea, «non è vero che qui ci sono meno possibilità rispetto al resto della nazione». Per cinque giorni gli studenti delle quarte e quinte superiori avranno l’occasione di confrontarsi con le realtà dell’ateneo cagliaritano, radunate in aule che accoglieranno tutti i corsi di studi. Non solo: sarà anche possibile esercitarsi con test simili a quelli proposti per accedere alle varie facoltà.
FORMAZIONE Non ci sono dubbi. «C’è bisogno di una formazione elevata per trovare sbocchi nel futuro», aggiunge Biggio. E anche a Cagliari le opportunità non mancano. «Le occasioni di lavoro in Sardegna sono identiche a quelle del resto della Penisola», sottolinea. «E non è un’opinione: dati e studi dimostrano che a cinque anni dalla laurea i cagliaritani hanno le stesse possibilità rispetto ai laureati italiani. È vero che per molti è meglio specializzarsi fuori, perché esistono più corsi. Ma tanti arrivano qui a Cagliari per lo stesso motivo». Partire a studiare fuori «può essere un’ottima esperienza di vita», commenta, «ma non sono d’accordo con chi dice che qui non c’è un buon livello ed è meglio andare via».
L’INIZIATIVA Durante le “Giornate dell’orientamento” sarà possibile confrontarsi in particolare con i docenti universitari. «Non è un’iniziativa mirata a far capire se in una facoltà ci sono professori simpatici o se è più o meno facile dare esami, ma solo a presentare i corsi di studio».
STEFANO CORTIS 
 
2 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari Pagina 9
Epilessia, il cervello sente la musica
Forse attività cerebrale anche in stati di coma o vegetativi
Sanità. Importante scoperta dell’équipe guidata dal neurologo Francesco Marrosu
Lo studio coordinato da Francesco Marrosu verrà pubblicato su una rivista scientifica
 
Anche durante una crisi epilettica, scatenata da una melodia, il cervello non rinuncia a interpretare come bella o brutta la musica. L’importante scoperta, fatta da un’équipe dell’azienda ospedaliera universitaria - che verrà pubblicata su una rivista specializzata internazionale - apre una nuova frontiera nel campo della Neurologia: è possibile che anche in alcuni stati di coma o vegetativi il cervello sia impegnato in attività sensoriali o motorie.
L’ESPERIMENTO «Siamo davanti a un caso unico», spiega Francesco Marrosu, direttore della scuola di specializzazione in neurofisiopatologia dell’Università, che ha coordinato insieme al fisico Luigi Barberini il gruppo di studiosi che si è occupato dell’esperimento. «In sostanza», fa sapere il neurologo, «il cervello, nonostante le mutate condizioni di coscienza rappresentate dalla crisi epilettica prosegue nella sua attività interpretativa». Il paziente che ha accettato di sottoporsi all’esame (in pratica la registrazione dello stato epilettico grazie a un sofisticato sistema di elettroencefalografia e risonanza magnetica funzionale, unico in Italia) ha avuto una crisi di epilessia causata dalla sigla di una serie televisiva: «Abbiamo constatato», evidenzia Marrosu, «che nel cervello di questa persona è avvenuto esattamente quanto altri studi hanno dimostrato avvenire fisiologicamente nella aree del cervello deputate all’apprezzamento. In poche parole, se in quel momento il nostro paziente avesse potuto parlare avrebbe detto più o meno: questa musica è veramente brutta e mi pare proprio di vedere l’altrettanto brutta puntata del serial dove è registrata ».
GLI SVILUPPI Mentre l’elettroencefalografia ha registrato la scarica epilettica, la risonanza magnetica ha fotografato le variazioni metaboliche in atto nel cervello: con grande sorpresa i ricercatori hanno notato che alcune aree cerebrali (apprezzamento sensoriale, giudizio estetico e contesto figurativo) stavano reagendo “normalmente” all’ascolto della musica che aveva scatenato la crisi epilettica. «Questo studio», aggiunge Marrosu, «pone sorprendentemente l’accento sulle potenti capacità elaborative che il cervello conduce anche in condizioni svantaggiate. Non solo: fa sorgere l’interrogativo se in stati vegetativi o di coma siano in atto attività sensoriali o motorie che potrebbero essere esplorate con metodi similari». Un argomento - vedi caso Eluana Englaro - terribilmente attuale.
CASI RARI Le persone malate di epilessia “musicogenica” non sono molte: «La media», evidenzia il neurologo, «è di otto casi ogni mille abitanti. Le crisi vengono scatenate da un suono violento, forte ma anche da una musica che il paziente associa a qualcosa di brutto o fastidioso. L’azienda ospedaliera si sta occupando sempre più di questa malattia anche se i finanziamenti sono pochi e la medicina non presta particolare attenzione all’epilessia». Solo negli ultimi dieci anni i ricercatori stanno documentando i casi di epilessia provocati da musica o suoni: nessuno studio, prima di quello condotto dall’équipe di Marrosu e Barberini, aveva però fotografato contemporaneamente le aree del cervello dalle quali si genera l’epilessia con quelle che rispecchiano tale evento dal punto di vista metabolico. I risultati, con i possibili risvolti, verranno pubblicati a breve nella rivista specializzata internazionale sull’epilessia ( Epilepsy Reseach ).
MATTEO VERCELLI 

3 – La Nuova Sardegna
Pagina 13 - Fatto del giorno
Le cause dell’inarrestabile declino dell’Università italiana 
di Manlio Brigaglia 
 
Mentre ancora in Italia si sprecano tante parole sull’Università, ecco che arrivano i fatti. Ma una classifica è un fatto o sono soltanto parole? Quando la classifica è fatta da una istituzione di valutazione tra le più prestigiose del mondo, allora questa classifica - la World University Rankings 2008, cioè la graduatoria di tutte le università del mondo - non è né parole né numeri: è fatti. E i fatti, per quanto riguarda l’Italia, sono tre: uno, nelle 400 Università migliori del mondo, italiane ce ne sono soltanto sette; due, le Università italiane hanno perduto, in questa classifica, qualcosa come venti posti, o giù di lì, rispetto all’anno scorso; tre, la migliore Università italiana è al 192º posto, pronta a uscire dalla speciale classifica delle Top 200. E’ l’Università di Bologna, e chi fa l’infausta l’infausta profezia è il suo stesso rettore, Ugo Calzolari, pronto a riconoscere cavallerescamente che forse il ranking sarebbe ancora più basso se l’istituzione universitaria di Bologna la Dotta non godesse di una fama quasi millenaria.
 Detto rapidamente che tra le prime dieci sei sono Università americane, quattro inglesi, le Università italiane che hanno avuto comunque l’onore di essere incluse nella classifica sono, oltre Bologna, in ordine La Sapienza, il Politecnico di Milano, poi Padova, Pisa, Firenze e la Federico II di Napoli. Tra le prime quattro assolute ci sono le tre Università che vengono considerate, per fama mondiale, le migliori del mondo: Harvard, Cambridge e Oxford (ce n’è un’altra americana, Yale, al secondo posto).
 Sbrighiamo subito l’obiezione che si portano sempre appresso le classifiche di qualunque tipo: chi le ha fatte, in base a quali criteri sono state stilate. Chi le ha fatte sono 8700 addetti ai lavori, di crediti ineccepibili; i parametri giocano molto a sfavore delle Università italiane, ma hanno una loro ragionevolezza assoluta: la qualità della ricerca e il numero di volte che ogni ricerca è citata nei lavori degli specialisti della disciplina, quanti studenti trovano lavoro dopo la laurea, com’è il rapporto numerico fra docenti e studenti, quanti professori e studenti stranieri ci sono in ogni Università. Sono tutti criteri che ci si rivoltano contro. Il declino dell’Università italiana ha tre cause principali: troppi sprechi, troppi baroni, pochi soldi. Gli sprechi nascono da una cattiva organizzazione degli studi e del lavoro, spesso funzionale al comodo mantemimento dell’esistente; il potere dei baroni impedisce la selezione per merito, o come minimo la limita a casi irrefutabili; i pochi soldi impediscono di fare ricerca, e comunque di farla con la disponibilità di mezzi e la tranquillità sul lavoro che è necessaria.
 Se dovessimo decidere di attaccare la situazione per cambiarla, da dove bisogna cominciare? In realtà, le tre cause malformanti stanno sullo stesso livello. Delle tre, poi, quella del potere baronale sembra la più difficile da estirpare, quella del deficit di organizzazione che si traduce in mille piccoli e grandi sprechi la più subdola, perché è insita nella stessa legislazione perfino più che nella cattiva volontà degli uomini, quella della ricerca la meno solubile in un momento di triste congiuntura come quello che stiamo vivendo. Se Tremonti dice alla Gelmini che non ci sono soldi per la ricerca, e la Gelmini lo dice ai rettori, e i rettori ai professori, agli studenti, al personale, che cosa si può fare? Si può continuare a ripetere che senza rimettere a posto il sistema istruzione, cioè senza rafforzarlo e soprattutto modernizzarlo, tutto il Paese ne soffrirà, e ne soffrirà non soltanto a breve ma anche nel tempo lungo: nella gradatoria delle Università europee la prima delle italiane (sempre Bologna) è settantottesima e la seconda (ancora La Sapienza) ottantacinquesima. Solo un problema di soldi, allora? No, e per almeno due motivi: il primo è che l’Università aveva già poco da stare allegra anche quando i soldi c’erano (forse non in abbondanza, ma comunque quanti bastavano per sprecarne un bel po’), il secondo è che il problema vero è quello della cultura, cioè del grado di apprezzamento del sapere che c’è in chi governa. E’ possibile che i portatori di una visione consumistica della realtà e della società, in cui il Grande Fratello fa aggio su ogni altra filosofia e alla signora Levi Montalcini toccano le ingiurie dei colleghi senatori, mettano al primo posto, scalzandone il Festival di Sanremo, la cultura, la formazione seria e appassionata dei giovani, il culto del leggere, scrivere e cercare? Qui ci vorrebbe un’allegra digressione su che cosa mettevano i Padri nuragici in quei loro misteriosi magazzini, ma è tempo di piangere: e non solo solo per l’Università.
 
 

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